Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 20 maggio 2019, n. 3207.
La massima estrapolata:
Il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e quello successivo di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell’area di sedime debbono considerarsi consequenziali, connessi e conseguenti all’ordine di demolizione delle opere e ripristino dello stato primitivo dei luoghi, con la conseguenza che non sono autonomamente impugnabili, in mancanza di impugnazione dell’atto con cui si ingiunge la demolizione o di irricevibilità dell’impugnazione tardivamente proposta avverso tale atto
Sentenza 20 maggio 2019, n. 3207
Data udienza 9 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5836 del 2009, proposto dalla società Ci. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Me. e Fr. Br., elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale (…),
contro
il Comune di Parma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Al. Ro. e Gi. Cu., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, viale (…),
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per l’Emilia Romagna, sede di Parma, Sezione unica, n. 82 del 24 marzo 2009, resa inter partes, concernente accertamento d’inottemperanza e ordinanza di demolizione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Parma;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2019 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati Br. e An. Ro. su delega dell’avvocato S.A. Ro.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n. 95 del 2006, proposto innanzi al T.a.r. per l’Emilia Romagna, sede di Parma, la società Ci. S.r.l. (di seguito la società ) aveva chiesto quanto segue:
a) l’annullamento dei seguenti atti:
– verbale di accertamento di inottemperanza ad ordinanza di demolizione di opere abusive del 20 dicembre 2005;
– ordinanza di sospensione e ripristino dello stato dei luoghi del 5 giugno 1997;
– ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi del 2 maggio 1997;
b) l’accertamento della mancata produzione dell’effetto traslativo della proprietà in danno della società ed in favore del Comune di Parma o comunque l’annullamento o la declaratoria dell’inefficacia ovvero nullità del trasferimento al predetto Ente a seguito dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati;
c) la condanna del Comune di Parma a rilasciare le aree di cui all’ordinanza di ripristino in favore della ricorrente.
2. A sostegno della proposta impugnativa, la società aveva sollevato le seguenti censure:
i) violazione dell’art. 13 della legge regionale n. 23 del 2004, laddove prevede che l’acquisizione gratuita dell’area in capo al Comune, nel caso di inottemperanza ad ordinanza di demolizione, non opera “nel caso in cui il proprietario dell’immobile non sia corresponsabile del compimento dell’abuso” e tale sarebbe la condizione in cui versa la società per essere le contestate operazioni di scavo state effettuate da altro soggetto;
ii) l’Amministrazione, essendo consapevole dell’estraneità all’abuso della società, non poteva disporre l’acquisizione dell’area di sedime, con conseguente nullità dell’impugnato verbale di inottemperanza;
iii) l’Amministrazione avrebbe omesso di verificare la situazione di fatto e l’effettiva responsabilità ascrivibile alla società ;
iv) la mancata produzione dell’effetto traslativo, che ben può il giudice adì to accertare vertendosi in materia affidata alla sua giurisdizione esclusiva.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale, il Tribunale adì to, Sezione unica, ha così deciso il gravame al suo esame:
– ha accolto l’eccezione di inammissibilità del ricorso in relazione all’impugnativa del verbale d’inottemperanza in quanto atto non impugnabile;
– ha, altresì, accolto l’eccezione di inammissibilità del ricorso in relazione all’impugnativa delle previe ordinanze di demolizione, in quanto già impugnate dalla società con ricorso dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, con pronuncia (n. 264 del 4 maggio 2005) peraltro oggetto di ricorso in appello ancora pendente;
– ha respinto, infine, la domanda di accertamento della mancata produzione dell’effetto traslativo della proprietà del bene in favore del Comune di Parma, “in quanto l’effetto acquisitivo si è prodotto automaticamente, al decorso infruttuoso del termine fissato per provvedere allo spontaneo ripristino dello stato dei luoghi, dopo che le ingiunzioni del 2 maggio e del 5 giugno 1997 (tuttora efficaci) avevano individuato anche la proprietaria come corresponsabile dell’abuso ed avevano espressamente stabilito che all’eventuale inadempienza sarebbe seguita la “… acquisizione gratuita al patrimonio del Comune di Parma dell’area di sedime…”.
5. Avverso tale pronuncia la società ha interposto appello, notificato il 19 giugno 2009 e depositato l’8 luglio 2009, lamentando, attraverso due motivi di gravame (pagine 5-13) ai quali ha fatto seguito la reiterazione dei motivi di primo grado, quanto di seguito sintetizzato:
I) avrebbe errato il Tribunale nel ritenere necessario l’annullamento dell’ordinanza-ingiunzione che è risultata inottemperata;
II) avrebbe altresì errato il Tribunale nel dichiarare inammissibili le domande volte all’annullamento del verbale di constatazione di inottemperanza anche in considerazione del fatto che l’ordinanza ingiunzione è stata impugnata e il relativo ricorso era attualmente in attesa della fissazione dell’udienza di merito davanti il Consiglio di Stato;
III) vengono pertanto riproposte le censure sollevate in primo grado.
6. In data 15 settembre 2009, il Comune di Parma si è costituito con atto di stile, al quale ha fatto seguito la produzione di memoria di controdeduzioni al fine di chiedere la declaratoria di inammissibilità o comunque disporne il rigetto.
7. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.
8. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 9 aprile 2019, non merita accoglimento.
9. L’appello è infondato.
9.1. I rilievi sollevati col gravame in esame impingono nella stessa dinamica del procedimento sanzionatorio innescato dall’esecuzione di opere edilizie abusive, evidenziandosi che la contestazione circa la legittimazione passiva rispetto all’atto che dispone l’acquisizione dell’abuso al patrimonio indisponibile del Comune non postula l’efficace impugnativa della previa ordinanza demolitoria. Invero, l’appellante avversa il passaggio della motivazione dell’impugnata sentenza, col quale il giudice di prime cure ha evidenziato la natura automatica dell’effetto acquisitivo alla scadenza del termine per l’esecuzione della sanzione demolitoria, che è stata sì impugnata dall’appellante ma con ricorso dichiarato improcedibile dal Tribunale con la sentenza n. 264 cit..
9.2. Per vero, questo Consiglio ha ribadito, di recente, che l’effetto acquisitivo si produce automaticamente al decorso del termine di 90 giorni previsto per l’esecuzione della demolizione e che il verbale che attesta l’inottemperanza all’ordine demolitorio non è suscettibile di autonoma impugnativa. Per il primo profilo si è infatti osservato che: “La giurisprudenza sul punto è concorde nel ritenere che l’ingiustificata inottemperanza all’ordine di demolizione comporti l’automatica acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio disponibile del Comune, ai sensi dell’art. 31, comma 3, del TU Edilizia. In base al comma 4 della stessa disposizione, l’accertamento di tale inottemperanza è necessario unicamente per provvedere all’iscrizione nei registri immobiliari ed all’immissione nel possesso, per cui il relativo atto ricognitivo è normativamente configurato come un atto avente natura meramente dichiarativa, finalizzato al limitato scopo di esternare e formalizzare l’acquisto a titolo originario della proprietà in capo all’amministrazione, che si è già prodotto per il mero decorso del tempo, una volta che sia venuto a scadenza il termine previsto dalla legge e indicato nel provvedimento di demolizione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2015 n. 1884)” (cfr. sentenza Cons. Stato, sez. IV, 16 gennaio 2019, n. 398). Per il secondo aspetto, questo Consiglio ha rilevato che il verbale d’inottemperanza non è impugnabile, in quanto “Il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e quello successivo di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell’area di sedime debbono considerarsi consequenziali, connessi e conseguenti all’ordine di demolizione delle opere e ripristino dello stato primitivo dei luoghi, con la conseguenza che non sono autonomamente impugnabili, in mancanza di impugnazione dell’atto con cui si ingiunge la demolizione o di irricevibilità dell’impugnazione tardivamente proposta avverso tale atto” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4479). La notificazione del verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione, inoltre, “non ha alcun contenuto dispositivo, limitandosi a constatare in via ricognitiva e vincolata l’inadempimento dell’ordine di demolizione, non è quindi necessario che lo stesso venga notificato al responsabile dell’abuso prima di adottare il provvedimento con cui si disponga l’acquisizione gratuita, rilevando l’adempimento della notificazione all’interessato dell’accertamento formale dell’0inottemperanza, pienamente idoneo a consentire all’ente l’immissione in possesso e la trascrizione nei registri immobiliari del titolo dell’acquisizione” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2368). Vale quindi il principio, confermato di recente da questo Consiglio, secondo cui “Nella disciplina statale, infatti, non par dubbio che il proprietario possa essere coinvolto nel procedimento successivo all’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione (in particolare, nel sub-procedimento relativo all’acquisizione al patrimonio comunale del bene e dell’area di sedime), a prescindere da una sua diretta responsabilità nell’illecito edilizio. La giurisprudenza amministrativa ha avuto peraltro agio di affermare che tale sistema non presenta profili di criticità sul piano del rispetto dei principi costituzionali (in tali ricomprendendo anche quelli desumibili dalle disposizioni sovranazionali che trovano applicazione nel nostro ordinamento, quali norme interposte, in base all’art. 117 Cost.. E ciò per la dirimente ragione che si tratta di sanzioni in senso improprio, non aventi carattere ‘personalè ma reale, essendo adottate in funzione di accrescere la deterrenza rispetto all’inerzia conseguente all’ordine demolitorio e di assicurare ad un tempo la effettività del provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi e la soddisfazione del prevalente interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 luglio 2017, n. 3366; Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2015, n. 1927).
Alla luce dell’orientamento assunto da questo Consiglio, dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, le critiche sollevate dall’appellante non sono in grado di superare le statuizioni in rito contenute nell’impugnata sentenza, aventi effetto preclusivo all’indagine del merito del ricorso, che pertanto vanno in questa sede confermate.
9.3. Peraltro, a fronte di quanto evidenziato dall’appellante con il secondo mezzo, in ordine alla pendenza dell’appello n. 3180 del 2006 proposto dalla società avverso la summenzionata pronuncia d’improcedibilità n. 264 del 2005, va rilevato, ancora una volta nel senso della infondatezza delle critiche di parte appellante, che, nelle more, questo Consiglio, con la sentenza n. 1846 del 24 aprile 2017, ha respinto tale gravame condannando per giunta la società al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune di Parma.
9.4. A conclusioni di pari tenore reiettivo si deve però pervenire anche laddove si voglia condividere quell’orientamento giurisprudenziale, coltivato soprattutto in prime cure, secondo cui l’espressa statuizione normativa di cui all’art. 31, comma 3, del testo unico edilizia, nel senso dell’automatismo dell’effetto acquisitivo (secondo la formula di legge: “sono acquisiti di diritto gratuitamente”), va coniugato con l’esigenza di assicurare adeguati strumenti di tutela in favore di chi deve essere messo in condizione di dimostrare la sua estraneità all’abuso, circostanza questa che, quantunque non spendibile in sede di contestazione dell’ordine demolitorio, è cionondimeno ostativa ai fini della produzione dell’effetto acquisitivo. Si afferma quindi che detto automatismo non sottrae l’Amministrazione dal compito di consacrare in un atto provvedimentale, una volta accertato l’inadempimento dell’ordine di demolizione, la volontà acquisitiva da esprimere in relazione ad una superficie esattamente individuata in esplicazione di quello spatium deliberandi offerto dalla norma di cui all’art. 31, comma 3, del testo unico edilizia, che così statuisce: “L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”. La sintassi procedimentale in subiecta materia richiede cioè un doppio passaggio provvedimentale che si snoda, dapprima, attraverso l’ordinanza di demolizione e, quindi, con l’adozione dell’ordinanza di acquisizione dell’immobile abusivo. L’individuazione dei legittimati passivi in relazione ai due atti che connotano il procedimento sanzionatorio in materia edilizia si presta ad una diversa (se non opposta) impostazione esegetica. Si afferma, infatti, che la legittimazione passiva deve ravvisarsi anche nei riguardi di chi risulti estraneo all’abuso ma, avendo la disponibilità dell’opera, è nelle condizioni materiali, oltre che giuridiche, di rimuovere l’abuso in modo da far cessare il vulnus arrecato all’ordinato assetto del territorio; e questo tanto più dopo l’intervento del testo unico edilizia, il cui art. 31, a differenza del previgente art. 7 della legge n. 47 del 1985, indica espressamente anche il proprietario, e non più solo il responsabile dell’abuso, quale soggetto destinatario dell’ordine di demolizione. L’ordinanza di acquisizione invece, ove emessa dall’Amministrazione, ha per vero legittimato passivo il solo proprietario, consistendo la misura proprio nell’acquisizione dell’area con il conseguente trapasso di proprietà in favore dell’Amministrazione comunale. Del resto, la Corte costituzionale (sentenza n. 345 del 1991), quando si è espressa in favore della conformità della norma di cui al previgente art. 7, comma 3, della legge n. 47 del 1985 rispetto al principio dell’equo indennizzo, ha evidenziato che la sua mancata previsione, a fronte dell’acquisto in mano pubblica, si deve proprio al fatto che si tratta di una misura sanzionatoria che a sua volta postula la commissione di un illecito e pertanto non si giustifica nei riguardi di chi non risulti responsabile dello stesso. E’ proprio il diaframma provvedimentale costituito dall’ordinanza di acquisizione a costituire l’occasione, a mezzo della sua impugnativa, per fornire adeguata dimostrazione da parte del proprietario dell’area in ordine alla sua estraneità all’abuso, di guisa che, ove tale atto manchi per la volontà del Comune di procedere alla trascrizione dello stesso verbale d’inottemperanza, questo dovrebbe reputarsi impugnabile pena la obliterazione di quelle prerogative difensive che sono presidiate a livello costituzionale (art. 24).
9.5. Ordunque, pur a voler accedere a tale diversa linea esegetica, ispirata ad un approccio sistematico alla disciplina di settore, non è dato ravvisare margini di fondatezza dell’appello in esame, avuto riguardo al principio consacrato in sede pretoria (da ultimo, T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, sez. II, 8 marzo 2019, n. 506) secondo cui la legittimazione passiva alla produzione dell’effetto acquisitivo non può prescindere dalla prova della “inequivocabile” estraneità all’abuso del proprietario inciso dalla misura acquisitiva, il quale deve provare di aver cercato di costringere il responsabile a ripristinare lo stato dei luoghi.
Dagli atti di causa non si evince che tale indeclinabile prova sia stata raggiunta.
Va premesso, sul punto, che l’ordinanza demolitoria veniva indirizzata nei riguardi della società Baccanelli S.r.l., alla quale succedeva la società appellante, e che si indica quale effettiva responsabile dell’intervento abusivo la ditta esecutrice dell’intervento, consistito nell’escavazione di un notevole quantitativo di terreno vegetale. L’appellante, infatti, nel reiterare le corrispondenti censure articolate in primo grado, sostiene di avere adeguatamente dimostrato la sua estraneità all’abuso innanzi all’autorità inquirente, tanto da chiedere l’archiviazione del procedimento penale in ordine alla sua posizione. Afferma, inoltre, che la profonda escavazione avrebbe lo scopo di saccheggiare la proprietà del terreno ricavato da tale intervento, pertanto non foriero di alcun vantaggio economico per la proprietà .
Orbene, tali contestazioni non trovano alcun preciso riscontro documentale e pertanto non si rinviene agli atti la necessaria dimostrazione della reale estraneità dell’allora società Baccanelli S.r.l. all’abuso contestato. Il Comune per giunta osserva testualmente in memoria quanto segue: “Baccanelli s.r.l. e Corte Palazzo s.r.l. (che immaginiamo essere per la ricorrente l’autore dell’abuso, visto che Ci. non individua nessun soggetto limitandosi a dichiararsi estranea all’abuso) avevano la medesima sede legale. Tra Baccanelli (ora Ci.) e Corte Palazzo (ora fallita) c’era un intrigato rapporto di patti parasociali che quanto meno Ci. dovrebbe chiarire, non potendosi limitare a dichiararsi estranea.” A fronte di tali dettagliate controdeduzioni parte appellante non ha fornito alcun chiarimento in grado di lumeggiare la sua affermata condizione di non colpevolezza. Resta quindi il dato di fondo emergente dagli atti di causa e cioè che la società, sebbene fosse a conoscenza dell’ordine di ripristino, non si è in alcun modo adoperata per darvi esecuzione così legittimando la produzione dell’effetto acquisitivo.
10. Tanto premesso, l’appello è infondato e deve essere respinto.
11. L’assoluta peculiarità della vicenda costituisce eccezionale motivo che giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 5836/2009), lo respinge.
Spese del presente grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere
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