Consiglio di Stato, Ordinanza|8 gennaio 2021| n. 313.
Appare opportuno deferire all’Adunanza Plenaria le seguenti questioni:a) Se la presentazione di un’istanza di concordato in bianco ex art. 161, comma 6, legge fallimentare (r.d. n. 267/1942) debba ritenersi causa di automatica esclusione dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, ovvero se la presentazione di detta istanza non inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di commesse pubbliche, quanto meno nell’ipotesi in cui essa contenga una domanda prenotativa per la continuità aziendale; b) se la partecipazione alle gare pubbliche debba ritenersi atto di straordinaria amministrazione e, dunque, possa consentirsi alle imprese che abbiano presentato domanda di concordato preventivo c.d. in bianco la partecipazione alle stesse gare, soltanto previa autorizzazione giudiziale nei casi urgenti, ovvero se detta autorizzazione debba ritenersi mera condizione integrativa dell’efficacia dell’aggiudicazione; c) in quale fase della procedura di affidamento l’autorizzazione giudiziale di ammissione alla continuità aziendale debba intervenire onde ritenersi tempestiva ai fini della legittimità della partecipazione alla procedura e dell’aggiudicazione della gara.
Ordinanza|8 gennaio 2021| n. 313
Data udienza 18 giugno 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Appalti – Istanza di concordato in bianco – Causa di esclusione dalle gare pubbliche – Partecipazione alle gare – Natura di atto di straordinaria amministrazione – Tempestività dell’autorizzazione giudiziale rispetto alla partecipazione alla procedura – Deferimento delle questioni all’Adunanza Plenaria
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
sul ricorso in appello numero di registro generale 123 del 2020, proposto da
La. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cl. Vi. e Fe. Te., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avvocato Fe. Te. in Roma, (…);
contro
Regione Lombardia, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ra. An. Ma. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avvocato Cr. Bo. in Roma, viale (…);
nei confronti
As. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) n. 2305/2019, resa tra le parti, concernente l’aggiudicazione della procedura aperta del servizio d’informazione giornalistica a mezzo delle agenzie di stampa – lotto 2;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lombardia e di As. S.p.A.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 giugno 2020 il Cons. Raffaele Prosperi, nessuno comparso per le parti;
La Regione Lombardia aveva indetto una gara d’appalto divisa in cinque lotti con procedura aperta ed il criterio di aggiudicazione era quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’affidamento del servizio di informazione giornalistica a mezzo delle agenzie di stampa a favore della Giunta e del Consiglio Regionale.
Ai sensi del disciplinare di gara, a ciascun partecipante poteva essere affidato non più di un lotto.
Il lotto n. 2 veniva aggiudicato alla società As. Spa, mentre al secondo posto si classificava la società La. Spa, la quale impugnava l’aggiudicazione dinanzi al Tribunale amministrativo per la Lombardia.
Si costituivano in giudizio la Regione Lombardia ed As. Spa, concludendo per l’inammissibilità ed in ogni caso per l’infondatezza nel merito del gravame.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti la La. impugnava il provvedimento con il quale la Regione, dopo una serie di approfondimenti, aveva confermato l’aggiudicazione del lotto n. 2 ad As..
Con la sentenza 5 novembre 2019 n. 2305 il Tribunale amministrativo rigettava dapprima l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse a ricorrere sollevata dalla difesa della parte controinteressata.
Se effettivamente la disciplina di gara prevedeva l’aggiudicazione di non più di un lotto e che la ricorrente risultava aggiudicataria del lotto n. 2, in ogni caso tale previsione era oggetto di giudizio ed in ogni modo il lotto n. 5 aveva un importo più elevato di quello n. 2 e dunque non si poteva negare alla ricorrente l’interesse all’assegnazione del lotto n. 5.
La sentenza affrontava dapprima il primo motivo del ricorso principale unitamente al quarto motivo aggiunto, trattandosi di censure omogenee.
Nei due articolati mezzi di gravame, il ricorrente lamentava la violazione degli art. 80 comma 5 lettera “b” e comma 6 e 110 del d.lgs. 50 del 2016 e dell’art. 186 della legge fallimentare, dato che As. era da escludere, essendo stata ammessa alla procedura di concordato preventivo di cui alla legge fallimentare (r.d. 267 del 1942).
Le censure venivano ritenute infondate.
L’art. 80 comma 5 lettera b) del d.lgs. 50 del 2016, nel testo vigente al momento della controversia, imponeva l’esclusione dalle procedure di gara dei concorrenti in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo quello con continuità aziendale o con uno di questi procedimenti in corso.
Il concordato con continuità aziendale, disciplinato dall’art. 186 bis della legge fallimentare, prevede la prosecuzione dell’attività di impresa, anche attraverso la cessione o il conferimento dell’azienda, oltre alla continuazione dei contratti in corso con le pubbliche amministrazioni e la partecipazione a procedure pubbliche di gara, previa autorizzazione del Tribunale: nella specie, il termine per la presentazione delle offerte scadeva in data 11 gennaio 2019 ed As. aveva presentato al Tribunale di Roma domanda per l’ammissione al concordato ai sensi dell’art. 161 della legge fallimentare in data 21 gennaio 2019, quindi dopo la succitata scadenza.
L’istanza di ammissione al concordato era stata redatta ai sensi dell’art. 161 comma 6 della l. f., trattandosi quindi di domanda di concordato “in bianco”, con riserva cioè di produrre ulteriore documentazione e di avanzare anche richiesta di concordato con continuità aziendale, senza sottacere la possibilità di partecipare alle gare – sia pure con l’autorizzazione del Tribunale – con concordato “in bianco” avviato, possibilità ribadita dall’art. 110 del codice dei contratti pubblici, almeno per i bandi pubblicati nel 2018 – si veda il d. l. 32 del 2019 convertito nella l. 55 del 2019.
L’autorizzazione del Tribunale di Roma alla partecipazione alle procedure di affidamento ed alla prosecuzione e/o al rinnovo dei contratti in corso è stata concessa alla As. con decreto 7 maggio 2019, ai sensi dell’art. 186-bis l. f. e dell’art. 110 del codice dei contratti pubblici e con decreto del 2 agosto 2019 lo stesso Tribunale la aveva autorizzata a stipulare il contratto d’appalto con la Regione Lombardia a seguito dell’aggiudicazione del lotto n. 2 per la gara in causa.
Nel secondo motivo del ricorso principale – equivalente al motivo aggiunto n. II – la ricorrente denunciava la presunta falsità della dichiarazione resa dall’aggiudicataria nella propria offerta tecnica, secondo cui As. avrebbe alle sue dipendenze 92 giornalisti iscritti alla cassa previdenziale INPGI, mentre tale numero avrebbe dovuto ridursi quanto meno del 60% per l’ammissione alla cassa integrazione di una serie di questi, per una serie di periodi nell’anno 2018 e a partire dal 21.1.2019,
In realtà era desumibile dal primo decreto ministeriale di ammissione al trattamento di integrazione salariale, che lo stesso aveva avuto effetto per taluni mesi dell’anno 2018, mentre l’offerta per l’appalto di cui è causa è stata presentata nell’anno 2019; invece il successivo decreto di ammessi alla CIGS per il periodo 2019/2020 aveva riguardato i lavoratori del settore dell’industria grafica e non espressamente i giornalisti.
Era altresì rilevato che la censura aveva un carattere ipotetico e generico, del tutto priva di prova adeguata delle presunte carenze di personale giornalistico in capo ad As., né era specificamente criticato il punteggio tecnico attribuito in relazione a tale criterio di valutazione dell’offerta, senza sottacere che in ogni caso della domanda di ammissione al concordato in bianco, As. aveva dichiarato di avere un organico di 127 unità.
Per cui anche il secondo motivo era ritenuto infondato.
Nel terzo mezzo del ricorso principale, riproposto quale terzo motivo aggiunto, la ricorrente contestava l’art. 3 del disciplinare di gara, che vietava l’aggiudicazione di più di un lotto per ogni concorrente, poiché il divieto di assegnazione, non avrebbe garantito la qualità delle prestazioni, incidendo così sull’affidabilità dell’appaltatore.
I cinque lotti posti in gara corrispondevano ciascuno ad un differente notiziario: nazionale, esteri, regionale, sanità e welfare ed eventi di interesse della Giunta e del Consiglio.
La sentenza riteneva anche tale censura infondata, visto che l’art. 51 del codice dei contratti pubblici impone la suddivisione degli appalti in lotti per favorire l’accesso delle piccole e medie imprese, con l’onere di motivare la mancata suddivisione e con l’unico limite del divieto di suddivisione artificiosa per eludere l’applicazione delle disposizioni del codice stesso.
Il comma 3 dell’art. 51 consente inoltre alle stazioni appaltanti di limitare il numero dei lotti da aggiudicare ad un solo offerente, purché ciò sia indicato nel bando. Quindi la scelta regionale era pienamente corrispondente alla norma dell’art. 51, anche in considerazione dei diversi contenuti dei lotti e si doveva concludere che il divieto di censurato garantiva tanto maggiore concorrenza, quanto un maggior pluralismo informativo, trattandosi dell’attività di agenzie di stampa.
Anche tale motivo risultava perciò privo di pregio.
In conclusione il ricorso principale e i motivi aggiunti erano integralmente respinti.
Con appello in Consiglio di Stato notificato il 30 dicembre 2019 la La. s.p.a. impugnava la sentenza e deduceva quanto segue:
1.Error in iudicando per violazione degli artt. 80 comma 5 lett. b) e comma 6 e 110 del d.lgs. 50 del 2016, dell’art. 186 bis l. f., del punto 6 del disciplinare di gara. Eccesso di potere sotto vari profili ed eccesso di potere giurisdizionale. L’appellante si diffondeva con dovizia di argomenti ed una lunga esposizione in diritto sul fatto che, secondo la visura camerale, As. aveva presentato il 21 gennaio 2019 la domanda di concordato “in bianco”, riservandosi di depositare nel termine assegnato dal Tribunale il piano e la proposta senza essere, allo stato, ancora emesso il decreto ex art. 163 l. f. di apertura della procedura concordataria. Dunque risultava che As. era interessata da un procedimento di concordato preventivo tuttora pendente al momento della gara, ragione di esclusione visto che il beneficio della continuità aziendale non ancora intervenuto, non poteva avere effetti di sanatoria e comunque il procedimento in quella fase poteva anche concludersi con una dichiarazione di fallimento.
Poiché in pendenza di questa procedura potevano giustificare la partecipazione alla gara solamente un’omologazione del concordato oppure un assenso al concordato preventivo con continuità aziendale e le relative autorizzazioni del Tribunale alla prosecuzione e/o rinnovo dei contratti in corso e dalla partecipazione a specifiche gare, tutto ciò stava a dimostrare che As. andava esclusa.
2.Error in iudicando per violazione del punto 16 del disciplinare di gara e dell’annessa scheda di attribuzione dei punteggi dell’art. 80 comma 5, lett. f-bis) del d.lgs. 50 del 2016 e del punto 6 del disciplinare di gara. Eccesso di potere sotto vari profili. Eccesso di potere giurisdizionale. L’aggiudicataria aveva dichiarato nell’offerta tecnica di avere alle proprie dipendenze 92 giornalisti con contratto a tempo indeterminato; tale dichiarazione era in contrasto con il decreto 28 marzo 2019 di ammissione alla c.i.g.s., sicché l’appellata doveva essere esclusa per dichiarazione non veritiera, mentre il punteggio ad essa attribuito era errato nel riconoscimento dei requisiti ed errata era conseguentemente la sentenza impugnata, che si era limitata a ritenere la mancanza di prove su tali differenze, limitandosi ad indicare che l’ammissione alla cassa integrazione e l’offerta di partecipazione alla gara risalivano l’una al 2018 l’altra al 2019, senza sottacere il difetto di istruttoria sulla presenza di contratti di solidarietà e sui contenuti dell’integrazione salariale.
3.Error in iudicando in relazione all’impugnativa dell’art. 3 del disciplinare di gara per violazione dell’art. 51 del d.lgs. 50 del 2016, dei principi di libera iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost., della par condicio e buon andamento ed efficacia ed efficienza dell’agire della P.A. Motivazione erronea, carente e contraddittoria. Eccesso di potere giurisdizionale. Da ultimo l’appellante insisteva nel sottolineare il proprio interesse ad agire, visto che in caso di aggiudicazione di più lotti ad un concorrente, a costui sarebbe spettato quello di maggior valore e della controversia (…?) aveva pacificamente un corrispettivo maggiormente rilevante del lotto n. 2.
La La. concludeva per l’accoglimento dell’appello con vittoria di spese, insistendo per l’inefficacia del contratto stipulato con As. ed il relativo subentro, in via subordinata per il risarcimento danni per equivalente.
Le parti intimate si sono costituite anche in questa fase di giudizio per resistere.
All’udienza del 18 giugno 2020 la causa è passata in decisione.
Il Collegio ritiene la logica e l’opportunità di affrontare dapprima la questione dell’ostatività o meno, per la partecipazione alla gara, della pendenza temporanea della domanda di concordato “in bianco” proposta, dall’aggiudicataria As., il 21 gennaio 2019, dieci giorni dopo la scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione; all’interno della stessa procedura di gara, poi, il 2 agosto 2019, il Tribunale fallimentare aveva autorizzato la medesima a stipulare il contratto con la Regione Lombardia, successivamente all’ammissione alla continuità aziendale accordata il precedente 7 maggio, tre giorni prima dell’emanazione del provvedimento di aggiudicazione.
Nel caso sottoposto all’attuale giudizio è pacifico che al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte in gara, l’aggiudicataria non era ammessa al concordato né era in corso un procedimento in tale senso, che il procedimento di cui alla legge fallimentare ha avuto uno sviluppo del tutto successivo, con la domanda di concordato “in bianco” formulante riserva di istanza per il concordato con continuità aziendale, atti poi intervenuti dopo l’aggiudicazione a favore proprio di As..
Ricostruita la vicenda, il Collegio osserva che il presente giudizio è incentrato sulle conseguenze, stabilite nel vigente ordinamento, per il caso di presentazione, in fase di gara, della c.d. domanda di concordato in bianco da parte dell’impresa mandante di un raggruppamento temporaneo.
Come in precedenza esposto, la sentenza impugnato ha affermato che secondo l’indirizzo giurisprudenziale più diffuso e condiviso, la presentazione di una domanda di concordato “in bianco”, con riserva di istanza per il concordato con continuità aziendale, non impedisce di per sé la partecipazione ad una procedura di gara, non determinando la perdita dei requisiti in capo all’operatore.
È opportuno premettere una breve disamina delle caratteristiche proprie dei due istituti disciplinati dalla legge fallimentare: il concordato in bianco e il concordato con continuità aziendale.
Il concordato con riserva o concordato in bianco e il “concordato con continuità aziendale” sono le due figure particolari di concordato preventivo disciplinate ex novo dal d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
La prima figura è del tutto originale per il nostro ordinamento e si traduce – come si evince dall’art. 161, comma 6, l. fall. – nella possibilità di depositare una domanda di concordato preventivo priva, di fatto, di contenuto, essendo finalizzata solo a chiedere al Tribunale la concessione di un termine (variabile da 60 a 120 giorni e prorogabile per non più di altri 60 giorni) proprio al fine di poter predisporre e poi presentare la vera e propria proposta di concordato, da corredare con quel piano e con quell’altra documentazione, compresa la relazione attestativa dell’esperto, che l’art. 161, comma 2, nel testo originario, esigeva invece che fosse presentata già al momento di deposito del ricorso.
L’art. 161, comma 6, della legge fallimentare prevede, in particolare, la possibilità per l’imprenditore di presentare un ricorso contenente la domanda di concordato allegando soltanto “i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi” e “l’elenco nominativo dei creditori”, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione richiesta dai commi 2 e 3 dell’art. 161 entro il termine (prorogabile) fissato dal giudice.
L’utilità che con tale domanda si mira a realizzare è soprattutto quella di poter fruire, per tutto l’arco temporale fino alla scadenza del termine concesso dal Tribunale (e con effetto a partire dalla data di iscrizione nel Registro delle imprese), di un “ombrello protettivo” contro le aggressioni esecutive dei creditori, le azioni cautelari e l’iscrizione unilaterale di diritti di prelazione – art. 168 l. fall. – pur in assenza di una proposta di concordato vera e propria, solo in presenza della quale potevano prima scattare comparabili (anche se non identiche) misure protettive.
Con tale previsione, dunque, lo spatium deliberandi concesso al debitore può essere utilizzato sia per predisporre il piano e consentire all’esperto di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso, sia per raggiungere accordi con i creditori diretti a facilitarne il buon esito (ad esempio la rinuncia al privilegio da parte di alcuni creditori).
In definitiva, con tale istituto si paralizza temporaneamente quel potere-dovere del Tribunale di dichiarare inammissibile la proposta che esso sarebbe chiamato ad esercitare ai sensi dell’art. 162, comma 2, in ragione del difetto, appunto, dei presupposti previsti dai commi primo e secondo dell’art. 160, e dai primi quattro commi dell’art. 161, ossia, in sintesi, in ragione della mancanza degli elementi minimi di riconoscibilità di una proposta concordataria valida ed ammissibile, secondo la conformazione tipologica ed i requisiti formali e sostanziali previsti dalle predette norme.
Che si tratti di una paralisi temporanea di questo potere-dovere è dimostrato dal fatto che, a norma dell’art. 161, comma 6, ultimo periodo, se nel termine fissato dal Tribunale il debitore-ricorrente non deposita né una proposta definitiva di concordato (con il corredo documentale di cui si è detto), né, alternativamente come concesso dalla norma, un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall., “si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo”, vale a dire il Tribunale procede a convocare il debitore per contestargli l’inammissibilità della domanda e procedere poi a dichiararla, dichiarando eventualmente anche il fallimento se sia stata presentata un’istanza o richiesta in tal senso e, ovviamente, se ne sussistano i relativi presupposti.
Il Tribunale può dunque dichiarare inammissibile la domanda per difetto di proposta o per difetti della proposta o della prescritta documentazione, di norma, solo dopo il decorso del termine da esso stesso concesso, essendo rimasto sospeso tale potere-dovere durante il suddetto intervallo temporale.
Si è poi in generale rilevato come la previsione di cui al comma 6 in realtà contempli una forma minimale di presentazione di domanda con riserva, ma non escluda affatto che la domanda, per quanto da catalogare come “prenotativa”, possa essere arricchita da ulteriori elementi, e che quindi più che di domanda “in bianco”, si possa parlare di domanda “con riserva di presentare ulteriore documentazione”, graduando cioè la semplificazione dalla forma minimale prevista dall’art. 161, comma 6, l. fall. a contenuti documentali più ricchi, in funzione delle caratteristiche dell’impresa e degli obiettivi che si intendono perseguire, compreso quello della continuità aziendale.
Il concordato con continuità aziendale, invece, è disciplinato dal più volte richiamato art. 186 bis della Legge Fallimentare e si ha quando “il piano di concordato di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e), prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione”.
Come chiarito da ultimo dalla Corte Costituzionale – sentenza 7 maggio 2020, n. 85 – la disciplina del concordato preventivo con continuità aziendale – rispondente, come noto, alla finalità di favorire il superamento dello stato di crisi dell’azienda – “si caratterizza per la previsione di stabilità dei contratti in essere con le pubbliche amministrazioni, ex art. 186-bis, terzo comma, della legge fallimentare, e, al contempo, per la possibilità che l’impresa partecipi alle procedure di affidamento dei contratti pubblici.”
Sia la giurisprudenza che l’ANAC hanno, tuttavia, riconosciuto la possibilità di presentare una domanda di concordato “in bianco” che abbia gli effetti (c.d.) “prenotativi” della presentazione del concordato in continuità aziendale.
In sintesi, con tale strumento l’operatore economico usufruisce dei benefici del concordato in bianco – come la protezione dalle aggressioni esecutive dei creditori, o dalla dichiarazione di inammissibilità del Tribunale per mancanza di piano e proposta concordatari, la possibilità di usufruire di un maggior lasso di tempo per decidere se procedere ad un concordato liquidatorio, fallimentare o in continuità – e, allo stesso tempo, si riserva la possibilità di presentare ulteriore documentazione finalizzata alla richiesta di un concordato in continuità aziendale.
Sarebbe possibile, secondo alcuni, ipotizzare una fattispecie in cui conviva sia l’esigenza economico-aziendale di attivare una procedura concorsuale per la liquidazione dei debiti e il riassetto della società, senza però impegnarsi a specificare immediatamente il progetto, usufruendo di un arco temporale più lungo per la sua definizione, accompagnato dai benefici suesposti caratteristici delle procedure concorsuali, sia la volontà, e la possibilità, alla luce delle risorse della singola società, di pianificare, una volta superato il momento di crisi, la continuazione dell’attività aziendale.
Anzi, si tende a distinguere la domanda c.d. in bianco – cioè con il contenuto minimale indicato dal comma 6 – dalla domanda con riserva arricchita da ulteriori elementi, sottolineandosi come la prima sia compatibile soltanto con una situazione nella quale all’impresa non servono tutte le potenzialità che oggi la legge riconosce.
Gli aspetti ora evidenziati sono strettamente correlati al “se” la c.d. domanda in bianco sia compatibile con una proposta di concordato preventivo in continuità aziendale ai sensi dell’art. 186-bis, l. fall. e se possa già configurarsi la tipologia del c.d. “concordato con continuità aziendale” come delineata dall’art. 186 bis della legge fallimentare quando sia proposta una semplice domanda di preconcordato.
Al riguardo, nonostante la disposizione del comma 1 dell’art. 182-quinquies, l. fall. sembrerebbe legittimare la presentazione di una domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi dell’articolo 161, comma 6, possono porsi seri dubbi sulla compatibilità fra le due previsioni, sino ad evidenziare la sussistenza di una vera e propria aporia normativa. Ciò in quanto un concordato con continuità aziendale sub specie di preconcordato sembrerebbe non possibile alla stregua di quanto disposto dall’art. 186-bis, comma 1, che definisce in generale la fattispecie del concordato con continuità aziendale, fissandone tre specifiche condizioni: 1) il piano di concordato deve prevedere la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione; 2) il piano deve contenere anche un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura; 3) la relazione del professionista di cui all’articolo 161, comma 3, deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.
Poiché tuttavia non esiste un concordato che possa definirsi con continuità aziendale che manchi di una o più di tali condizioni, e poiché queste mancano tutte in caso di preconcordato, non sembrerebbe possibile, secondo altra tesi, presentare un preconcordato con continuità aziendale.
Tanto evidenziato, la Sezione preliminarmente rileva l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in relazione alle delineate questioni di diritto, rilevanti ai fini della decisione.
La questione dell’ammissibilità della partecipazione alle gare per l’affidamento dei pubblici contratti all’operatore che abbia presentato istanza di concordato preventivo c.d. in bianco ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fallimentare e l’applicabilità a detta procedura della deroga di cui all’art. 186 bis della legge fallimentare, introdotto dalla legge n. 134 del 2012, è stata oggetto di statuizioni giurisprudenziali che hanno, infatti, determinato due opposti orientamenti interpretativi.
Il primo, estensivo, propende per l’applicabilità anche alla fattispecie in esame della deroga prevista dall’art. 186 bis della legge fallimentare con il deposito dell’istanza di ammissione al concordato, secondo cui, nelle more tra il deposito della domanda e l’ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, l’impresa conserva la facoltà di partecipare alle gare di affidamento dei pubblici contratti: ciò varrebbe, quindi, anche nell’ipotesi in cui l’impresa abbia inizialmente proposto una domanda di ammissione “in bianco” con riserva di presentare, nel termine massimo fissato dal giudice, la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 186 bis legge fallimentare (Cons. di Stato, Sez. V, 21 febbraio 2020, n. 1328; id., Sez. III, 20 marzo 2018, n. 1772 e la giurisprudenza ivi richiamata; id.., Sez. III, 4 dicembre 2015, n. 5519).
In base a questo indirizzo giurisprudenziale la presentazione di una domanda di concordato “in bianco”, con riserva di istanza per il concordato con continuità aziendale, non impedisce di per sé la partecipazione ad una procedura di gara e non determina la perdita dei requisiti di partecipazione in capo all’operatore economico.
Nelle predette decisioni, si afferma che la presentazione di una domanda di concordato in bianco non sarebbe, dunque, causa di automatica esclusione dalle procedure di affidamento dei pubblici contratti, specie allorquando la domanda abbia contenuti “prenotativi” della presentazione della proposta in continuità, anticipando espressamente tale volontà.
Sotto altro concorrente profilo, si è rilevato altresì che l’art. 161, comma 7, della legge fallimentare stabilisce che, dopo la presentazione dell’istanza di ammissione e prima della decisione del Tribunale di cui al successivo art. 163, il debitore possa compiere atti urgenti di straordinaria amministrazione, se autorizzato dal Tribunale, o anche atti di ordinaria amministrazione.
Si evidenzia, inoltre, che la giurisprudenza, in talune pronunzie (Cons. Stato, Sez. III, 8 maggio 2019, n. 2963), ha escluso che la partecipazione ad una pubblica gara in pendenza di domanda per l’ammissione al concordato costituisca un atto di straordinaria amministrazione, necessitante, pertanto, dell’autorizzazione del Tribunale.
Tale orientamento ritiene, infatti, opinabile che la partecipazione alla gara possa, in generale, considerarsi un atto di straordinaria amministrazione, poiché per la giurisprudenza civile di legittimità vanno considerati tali solo gli atti che possono oggettivamente incidere in senso negativo sul patrimonio destinato al soddisfacimento dei creditori, mentre sono di ordinaria amministrazione gli atti di comune gestione dell’impresa strettamente aderenti alle finalità e dimensioni del suo patrimonio e quelli che – ancorché comportanti una spesa – lo migliorino o anche solo lo conservino (in tal senso Cassazione civile sez. I, 29 maggio 2019, n. 14713); e, comunque, la relativa valutazione deve essere frutto di un riscontro caso per caso, nel quale occorre tener conto, in particolare, della specifica finalità che l’atto risulta oggettivamente perseguire (Cass., Sez. I, 22 ottobre 2018, n. 26646).
Secondo alcune delle sentenze sopra richiamate, la circostanza che le autorizzazioni del Tribunale civile siano state adottate in corso di gara e finanche dopo il provvedimento di aggiudicazione risulterebbe poi irrilevante, trattandosi di condizioni integrative dell’efficacia dell’aggiudicazione, che possono, quindi, intervenire anche in pendenza del procedimento di appalto (cfr. per una compiuta disamina sulle condizioni di ammissione alle gare pubbliche delle imprese che hanno presentato istanza di concordato preventivo in bianco e con continuità aziendale e sul relativo regime autorizzatorio (Cons. Stato, V, 3 gennaio 2019, n. 69).
Il secondo orientamento, restrittivo esclude a priori ogni possibilità di partecipare alle pubbliche gare per l’impresa che abbia presentato la domanda di concordato preventivo ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fallimentare, quand’anche ci sia la relativa autorizzazione da parte del Tribunale, se detta partecipazione non è straordinaria e urgente (Cons. Stato, VI, 13 giugno 2019, n. 3984).
L’istanza del debitore di ammissione al concordato preventivo “in bianco” costituirebbe, per un parte della giurisprudenza, finanche una condizione impeditiva alla partecipazione alle procedure per l’aggiudicazione delle commesse pubbliche (Cons. St, III, 18 ottobre 2018, n. 5966).
In base a tale indirizzo interpretativo, “gli artt. 80 e 110 del codice dei contratti (…) si limitano a salvaguardare le ragioni del concorrente già ammesso al concordato con continuità aziendale e in nessun caso contemplano la salvaguardia di una situazione incerta quale la fase di ammissione al concordato. Nessuna norma, poi, prevede la possibilità di pronunciare l’aggiudicazione nei confronti di una società non ancora definitivamente ammessa al concordato con continuità aziendale, per l’evidente incompatibilità della “definitività” degli impegni che una aggiudicazione implica rispetto alla “incertezza” e fluidità che la fase di ammissione al concordato necessariamente comporta” (T.A.R. Piemonte, sede di Torino, II, 7 marzo 2019, n. 260).
L’orientamento in questione afferma, infatti, che non solo le imprese che hanno presentato istanza di concordato in bianco non possono partecipare alle gare pubbliche, ciò comportando causa automatica di esclusione dalla gara, ma anche che le uniche attività possibili per le imprese che si trovano in tale stato sarebbero quelle straordinarie ed urgenti, quale “contrappeso riequilibratore” ai benefici accordati dalla normativa che disciplina tale istituto (come la prolungata ed anticipata protezione offerta al debitore contro le aggressioni esecutive e cautelari dei suoi creditori insoddisfatti): la limitazione dei poteri gestori del debitore a partire dal deposito della domanda e il correlato potere di controllo del Tribunale sul loro esercizio sono, infatti, volti ad evitare condotte abusive e pregiudizievoli per i creditori.
Il principio fondante di tali decisioni è che la partecipazione alle gare pubbliche è, di per sé, attività di straordinaria amministrazione, come tale autorizzabile solo se urgente: poiché la previsione di cui all’art. 161, comma 7, della legge fallimentare si regge sull’aggettivo “urgenti” riferito agli atti di straordinaria amministrazione, tale carattere non essere riconosciuto agli atti aventi carattere “straordinario”, categoria ben più ampia.
Prima dell’ammissione al concordato solo l’urgenza può fungere, pertanto, da causa giustificatrice in una fase in cui nessuno è ancora in grado di sapere quale proposta concordataria verrà presentata e sulla base di quale piano. Ove l’atto non fosse urgente, il suo compimento potrebbe trovare giustificazione solo in relazione ad una programmazione futura, in ragione cioè del suo inserimento nel piano concordatario, ovvero nella sua utilità o non dannosità alla stregua di una valutazione positiva compiuta dal Giudice Delegato dopo l’ammissione al concordato, in sede di autorizzazione rilasciata ex art. 167 l.fall..
La limitazione del novero degli atti di straordinaria amministrazione che possono essere compiuti in questa fase sarebbe coerente con la peculiarità e la precarietà della fase stessa in cui nessuno è ancora in grado di conoscere il contenuto della proposta concordataria e del piano che saranno presentati e addirittura se sarà formulata una proposta di concordato definitiva (Cons. St., Sez. VI, 13 giugno 2019, n. 3984, con richiami a Sez. V, 29 maggio 2018, n. 3225).
Secondo questo indirizzo, la partecipazione alle gare pubbliche, come l’acquisizione delle relative commesse, non possono, dunque, annoverarsi tra le attività di ordinaria amministrazione, necessitando comunque di provvedimenti autorizzativi giurisdizionali che accertino l’effettiva possibilità di contrattare con la Stazione appaltante e di eseguire le obbligazioni oggetto di appalto.
È stato al riguardo mosso il ragionamento di fatto che, se pure l’impresa non si trovava in stato di crisi quando ha presentato la propria offerta, certamente lo era al momento della presentazione dell’istanza di concordato con la conseguenza che il mantenimento della sua partecipazione alle gara ed alle fasi successive necessiterebbe “del controllo costituito dalla specifica autorizzazione del Tribunale e del previo assolvimento degli obblighi documentali a ciò finalizzati”.
Anche le previsioni recate dall’art. 186 bis della legge fallimentare confermerebbero la correttezza di tale ricostruzione.
L’art. 186 bis L.F., nel consentire, a determinate condizioni, la possibilità per l’impresa di partecipare alle procedure di gara, riguarda le sole ipotesi in cui “il piano di concordato di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e) prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione” e in cui il piano abbia i contenuti di cui al comma secondo lettere a) e c) della disposizione e sia accompagnato dalla relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma L.F., la quale “ deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori” (art. 186 bis comma 2 lettera b L.F.).
L’art. 186 bis l.f., presuppone l’avvenuta presentazione, anche prima dell’ammissione, di un piano di concordato e della relazione del professionista che, invece, mancano nelle fattispecie di c.d. “concordato in bianco”.
A ciò si aggiunga che:
– l’art. 186 bis, comma 4, L.F., laddove prevede che “successivamente al deposito del ricorso, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato; in mancanza di tale nomina, provvede il tribunale” presuppone, comunque, la preventiva presentazione di un piano di concordato e della relazione del professionista e, comunque, si applica alle ipotesi di partecipazione alle gare iniziate dopo la presentazione della domanda di concordato;
– l’art. 186 bis, comma 5, l. f., nello stabilire che “l’ammissione al concordato preventivo non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando l’impresa presenta in gara: a) una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), che attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto; b) la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica nonché di certificazione, richiesti per l’affidamento dell’appalto, il quale si è impegnato nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all’appalto”, riguarda espressamente le imprese già ammesse al concordato. Peraltro, tale disposizione richiede anche l’autorizzazione del Tribunale e la presentazione di specifica documentazione (Cons. Stato, III, 18 ottobre 2018, n. 5966; id., IV, 3 luglio 2014, n. 3344).
Va, peraltro, rilevato che, in tutte le ipotesi in cui le disposizioni citate prevedono la possibilità di partecipare alla gara, il presupposto necessario è comunque costituito dall’autorizzazione del Tribunale (che, come evidenziato, dovrà, nel rilasciarla, valutare in concreto, oltre alla non dannosità, l’urgenza dell’atto da autorizzare).
L’istanza di concordato c.d. “in bianco” ex art. 161, comma 6, legge fallimentare, determinerebbe, così, in base a tale orientamento interpretativo, una soluzione di continuità del possesso dei requisiti di ordine generale richiesti dall’art. 80, comma 5, lett. b) del d.lgs. n. 50 del 2016, che neppure la successiva ammissione al concordato “con continuità aziendale” potrebbe retroattivamente sanare.
Il tenore letterale della disposizione in esame riferisce esplicitamente l’eccezione, rispetto alla regola dell’esclusione di cui alla lettera b) dell’art. 80 d.lgs. n. 50/16, al solo caso in cui l’operatore “si trovi” in continuità aziendale e, quindi, sia stato già ammesso al concordato e non anche ai casi di “procedimenti in corso” e, quindi, in cui sia stata presentata la sola domanda di concordato “in bianco”.
Si è osservato poi, nelle sentenze che hanno aderito all’orientamento restrittivo (T.A.R. Lazio, II ter, 22 luglio 2019, n. 9783), che l’art. 110, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016, oggi vigente, introdotto solo con il d. l. n. 32 del 2019, prevede che “alle imprese che hanno depositato la domanda di cui all’articolo 161, anche ai sensi del sesto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, si applica l’articolo 186-bis del predetto regio decreto. Per la partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici tra il momento del deposito della domanda di cui al primo periodo ed il momento del deposito del decreto previsto dall’articolo 163 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 è sempre necessario l’avvalimento dei requisiti di un altro soggetto”.
Peraltro, quand’anche si volesse attribuire peso interpretativo alla modifica normativa (il che sembrerebbe smentito dal fatto che la novità normativa richiede per la partecipazione un requisito nuovo, quale è l’avvalimento), come prospettano le appellanti, ciò non toglie che il nuovo testo dell’art. 110, comma 4, d.lgs. n. 50/16, al pari del già richiamato art. 186 bis, comma 4, L.F., debba essere interpretato nel senso che la “partecipazione alle procedure di affidamento”, ivi disciplinata, sarebbe solo quella che inizia ex novo dopo la presentazione della domanda di concordato “in bianco”, e non anche quella in corso al momento del deposito della domanda stessa.
Sembrerebbe deporre in questo senso il disposto dell’art. 80, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016, secondo cui i requisiti di partecipazione debbono essere posseduti al momento della presentazione della domanda e dell’offerta e devono essere mantenuti fino alla stipula del contratto; la norma ha una valore generale in quanto preordinata a tutelare il principio, di matrice comunitaria, della par condicio dei partecipanti alla gara, di talché la perdita del requisito, conseguente alla presentazione della domanda di concordato “in bianco”, non potrebbe essere successivamente sanata con l’autorizzazione del Tribunale.
Da ultimo, l’opzione ermeneutica c.d. restrittiva, seguita nel ritenere ostativa alla partecipazione alla gara la presentazione di un’istanza di concordato “in bianco”, risulterebbe coerente con la normativa comunitaria.
Va, infatti, rammentato che pure il Giudice europeo si è pronunciato, a fronte di un rinvio pregiudiziale operato da questa Sezione con ordinanza 2 febbraio 2018, n. 686, nella quale si richiamava la giurisprudenza nazionale, di cui, in particolare, Adunanza Plenaria, 15 aprile 2010 n. 2155, secondo la quale l’apertura di un concordato con riserva ex art. 161, comma 6, legge fallimentare sarebbe di per sé una condotta “che ben può ritenersi confessoria della consapevolezza del proprio stato di dissesto”), ritenendo compatibile con la normativa europea la causa di esclusione derivante dalla presentazione di istanza di concordato “in bianco” da parte di un operatore economico (Corte di Giustizia UE, Sez. X, sentenza 28 marzo 2019, C-101/18).
In particolare, con quest’ultima decisione, la Corte di Giustizia ha stabilito che:
– è conforme al diritto dell’Unione e soprattutto al principio di uguaglianza nella procedura di aggiudicazione di appalti pubblici per la legislazione nazionale escludere dalla partecipazione a un appalto pubblico un operatore economico che ha presentato una domanda di «concordato in bianco», piuttosto che non escluderlo (paragrafo 48);
– inoltre, la situazione in cui detto operatore non s’impegna già, alla data in cui la decisione di esclusione è adottata, a procedere al concordato preventivo al fine di proseguire la sua attività non è paragonabile, con riguardo alla sua affidabilità economica, alla situazione di un operatore economico che s’impegna a tale data a proseguire la propria attività economica (paragrafo 49)
– l’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2004/18/CE deve essere interpretato nel senso che “esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che consente di escludere da una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico un operatore economico che, alla data della decisione di esclusione, ha presentato un ricorso al fine di essere ammesso al concordato preventivo, riservandosi di presentare un piano che prevede la prosecuzione dell’attività” (paragrafo 50).
La Corte di Giustizia ha chiarito, dunque, che il diverso trattamento che la legislazione italiana prevede tra gli operatori economici che hanno presentato un ricorso per l’ammissione al concordato preventivo, in merito alla loro capacità di partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, a seconda che tali operatori economici abbiano o meno incluso nel loro ricorso di concordato un piano che prevede la prosecuzione della loro attività, non è in contrasto con la giurisprudenza comunitaria: ciò in quanto gli Stati membri hanno la facoltà di inserirle nella normativa nazionale le cause di esclusione previste dalla direttiva citata con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine diverso, potendo essi rendere più flessibili i criteri stabiliti da tali disposizione e finanche determinare le condizioni in cui la causa di esclusione facoltativa non si applica, autorizzando l’operatore economico a carico del quale “sia in corso un procedimento di concordato preventivo” a partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, secondo le condizioni definite da tale legislazione.
Pertanto, al lume dei principi di diritto affermati dalla Corte di Giustizia, i fautori della tesi restrittiva (e tra questi il raggruppamento odierno appellato) osservano che, se è vero che il diritto europeo lascia agli Stati membri la possibilità di prevedere l’esclusione di un operatore economico da una gara pubblica per la sua sottoposizione ad una domanda di concordato preventivo, è altresì vero che tale scelta legislativa sarebbe stata compiuta dal legislatore nazionale con la formulazione dell’art. 80, co. 5, lett. b), d.lgs. 50 del 2016 e che tale scelta risulterebbe legittimata anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la pronuncia del 28 marzo 2019, causa C-101/18 ora richiamata.
In conclusione, secondo l’orientamento restrittivo, le norme pubblicistiche in tema di procedure di aggiudicazione consentono la partecipazione alla gara solo all’impresa:
– già ammessa al concordato con continuità aziendale, con relativo piano approvato;
– munita della specifica autorizzazione per la singola gara.
Altra problematica, strettamente correlata a quelle sopra evidenziate, attiene al momento in cui debba intervenire, per evitare l’esclusione dalla gara, l’autorizzazione contemplata dall’art. 186 bis della legge fallimentare necessaria per l’ammissione al concordato con continuità aziendale.
Si tratta di questioni che sono state di recente affrontate da questo Consiglio di Stato con la sentenza della V Sezione, 21 febbraio 2020, n. 1328, che ha confermato la legittimità dell’esclusione sancita nei confronti di una mandante cooptata (ai sensi dell’art. 92, comma 5, del regolamento di esecuzione di cui al d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207) la quale, essendo interessata da una procedura di concordato “in bianco” con riserva ai sensi dell’art. 161, comma 6, della legge fallimentare, aveva ottenuto, solo successivamente all’intervenuta aggiudicazione definitiva, l’autorizzazione contemplata dall’art. 186-bis della legge fallimentare, necessaria per l’ammissione al concordato con continuità aziendale.
In particolare, la Sezione ha, in tale pronunzia, evidenziato come nel caso oggetto di giudizio l’autorizzazione fosse giunta quando la gara si era già conclusa e successivamente all’aggiudicazione definitiva. A tale proposito, la sentenza richiamata ha ritenuto che “con l’aggiudicazione definitiva e la successiva verifica dei requisiti di partecipazione del concorrente aggiudicatario, necessaria a rendere efficace il provvedimento conclusivo della fase ad evidenza pubblica, come previsto dall’art. 32, comma 7, Codice dei contratti pubblici, si realizzano le condizioni di legge per la conclusione del contratto con l’amministrazione aggiudicatrice, ai sensi del successivo comma 8 del medesimo art. 32 d.lgs. n. 50 del 2016. L’aggiudicazione definitiva segna pertanto la conclusione della fase di selezione del contraente privato e, fatta salva l’ulteriore verifica dei requisiti ai fini della relativa efficacia, il momento in cui l’operatore economico partecipante alla procedura di gara deve essere in possesso dei requisiti di partecipazione alla gara.”.
Pertanto, l’eccezione al principio di continuità dei requisiti – affermato, in generale, dalla costante giurisprudenza amministrativa (per tutti: Cons. Stato, Ad. plen., 20 luglio 2015, n. 8) – di cui beneficiano le imprese in concordato con continuità aziendale in base al sopra citato art. 80, comma 5, lett. b), del Codice dei contratti pubblici, in tanto può operare, in deroga al divieto per le altre procedure concorsuali, “in quanto l’autorizzazione del tribunale fallimentare ai sensi dell’art. 186-bis, comma 4, l. fall. intervenga, dunque, prima della conclusione della fase ad evidenza pubblica”. Una volta definita quest’ultima, restano, invece, irrilevanti per l’Amministrazione le vicende intervenute nella sfera soggettiva dell’operatore economico.
La citata sentenza n. 1328/2020, pur affermando che “nessun impedimento alla partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici può essere posto ad imprese sottoposte a concordato “in bianco” ex art. 161, comma 6, l. fall. (…) in linea con… quanto in effetti si ricava dall’art. 57, par. 4, secondo periodo, della direttiva 2014/24/UE”, ha, poi, concluso che la partecipazione dell’impresa in concordato con riserva di presentazione della proposta e del piano è consentita solo se “l’autorizzazione del Tribunale fallimentare che accerti la capacità economica della stessa di eseguire l’appalto intervenga nel corso della procedura di gara”, poiché solo nella gara è concepibile che sia fatta quella “valutazione in concreto circa l’affidabilità dell’impresa”, e non quando la procedura si è ormai conclusa.
Con riguardo, poi, all’esigenza di non fare gravare sull’impresa sottoposta a procedura di concordato i tempi di quest’ultima, ed in particolare quelli del procedimento di autorizzazione ex art. 186-bis, comma 4, l. fall., considerato che la procedura concorsuale «non è di istantanea definizione», la Sezione ha sottolineato, in senso contrario, che “tanto meno eventuali dilazioni possono essere riversate sull’amministrazione”: l’equo bilanciamento dei contrapposti interessi, in relazione al quale il dato fondamentale da tenere in considerazione è che si discute di un’impresa in stato di crisi che, nondimeno, aspira ad eseguire un appalto pubblico, in deroga alle regole generali sui requisiti di partecipazione alle relative gare, induce a ritenere che debbano essere posti a carico di quest’ultima i rischi connessi ai ritardi con cui sia rilasciata l’autorizzazione del tribunale fallimentare rispetto alla definizione del procedimento di gara e non già sull’Amministrazione, estranea alla procedura concorsuale ed interessata a contrarre con un soggetto di cui sia certa la capacità economica e finanziaria per aggiudicarsi una commessa pubblica.
A ciò si aggiunga che anche l’ANAC, con la Delibera n. 362/2020, ha affermato come “il fatto che l’autorizzazione giunga a gara ormai conclusa fa sì che l’accertamento dell’esistenza di tale causa ostativa alla partecipazione sia divenuto definitivo”.
Stante l’esposto contrasto giurisprudenziale sulle tematiche in oggetto ed in considerazione, ad ogni buon conto, della particolare rilevanza (attuale e prospettica) delle questioni, il Collegio ritiene opportuno, ai sensi dell’art. 99, comma 1, Cod. proc. amm., deferire l’affare all’Adunanza plenaria, precisando di ritenere preferibile il primo orientamento.
Alle ragioni già sopra sintetizzate il Collegio aggiunge anche le seguenti, ulteriori considerazioni, che, ove condivise, consentirebbero la partecipazione alle procedure evidenziali per l’affidamento di pubblici contratti anche alle imprese che hanno presentato domanda di concordato in bianco o con riserva.
Osserva la Sezione che concordato preventivo con continuità e concordato in bianco condividono la stessa finalità di consentire ad imprese in crisi di concorrere all’affidamento di contratti pubblici, in deroga al divieto di cui all’art. 80, comma 5, lett. b), d.lgs. n. 50 del 2016, con l’unica variante che nel secondo questa deroga è operante anche se al momento della presentazione del ricorso non è stato ancora presentato il piano dimostrativo della capacità dell’impresa di continuare la propria attività, in virtù dell’effetto prenotativo del ricorso ex art. 161 della legge fallimentare. In entrambe le ipotesi, le esigenze dell’Amministrazione di contrarre con un soggetto affidabile sul piano economico e finanziario sono, comunque, tutelate dall’autorizzazione prevista dall’art. 186-bis, comma 4, della medesima legge fallimentare.
Della funzione così descritta sembra partecipare anche la versione del concordato con riserva o “in bianco”, la quale si caratterizza per il fatto di prendere avvio da una domanda al tribunale incompleta (art. 161, comma 6, l. fall.), priva in particolare del piano di concordato prevedente la prosecuzione dell’attività di impresa e della proposta di pagamento dei creditori, ma che consente, nondimeno, all’imprenditore sin da quel momento di beneficiare degli effetti di carattere concorsuale derivanti dall’apertura della procedura. Essi consistono essenzialmente nell’interruzione delle azioni esecutive in corso, ai sensi dell’art. 168 l. fall., cui però si contrappone la soggezione dell’imprenditore, dallo stesso momento, al controllo giudiziale.
Nell’ambito di tale funzione di controllo spetta pertanto agli organi della procedura l’autorizzazione al compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, precisamente ai sensi dell’art. 161, comma 7, l. fall., per la tutela degli interessi dei creditori concordatari.
Nella medesima funzione si iscrive il potere autorizzativo previsto dall’art. 186-bis, comma 4, della legge fallimentare (nella versione applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal sopra citato decreto-legge n. 32 del 2019) per partecipare a procedure di affidamento di contratti pubblici in caso di concordato con continuità aziendale.
Quest’ultima autorizzazione contiene l’accertamento che tale partecipazione, in vista della successiva acquisizione della commessa pubblica, è conforme agli interessi dei creditori, perché tale da non pregiudicare la solvibilità dell’impresa in concordato, ma eventualmente in grado di produrre per il ceto creditorio un beneficio riveniente dall’acquisto di una nuova fonte di ricavi. Coerente con la natura di atto di accertamento è, dunque, la sua retroazione al momento in cui la valutazione si riferisce, e non già a quella in cui essa è stata formalizzata nell’atto autorizzativo.
Quanto ora osservato implica che l’accertamento della capacità dell’impresa di assumere l’appalto pubblico e di portarlo ad esecuzione, anche se intervenuto in corso della procedura di gara, risale comunque al momento in cui quest’ultima ha presentato la domanda di concordato. Sotto il profilo ora evidenziato non si ravvisano, dunque, ostacoli ad ammettere che l’autorizzazione ex art. 186-bis, comma 4, della legge fallimentare intervenga nel corso della procedura di gara, anche nel caso del concordato in bianco finalizzato alla continuità aziendale. Ed infatti, quanto meno in quest’ultima variante la procedura mantiene il suo carattere unitario, risalente all’epoca in cui è stato proposto il ricorso ex art. 161, comma 6, l. fall. (Cass. civ. I, 29 maggio 2019, n. 14713). Ciò consente di fare risalire a tale momento, secondo lo schema dell’atto prenotativo, la deroga al divieto di partecipazione a procedure di affidamento per imprese sottoposte a procedure concorsuali ex art. 80, comma 5, lett. b), del Codice dei contratti pubblici prevista per il caso di concordato con continuità aziendale.
Il Collegio ritiene che la contraria opzione ermeneutica determinerebbe, altresì, problemi di compatibilità dell’art. 80, comma 5, lett. b), d.lgs n. 50 del 2016 con il diritto euro-unitario sugli appalti pubblici, ed in particolare con l’art. 57, par. 4, secondo periodo, della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 (che abroga la direttiva 2004/18/CE), il quale «pone la necessità di una valutazione in concreto circa l’affidabilità dell’impresa», laddove prevede che gli Stati membri possono imporre o consentire alle amministrazioni aggiudicatrici di non disporne l’esclusione qualora si accerti che l’operatore economico “sarà in grado di eseguire il contratto, tenendo conto delle norme e misure nazionali applicabili in relazione alla prosecuzione delle attività nelle situazioni di cui alla lettera b)”.
Non è, inoltre, al riguardo dirimente, in senso opposto a quello prospettato, il riferimento alla richiamata sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 28 marzo 2019 C-101/18, poiché tale pronuncia, nello stabilire che è compatibile con il diritto sovranazionale prevedere l’esclusione di un’impresa che ha chiesto il concordato preventivo con continuità aziendale, con riserva di presentare il piano per la prosecuzione dell’attività, è stata resa con riferimento all’abrogata direttiva 2004/18/CE.
Il medesimo art. 80, comma 5, lett. b), d.lgs n. 50 del 2016, qualora interpretato nel senso prospettato dalle appellate, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 41 e 117 della Costituzione, per l’«irragionevole disparità di trattamento di due situazioni e procedure sostanzialmente identiche, ossia quella dell’accesso immediato ovvero differito al concordato con continuità aziendale», e per le restrizioni conseguenti alla libertà di iniziativa economica e alla concorrenza nelle procedure di affidamento di contratti pubblici.
17.7. Occorre, dunque, stabilire se anche la presentazione del ricorso per concordato in bianco, anche qualora espressamente preannunci la presentazione della documentazione finalizzata al concordato c.d. in continuità, costituisca causa di esclusione automatica ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. b).
17.8. Ad avviso della Sezione, l’interpretazione qui prospettata che equipara il concordato “in bianco” (quanto meno di quello c.d. prenotativo della continuità) al ricorso per concordato in continuità si rivelerebbe corretta e più rispondente agli scopi e alla ratio della disciplina in subiecta materia: in particolare, è stato affermato che “alla luce delle finalità della legge di riforma che ha quale obiettivo quello di guidare l’impresa oltre la crisi e ciò nell’interesse anche del mercato e degli stessi creditori (….) inibire all’impresa di partecipare alle gare per affidamento dei pubblici contratti nelle more tra il deposito della domanda e l’ammissione al concordato (periodo che potrebbe protrarsi anche per un semestre) palesemente confligge con la finalità della norma volta a preservare la capacità dell’impresa a soddisfare al meglio i creditori.” (Cons. di Stato, Sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6272).
Deve poi considerarsi che, ai sensi della vigente normativa in materia, è sempre ammessa la rinuncia alla domanda di concordato presentata (art. 161, comma 9, l.fall.), il che determina quale effetto giuridico la sola improcedibilità della domanda e l’inammissibilità della sua riproposizione nei due anni successivi, nulla comportando ciò sul piano sostanziale e in ordine al possesso dei requisiti aziendali.
Il ricorso al concordato in bianco è, dunque, un’azione di tutela preventiva che, essendo sempre e comunque rinunciabile, non sembrerebbe influire sui requisiti di partecipazione alle pubbliche gare.
Se, infatti, la rinuncia al concordato non produce alcuna conseguenza sul piano sostanziale, non si vede come il relativo ricorso possa produrre effetti per quel che concerne il possesso dei requisiti di partecipazione.
L’orientamento restrittivo cui aderisce la sentenza appellata determinerebbe così una cesura tra il legittimo ricorso al concordato e la perdita dei requisiti di partecipazione alle gare, finendo in tal modo per frustrare le stesse finalità cui l’istituto è preordinato.
Le autorizzazioni preventive alla partecipazione e alla stipula dei contratti afferiscono al merito dell’attività aziendale, in relazione alla tutela dei terzi creditori, senza incidere sulla permanenza dei requisiti in capo all’impresa.
Sia per l’ipotesi di concordato in bianco sia per quella di concordato con continuità aziendale, il merito delle singole attività può essere rimesso alla valutazione del terzo- Commissario e Tribunale per il concordato con riserva e Giudice Delegato per il concordato in continuità- ai quali viene attribuito il potere autorizzatorio con finalità di tutela dei terzi creditori (ivi compresa l’Amministrazione aggiudicatrice, interessata all’esecuzione dell’opera dedotta in contratto).
Il Collegio domanda, inoltre, se questo quadro possa essere comunque mutato in virtù dell’efficacia retroattiva sanante dell’autorizzazione giudiziale e in quale momento detto provvedimento autorizzativo debba intervenire a tal fine.
Si è già al riguardo osservato che, secondo l’orientamento restrittivo, il regime delle autorizzazioni riguarderebbe esclusivamente le imprese già ammesse al concordato in continuità aziendale, e non quelle che, avendo presentato domanda di concordato “in bianco”, abbiano in tal modo, da un lato, riconosciuto il proprio stato di crisi, ottenendo con la domanda di concordato la paralisi delle azioni dei creditori e contraenti, e, dall’altro, solo prospettato la possibile presentazione di un piano di continuità aziendale (continuità tutta da verificare e validare).
Di talché, secondo i sostenitori dell’indirizzo c.d. restrittivo, solo all’esito dell’ammissione al concordato con continuità aziendale potrebbe operare la eccezionale normativa che, in deroga al generale criterio di esclusione, consente la partecipazione dell’impresa in concordato che, non solo sia stata ammessa alla continuità aziendale, ma abbia anche ricevuto le richieste autorizzazioni, postulanti una valutazione di congruità tra piano di continuità e partecipazione alla gara con i relativi oneri.
Ne deriva che, ai fini pubblicistici di partecipazione alla gara, resterebbe del tutto priva di effetto un’autorizzazione che, non solo sia del tutto tardiva rispetto alla conclusione della gara, ma pretenda di riferirsi ad un’impresa che non ha avuto alcuna approvazione del piano di continuità, avendo solo presentato domanda di concordato e che, pertanto, dovrebbe incorrere pienamente nella generale causa di esclusione (impresa per cui sia in corso una procedura concordataria), senza che possa operare l’eccezionale deroga di cui si è detto.
All’applicazione dei principi affermati dai due orientamenti sopra indicati conseguono opposte soluzioni per la controversia oggetto di giudizio.
In particolare, aderendo al primo orientamento c.d. estensivo, l’appello dovrà essere respinto.
In tal caso, dovrà ritenersi legittima l’aggiudicazione in favore di As., ove si ravvisi, sulla base delle risultanze in atti, che nel ricorso per ammissione alla procedura di concordato preventivo ai sensi dell’art. 161, comma 6, della legge fallimentare era contenuta una domanda prenotativa e si esprimeva la volontà, o comunque l’intendimento, di proporre un concordato in continuità c.d. diretta, ossia incentrata sulla prosecuzione dell’attività di impresa, salvaguardando i valori aziendali e i connessi livelli occupazionali.
Appare, dunque, opportuno deferire le illustrate questioni all’Adunanza Plenaria, per la decisione in ordine ai punti di diritto de quibus, al fine di dirimere i contrasti attuali e potenziali in proposito, sia in primo sia in secondo grado, sottoponendo, ai sensi dell’art. 99, comma 1, Cod. proc. amm., le seguenti questioni:
“a) Se la presentazione di un’istanza di concordato in bianco ex art. 161, comma 6, legge fallimentare (r.d. n. 267/1942) debba ritenersi causa di automatica esclusione dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, ovvero se la presentazione di detta istanza non inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di commesse pubbliche, quanto meno nell’ipotesi in cui essa contenga una domanda prenotativa per la continuità aziendale;
1. b) se la partecipazione alle gare pubbliche debba ritenersi atto di straordinaria amministrazione e, dunque, possa consentirsi alle imprese che abbiano presentato domanda di concordato preventivo c.d. in bianco la partecipazione alle stesse gare, soltanto previa autorizzazione giudiziale nei casi urgenti, ovvero se detta autorizzazione debba ritenersi mera condizione integrativa dell’efficacia dell’aggiudicazione;
2. c) in quale fase della procedura di affidamento l’autorizzazione giudiziale di ammissione alla continuità aziendale debba intervenire onde ritenersi tempestiva ai fini della legittimità della partecipazione alla procedura e dell’aggiudicazione della gara; “
Stante il contrasto giurisprudenziale in atto sulle questioni esposte, il presente ricorso viene deferito all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, co. 1, Cod. proc. amm
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’adunanza plenaria.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2020 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere, Estensore
Federico Di Matteo – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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