Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 18 dicembre 2018, n. 7126.

La massima estrapolata:

L’ampio potere di apprezzamento di cui il giudice dispone in ordine alla regolazione delle spese di lite, in caso di compensazione, che può essere disposta anche tenuto conto della condotta processuale delle parti, e salva l’ipotesi di decisione manifestamente irrazionale, è valutazione di merito non sindacabile in appello neppure per difetto di motivazione: i “giusti motivi” che consentono la deroga al criterio generale della soccombenza fissato dall’art. 92 c.p.c., cui rimanda l’art. 26 c.p.a., ove non puntualmente specificati, possono infatti essere desumibili anche direttamente dal contesto della decisione.

Sentenza 18 dicembre 2018, n. 7126

Data udienza 29 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2721 del 2018, proposto da:
An. So., rappresentata e difesa dall’avvocato Mi. To., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Da. Ci. in Roma, via (…);
contro
Comune di Sassari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma. An. Pi., Si. Pa., Ma. Id. Ri. e Ma. Ru., con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza (…);
nei confronti
Pi. Ar., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. SARDEGNA, SEZIONE I, n. 00215/2018, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sassari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 29 novembre 2018 il Cons. Anna Bottiglieri; nessuno comparso per le parti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Con sentenza 14 marzo 2018 n. 215 il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, pronunziando su un ricorso in materia di accesso promosso dall’interessata avverso il Comune di Sassari, ha rilevato che la documentazione richiesta dalla medesima era stata ostesa. Ha pertanto dichiarato la cessazione della materia del contendere, condannando il Comune al rimborso del contributo unificato e disponendo la compensazione tra le parti delle spese di lite.
La originaria ricorrente ha appellato la predetta sentenza, deducendo:
1) violazione e falsa applicazione di legge, sub specie dell’art. 112 Cod. proc. civ.: l’accertata tardività dell’ostensione avrebbe dovuto condurre alla pronunzia della soccombenza virtuale dell’Amministrazione con condanna della medesima alle spese di lite, oltre che al pagamento del contributo unificato;
2) violazione di legge, sub specie dell’art. 26 Cod. proc. amm. e degli artt. 91, 92 Cod. proc. civ.: la disposta compensazione delle spese, non correlata ad alcuna delle ipotesi previste dalla corrispondente previsione normativa, sarebbe irragionevole e ingiusta per contrasto con le risultanze documentali del giudizio e con il principio secondo cui le spese di lite seguono la soccombenza;
3) eccesso di potere per contraddittorietà dell’argomentazione sulle ragioni poste a fondamento della compensazione delle spese di lite: la genericità dell’argomentazione posta a base della compensazione legittimerebbe la violazione da parte dell’Amministrazione degli obblighi che le incombono in materia di trasparenza e di accesso, ove non compulsati in giudizio;
4) eccesso di potere per contraddittorietà dell’argomentazione sulle ragioni poste a fondamento della compensazione delle spese di lite: la compensazione delle spese di lite sarebbe immotivata, in quanto le sottostanti ragioni non emergerebbero dalla decisione e sarebbero, in ogni caso, erronee.
L’appellante ha indi domandato la parziale riforma della sentenza gravata con condanna del Comune di Sassari al pagamento delle spese del giudizio di primo grado e del grado di appello in favore del difensore, dichiaratosi antistatario.
Costituitosi in giudizio, il Comune di Sassari ha concluso per il rigetto dell’appello, di cui ha illustrato l’infondatezza.
La causa è stata trattenuta in decisione alla camera di consiglio del 29 novembre 2018.

DIRITTO

1. L’appellante, con i quattro motivi di appello di cui meglio in fatto, sostiene che la sentenza appellata, nel dichiarare la cessazione della materia del contendere in un rito di accesso ex art. 116 Cod. proc. amm. in quanto la documentazione richiesta dall’interessata era stata ostesa, avrebbe immotivatamente e ingiustamente compensato tra le parti le spese di lite (salva la restituzione del contributo unificato), invece di evidenziare, mediante l’applicazione del meccanismo della soccombenza virtuale e la condanna alle spese dell’Amministrazione, il ritardo con cui l’obbligo di legge era stato adempiuto.
2. L’appello è infondato.
3. Per consolidata giurisprudenza, il giudice amministrativo ha ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali ovvero per escluderla, con il solo limite del divieto di condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio. Tale discrezionalità è sindacabile in sede di appello nei soli limiti in cui la statuizione sulle spese possa ritenersi illogica o comunque errata, alla stregua dell’eventuale motivazione adottata, ovvero tenendo conto da un lato, in punto di diritto, del principio in base al quale, di regola, le spese seguono la soccombenza, e dall’altro, in punto di fatto, della vicenda e delle circostanze emergenti dal giudizio (tra tante, Cons. Stato, V, 25 luglio 2018 n. 4536; IV 9 ottobre 2012 n. 5253).
In altre parole, l’ampio potere di apprezzamento di cui il giudice dispone in ordine alla regolazione delle spese di lite, in caso di compensazione, che può essere disposta anche tenuto conto della condotta processuale delle parti (Cons. Stato, VI, 25 febbraio 1998 n. 198; VI, 12 dicembre 2011 n. 6497), e salva l’ipotesi di decisione manifestamente irrazionale, è valutazione di merito non sindacabile in appello neppure per difetto di motivazione (Cons. Stato, IV, 20 dicembre 2017 n. 5981): i “giusti motivi” che consentono la deroga al criterio generale della soccombenza fissato dall’art. 92 cod. proc. civ., cui rimanda l’art. 26 cod. proc. amm., ove non puntualmente specificati, possono infatti essere desumibili anche direttamente dal contesto della decisione (ex plurimis, Cons. Stato, III, 17 febbraio 2016 n. 643; VI, 5 dicembre 2013 n. 5789; IV, 28 novembre 2012 n. 6023).
Di recente, la Sezione (sentenza 27 luglio 2017 n. 3706), nel ribadire che nel processo amministrativo la compensazione delle spese di giudizio fra le parti è espressione di un ampio potere valutativo del giudizio di primo grado, sostanzialmente sottratto al sindacato del giudice di appello, salva l’ipotesi di statuizioni macroscopicamente irragionevoli, abnormi e illogiche, ravvisabili in caso di condanna alle spese della parte vittoriosa, ha anche rammentato l’orientamento (tra cui Cons. Stato, III, 4 luglio 2014 n. 3394) secondo cui il principio della soccombenza riceve attenuazione nel processo amministrativo a fronte della complessità delle regole che governano l’azione amministrativa, soggette a mutamento nel tempo con effetto sulla graduazione degli interessi dalla stessa coinvolti, alla cui cura è preposto l’organo pubblico chiamato in giudizio.
Quanto, infine, alla regolazione delle spese con il ricorso al criterio della soccombenza virtuale, esso è preordinato a evitare che la necessità di servirsi del processo ridondi in danno della parte la cui pretesa venga soddisfatta dall’amministrazione in pendenza del giudizio (Cons. Stato, III, 9 maggio 2013 n. 2508).
L’intervenuta cessazione della materia del contendere, in mancanza di un espresso accordo delle parti sulla compensazione delle spese, non esime quindi il giudice dal verificare, alla stregua del predetto criterio, le ragioni della parte che abbia visto soddisfatta la sua pretesa solo dopo l’introduzione del giudizio (Cons. Stato, V, 7 luglio 2015 n. 3348; III, 9 maggio 2011 n. 2508).
4. In applicazione delle predette coordinate ermeneutiche, da cui non vi è ragione di discostarsi, la contestata compensazione delle spese di lite risulta priva di mende.
La sentenza appellata ha dichiarato la cessazione della materia del contendere sul presupposto, emergente dalle attestazioni di entrambe le parti della controversia, che il Comune di Sassari aveva consentito all’odierna appellante l’accesso alla documentazione richiesta.
Ha indi ritenuto di compensare le spese di lite (con restituzione del contributo unificato) in considerazione del “contegno tenuto dall’Amministrazione”.
Tale motivazione, per un verso, è idonea a illustrare il fondamento del convincimento che il primo giudice ha posto a base della disposta compensazione, per altro verso, è giustificata dalle caratteristiche della controversia come risultanti dagli atti del giudizio, che fanno escludere che il ritardo maturato nell’ostensione documentale possa essere imputato a una condotta capziosa o strumentale dell’Amministrazione comunale, o comunque tale da rendere doverosa, anche a fini monitori, come preteso dall’appellante, la condanna dell’Amministrazione alle spese processuali.
5. In particolare, risulta che con istanza del 9 ottobre 2017 l’interessata ha chiesto all’Amministrazione comunale la conferma della residenza di un soggetto terzo a un dato indirizzo, per finalità di notifica di un atto giudiziario civile.
Il Comune ha confermato tale indirizzo il 19 ottobre 2017, che nel prosieguo si è rivelato inidoneo agli indicati fini, in quanto risultato inesistente e utilizzato per prassi nei confronti dei soggetti “senza fissa dimora”.
L’interessata ha indi formulato il 20 ottobre 2017 l’istanza di accesso agli atti per cui è causa, finalizzata a conoscere elementi utili a individuare il recapito di riferimento del predetto soggetto terzo, e, non ricevendo risposta nel termine di trenta giorni cui all’art. 25 comma 4 della l. 7 agosto 1990 n. 241, ha notificato al Comune il 29/30 novembre 2017 il ricorso per l’accesso, ai sensi dell’art. 116 Cod. proc. amm..
Dopo la notifica del ricorso, e segnatamente il 4 dicembre 2017, l’Amministrazione comunale ha osteso all’interessata copia della dichiarazione di residenza a suo tempo presentata dal soggetto di cui sopra e copia del relativo atto di accertamento pure a suo tempo espletato dalla Polizia municipale.
Il 14 dicembre 2017 l’interessata ha depositato il ricorso presso il Tar competente.
Va ancora osservato che il Comune appellato ha esposto, nelle difese depositate sia in primo grado che in appello, che, prima della notifica del ricorso, un funzionario comunale ha provveduto a illustrare al difensore dell’istante, in occasione di un colloquio intercorso presso gli uffici dell’Amministrazione, il procedimento seguito per l’iscrizione del ridetto soggetto senza fissa dimora quale residente ai registri di anagrafe comunali nonché le norme di riferimento della questione e le relative modalità operative elaborate dall’Istat.
La parte privata non ha confutato tale circostanza.
6. Emerge da tutto quanto sopra che l’Amministrazione, pur avendo maturato un ritardo nell’adempimento degli obblighi di legge in materia di accesso, ha serbato nel relativo procedimento una condotta lineare, improntata ai principi di trasparenza e collaborazione, di cui la sentenza appellata ha evidentemente ritenuto di dover tener conto in sede di regolazione delle spese processuali.
La valutazione deve essere confermata.
Non colgono infatti nel segno le censure dell’appellante, incentrate esclusivamente sul predetto ritardo.
Appare al riguardo determinante la sua lievità, anche in considerazione della specifica attività di ricerca resasi necessaria per evadere l’istanza di accesso, e lo spirito partecipativo che ha caratterizzato l’operato dell’Amministrazione comunale.
Rileva anche la circostanza che all’atto dell’instaurazione del rapporto processuale (che nel processo amministrativo, come noto, si verifica all’atto della costituzione in giudizio del ricorrente mediante il deposito del ricorso giurisdizionale con la prova delle avvenute notifiche presso la segreteria dell’adito tribunale), l’interesse all’accesso era stato già pienamente soddisfatto.
E’ vero, infatti, che l’interessata, nell’esercizio di prerogative proprie del diritto di difesa in giudizio, era pienamente facoltizzata a provvedere al deposito del ricorso pur avendo ricevuto la documentazione dopo la notifica del gravame.
Ma è altresì vero che la prescelta opzione non ha eroso in alcun modo il potere del giudice di riconoscere, sul piano equitativo, i giusti motivi per dar luogo alla compensazione delle spese giudiziali, e, segnatamente, non ha fatto sorgere in capo a quest’ultimo il dovere di condannare l’Amministrazione alle spese di lite in applicazione del meccanismo della “soccombenza virtuale”, il quale, comportando, come segnalato dalla citata giurisprudenza, la verifica delle ragioni della parte ricorrente, lascia intatto l’ordinario esercizio delle potestà che competono al giudice in tema di regolazione delle spese del processo, sulla base di un apprezzamento che può investire sia l’andamento del procedimento che quello della controversia.
Deve pertanto concludersi che nel caso di specie il giudice di primo grado ha fatto buon uso dei poteri discrezionali di cui dispone in tema di compensazione delle spese giudiziali, sulla base dei presupposti compendiati nella motivazione afferente al “contegno” dell’Amministrazione e chiaramente desumibili dal contesto in cui si è collocata la sentenza declaratoria della cessazione della materia del contendere.
7. Alle rassegnate conclusioni consegue il rigetto dell’appello.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese di lite a favore dell’appellata, che liquida forfettariamente in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa proposto,
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29 novembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero – Presidente FF
Alessandro Maggio – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore

Avv. Renato D’Isa

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *