Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 12 settembre 2018, n. 5341.
La massima estrapolata:
Allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi; in particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco, e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può condurre a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita ad un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione; ricorre invece l’atto meramente confermativo quando la Pubblica amministrazione si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione.
Sentenza 12 settembre 2018, n. 5341
Data udienza 5 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3720 del 2008, proposto da
Me. Gi., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Ze., Em. Be., Ru. Co., con domicilio eletto presso lo studio Da. Va. in Roma, viale (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma., Ni. Cr., con domicilio eletto presso lo studio An. Ma. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda n. 00547/2007, resa tra le parti, concernente istanza di ricognizione delle destinazioni d’uso di immobile
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 luglio 2018 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti gli avvocati Pi. Ze. e Pa. Ca. su delega di An. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe indicata il TAR Veneto ha dichiarato inammissibile per difetto di interesse il ricorso proposto dalla signora Me. avverso la nota prot. 10392/2006 con la quale il Comune di (omissis) aveva riscontrato l’istanza della interessata volta ad ottenere la ricognizione della destinazione d’uso di un immobile di sua proprietà .
A sostegno del deciso il Tribunale ha rilevato che la nota in questione aveva carattere meramente confermativo di precedenti note (delle quali l’interessata era a conoscenza) relative appunto alla destinazione d’uso dell’immobile in questione.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi in esame dalla soccombente che ne ha chiesto l’integrale riforma, in ragione del carattere costitutivo dell’atto impugnato.
In subordine l’appellante chiede di essere rimessa in termini per l’impugnativa dei provvedimenti confermati.
Si è costituito in resistenza il comune che ha domandato il rigetto dell’appello.
La parte appellante ha depositato memoria, insistendo nelle già rappresentate conclusioni.
Il comune, per parte sua, ha nuovamente depositato il controricorso già versato in prime cure.
All’udienza del 5 luglio 2018 l’appello è stato trattenuto in decisione.
L’appello è manifestamente infondato e può essere pertanto respinto con sentenza succintamente motivata.
Il 7 novembre 2005 il Comune di (omissis), in risposta ad istanza avanzata da un procuratore in nome e per conto della odierna appellante Me., informò la stessa circa la destinazione d’uso (artigianale e non commerciale) conferita ad un capannone di proprietà della interessata.
In data 29 novembre 2005 analoga risposta fu fornita dal comune al conduttore dell’immobile, il quale contestò tale nota in un giudizio amministrativo nel quale la signora Me. spiegò atto di intervento ad adiuvandum.
Da quanto sopra consegue che l’interessata aveva piena conoscenza sia – dal punto di vista sostanziale – della destinazione d’uso che il comune riteneva conferita all’immobile de quo; sia – dal punto di vista formale – delle note in seno alle quali era espresso il punto di vista dell’ente locale.
Rispetto a tali note l’atto impugnato in primo grado ha – come esattamente rilevato dal TAR- natura meramente confermativa, come del resto chiaramente e obiettivamente si deduce dal tenore dello stesso.
Come chiarito da granitica giurispurdenza, allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi; in particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco, e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può condurre a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita ad un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione; ricorre invece l’atto meramente confermativo quando la Pubblica amministrazione si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione. (ex multis V Sez. n. 2172 del 2018).
Nel caso all’esame l’Amministrazione – all’opposto di quanto sostengono gli appellanti – non ha in realtà riaperto il procedimento o l’istruttoria, ma si è in buona sostanza limitata a richiamare quanto in precedenza statuito circa la contestata destinazione d’uso dell’immobile in controversia.
Ne consegue che la nota impugnata – in quanto appunto meramente confermativa delle precedenti – non aveva carattere autonomamente lesivo, come giustamente statuito dal TAR.
Come si è detto, in via subordinata l’appellante chiede di essere rimessa in termini per l’impugnativa delle note confermate.
L’istanza non può però essere accolta, non sussistendone i presupposti.
Basta al riguardo evidenziare che l’appellante è intervenuta in un giudizio di impugnazione intentato dal conduttore dell’immobile, destinatario della nota comunale in cui appunto si chiariva la destinazione d’uso dell’immobile: di talchè la stessa non può ora sostenere di non aver percepito il carattere lesivo dei provvedimenti comunali.
L’appello va pertanto respinto.
Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna Me. Giuditta al pagamento in favore del Comune di (omissis) di euro 3000,00 (tremila/0) oltre spese generali IVA e CPA per le spese del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente, Estensore
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Leave a Reply