Servitù prediali – la costituzione, l’esercizio e l’estinzione

Le servitù prediali

Ultimo aggiornamento (in riferimento alle sentenze della Cassazione) 22 agosto 2022, non riscontrabile, però, all’interno del documento in pdf

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A)  Generalità e contenuto

Con il presente articolo, pur non volendo peccare di alcuna presunzione, si cercherà di scandagliare – con un taglio sistematico giurisprudenziale – nei suoi aspetti generali la disciplina delle servitù prediali.

art. 1027 c.c.  contenuto del diritto: la servitù prediale[1] consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario (1072, 1100).[2]

Il diritto di servitù prediale, quindi, è una particolare tipologia di diritto reale limitato che il proprietario di un fondo (“dominante”) impone nei confronti del proprietario di un altro fondo (“servente”).

Essa è, come è noto, un diritto reale di godimento e si ritrovano in essa i tradizionali caratteri dell’immediatezza, nel senso che non occorre per l’esercizio del potere del titolare del fondo dominate la cooperazione di altro soggetto, e dell’assolutezza, nel senso che il potere viene esercitato erga omnes.

La servitù prediale si caratterizza proprio per il fatto che il vantaggio deve inerire in via diretta al fondo e non già alla persona che se ne serve (la persona, invece, ne trae un’utilità indiretta). Al vantaggio per il fondo dominante corrisponde una restrizione per il fondo servente.

Inoltre, è importante sottolineare come da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|29 gennaio 2021| n. 2124

l‘appartenenza del diritto di servitù ai diritti autodeterminati, vale a dire a quei diritti che si identificano in base all’indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne è la fonte, non preclude, dopo che sia passata in giudicato la sentenza che affermi la libertà del fondo, la proposizione di una domanda volta all’ottenimento, ove i presupposti di legge siano attuali, della costituzione giudiziale di una servitù coattiva di passaggio.

Il fondamento

È stato individuato da un’autorevole dottrina[3] nel principio della collaborazione fondiaria, in base al quale il proprietario di un fondo è privato di determinate facoltà a favore del proprietario di altro fondo allo scopo di consentirgli una migliore utilizzazione.

Il contenuto

Nel diritto vigente il contenuto delle servitù non è predeterminato, come avviene per gli altri diritti reali di godimento su cosa altrui, ma l’autonomia privata gode di ampi margini, con il solo limite dell’utilità per il fondo dominante oltre, il limite, naturalmente, relativo ad ogni negozio giuridico.

Utilità 

art. 1028 c.c.   nozione dell’utilità: l’utilità può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante. Può del pari essere inerente alla destinazione industriale del fondo (1073 e seguente).

L’utilità deve essere comunque stabile e permanente anche se tale concetto non significa perpetuità né irreversibilità.

Al riguardo si ritiene che l’utilità non possa essere soggettiva ma debba essere oggettiva, riferita cioè, al fondo nella sua concreta destinazione e conformazione.

In sostanza l’utilità deve potere essere tratta da qualsivoglia proprietario e non già da quel singolo proprietario, in ciò consistendo la caratteristica della realità e del riferimento della servitù al fondo e non al suo fondo.

Questa indagine può non essere facile quando si tratta di stabilire i criteri della comodità e dell’amenità, normalmente collegati a giudizi soggettivi di valore: anche in questo caso però il giudizio deve essere dato oggettivamente[4].

Così nel caso di una servitù avente ad oggetto il diritto di passeggiare nel grande parco secolare del vicino, deve essere valutata la destinazione del fondo dominante: se esso è un fondo con una casa da abitazione, il vantaggio è evidente se non altro in termini di valorizzazione economica, ma se esso fosse un fondo rustico coltivato a grano, l’utilità sarebbe di sicuro del singolo proprietario ed allora l’eventuale utilità nata in seguito all’accordo andrebbe qualificata come irregolare[5].

Inoltre tale utilità non deve essere necessariamente attuale; secondo ultima sentenza di merito[6], accertata la sussistenza dei presupposti per la costituzione di una servitù coattiva di passaggio, ex art. 1051 c.c., quanto alla interclusione del fondo, alla richiesta di accesso alla pubblica via ed al conveniente uso del fondo intercluso, non costituisce circostanza a ciò ostativa la presenza, sul fondo intercluso, di un rudere di fatto non utilizzato e senza la possibilità di essere ampliato. La servitù, volontaria o coattiva che sia, può essere, invero, costituita anche per una utilità non attuale del fondo dominante, in quanto inerente, la utilitas, non già ad esigenze di carattere personali del titolare del fondo dominante, bensì ad un vantaggio riconducibile alla situazione e destinazione obiettiva del fondo stesso. Nella fattispecie al vaglio dell’adito Giudice, seppure il rudere presente sul fondo intercluso sia di fatto disabitato, la circostanza che il medesimo ha una destinazione abitativa costituisce elemento sufficiente ai fini della costituzione della servitù coattiva di passaggio, come richiesto, in quanto ad esso deve essere assicurato il collegamento con la via pubblica, a piedi o anche con mezzi meccanici.

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 4 settembre 2020, n. 18465

in tema di servitù prediali il concetto di “utilitas” è talmente ampio da ricomprendere ogni elemento che, secondo la valutazione sociale, sia legato da un nesso di strumentalità con la destinazione del fondo dominante e si immedesimi obiettivamente nel godimento di questo, in modo tale che la servitù possa soddisfare ogni bisogno di tale fondo, assicurando ad esso una maggiore amenità, abitabilità, anche evitando rumori o impedendo costruzioni che abbiano una destinazione spiacevole o fastidiosa.

Le c.d. servitù irregolari

Il limite del peso imposto sopra un fondo comporta l’inammissibilità delle c.d. servitù irregolari, le quali consistono in un diritto a carico di un fondo, ma non a vantaggio di un altro fondo, bensì di una persona in quanto tale e non quale titolare del diritto di proprietà del fondo dominante.

Esse non sono proibite, ma hanno natura di diritto obbligatorio e come tali privi dei caratteri dell’assolutezza e dell’immediatezza.

In merito per la Cassazione[7] in base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 cod. civ., è consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori; pertanto, invece di prevedere l’imposizione di un peso su un fondo (servente) per l’utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una qualitas fundi, le parti ben possono pattuire un obbligo personale, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto provato un accordo verbale tra le parti relativo al passaggio, sul fondo di una di esse, della rete fognante proveniente dal fondo dell’altra, accordo che, pur inidoneo a configurare un valido contratto costitutivo di una servitù di scarico, per difetto della forma scritta richiesta ad substantiam, era tuttavia idoneo a costituire una servitù irregolare, a carattere non reale ma obbligatorio, sussistendo i requisiti necessari per la conversione del contratto nullo ai sensi dell’art. 1424 cod. civ.).

Principio ribadito da altra recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 9 ottobre 2014, n. 21356

secondo la quale, appunto, in base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., é consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori. Pertanto, invece di prevedere l’imposizione di un peso su un fondo (servente) per l’utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una ‘qualitas fundi’, le parti ben possono pattuire un obbligo personale, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria (Cass. 11-2-2014 n. 3091; Cass. 4-2-2010 n. 2651; Cass. 29-8-1991 n. 9232).

Nel caso in esame, si continua a leggere nella sentenza richiamata, la Corte di Appello, nell’affermare che la scrittura privata  si limitava a specificare che rimaneva in piedi il precedente diritto, con le medesime caratteristiche, ha ritenuto che tale atto, al pari dei precedenti rogiti, prevedeva un mero diritto personale di passaggio in favore di singoli soggetti, escludendo che con esso sia stata costituita una servitù prediale e, quindi, un diritto reale in favore del fondo dell’attrice.

Nel pervenire a tali conclusioni, peraltro secondo l’arresto in esame, il giudice del gravame ha omesso di prendere in considerazione alcuni elementi, emergenti dal tenore letterale della scrittura privata in esame ed opportunamente richiamati dalla ricorrente, che sembrano, al contrario, deporre per la natura reale del diritto di passaggio in  questione.

E invero, espressioni quali quelle usate nella clausola 2 (in cui si parla di servitù di passaggio in favore della ‘proprietà G. ‘, e si fa specifico riferimento ai fratelli G. quali ‘proprietari del fondo dominante’), e nel n. 3 delle allegate Note (in cui si fa cenno al diritto dei G. ‘per sé ed aventi causa’), sembrano mal conciliarsi con l’idea di un diritto di passaggio di natura meramente obbligatoria, previsto esclusivamente per un vantaggio di determinate persone, ed appaiono piuttosto evocare l’idea di un peso imposto su un fondo (servente) per l’utilità o la maggiore comodità di un altro fondo (dominante).

Il convincimento espresso dal giudice di appello riguardo alla natura personale del diritto di passaggio oggetto della scrittura privata, pertanto, non risulta sorretto da una motivazione esaustiva, avendo tralasciato la disamina di elementi testuali che, almeno in astratto, avrebbero potuto portare ad una decisione diversa in ordine alla ricostruzione dell’effettiva volontà perseguita dalle parti e che, pertanto, avrebbero meritato un maggiore approfondimento.

Per lo effetto la Cassazione in accoglimento del secondo motivo di ricorso, imponeva la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello.

In realtà, la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 13 settembre 2012, n. 15334

ha avuto modo di confermare che il nostro sistema giuridico non prevede la facoltà, per i privati, di costituire servitù meramente personali (cosiddette servitù irregolari), intese come limitazioni del diritto di proprietà gravanti su di un fondo a vantaggio non del fondo finitimo, bensì del singolo proprietario di quest’ultimo, sì che siffatta convenzione negoziale, del tutto inidonea alla costituzione del diritto reale limitato di servitù, va inquadrata nell’ambito del diritto d’uso, ovvero nello schema del contratto di locazione o dei contratti affini, quali l’affitto o il comodato. In entrambi i casi, il diritto trasferito, attesane la natura personale ed il carattere obbligatorio, non può ritenersi ipso facto trasmissibile, in assenza di una ulteriore, apposita convenzione stipulata dall’avente diritto con il nuovo proprietario del bene asservito. (Nella specie, il giudice di merito aveva qualificato come costitutiva di una duplice servitù, di passaggio e di parcheggio, una convenzione tra privati con la quale il venditore di un appartamento aveva altresì concesso all’acquirente, in sede di stipula dell’atto pubblico di alienazione, il diritto d’uso di uno scantinato al fine di parcheggiarvi un’autovettura – nonchè il diritto di passaggio sull’area che ne consentita l’accesso -, diritto non riconosciuto, in seguito, dagli eredi dello stesso venditore. La S.C., nel cassare la pronuncia, ha sancito il principio di diritto di cui in massima)

Per altra sentenza di merito[8] la costituzione di servitù irregolari, ovvero meramente personali, attraverso le quali la limitazione del diritto di proprietà relativa ad un fondo non riguardi il fondo finitimo ma il singolo proprietario di quest’ultimo non è legittimamente prevista nel nostro ordinamento giuridico. La stipula, pertanto, di una siffatta convenzione, lungi dal determinare la costituzione del diritto reale limitato di servitù, deve essere più correttamente ricondotta nell’alveo del diritto d’uso ovvero nello schema del contratto di locazione o simili come l’affitto o il comodato. La trasmissibilità di tali diritti, quindi, in quanto strettamente legato alla natura personale ed obbligatoria degli accordi sottesi, necessita pertanto di apposita convenzione stipulata tra l’avente diritto ed il nuovo proprietario del bene su cui va a gravare. Una volta, quindi, che si sia accertata l’essenza di obbligo strettamente personale del diritto costituito a carico di un determinato fondo senza che sia ravvisabile quella imprescindibile funzione di utilità fondiaria tipica delle servitù prediali, l’assenza di ulteriore apposita convenzione stipulata dall’avente diritto con i successivi proprietari del bene determina l’intrasmissibilità del diritto in parola.

Ad esempio, per altra Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6 novembre 2014, n. 23708

il parcheggio di autovetture costituisce manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, del quale difetta la realitas, intesa come inerenza al fondo dominante dell’utilità, così come al fondo servente del peso (sent. 7 marzo 2013 n. 5760), mentre la mera commoditas di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedano al fondo (anche numericamente limitate) non può in alcun modo integrare gli estremi della utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio affatto personale dei proprietari (sent. 28 aprile 2004 n. 8137).

Ma, con successivo intervento la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 18 marzo 2019, n. 7561.

ha avuto modo di precisare che in tema di servitù, lo schema previsto dall’art. 1027 c.c. non preclude in assoluto la costituzione di servitù aventi ad oggetto il parcheggio di un’autovettura su un immobile di proprietà altrui, a condizione che, in base all’esame del titolo, tale facoltà risulti essere stata attribuita a diretto vantaggio del fondo dominante, per la sua migliore utilizzazione, quale “utilitas” di carattere reale.
Il diritto di parcheggiare un’autovettura in un dato posto-auto è definibile come “servitù” se la situazione concreta sia configurabile come utilità oggettiva per il fondo dominante (e cioè per l’edificio al cui servizio è destinato il posto-auto) e non come utilità personale del soggetto che ha interesse a parcheggiare.

Si riporta, infine, anche altro recente intervento della S.C.

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|17 settembre 2021| n. 25195.

che ha ribadito il principio secondo il quale la cd. servitù irregolare – in dipendenza della tipicità dei diritti reali che costituiscono, nel loro complesso, un “numerus clausus” e che sono idonei a determinare anche un vincolo fondiario perpetuo – comporta l’insorgenza di un rapporto obbligatorio atipico tra le parti, avente la funzione di determinare una situazione di vantaggio a favore del soggetto indicato nel relativo atto costitutivo e non a realizzare uno scopo di utilità per un fondo (dominante) con l’imposizione di un peso su un altro fondo (servente), ragion per cui il suddetto rapporto va ritenuto incompatibile con la previsione di un obbligo personale di natura permanente a carico della parte che deve adempierlo, dovendo esso caratterizzarsi per la necessaria temporaneità del vincolo che ne deriva. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata nella parte in cui, dopo aver ricondotto la concreta fattispecie – accordo orale di concessione della posa in opera di un pozzetto di scolo delle acque meteoriche – nell’ambito della “servitù irregolare”, ha escluso il carattere provvisorio e temporaneo dell’accordo, in tal modo erroneamente inscrivendo la suddetta servitù nell’ambito di un quadro connotato da profili di realità.)

 

La servitù industriale

Si aggiunge alle tradizionali servitù fondiarie ed agricole.

In tal modo è stato chiarito che l’utilità può comprendere anche o scopo di favorire la destinazione commerciale del fondo.

Secondo la Cassazione[9] anche la servitù industriale non cessa di essere un peso di carattere a carico di un fondo per l’utilizzazione di un altro fondo. In essa l’industria inerisce strutturalmente al fondo dominante, il quale, per tale destinazione particolare, viene a trarre la sua utilità direttamente dall’imposizione di quel peso.

Inoltre[10] perché possa ritenersi costituita una servitù, la cui utilità inerisca alla destinazione industriale del fondo dominante, occorre che l’utilità stessa attenga ad un’attività industriale (o anche commerciale) che si svolga necessariamente e non soltanto occasionalmente, attraverso l’uso del fondo (predialità), e pertanto non possono essere riconosciuti i caratteri della servitù nel patto di non concorrenza[11] stipulato tra i proprietari di due fondi contigui, in relazione ad attività commerciali che avrebbero potuto essere svolte anche in fondi diversi.

È stato anche chiarito che l’utilità deve riguardare l’esercizio dell’industria al quale il fondo è adibito, non ad altre attività.

Così, ad esempio[12], una servitù di presa d’acqua a favore di un mulino, di una cartiera, di un albergo o di uno stabilimento idroelettrico, non può portare vantaggio anche per il conseguimento di fini diversi.

B)  Caratteri fondamentali ed eventuali della servitù

1 –  I fondamentali

Utilità

art. 1028 c.c.   nozione dell’utilità: l’utilità può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante. Può del pari essere inerente alla destinazione industriale del fondo (1073 e seguente).

Predialità

questo carattere comporta la c.d. inerenza del diritto ai fondi, sia dal lato attivo che dal lato passivo, nel senso che non può essere concepita separata dal fondo dominante e dal fondo servente.

Unilateralità

lo svantaggio, il peso ovvero la compressione del diritto di proprietà devono gravare sul fondo servente, mentre l’utilità deve essere a favore del fondo dominate.

È noto che in base al principio dell’unilateralità sono state negate le c.d servitù reciproche, in quanto in esse mancherebbe lo svantaggio a carico di uno solo dei fondi.

Anche se in realtà la giurisprudenza[13], confermando il principio più volte espresso dell’autonomia dei privati, ha affermato, sempre in un ambito di servitù irregolari, la validità della clausola con la quale le parti, in sede di divisione di immobili, dopo aver proceduto alle rispettive attribuzioni, ponendo in essere reciproche concessioni e limitazioni, convengono che l’immobile esistente (più basso) non può essere sopraelevato oltre una determinata altezza (pari a quella dell’immobile più alto), comporta che anche l’edificio costruito ex novo in luogo di tale preesistente immobile deve rispettare tale limite d’altezza, avendo le parti inteso costituire una vera e propria servitù di altius non tollendi[14] , limitativa dello ius aedificandi , a carico del suolo (fondo servente) su cui insiste l’immobile preesistente.

Inoltre[15] qualora i proprietari di fondi finitimi si impegnino, con la costituzione di reciproche servitù, a lasciare inedificata una striscia di terreno a confine, destinandola a passaggio, la inosservanza di tale obbligo da parte dell’uno, in quanto si traduca nell’alterazione di una situazione già in atto, è denunciabile da parte dell’altro anche con azione possessoria[16].

Inseparabilità

la servitù, in quanto stabilita per l’utilità di quel determinato fondo dominante, non è separabile da questo e non può, pertanto, essere trasferita a vantaggio di altro fondo, anche se dello stesso proprietario.

Accessorietà

nel senso che esiste uno stretto legame fra la proprietà dei fondi e la servitù, con la conseguenza che il trasferimento dei fondi stessi comporta il trasferimento, senza che occorra un’espressa volontà, anche delle servitù costituite a favore o contro il fondo trasferito.

Specialità

nel senso che esso non assicura al titolare un generico godimento del fondo servente, ma un godimento parziale e specificamente determinato, con conseguente imposizione ai terzi di astenersi dall’effettuare determinate ingerenze sul fondo.

Indivisibilità

dall’inerenza attiva e passiva della servitù e dalla sua struttura, secondo cui uno dei fondi deve servire all’utilità dell’altro, discende che tale vantaggio riguarda dal lato passivo tutto il fondo servente e dal lato attivo tutto il fondo dominante.

Proprio su tale ultima caratteristica la Cassazione, 

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24 agosto 2015, n. 17075

ha avuto modo di precisare che se la servitù – nel caso di specie l’uso del posto auto a rotazione all’interno di un cortile condominiale – è costituita a favore di un lotto di appartamenti, il frazionamento e la successiva alienazione di alcuni di essi non comporta la perdita del diritto al ‘parcheggio’ a favore dei nuovi acquirenti. E ciò anche se i posti sono inferiori alle abitazioni, in questo caso uno in meno. Seppure l’atto di compravendita nulla dice al riguardo vanno comunque applicati i principi generali della «indivisibilità» ed «ambulatorietà» della servitù in base ai quali essa continua a sopravvivere così com’era era anche a beneficio del nuovo proprietario.

Con altra recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 3 luglio 2019, n. 17884.

è stato riaffermato che in tema di servitù prediali, il principio della cosiddetta indivisibilità di cui all’art. 1071 c.c. comporta, nel caso di frazionamento del fondo dominante, la permanenza del diritto su ogni porzione del medesimo, salve le ipotesi di aggravamento della condizione del fondo servente; poiché detto effetto si determina “ex lege”, non occorre alcuna espressa menzione, a tale riguardo, negli atti traslativi attraverso cui si determina la divisione del fondo dominante: sicché, nel silenzio delle parti – in mancanza di specifiche clausole dirette ad escludere o limitare il diritto – la servitù continua a gravare sul fondo servente, nella medesima precedente consistenza, a favore di ciascuna di quelle già componenti l’originario unico fondo dominante, ancora considerato alla stregua di un “unicum ” ai fini dell’esercizio della servitù, ancorché le singole parti appartengano a diversi proprietari, a nulla rilevando se alcune di queste, per effetto del frazionamento, vengano a trovarsi in posizione di non immediata contiguità con il fondo servente.

2 –  Gli eventuali 

Onerosità–il negozio costitutivo della servitù è normalmente oneroso, ma non è escluso che la servitù possa essere concessa gratuitamente.

Perpetuità–come si evince dall’art. 1074

art. 1074 c.c.   impossibilità di uso e mancanza di utilità: l’impossibilità di fatto di usare della servitù e il venir meno dell’utilità della medesima non fanno estinguere la servitù, se non è decorso il termine indicato dall’articolo precedente (20 anni).

L’arcaica perpetuità e diventata oggi soltanto permanenza, nel senso che la servitù, limitata nel tempo, perdura finché non intervenga una delle cause di estinzione stabilite dalla legge.

Anche se non è testualmente previsto, il negozio costitutivo di servitù, come ogni negozio che non sia actus legittimus, può essere sottoposto a termine finale o a condizione risolutiva.

Vicinanza dei fondi

non v’è dubbio che la vicinanza non deve essere trascurata, ma si deve intendere in funzione della possibilità di esercizio.

Bisogna, cioè, vedere nelle singole ipotesi se tra i due fondi interceda una distanza tale che renda possibile la servitù stessa.

Per alcune servitù, infatti, è necessaria non soltanto la vicinanza, ma addirittura la contiguità (si pensi alla servitù di appoggio, di immissione, di travi, di stillicidio), mentre per le altre (di non fabbricare, di luci, di prospetto) è richiesta una distanza tale da renderne possibile l’esercizio.

Vi sono, poi, servitù, come l’acquedotto ed il pascolo, in cui la distanza non è certo di ostacolo al loro esercizio.

Secondo la S.C.[17]una servitù di passaggio può costituirsi anche tra due fondi, non contigui, senza che sia contestualmente costituita sul fondo interposto tra essi. Infatti, il requisito della contiguità deve essere inteso non nel senso letterale di materiale aderenza tra essi, ma in quello giuridico di possibilità di vantaggio da parte del fondo servente a favore del fondo dominante, poiché il proprietario del fondo dominante può esercitare ad altro titolo il passaggio sul fondo intermedio ovvero acquistare successivamente il relativo diritto di servitù.

Principio confermato da altra pronuncia recente (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 1 agosto 2013, n. 18426) secondo la quale, appunto, una servitu’ di passaggio puo’ costituirsi anche tra due fondi, non contigui, senza che sia contestualmente costituita sui fondo interposto tra essi. “Infatti, il requisito della contiguita’ deve essere inteso non ne senso letterale di materiale aderenza tra essi, ma in quello giuridico di possibilita’ di vantaggio da parte del fondo servente a favore del fondo dominante, poiche’ il proprietario del fondo dominante puo’ esercitare ad altro titolo il passaggio sul fondo intermedio ovvero acquistare successivamente il relativo diritto di servitu’ . In tal senso va dunque intese il requisito della servitu’ prediale compendiato nel noto brocardo “praedia vicina esse debent”.

C)  L’oggetto

Per fondi devono intendersi non solamente i fondi rustici, come il termine sembrerebbe suggerire, ma tutti gli immobili in genere, sia rustici che urbani.

È stato altresì precisato[18] che il divieto contenuto nell’art. 846 c.c. di costituire diritti reali su parti di terreni di estensione inferiore alla minima unità colturale, non riguarda anche la costituzione di servitù, perché siffatto diritto reale non importa quel frazionamento nella gestione dei fondi che il legislatore ha voluto impedire.

L’inalienabilità dei beni demaniali (art. 823 c.c.) comporta la nullità radicale di qualsiasi atto posto in essere in violazione di tale principio; ciò non esclude, però, la possibilità, che gli stessi formino oggetto di atti amministrativi costitutivi di diritti a favore di terzi.

In altri termini, i beni demaniali non possono formare oggetto di contratto di diritto privato, bensì di atti concessori suscettibili di modifica e di revoca autoritativa da parte della P.A..

Inammissibilità di servitù su piantagioni

Dovendo ogni servitù essere costituita su fondi, non è possibile costituirla rispetto alle piantagioni considerate come entità distinte dal suolo.

Ciò è confermato dall’art. 956 c.c., ove è negata la possibilità di una proprietà superficiaria rispetto alle piantagioni.

Inammissibilità delle servitù aziendali  –

La servitù aziendale, potrebbe essere consentita sotto la forma della servitù industriale prevista dalla seconda parte dell’art. 1028, ove è detto che l’utilità può anche essere inerente alla destinazione industriale del fondo.

Ma in tal caso, è necessario che il fondo si trovi in una tale relazione con l’attività industriale per cui l’utilità della servitù si traduce in un incremento dell’utilizzazione del fondo stesso nella sua destinazione industriale.

L’eventuale contratto con il quale s’imponga ad un soggetto di consentire un’attività a favore di una determinata azienda (si fa l’esempio del diritto di appoggiare un’insegna luminosa a vantaggio di un negozio vicino), non configura un atto costitutivo di servitù, ma comporta soltanto la produzione di un’obbligazione di carattere personale.

Secondo la giurisprudenza di merito[19] la servitù aziendale (appartenente al genere delle c.d. servitù irregolari), spettante – indipendentemente dal fondo – dell’azienda in quanto complesso di beni organizzato all’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, non è recepita dal codice civile ma si realizza in un contratto finalizzato alla produzione di obbligazioni personali.

Servitù di non concorrenza  –

È tutt’ora oggetto di discussione se siano consentite le c.d. servitù di non concorrenza, ossi dei patti contenenti un divieto di concorrenza a carico di un fondo sul quale si eserciti una certa attività imprenditoriale a  favore di un altro fondo sede di un’attività concorrente.

Si domanda, in altri termini, se questi patti diano o non luogo a servitù negative.

Nonostante dubbi ed incertezze, questi patti sono stati considerati servitù, ma solo a condizione che l’obbligo di non facere sia imposto a soggetto passivo non come persona, bensì in quanto proprietario del fondo servente e l’utilitas riguardi necessariamente un fondo compreso in un’azienda come suo fattore produttivo, non come semplice sede.

Se, invece, i patti di non concorrenza sono previsti a vantaggio dell’azienda in quanto tale (indipendentemente dall’inerenza passiva al fondo servente), non è ammissibile la configurazione di una servitù: il relativo contratto ha effetti meramente obbligatori e dà luogo ad un patto di non concorrenza, valido nei limiti di tempo e di spazio o di attività con cui tale patto è ammesso dall’art. 2596.

Così si è espressa la S.C.[20] affermando che la servitù industriale e caratterizzata dalla particolare utilitas conseguita in concreto dal fondo dominante sicchè un divieto di costruire determinate opere ed installazioni atte all’Esercizio di una attività produttiva, a tutela dell’analoga destinazione industriale del fondo dominante, non può non indurre a configurare, nel concorso di tutti gli altri requisiti,una servitù industriale di non concorrenza. La configurabilità della detta servitù deve, peraltro, escludersi, per il difetto dei necessari requisiti dell’inerenza prediale attiva della utilitas e dell’inerenza prediale passiva del peso corrispondente,nell’ipotesi in cui la durata del divieto sia pattiziamente limitata al tempo in cui una determinata attività industriale sia esercitata dall’attuale proprietario di uno dei fondi e non sia posta alcuna limitazione all’Esercizio dell’attività dominicale da parte del proprietario dell’altro fondo.

La collocazione di sporti sulla colonna d’aria altrui

Infine, per altra Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 16 ottobre 2012, n. 17680

riprendendo un principio già espresso è stato dichiarato che la collocazione di sporti sulla colonna d’aria altrui non integra una servitù considerato che il calcolo delle distanze delle nuove costruzioni dalle altrui vedute ai sensi del l’art. 907 c.c. che richiama l’art. 905 cod. civ. va operata dalla faccia esteriore del muro nel quale si aprono le vedute dirette e non già dal punto di massima sporgenza delle stesse che si aprono “a compasso” verso l’esterno. Piuttosto, la collocazione degli sporti di cui si dice integra gli estremi di un’attività regolamentata dall’art. 840 c.c. e con valutazione di merito la sentenza, in presenza di un’oggettiva utilità, ha escluso l’esistenza di un atto emulativo, nonostante, non sembra che sia stato dedotto che gli infissi non avevano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia altrui. Così deciso dalla Cassazione, con ultima pronuncia

D)  Le principali distinzioni delle servitù

1 –  affermative – negative

 affermative

il potere del titolare del diritto si realizza mediante una facoltà positiva (un facere[21] o un habere) nei confronti del fondo del fondo servente, mentre il titolare di questo è tenuto a non impedire l’esplicazione di quella attività positiva e tollerarla (pati).

negative

l’utilità del fondo dominante consiste nel potere di ottenere nei confronti del titolare del fondo servente l’astensione dallo svolgere sul proprio fondo una certa attività (non facere).La distinzione rileva particolarmente in sede di estinzione perché l’art. 1073, 2 co, stabilisce che per le servitù negative il non uso decorre dal giorno in cui si è verificato un fatto che ne ha impedito l’esercizio.

 2 –  apparenti – non apparenti 

art. 1061 c.c.  servitù non apparenti: le servitù non apparenti non possono acquistarsi per usucapione (1158, att. 158) o per destinazione del padre di famiglia (1062).

Non apparenti sono le servitù quando non si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio.

 

 apparenti

–        servitù d’acquedotto

–        servitù di sporto

–        servitù di stillicidio

–        servitù di tenere piante a distanza minore di quella legale;

non apparenti

–        alius non tollendi

–        non aedificandi

–        di passaggio quando manchi un sentiero di collegamento.

Requisito essenziale

Il requisito dell’apparenza della situazione di asservimento necessaria per la costituzione della servitù, ad esempio, per destinazione del padre di famiglia è legato, ai sensi dell’art. 1061, secondo comma, cod. civ., all’oggettiva visibilità delle opere destinate all’esercizio della servitù e prescinde, quindi, dalla conoscenza, in concreto, della loro esistenza da parte del proprietario del fondo che si assume asservito, dipendendo, piuttosto, da univoci segni obiettivamente visibili, anche se solo saltuariamente ed occasionalmente, dall’esterno o da un luogo in cui il proprietario del predetto fondo abbia potere di accedere liberamente[22].

Secondo altra sentenza di merito[23] il requisito dell’apparenza richiesto per la possibilità di usucapione di un diritto reale minore esige che l’opera riveli l’esistenza della servitù che, in altre parole, siano percepibili all’esterno opere permanenti che, per struttura e consistenza si rivelino in modo inequivoco destinate all’esercizio della servitù medesima. Nell’ottica di siffatto sistema, la mera circostanza che il proprietario sia a conoscenza dell’opera come effettivamente realizzata non vale certo a rendere “apparente” – e conseguentemente usucapibile – ai sensi e per gli effetti dell’art. 1067 c.c. quella situazione di asseverimento di fatto non apparente, dovendosi, a tal fine, si ripete, unicamente apprezzare opere oggettivamente ed esternamente percepibili tali da conclamare l’asservimento del fondo.

Inoltre secondo altro Tribunale[24] il requisito dell’apparenza della servitù, richiesto ai fini dell’acquisto di essa per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, art. 1061 c.c., si configura come presenza di segni visibili di opere di natura permanente, obiettivamente destinate al suo esercizio e che rivelino in maniera non equivoca l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, dovendo le opere naturali o artificiali rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria e senza l’animus utendi iure servitutis, ma di un onere preciso a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al contenuto di una determinata servitù. Ove si tratti di un cancello o di un portone siti nel fabbricato del vicino, per definire apparente la servitù di passaggio, non basta l’esistenza dell’opera, che può essere anche utilizzata per il passaggio soltanto dal proprietario ma è necessario che tali opere risultino specificamente destinate all’esercizio della servitù.

Secondo altra sentenza di Cassazione (sez. II, sentenza 10/03/2011 n. 5733) il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 c.c.), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile. Ne consegue che non è al riguardo sufficiente l’esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, essenziale viceversa essendo che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante e, pertanto, un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù” (v. Cass., 11 febbraio 2009, n. 3389; Cass., 10 luglio 2007, n. 15447; Cass., 28 settembre 2006, n. 21087; Cass., 17 febbraio 2004, n. 2994).

Cassazione, sez. II, sentenza n. 5733, del 10/3/2011

3 –  continue – discontinue 

 continue

la servitù  il cui esercizio prescinde dall’intervento dell’uomo.

Per definizione, dunque le servitù negative sono sempre continue, mentre non tutte le servitù continue sono negative, distinguendosi, a tal proposito, tra le servitù per cui è necessario il fatto iniziale dell’uomo e servitù per cui non è necessaria alcuna attività.

discontinue

è necessario il fatto dell’uomo affinché si produca il risultato cui la costituzione della servitù è finalizzata.

La distinzione ha il suo rilievo in tema d’estinzione per non uso perché l’art. 1073  2 co Il termine decorre dal giorno in cui si è cessato di esercitarla; ma, se si tratta di servitù negativa o di servitù per il cui esercizio non è necessario il fatto dell’uomo, il termine decorre dal giorno in cui si è verificato un fatto che ne ha impedito l’esercizio”.

 4 –  volontarie – coattive 

volontarie[25]

 coattive

quando la legge attribuisce il diritto di ottenere la costituzione di servitù sopra il fondo di altro proprietario, senza il bisogno di costui (art. 1032 c.c.)queste servitù a differenza delle volontarie, che sono atipiche, hanno il loro ambito limitato alle ipotesi espressamente previste dal legislatore.

 5 –  pubbliche – private

pubbliche

rientrano tra i c.d. diritti di uso pubblico i quali vanno distinti dalle servitù prediali, perché non esiste un fondo dominante.

Questi diritti hanno, infatti, natura di  diritti reali di godimento su fondi privati, ma sono a favore di tutti i soggetti appartenenti ad una certa comunità, la quale è rappresentata  dall’ente pubblico territoriale che ne è titolare.Tali servitù possono essere costituite, appunto, anche per atto pubblico, difatti secondo una recente sentenza di merito[26], deve essere qualificato come atto idoneo a costituire una servitù di uso pubblico il contratto di compravendita immobiliare con il quale il Comune, nel cedere all’acquirente la proprietà di un immobile con le relative adiacenze, faccia espressa menzione della fascia di terreno (come collocata) “soggetta a pubblico passaggio”. L’adozione di tale dizione, infatti, non può che essere interpretata nel senso di vincolare, all’atto del trasferimento del compendio immobiliare nel suo complesso, una porzione di esso all’uso pubblico, di costituire, in parole semplici, una servitù di passaggio. Tale vincolo risulta, in quanto tale, opponibile a tutti i soggetti subentrati successivamente nella proprietà del fondo servente ove, ovviamente, risulti espressamente trascritto (nel caso di specie con la medesima dizione contenuta nell’atto di compravendita e sopra indicata) presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari.

private

6 –  attive – passive

attive

è la posizione di chi concede la servitù

passive

è la posizione di chi subisce la servitù

E)   Soggetti legittimati a costituire servitù

Attive

1 –  proprietario
È evidente che il proprietario può acquistare a favore del proprio fondo ogni servitù, non essendo in questa sua posizione giuridica, vincolato alla presenza di altri soggetti.
2 –  nudo proprietario
Ex art. 1060 c.c.

art. 1060 c.c.   servitù costituite dal nudo proprietario: il proprietario può, senza il consenso dell’usufruttuario, imporre sul fondo le servitù che non pregiudicano il diritto di usufrutto (981, 1078).

3 –  comproprietario 

Le servitù attive possono essere costituite anche da un solo condomino,

1)     se sono a titolo gratuito, come hanno affermato sia la dottrina che la giurisprudenza;ciò è confermato dal 1 co dell’art. 1102, secondo il quale il partecipante può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.

2)     Se, invece, è a titolo oneroso, sarà necessaria la maggioranza qualificata prevista dal 1 co  dell’art. 1108.

Ad esempio[27]in materia di condominio di edifici, le parti comuni dello stabile sono strumentali al godimento delle proprietarie solitarie e ciascun condomino può goderne purché rispetti la loro destinazione economica, il diritto degli altri partecipanti ad un pari godimento delle stesse, la stabilità, la sicurezza ed il decoro dell’edificio condominiale, nonché le proprietà esclusive degli altri partecipanti al condominio. In particolare, con riferimento al caso concreto, rilevato che i muri perimetrali costituiscono parti comuni dell’edificio, l’utilizzazione che i condomini possono farne deve rispondere al criterio fissato dall’art. 1102 c.c., ai sensi del quale ciascun partecipante al condominio può utilizzare il bene comune solo per il miglior godimento della parte del fabbricato di sua proprietà a patto che non ne alteri la destinazione e non leda il diritto di ciascun condomino di farne parimenti uso, alla luce, altresì, del principio secondo cui i rapporti condominiali sono informati al principio di solidarietà che richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. L’esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti dell’art. 1102 c.c., deve esaurirsi nella sfera giuridica del diritto di comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre proprietà del medesimo condomino, perché in tale ipotesi si verrebbe ad imporre una servitù sulla cosa comune per la cui costituzione è indispensabile il consenso di tutti i condomini. Nel caso in esame, relativo alla richiesta di rimessione in pristino dello stato dei luoghi relativamente alla installazione di tubazioni di scarico fognario nel muro comune, il Tribunale, sulla base delle risultanze di apposita CTU, in accoglimento della domanda di parte attrice, condanna i convenuti alla rimozione delle tubazioni per cui è causa, con conseguente rimessione in pristino dello status quo ante.

Inoltre, secondo la S.C.[28] in applicazione del principio secondo il quale, in tema di comunione, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità maggiore e più intensa di quella tratta eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso – e senza che tale uso più intenso sconfini nell’esercizio di una vera e propria servitù -, deve ritenersi che l’apertura di due porte su muri comuni per mettere in comunicazione l’unità immobiliare in proprietà esclusiva di un condomino con il garage comune rientra pur sempre nell’ambito del concetto di uso (più intenso) del bene comune, e non esige, per l’effetto, l’approvazione dell’assemblea dei condomini con la maggioranza qualificata, senza determinare, a più forte ragione, alcuna costituzione di servitù.

4 –  titolari di diritti reali limitati (usufruttuario– superficiario)

art. 1078 c.c.    servitù costituite a favore del fondo enfiteutico, dotale o in usufrutto: le servitù costituite dall’enfiteuta a favore del fondo enfiteutico non cessano con l’estinguersi dell’enfiteusi. Lo stesso vale per le servitù costituite dall’usufruttuario a favore del fondo di cui ha l’usufrutto o dal marito a favore del fondo dotale (166 bis).

La costituzione di servitù da parte dei titolari dei descritti diritti reali parziali si ritengono costituite dunque fin dall’inizio come accessorie del diritto di proprietà e, pertanto, anche a favore del nudo proprietario, con la conseguenza che non possono essere oggetto di rinunzia da parte dell’enfiteuta, o dell’usufruttuario in quanto costoro non possono disporre del diritto che spetta anche al proprietario.

5 –  esclusione del titolare di diritti reali (servitù) e personali sul fondo

Per quanto attiene ai titolari di diritti personali sul fondo, in particolare al conduttore, si ritiene che egli non abbia legittimazione, in quanto, non avendo un ius in re, non ha disponibilità della cosa.Potrà costituire soltanto un diritto reale di godimento.

Inoltre, per il titolare di altro diritto reale per recente S.C. (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 17 febbraio 2012, n. 2358) poiché il diritto di servitù ha ad oggetto un peso reale, che grava su un immobile per l’utilità di un altro, non rientra nelle facoltà del proprietario del fondo dominante consentire a terzi il passaggio sul fondo servente per accedere a fondi diversi da quello a vantaggio del quale è costituita la servitù.

Principio già espresso in altra pronuncia (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 21 giugno 1995, n. 7034) secondo la quale il proprietario del fondo dominante non può consentire a terzi, senza il consenso del proprietario del fondo servente, l’utilizzazione delle opere e degli impianti da lui predisposti in tale fondo per l’esercizio della servitù perchè tale utilizzazione non si risolve in un maggior uso della servitù, ammesso, ai sensi dell`art. 1067 cod. civ., fino a quando non aggrava la posizione del fondo servente, ma nell’esercizio, a vantaggio dei fondi dei terzi, di una nuova e diversa servitù che il proprietario del fondo dominante, cui è consentito di usare la servitù solo a vantaggio del proprio fondo, non ha il potere di imporre neppure cedendo in tutto o in parte il suo diritto reale limitato (di servitù), che è, per sua natura, inalienabile senza la proprietà del fondo al quale serve (nella specie, il proprietario di un edificio dotato di una condotta che, attraversando il fondo confinante, si immetteva in un canale pubblico di scolo, aveva attribuito ad un terzo proprietario di un vicino fabbricato il diritto di innestare nella condotta i tubi di scarico del proprio immobile.

PASSIVE

1 –  proprietario

È legittimo per l’evidente ragione che il diritto di proprietà ha un contenuto comprensivo di facoltà corrispondenti a qualsiasi tipo di servitù

2 –  nudo proprietario

Il proprietario non può costituire servitù che possono pregiudicare l’esercizio di tali diritti reali speciali senza il consenso dell’altra parte.

3 –  comproprietario

art. 1059 c.c.    servitù concessa da uno dei comproprietari: la servitù concessa da uno dei comproprietari di un fondo indiviso non è costituita se non quando gli altri l’hanno anch’essi concessa unitamente o separatamente (1108).

La concessione, però, fatta da uno dei comproprietari, indipendentemente dagli altri, obbliga il concedente-e i suoi eredi o aventi causa a non porre impedimento all’esercizio del diritto concesso.

La giurisprudenza successivamente ha ritenuto che quando un condomino concede una servitù su fondo senza consenso degli altri, è vero che la servitù vera e propria non si costituisce, ma l’acquirente diviene ugualmente titolare di un diritto reale sia pure sui generis.

Si afferma che questo diritto del concessionario inerisce certamente al fondo in condominio, in quanto è esercitatile direttamente su questo, come risulta dal fatto che sono sottoposti a subire il suo esercizio non solo il concedente ed i suoi eredi, ma anche gli aventi causa dal concedente e, cioè, coloro ai quali venga trasferita a titolo particolare la quota conDominiale già a costui spettante.

4 –  enfiteuta

Quando sul fondo esiste un diritto di enfiteusi, la legittimazione alla costituzione della servitù spetta non al proprietario bensì all’enfiteuta, il quale ha diritto di godere pienamente della cosa.

art. 1077 c.c.   servitù costituite sul fondo enfiteutico: le servitù costituite dall’enfiteuta sul fondo enfiteutico cessano quando l’enfiteusi si estingue per decorso del termine, per prescrizione o per devoluzione (958, 970, 972).

Se, invece, l’enfiteusi si estingue per altre cause (ad esempio, affrancazione), tali da conservare all’originario enfiteuta (ora pieno proprietario) il rapporto reale con quel fondo, la servitù da lui costituita non si estingue.

Lo stesso accade qualora la servitù sia concessa sia dal proprietario che dall’enfiteuta.

5 –  superficiario

La dottrina distingue tra

1)     diritti reali costituiti prima della costruzione (ossia sullo ius aedificandi).

In tal caso si afferma, infatti che il superficiario, quale titolare del diritto di costruire sul suolo altrui e di mantenervi la costruzione, può costituire solo quelle servitù che non limitano il diritto del proprietario del suolo.

2)     Diritti reali costituiti dopo la costruzione (ossia sulla proprietà superficiaria)

Per tale evenienza il proprietario superficiario potrà costituire servitù di qualunque genere a favore o a carico della costruzione, limitatamente alla durata del diritto di superficie

6 –  esclusione dell’usufruttuario

Su di un piano strettamente teorico può ammettersi la costituzione di una servitù passiva da parte dell’usufruttuario, purché essa sia limitata nel tempo al periodo per cui dura l’usufrutto e non importi un mutamento nella destinazione economica della cosa.Tuttavia il codice ha espressamente voluto disconoscere all’usufruttuario la facoltà di costituire servitù passive, facendo seguire immediatamente all’art. 1077 (che regola la sorte delle servitù costituite dall’enfiteuta o non contempla affatto l’ipotesi di servitù costituite dall’usufruttuario), l’art. 1078 il quale, invece, dispone, relativamente alle servitù acquistate dall’enfiteuta a favore del fondo da lui goduto e contempla anche le servitù acquistate dall’usufruttuario.

F)   Costituzione del diritto di servitù

 

art. 1058 c.c.     modi di costituzione: le servitù prediali possono essere costituite per contratto (1061, 1321, 1350 n. 4, 2643 n. 4) o per testamento (649 e seguenti, 2648).

Non esiste un contratto tipico costitutivo di servitù per l’evidente ragione che la servitù rappresenta solo uno dei possibili oggetti (come la proprietà) dei contratti ad effetti reali:

1)     vendita,

2)     permuta,

3)     dazione in pagamento,

4)     donazione,

5)     regolamento (condominiale[29]),  in merito la S.C.

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 aprile 2012, n.6582.

ha precisato che è da escludere che un regolamento di condominio, per sua natura finalizzato a disciplinare l’uso dei beni comuni da parte dei condomini, possa costituire un diritto di servitù su di un bene comune in favore di un bene di proprietà esclusiva di uno dei condomini.

Mentre, altra  Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione II civile, 18 ottobre 2016, n. 21024

in merito ha precisato che la previsione contenuta in un regolamento condominiale convenzionale di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino, deve essere ricondotta alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obligationes propter rem, non configurandosi in tal caso il presupposto dell’agere necesse nel soddisfacimento d’un corrispondente interesse creditorio. Pertanto, l’opponibilità ai terzi acquirenti di tali limiti va regolata secondo le norme proprie della servitù, e dunque avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, indicando nella nota di trascrizione, ai sensi degli artt. 2659, primo comma, n. 2, e 2665 c.c., le specifiche clausole limitative, non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale

Invece, con ulteriore altra pronuncia la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 11 luglio 2016, n. 14131

in linea generale ha avuto modo di precisare che

a) I modi di costituzione delle servitu’ prediali sono tipici, sicche’ il riconoscimento, da parte del proprietario di un fondo, della fondatezza dell’altrui pretesa circa la sussistenza di una servitu’ mai costituita e’ irrilevante ove non si concreti in un negozio idoneo a far sorgere la servitu’ in via convenzionale; del pari, e’ inidonea a costituire la servitu’ la confessione di uno dei comproprietari del fondo servente circa l’esistenza della stessa, non essendo ipotizzabile l’estensione a terzi di effetti inesistenti;

b) la confessione non puo’ supplire la mancanza dell’atto scritto che sia richiesto ad substantiam per un determinato negozio.

I modi  negoziali

1 –  contratto

A –  non è a prestazioni corrispettive nel caso della compravendita

Dal contratto di costituzione di servitù deriva a carico di una delle parti il dovere di eseguire una prestazione.Per il legittimato del fondo servente consiste, a seconda della servitù che si va a costituire, a non impedire l’esplicazione di quella attività positiva (in un facere o in un hebere  da parte del titolare del fondo dominante) e tollerarla (pati) oppure astenersi dallo svolgere sul proprio fondo una certa attività (non facere).

B – solenne

È necessaria la forma scritta ad substantiamIn tale contratto deve essere contenuta l’enunciazione di tutti gli elementi idonei ad identificare la servitù stessa.Non sono necessarie determinate espressioni forma ma è sufficiente che risulti chiaramente l’indicazione dei fondi serventi e dominanti, l’estensione e le modalità di esercizio e la determinazione del peso imposto.

Altro presupposto necessario del contratto di servitù è la solennità.

In altri termini è necessaria la forma scritta ad substantiam e la successiva trascrizione ex art. 2643 c.c., n. 4), ai fini dell’opponibilità.

Ma sul punto è opportuno già segnalare che per la S.c. (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 28 aprile 2011, n. 9457, Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 21 febbraio 1996, n. 1329)  la servitù volontariamente costituita, per essere opponibile all’avente causa dell’originario proprietario del fondo servente, deve essere stata trascritta o espressamente menzionata, quando manca tale trascrizione, nell’atto di trasferimento al terzo del fondo medesimo, rimanendo, altrimenti, vincolante solo tra le parti.

In realtà, però secondo la S.C.[30] l’esigenza che nell’atto costitutivo di una servitù siano specificamente indicati tutti gli elementi di questa non implica la necessità della espressa indicazione ed analitica descrizione del fondo servente e di quello dominante essendo sufficiente che i predetti elementi siano comunque desumibili dal contenuto dell’atto e siano quindi determinabili attraverso i consueti strumenti ermeneutici, il fondo dominante, quello servente, ed il contenuto dell’assoggettamento di quest’ultimo all’utilità del primo. Tale attività interpretativa, concretandosi in un’indagine sull’effettiva volontà dei contraenti in ordine all’eventuale costituzione di una servitù prediale, costituisce accertamento di fatto sindacabile in sede di legittimità solo per motivazione incongrua o affetta da errori logici o per inosservanza delle regole di ermeneutica.

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 4 settembre 2020, n. 18465

ai fini della costituzione convenzionale di una servitu’ prediale non si richiede l’uso di formule sacramentali, di espressioni formali particolari, ma basta che dall’atto scritto si desuma la volonta’ delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario, sempre che l’atto abbia natura contrattuale, che rivesta la forma stabilita dalla legge ad substantiam e che da esso la volonta’ delle parti di costituire la servitu’ risulti in modo inequivoco, anche se il contratto sia diretto ad altro fine” (Sez. 2, Ord. n. 10169 del 2018, Sez. 2, Sent. n. 9475 del 2011)..

C – consensuale

Esso si perfeziona, infatti con il semplice consenso delle parti

Secondo la Corte di Piazza Cavour[31], inoltre, l’estensione di una servitù convenzionale e le modalità del suo esercizio devono essere desunte dal titolo, da interpretarsi con i criteri dettati dagli art. 1362 e segg. cod. civ., non potendo assumere alcun rilievo il possesso, che è criterio idoneo per stabilire il contenuto soltanto delle servitù acquistate per usucapione. Tuttavia, ove la convenzione non consenta di dirimere i dubbi al riguardo, la servitù acquistata in base a titolo negoziale deve reputarsi costituita, ai sensi dell’art. 1065 cod. civ., in modo da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minore aggravio del fondo servente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con motivazione immune da vizi giuridici e logici, aveva ricostruito l’esatta estensione della servitù di passaggio, costituita con atto notarile, in forza della sola interpretazione del negozio)

2 –  Testamento

Si tratta precisamente di un legato di servitù che potrà essere sia un legato reale (il  de cuius costituisce la servitù sul proprio fondo) sia un legato obbligatorio (quando il testatore imponga all’erede o al legatario di concedere ad un terzo una servitù su un fondo loro attribuito per successione). In questa seconda ipotesi qualora il successore si rifiuti di stipulare il contratto, il terzo beneficiario potrà ottenere la sentenza costitutiva dall’art. 2932.

I modi non negoziali

3 –  Usucapione

A seguito del possesso continuato per oltre vent’anni ovvero per dieci qualora l’acquirente della servitù acquisti da chi non è proprietario del fondo servente, in forza di un titolo idoneo a costituire la servitù e debitamente trascritto.

In particolare per la Cassazione

(Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 23 gennaio 2012, n. 879)

la presenza di opere visibili e permanenti indicative di un transito, configura requisito ai fini dell’acquisto della servitù di passaggio per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, non anche per la tutela possessoria del passaggio medesimo, essendo all’uopo sufficiente la prova dell’effettuazione di detto transito sul bene altrui.

Principio ripreso da altra  pronuncia

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 17 marzo 2014, n. 6180

secondo la quale, appunto, il solo passaggio su un fondo, se non accompagnato da opere visibili e permanenti finalizzate a tale passaggio non puo’ condurre all’acquisto della relativa servitu’ per usucapione. Neppure possono essere equiparate ad opere visibili e permanenti le autovetture e le merci eventualmente depositate nel cortile della proprietaria attrice.

Per recente sentenza di merito, Tribunale di Trento, sentenza del 6 giugno 2014 n. 655, ai fini dell’acquisizione per usucapione di una servitù di passaggio, nel caso in cui il tracciato serva anche altri fondi – fra cui quello supposto servente – l’attore deve provare l’esistenza di altre opere permanenti al suo servizio.

La sentenza di merito ricorda che per costante insegnamento giurisprudenziale (Cassazione n. 11020/91) in linea generale «il requisito dell’apparenza della servitù richiesto ai fini dell’acquisto di essa per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (articolo 1061 del codice civile) si configura come presenza di segni visibili di opere di natura permanente, obiettivamente destinate al suo esercizio e che rivelino in maniera non equivoca l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, dovendo le opere naturali o artificiali rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria e senza l’animus utendi iure servitutis, ma di un onere preciso a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al contenuto di una determinata servitù».

In merito, poi, al fondo dominante, sempre si legge nella sentenza in commento
– con specifico riguardo alla servitù di passaggio, i giudici di Piazza Cavour hanno precisato che pur non essendo necessaria la presenza di particolari manufatti (come la costituzione di un fondo stradale o almeno di un acciottolato) «non è sufficiente l’esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, essenziale viceversa essendo che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, e, pertanto, un “quid pluris” che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù» (Cassazione n. 13238/10). E ancora, «quando le opere insistenti sul fondo assunto servente, quali la struttura ed il tracciato del sentiero, risultino di per sé preordinate all’utilità del fondo stesso o di altro fondo contiguo appartenente al medesimo proprietario, l’apparenza della servitù in favore del fondo assunto dominante non può estrinsecarsi se non in altre opere visibili e permanenti, diverse dal sentiero insistenti sul fondo assunto servente o sullo stesso fondo assunto dominante e tali da rivelare la destinazione del sentiero anche al servizio di quest’ultimo» (Cassazione n. 6207/98).


D
opo aver fatto il punto sulle indicazioni della giurisprudenza di legittimità, nel caso di specie il tribunale ha statuito che «gli attori non hanno provato che la strada oggetto di causa, nella parte insistente sul fondo della convenuta, ha avuto, per tutto il tempo richiesto dall’art. 1158 c.c., struttura e andamento in grado di renderne oggettivamente evidente la realizzazione in funzione dell’accesso ai pretesi fondi dominanti».

Inoltre, per altra Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 17 novembre 2014, n. 24401

in tema di acquisto per usucapione, ai sensi dell’art. 1061, comma 1, c.c., di una servitù di veduta, le opere permanenti destinate al relativo esercizio devono essere visibili in maniera tale da escludere la clandestinità del possesso e da far presumere che il proprietario del fondo servente abbia contezza della situazione di obiettivo asservimento della sua proprietà, per il vantaggio del fondo dominante. Il requisito di visibilità, pertanto, può far capo ad un punto d’osservazione non necessariamente coincidente col fondo servente, purché il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili da una vicina via pubblica.

Si continua a legger nella sentenza menzionata che l’art. 905, 1 comma c.c., stabilendo che non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso “e neppure sopra il tetto del vicino”, ammette implicitamente che anche la semplice veduta su di un tetto costituisce un peso, legittimo soltanto se assistito dal corrispondente diritto di servitù.
Quest’ultimo attribuisce al fondo dominante l’utilitas dell’inspectio e della prospectio in alienum, cui corrisponde per il fondo servente il peso costituito dalla limitazione della riservatezza che da ciò deriva. Tale peso grava sul fondo servente che sia edificato o non, indipendentemente dalla destinazione ad attività civili o produttive. E grava su di esso nella sua interezza economico-giuridica (cfr. Cass. nn. 988/95 e 2970/87), e non già sulle sole porzioni sensibili alla perdita di riservatezza.
Non rileva, dunque, che il peso sia o non avvertibile nelle parti del fondo servente che maggiormente vi sono esposte, e ciò è ancor più vero nel caso di veduta sul tetto, dal quale normalmente la veduta stessa non è percepibile (in tale direzione, il precedente specifico di Cass. n. 319/82 afferma che l’apertura di vedute in violazione del disposto dell’art. 905 c.c. sul tetto di proprietà esclusiva di un condomino, non esclude il pregiudizio degli altri condomini i quali, pertanto, possono agire in negatoria servitutis, in quanto i vincoli che derivano da una veduta non incidono soltanto sul proprietario del tetto, dal momento che come fondo servente deve essere considerato l’intero immobile condominiale, nel suo complesso e nella sua unità strutturale e funzionale).
Ma allora vuoi dire che è sufficiente che le opere destinate all’esercizio della servitù siano visibili da qualsivoglia altro punto d’osservazione, anche esterno al fondo servente, purché il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili da una vicina via pubblica. L’esigenza di conoscibilità oggettiva del peso è ugualmente soddisfatta anche in tale ipotesi.

Nello specifico caso della servitù di veduta è stato, altresì, affermato dalla Corte (Cass. n. 5671/77) che le finestre che si aprono nel muro perimetrale di confine debbono considerarsi obiettivamente visibili dal fondo vicino, oggetto della veduta. Ove in questo esista una costruzione coperta da tegolato, per giungere a ritenere la non visibilità di tali finestre e la non usucapibilità della relativa servitù di veduta, deve essere dimostrata l’esistenza di una situazione di fatto tale che il proprietario del fondo oggetto della veduta non abbia avuto possibilità alcuna di vederle o notarle da alcun luogo viciniore e, altresì, si sia trovato in condizione di non dover accedere sul tegolato nel periodo di maturazione dell’usucapione avversa. Questo accertamento, da farsi caso per caso, deve tener conto non solo dei luoghi viciniori che normalmente o comunque concretamente sono frequentati o erano frequentabili dal proprietario del fondo suddetto, ma, in particolare e per il solo caso in cui ogni altra possibilità sia da escludere, deve aver riguardo al comportamento di diligenza che il proprietario stesso deve tenere circa l’ispezione, il controllo e la riparazione del tegolato, secondo le condizioni di vetustà e le modalità di costruzione del medesimo.

E’ stato, poi, specificato da altra Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 29 aprile 2015, n. 8725

che gli artt. 1061 e 1062 cod. civ., che consentono l’acquisto per usucapione e per destinazione del padre di famiglia delle servitù apparenti, anche se discontinue (nella specie, servitù di passaggio), hanno carattere innovativo rispetto all’art. 630 del codice civile del 1865, che disponeva che le servitù continue non apparenti e le servitù discontinue, apparenti o meno, non potevano costituirsi se non mediante titolo. Ne consegue che le citate norme del vigente codice civile non possono trovare applicazione rispetto a situazioni esauritesi in epoca anteriore alla sua entrata in vigore.

La costituzione di servitù in virtù di atti materiali con conseguente adesione (rectius ratifica) da parte del titolare del diritto –

Ad esempio in ambito condominiale la comproprietà del muro condominiale implica, in applicazione dell’art. 1102 c.c., la facoltà per ciascun condomino di procedere anche all’apertura di un varco di accesso in esso, al fine di consentire, evidentemente, un migliore utilizzo di tale cosa comune. Tale apertura, tuttavia, non può realizzare una diretta comunicazione con altro immobile attiguo di proprietà del medesimo condomino che ha proceduto ad effettuare l’apertura e ricompresso in un diverso e distinto edificio condominiale. Pretendere la legittimità di siffatto operato, invero, comporterebbe la creazione, a favore dell’immobile estraneo ed a carico del Condominio proprietario del muro un diritto reale di servitù di passaggio, inammissibilmente gravoso e pregiudizievole, non considerando che, comunque, sarebbe necessaria l’adesione di ogni singolo comproprietario[32].

La riserva di servitù –

Si ha quando il proprietario di un immobile nell’atto di alienazione, costituisce una servitù a favore di un altro immobile di sua proprietà.

Questa ipotesi di riserva differisce dunque nettamente da quella espressamente prevista dal legislatore, vale a dire al riserva di usufrutto (art. 796), perché, nel caso in esame, l’alienante trasferisce interamente il suo diritto di proprietà e non trattiene perciò alcuna facoltà che possa dar luogo ad un diritto reale limitato. Non può, infatti, che costituire la servitù su di un bene immobile diverso da quello trasferito.

Due teorie sulla struttura del contratto.

A)    TEORIA DEL DOPPIO NEGOZIO[33] – collegato –  (adottata dai software per le trascrizioni immobiliari): l’alienante trasferisce al compratore la PIENA Proprietà e sempre a favore di quest’ultimo costituisce la servitù su di un altro immobile di sua proprietà.

Risvolti pratici – doppio pagamento d’imposta di trasferimento –

B)    TEORIA DELL’UNICO NEGOZIO: contratto misto.

art. 1061 c.c.  servitù non apparenti: le servitù non apparenti non possono acquistarsi per usucapione (1158, att. 158[34]) o per destinazione del padre di famiglia (1062).

Non apparenti sono le servitù quando non si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio.

Per la costituzione di una servitù prediale (nella specie: per usucapione) non è necessario accertare, previamente, il requisito della contiguità tra i fondi[35].

Per quanto riguarda alcuni aspetti procedurali è bene ricordare che secondo la S.C.[36] in tema di acquisto di servitù per usucapione, rientra nei normali poteri di valutazione probatoria del giudice la qualificazione degli atti che vengono invocati come esercizio di fatto della servitù, quali atti di mera tolleranza, in considerazione della strutturale saltuarietà degli stessi, senza che la controparte sia gravata dell’onere di provare tale specifica inidoneità ad integrare il possesso ad usucapionem mentre nelle azioni esclusivamente possessorie la natura giuridica dell’esercizio degli atti di tolleranza deve essere eccepita e provata dalla parte che la deduce.

Apparenza

Al fine della determinazione del dies a quo per l’usucapione del diritto di servitù costituito dal mantenimento di una determinata opera a distanza illegale, deve farsi riferimento non al momento di inizio della costruzione, ma a quello nel quale questa sia venuta ad esistenza, con la realizzazione di elementi strutturali ed essenziali, i quali rivelino anche al titolare del fondo servente l’esistenza della situazione coincidente con quella del diritto reale di servitù[37].

Secondo Cassazione[38] più recente, inoltre, il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 cod. civ.), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile. Ne consegue che non è al riguardo pertanto sufficiente l’esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, essenziale viceversa essendo che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, e, pertanto, un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l’esistenza di opere visibili idonee all’usucapione identificabili, segnatamente, nella presenza di qualche tubo, con copertura di terra, posto nell’alveo di un fosso divisorio di due fondi contigui, tale da consentire il passaggio tra di essi).

Inoltre con altra sentenza la Cassazione[39] ha specificato che ai fini della sussistenza del requisito dell’apparenza, richiesto dall’articolo 1061 cod. civ. per l’acquisto delle servitù prediali per usucapione, non occorre necessariamente, in materia di servitù di passaggio, un opus manu factum(ossia un tracciato dovuto all’opera dell’uomo), essendo sufficiente anche un sentiero formatosi naturalmente per effetto del calpestio, qualora esso presenti un tracciato tale da denotare la sua funzione – visibile, non equivoca e permanente – di accesso al fondo dominante mediante il fondo servente.

La destinazione del padre di famiglia

art. 1062 c.c.     destinazione del padre di famiglia: la destinazione del padre di famiglia ha luogo quando  si consta, mediante qualunque genere di prova (2697 e seguente), che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù.

Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario, senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa s’intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati.

Particolare interesse ha la destinazione del padre di famiglia, vale a dire l’atto con il quale è stato posto in essere lo stato di asservimento.

Si consideri, per esempio, l’ipotesi che il proprietario di un fondo costruisca una strada che lo attraversi, così collegando alla via pubblica anche le parti più lontane del fondo stesso[40].

Fin qui non si può parlare di servitù, poiché questa è concepibile solo tra i fondi non appartenenti al medesimo proprietario.

Se successivamente, questi divide il fondo in due parti e ne venda una, oppure muore e nella divisione le due parti del fondo vengono assegnate a eredi diversi, la possibilità di esercitare il passaggio permane, assicurata ora da un corrispondente diritto di servitù, che si dice acquistato “per destinazione del padre di famiglia”.

La destinazione non è un negozio, ma un mero atto giuridico[41] per il quale non è necessaria in capo al proprietario la volontà di porre in essere una servitù, essendo sufficiente soltanto la volontà di porre in essere quello stato di fatto consistente, a seconda dei casi, in un comportamento commissivo (porre) ovvero omissivo (lasciare).

Secondo la S.C.[42] la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia avviene ope legis in virtù della situazione di fatto di subordinazione o asservimento di un fondo all’altro al momento della separazione o frazionamento dell’unico fondo.

Infatti, la costituzione di servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, che è fattispecie non negoziale, postula, ai sensi dell’articolo 1062 cod. civ., l’esistenza di segni ed opere visibili e permanenti, costituenti indice non equivoco ed obiettivo del peso imposto al fondo servente, oltreché l’originaria appartenenza dei due fondi ad un unico proprietario prima dell’acquisto di uno di essi da parte di altro soggetto e il perdurare di tale situazione fino alla separazione della originaria unica proprietà, sempre che non risulti una manifestazione di volontà contraria all’atto del negozio con cui si attua detta separazione, che determina l’automatica conversione dello stato di fatto in quello di diritto; ne consegue che non può ritenersi sufficiente, al riguardo, l’esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo

Per altra dottrina[43] l’atto di destinazione è in realtà valutato alla stregua di un fatto giuridico non essendo rilevante la volontà del proprietario quando l’effettiva realizzazione dello stato di cose da cui risulta inequivocabilmente l’esistenza di una servitù, cioè il vincolo a carico di un fondo e a vantaggio di un altro, esistendo opere permanenti diretto all’esercizio della servitù.

In sostanza si deve realizzare una situazione tale che se i fondi fossero stati di diversi proprietari sarebbe esistita una servitù.

Poiché tuttavia nemini res sua servit, tale condizione, finché i fondi sono di proprietà di un unico soggetto, non potrà realizzarsi, tanto ciò vero che la destinazione opera immediatamente e la servitù nasce automaticamente se il proprietario aliena un fondo mantenendo la proprietà dell’altro ovvero, in caso di fondo unico, lo divide alienandone solo una parte e riservando a sé l’altra.

Occorre rilevare che in subiecta materia non è rinvenibile una norma la quale richieda la permanenza della visibilità delle opere successivamente alla costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, ai fini dell’opponibilità della servitù stessa agli acquirenti del fondo servente.

In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione

Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 21 febbraio 2014, n. 4214

secondo la quale, appunto “con riguardo alla servitù costituita per destinazione del padre di famiglia, non si richiede, ai fini della opponibilità del diritto ai successivi acquirenti del fondo servente, la permanenza del requisito della visibilità delle opere destinate all’esercizio della servitù, necessario per il sorgere del diritto” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7698 del 19/07/1999; Cass. n. 6678 del 30.03.2005). A questo riguardo va osservato che la destinazione del padre di famiglia costituisce un modo d’acquisto della servitù a titolo originario e non derivativo per cui non può parlarsi d’ opponibilità della costituzione a terzi.

Con altra antecedente pronuncia la cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 febbraio 2014, n. 3219

ha ribadito che sul piano generale, è risaputo  che la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia – la quale è fattispecie non negoziale e postula la presenza di opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù – presuppone l’originaria appartenenza di due fondi (o porzioni del medesimo fondo) ad un unico proprietario, il quale abbia posto gli stessi, l’uno rispetto all’altro, in una situazione di subordinazione idonea ad integrare il contenuto di una servitù prediale e che, all’atto della loro separazione, sia mancata una manifestazione di volontà contraria al perdurare della relazione di sottoposizione di un fondo nei confronti dell’altro.

E’ altrettanto univoco che, per un verso, il presupposto della effettiva situazione di asservimento di un fondo all’altro, richiesto dall’art. 1062 c.c. per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, deve essere accertato attraverso la ricostruzione dello stato dei luoghi esistente nel momento in cui, per effetto dell’alienazione di uno di essi o di entrambi, i due fondi hanno cessato di appartenere al medesimo proprietario; per altro verso, essenziale per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia è che, all’atto della cessazione dell’appartenenza di due fondi ad un unico proprietario, le opere destinate al servizio di uno all’altro siano stabili, sì da escluderne la precarietà, e apparenti, in modo da render certi e manifesti a chiunque – e perciò anche all’acquirente del fondo gravato – il contenuto e le modalità di esercizio del corrispondente diritto.

E’ importante, altresì, rilevare che la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia non richiede il fatto storico dell’esercizio della servitù stessa, ma soltanto l’esistenza, al momento della separazione dei fondi, di una situazione tale da denotare in modo univoco ed oggettivo, per l’esistenza di opere visibili e permanenti, l’asservimento di uno di essi in favore dell’altro.

In termini più complessivi, dunque, la servitù per destinazione del padre di famiglia si intende stabilita ‘ope legis’ per il fatto che al momento della separazione dei fondi o del frazionamento dell’unico fondo, lo stato dei luoghi sia stato posto o lasciato per opere o segni manifesti ed inequivoci ed univoci – nel che si concreta l’indispensabile requisito dell’apparenza – in una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio, che integri ‘de facto’ il contenuto proprio di una servitù, indipendentemente da qualsiasi volontà, tacita o presunta, dell’unico proprietario nel determinarla o nel mantenerla; conseguentemente, il requisito della subordinazione deve essere ricercato non già nell’intenzione del proprietario dei fondo, bensì nella natura delle opere oggettivamente considerate, in quanto nel loro uso normale determinino il permanente assoggettamento del fondo vicino all’onere proprio della servitù.

A tal proposito va, tuttavia, evidenziato – si continua a leggere nella sentenza riportata – che non è sufficiente la presenza di opere o segni manifesti che consentano l’esercizio della servitù, essendo anche necessario che tali opere e segni manifestino in modo non equivoco l’assoggettamento del fondo vicino alla servitù; da ciò consegue che l’esistenza di un ponticello (o di altro manufatto) di accesso al fondo preteso servente non comporta, di per sé, tale evidenza e se a tale accesso non segua sul fondo servente un’opera o un segno dell’utilizzo di tale ponte anche per accedere al fondo asseritamente dominante.

In particolare nel caso di servitù di passaggio, la servitù si intende costituita quando risulti l’esistenza di una o più opere visibili destinate stabilmente all’esercizio del passaggio dall’uno all’altro fondo e non risulti in altro modo manifestata una volontà contraria al mantenimento del passaggio come fin a quel momento esercitato dall’unico proprietario.

Principio già affermato in altra sentenza della medesima Cassazione[45], secondo la quale, appunto, la costituzione di servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, che è fattispecie non negoziale, postula, ai sensi dell’art. 1062 cod. civ., l’esistenza di segni ed opere visibili e permanenti, costituenti indice non equivoco ed obiettivo del peso imposto al fondo servente, nonché l’originaria appartenenza dei due fondi ad un unico proprietario prima dell’acquisto di uno di essi da parte di altro soggetto e il perdurare di tale situazione fino alla separazione della originaria unica proprietà, sempre che non risulti una manifestazione di volontà contraria all’atto del negozio con cui si attua detta separazione, che determina l’automatica conversione dello stato di fatto in quello di diritto; ne consegue che non può ritenersi sufficiente, al riguardo, l’esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo.

E tale contraria manifestazione di volontà non può desumersi per facta concludentia, ma deve rinvenirsi in una clausola contrattuale con la quale si convenga esplicitamente di volere escludere il sorgere della servitù corrispondente alla situazione di fatto esistente fra i due fondi e determinata dal comportamento del comune proprietario, ovvero in una qualsiasi clausola il cui contenuto sia incompatibile con la volontà di lasciare integra ed immutata la situazione di fatto che, in forza della legge, determinerebbe la nascita della servitù[46].

A differenza dell’usucapione, non si richiede da parte di colui che ha creato la relazione di asservimento, atti di esercizio della servitù prima della separazione giuridica dei due fondi.

Secondo ultima giurisprudenza di merito[44] si verifica l’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia nell’ipotesi in cui due fondi, attualmente divisi, siano stati posseduti da un unico proprietario e questi abbia posto o lasciato le cose nello stato dal quale si evinca l’esistenza della servitù senza disporre alcunchè in merito alla stessa nel momento in cui i suddetti beni abbiano cessato di appartenere al medesimo proprietario. Presupposto per l’acquisto della servitù è la volontarietà di lasciare le cose nello stato dal quale risulti il vincolo di servizio posto su di un fondo in favore dell’altro. Ne consegue pertanto che l’esistenza di opere visibili e permanenti, gravanti su di un fondo a vantaggio di un altro, non può far dubitare dell’esistenza della servitù, purchè il proprietario o anche solo possessore del fondo servente abbia avuto conoscenza ed abbia tollerato lo stato di servizio del proprio fondo e non vi si sia mai opposto.

Un caso affrontato dalla S.C.

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 14657 del 27 agosto 2012

riguarda la fattispecie di una casa, due appartamenti:  ebbene secondo la Corte di Legittimità sì alla servitù di passaggio per il locale di servizio dopo il frazionamento dell’immobile. Il nuovo proprietario, nel caso di specie, ha diritto all’accesso all’impianto idrico nel piano interrato, appunto, per destinazione del padre di famiglia.

Inoltre la destinazione può essere data anche dal giudice delegato, infatti come da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 6 giugno 2018, n. 14481.

la costituzione di servitu’ per destinazione del padre di famiglia sorge ope legis per il solo fatto che, al momento della divisione del fondo posseduto dall’unico proprietario, tra i due immobili derivanti dal frazionamento risulti, per segni manifesti ed univoci, un rapporto di servizio e di subordinazione integrante il contenuto di una servitu’, indipendentemente da una volonta’ manifestata in proposito dall’unico proprietario originario. Questa costituzione, pero’, si ha anche se la divisione del fondo sia stata disposta, non dal proprietario, ma dal giudice dell’esecuzione forzata con un decreto di trasferimento dei fondi, salvo una sua manifestazione di volonta’ contraria espressa anche con l’ordine di rimozione delle opere o dei segni apparenti che avrebbero integrato il contenuto della servitu’ stessa.
In particolare, l’impedimento di tale costituzione deriva non in via automatica, ma da una fattispecie negoziale, consistente in una esternazione di volonta’ contraria alla costituzione della servitu’ contenuta nel negozio e, comunque, da una disposizione presente nell’atto, sia pure autoritativo, quale e’ il frazionamento eseguito dal giudice dell’esecuzione, con cui e’ separata la proprieta’ originariamente unica.
Infatti, qualora la divisione del fondo avvenga in sede di esecuzione forzata, al dominus-padre di famiglia si sostituisce il giudice delegato.
Ne consegue che, se, nella lottizzazione del fondo, egli lascia lo stato dei luoghi in quella situazione obiettiva di subordinazione o di servizio corrispondente al contenuto di una servitu’ prediale, si realizza la fattispecie prevista dall’articolo 1062 c.c., comma 1. Ove, invece, il magistrato dia disposizioni contrarie od ordini l’eliminazione delle opere e dei segni visibili che avrebbero potuto integrare il contenuto di una servitu’, ricorre l’ipotesi regolata dall’articolo 1062 c.c., comma 2.
Pertanto, non vi sono motivi per ritenere che il giudice dell’esecuzione od il giudice delegato non possano imporre obbligazioni a carico degli acquirenti idonee a rimuovere la situazione di fatto dalla quale, in assenza di prescrizioni, trarrebbe origine una servitu’ per destinazione del padre di famiglia.

Sulla destinazione del padre di famiglia in senso generale è tornata la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 1 marzo 2018, n. 4872.

affermando una serie di principi, ovvero:

Nell’alienare i fondi, tra i quali sussiste una situazione di asservimento corrispondente ad una determinata servitu’ (attiva o passiva) – l’unico proprietario dichiara di vendere i fondi stessi mantenendo ferma quella medesima condizione di asservimento, occorre interpretare la volonta’ dei contraenti, per accertare se, con quella dichiarazione, si sia inteso soltanto riconfermare la permanenza della situazione di fatto, atta a determinare, con la separazione dei fondi, il sorgere della servitu’ per destinazione del padre di famiglia o se invece si sia inteso, indipendentemente da cio’, stabilire una nuova servitu’, sulla base della convenzione intervenuta tra le parti, essendo devoluto al giudice del merito, siccome inerente all’interpretazione della volonta’ contrattuale, il compito di accertare, in concreto, se la clausola in cui e’ menzionato lo stato di asservimento dei fondi costituisca titolo autonomo per il sorgere della servitu’ oppure costituisca semplicemente una manifestazione di accertamento ricognitivo dello stato di fatto preesistente.
L’esigenza che nell’atto costitutivo di una servitu’ siano specificamente indicati tutti gli elementi di questa non implica la necessita’ della espressa indicazione ed analitica descrizione del fondo servente e di quello dominante essendo sufficiente che i predetti elementi siano comunque desumibili dal contenuto dell’atto, ben potendosi quindi ritenere soddisfatto il requisito di specificita’ del contenuto dell’atto con il riferimento alla stradella pacificamente preesistente in loco.
A norma dell’articolo 1062 c.c., la costituzione di una servitu’ per destinazione del padre di famiglia e’ impedita solo dalla contraria manifestazione di volonta’ del proprietario dei due fondi al momento della loro separazione, e tale contraria manifestazione di volonta’ non puo’ desumersi per “facta concludentia”, ma deve rinvenirsi in una clausola contrattuale con la quale si convenga esplicitamente di volere escludere il sorgere della servitu’ corrispondente alla situazione di fatto esistente fra i due fondi e determinata dal comportamento del comune proprietario, ovvero in una qualsiasi clausola il cui contenuto sia incompatibile con la volonta’ di lasciare integra ed immutata la situazione di fatto che, in forza della legge, determinerebbe la nascita della servitu
Con riferimento alla categoria dei diritti “autodeterminati”, ai fini della precisazione della “causa petendi” non e’ necessaria la corretta indicazione delle norme applicabili al caso e dei relativi istituti giuridici, essendo invece sufficiente la chiara indicazione dei fatti costitutivi del diritto azionato, sicche’ sussiste “mutatio libelli” vietata in appello solo quando all’iniziale domanda si sostituisca una pretesa intrinsecamente diversa, sulla quale sia del tutto mancato, in primo grado, il contraddittorio. In particolare, per quanto riguarda la proprieta’ e gli altri diritti reali di godimento, la “causa petendi” si identifica con il diritto stesso e non, come nei diritti di credito, con il titolo che ne costituisce la fonte, essendosi quindi ritenuta corretta la decisione che a fronte dell’accoglimento in primo grado della domanda di declaratoria della acquisizione di una servitu’ di passaggio sulla base di titolo contrattuale, in secondo grado aveva accolto la domanda ritenendo la servitu’ costituita per destinazione del padre di famiglia, poiche’ gli elementi di fatto e le vicende giuridiche esposti dall’attore nella domanda inizialmente formulata erano sufficienti a delineare, anche in mancanza di una espressa menzione dell’articolo 1062 c.c., la destinazione del padre di famiglia quale fatto costitutivo del diritto di transito oggetto della controversia.

Infine la S.C.[47] ha affermato che in tema di servitù prediali, nel caso in cui, per destinazione del padre di famiglia, siano sorte, a vantaggio di due fondi confinanti, ciascuno dominante e servente al tempo stesso, due distinte servitù, l’estinzione dell’una non travolge la conservazione e l’efficacia dell’altra, avendo ciascuna la propria autonomia.

Mentre ai fini processuali, secondo la medesima Corte[48], chiesto, in primo grado, l’accertamento dell’avvenuto acquisto, per usucapione, di una striscia di terreno, costituisce domanda nuova – preclusa in appello – quella diretta all’accertamento che su quella stessa striscia di terreno sussiste, in favore dell’attore in primo grado, una servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia.

Sempre ai fini processuali secondo l’ultima pronuncia già riportata

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 febbraio 2014, n. 3219

la parte, la quale deduce di avere acquistato la servitù per destinazione del padre di famiglia, è tenuta ad assolvere con qualsiasi mezzo l’onere della prova dell’appartenenza dei due fondi, attualmente divisi, allo stesso proprietario, della unicità del possesso e della esistenza di opere visibili e permanenti dalle quali risulti che i fondi sono stati posti o lasciati nello stato dal quale discende la servitù.

5 –  Sentenza

È il modo tipico di costituzione delle servitù coattive.

Solo in casi eccezionali la legge prevede la costituzione di queste servitù mediante provvedimento amministrativo.Ma la sentenza costitutiva di servitù può anche non riferirsi alle servitù coattive, come nel caso in cui il proprietario del fondo servente non adempia all’obbligo assunto in un preliminare di costituire volontariamente la servitù con successivo contratto.

6 –  Atto amministrativo

art. 1032 c.c.   modi di costituzione: quando, in forza di legge, il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere da parte del proprietario di un altro fondo la costituzione di una servitù, questa, in mancanza di contratto, e costituita con sentenza (2908, 2643 n. 14, 2932). Può anche essere costituita con atto dell’autorità amministrativa[49] nei casi specialmente determinati dalla legge (853 e seguenti).

Pertanto la P.A. si avvale dei poteri autoritativi, lasciando bensì la proprietà al privato, ma gravandola di una servitù per pubblica utilità.

Difatti secondo la S.C.[50] le previsioni contenute in un piano di lottizzazione e nei progetti esecutivi ad esso allegati, con le quali si consente l’apertura di luci o vedute a distanza inferiore a quella minima legale, danno luogo alla costituzione di altrettante servitù prediali rispettivamente a favore e contro ciascuno dei lotti del comprensorio e vincolano gli acquirenti di questi ultimi, se richiamate ed espressamente accettate nei singoli atti di acquisto, sempre che l’immobile da cui si esercita la servitù di veduta sia stato realizzato in conformità alle prescrizioni del piano di lottizzazione.

7 –  Dicatio ad patriam

Il riferimento è per tutte all’insegnamento di cui già a Sezioni Unite Civili n. 1072 del 3/2/1988, che è nel senso di ritenere che la c.d. dicatio ad patriam, quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consista nel comportamento del proprietario di un bene che denoti in modo univoco la volontà di mettere l’area privata a disposizione di una comunità indeterminata di cittadini, per soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives.La Corte di cassazione ha inoltre insegnato che, ricorrendo detti presupposti, la servitù di uso pubblico debba ritenersi perfezionata con l’inizio dell’uso pubblico e che, in ogni caso (ossia anche a prescindere dalla sussistenza di un’effettiva dicatio ad patriam), per la configurazione di quest’ultimo, non sia sufficiente la sola utilizzazione di fatto[51], da parte di soggetti diversi dal proprietario, essendo altresì necessario che:

  • il bene risulti posto al servizio della generalità indifferenziata dei cittadini;
  • la collettività ne faccia autonomamente uso per la circolazione;
  • infine l’uso, onde poter escludere che esso sia frutto della mera tolleranza dominicale, si sia protratto per il tempo necessario all’acquisto per usucapione.

Secondo ultima sentenza di merito il comportamento del proprietario che, seppur non intenzionalmente diretto a dar vita ad un diritto di uso pubblico, volontariamente metta a disposizione della collettività un bene di sua proprietà, con modalità continuative e non già meramente precarie o tolleranti, assoggettando il medesimo al relativo uso, integra la cd. dicatio ad patriam, quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico. Ai fini suddetti, in particolare, non si richiede né il necessario ricorso di un determinato e congruo termine, né l’intervento di un atto negoziale o ablatorio, in quanto sufficiente che tale condotta, indipendentemente dai motivi che la sorreggono, dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che la anima, sia diretta a soddisfare una esigenza comune ai membri della collettività. Nel caso concreto, accertata la configurabilità della descritta ipotesi, come invocata dalla convenuta Amministrazione Comunale, deve farsi luogo ad una pronuncia recante l’accertamento e la dichiarazione in ordine alla sussistenza di una servitù di parcheggio ad uso pubblico sull’area di proprietà dell’attrice a ciò già adibita, come dalla stessa pacificamente affermato, con contestuale ordine di trascrizione della sentenza ex art. 2651 c.c.

Su tale tipologia di servitù, nuovamente è tornata la Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 29 novembre 2017, n. 28632

la quale ha riaffermato una serie di principi, sia di diritto processuale che di diritto sostanziale:

La deduzione concernente la natura demaniale di un terreno, qualora inerisca alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, integra una mera difesa, rilevabile d’ufficio, sicche’ non incorre nelle preclusioni dettate per le eccezioni in senso stretto dall’articolo 345 c.p.c., comma 2.
Costituisce un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio, l’accertamento incidentale dell’esistenza di una servitu’ di uso pubblico su di una strada, qualora tale accertamento costituisca fatto ostativo al riconoscimento del diritto preteso
Una strada privata puo’ essere ritenuta soggetta a servitu’ di uso pubblico solo in presenza di convenzione tra il proprietario e l’ente pubblico ovvero nel caso in cui l’uso pubblico (per la cui configurazione non e’ sufficiente l’utilizzazione di fatto da parte di soggetti diversi dal proprietario per raggiungere i terreni limitrofi, ma e’ necessario che essa sia al servizio della generalita’ dei cittadini e che la collettivita’ ne faccia autonomamente uso per la circolazione) si sia protratto per il tempo necessario ai fini dell’acquisto per usucapione.
In particolare, la costituzione di una servitu’ pubblica per effetto della c.d. “dicatio ad patriam” (consistente nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuita’ e non precariamente, un proprio bene a disposizione della collettivita’) non puo’ essere desunta dal solo fatto che il proprietario abbia consentito il passaggio pubblico su parte del proprio fondo; un’area privata, infatti, puo’ ritenersi assoggettata a servitu’ pubblica di passaggio, acquistata per usucapione, solo allorche’ concorrano contemporaneamente le seguenti condizioni: 1) l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettivita’ indeterminata di individui, considerati “uti cives” in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un’utilizzazione “uti singuli”, cioe’ finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il piu’ agevole accesso ad un determinato immobile di proprieta’ privata; 2) l’oggettiva idoneita’ del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio della servitu’; 3) il protrarsi per il tempo necessario all’usucapione.
Ai fini dell’assoggettamento per usucapione di un’area privata ad una servitu’ di uso pubblico, e’ necessario che l’uso risponda alla necessita’ ed utilita’ di un insieme di persone, agenti come componenti della collettivita’, e che sia stato esercitato continuativamente per oltre un ventennio con l’intenzione di agire “uti cives” e disconoscendo il diritto del proprietario; ed ha precisato che le servitu’ di uso pubblico possono essere acquistate mediante il possesso protrattosi per il tempo necessario all’usucapione anche se manchino opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, essendo il requisito dell’apparenza prescritto dall’articolo 1061 c.c., soltanto per le servitu’ prediali.

G)  Esercizio delle servitù

art. 1063 c.c.   norme regolatrici: l’estensione e l’esercizio delle servitù sono regolati dal titolo e, in mancanza, dalle disposizioni seguenti.

 

art. 1064 c.c.     estensione del diritto di servitù: il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne.

Se il fondo viene chiuso (841), il proprietario deve lasciarne libero e comodo l’ingresso a chi ha un diritto di servitù che renda necessario il passaggio per il fondo stesso.

 

 

art. 1065 c.c.    esercizio conforme al titolo o al possesso: colui che ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso (ad esempio: se il titolo parla solo di servitù di passaggio, è il modo con cui il passaggio venne effettivamente attuato che fissa i limiti del diritto – in ogni caso si applica il criterio secondo il quale la servitù va usata civiliter, cioè in modo da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente). Nel dubbio circa l’estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente.

 

I diritti di servitù stabiliti convenzionalmente, per il combinato disposto degli artt. 1064 e 1065 cod. civ., ricomprendono tutto ciò che è necessario per usarne e, nel dubbio circa l’estensione e le modalità di esercizio, devono ritenersi costituiti non per il conseguimento di qualsiasi possibile vantaggio del fondo dominante, ma soltanto di quello corrispondente alla natura, come stabilita dal titolo, del peso imposto sul fondo servente. (Nella specie, la S.C.[52] ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto ricompresi in una servitù convenzionale di “accesso e scarico”, oltre al transito di persone e veicoli, anche altri oneri, quali il passaggio sotterraneo di fognature, il posizionamento di condotte per utenze varie, la sopraelevazione del livello del terreno e la tombinatura di un adiacente canale adacquatore).

Invece[53], le modalità di esercizio di un diritto di servitù stabilite dal titolo[54] (nella specie, servitù di veduta convenzionalmente costituita, con specificazione delle misure di ciascuna veduta) risultano regolate da questo e non già dai criteri sussidiari di cui agli artt. 1064 e 1065 cod. civ., sicché qualsiasi innovazione rispetto ad esse è vietata, risolvendosi una tale innovazione non già in un aggravamento del peso preesistente, bensì in un’abusiva imposizione sul fondo servente di un peso diverso da quello originariamente costituito.

Con un noto provvedimento la S.C. (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 20 giugno 2011, n. 13535) ha avuto modo di ribadire che larticolo 1063 c.c., stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitu’, ponendo a fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, mentre i precetti dettati dai successivi articoli 1064 e 1065 c.c., rivestono carattere meramente sussidiario e possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti al riguardo lacune o imprecisioni non superabili mediante l’impiego di adeguati criteri ermeneutici (cfr. Cassazione, 30 marzo 2009, n. 7639, 10 maggio 2004, n. 8853; 7 giugno 2002, n. 8261.)

Ciò non toglie che laddove sia stata costituita una servitù di passaggio, la sua concreta estensione e le pertinenti modalità di esercizio, in difetto di altri elementi utilmente fruibili, vanno determinati in base al criterio del minor aggravio per il fondo servente, il che radica e legittima la pretesa del relativo titolare ad ottenere la delimitazione del locus servitutis, sicché anche la riduzione dello spazio disponibile che non si risolva in una concreta ed effettiva diminuzione dell’utilità costituente contenuto della servitù deve ritenersi legittima e consentita (in tal senso Tribunale Roma, Sezione 5 civile, sentenza 29 ottobre 2010, n. 21382; Corte di Cassazione 18 luglio 1981, n. 4662).

Sul punto è tornata la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 9 agosto 2018, n. 20696.

la quale, così, ha argomentato: per giurisprudenza pacifica di questa Corte, (Cassazione civile, sez. 2, 05/03/2010, n. 5434, Cass.25.3.1986 n. 2893) l’articolo 1063 c.c. stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitu’, ponendo a fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, mentre i precetti dettati dai successivi articolo 1064 e 1065 c.c. rivestono carattere meramente sussidiario. Tali precetti, pertanto, possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti al riguardo lacune o imprecisioni non superabili mediante l’impiego di adeguati criteri ermeneutici: ove, invece, il contenuto e le modalita’ di esercizio risultino puntualmente e inequivocabilmente determinati dal titolo, a questo soltanto deve farsi riferimento.
L’estensione e le modalita’ di esercizio della servitu’ debbono, pertanto, essere dedotte dal titolo, tenendo conto della comune intenzione dei contraenti, da ricavarsi, peraltro, non soltanto dal tenore letterale delle espressioni usate, ma anche dallo stato dei luoghi, dall’ubicazione reciproca dei fondi e dalla loro naturale destinazione, elementi tutti formativi e caratterizzanti rutilitas” legittima la costituzione della servitu’.(Cassazione civile, sez. II, 20/05/1981, n. 3306)
Ne consegue che l’indagine sulla sussistenza, ad opera del proprietario del fondo servente, di atti di violazione o turbativa della servitu’ va condotta con riferimento all’estensione ed alle modalita’ di esercizio della servitu’ medesima, come fissate dal titolo costitutivo, e, pertanto, deve tenere conto anche delle specificazioni che tale titolo contenga in ordine alla “utilitas”, ove le stesse non abbiano mero valore indicativo, ma valgano a qualificare e delimitare il diritto (Cassazione civile, sez. 2, 13/04/1991, n. 3942)

Una servitù di passaggio sul fondo del vicino costituita convenzionalmente non può esercitarsi, in difetto di specificazione del titolo, “ad libitum” del proprietario del fondo dominante, dovendo individuarsi il “locus servitutis” alla stregua dell’art. 1065 cod. civ., per il quale la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del proprietario del fondo dominante con il minor aggravio di quello servente, tenendo conto della situazione dei luoghi, dell’estensione, della natura e delle esigenze dei fondi (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 9 gennaio 1993, n. 145).

Ancora di recente la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 3 luglio 2019, n. 17884.

ha riaffermato che l’estensione e le modalita’ di esercizio della servitu’ (nella specie, di passaggio) devono essere dedotte anzitutto dal titolo, quale fonte regolatrice primaria del diritto, tenendo conto della comune intenzione dei contraenti, da ricavarsi, peraltro, non soltanto dal tenore letterale delle espressioni usate, ma anche dallo stato dei luoghi, dall’ubicazione reciproca dei fondi e dalla loro naturale destinazione, elementi tutti formativi e caratterizzanti l’utilitas legittimante la costituzione della servitu’. Solo ove il titolo manifesti imprecisioni o lacune, non superabili mediante adeguati criteri ermeneutici, e’ possibile ricorrere ai precetti sussidiari di cui agli articoli 1064 e 1065 c.c

Infine (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 15 luglio 1995, n. 7751), l‘art. 1065 cod. civ., secondo cui la servitù, nel dubbio circa l’estensione e le modalità di esercizio, deve intendersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minore aggravio per ilfondo servente, è dettato esclusivamente per i rapporti di natura petitoria e non è, quindi, applicabile alle controversie possessorie.

E’ opportuno precisare, come ha avuto modo da ultimo la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 23 luglio 2018, n. 19483.

che la servitu’ di passo carrabile e’ diversa da quella di passaggio pedonale: la differenza e’ di carattere quantitativo nel senso che la servitu’ di transito veicolare si distingue da quella di passaggio pedonale per la maggiore ampiezza del suo contenuto perche’, condividendo con quest’ultima la funzione di consentire il transito delle persone, soddisfa le esigenze di trasporto con veicoli di persone e merci da e verso il fondo dominante.
Di conseguenza, dall’esistenza della prima non puo’ desumersi l’esistenza della seconda, ne’ il passaggio a piedi costituisce atto idoneo a conservare il possesso della servitu’ di passaggio anche con carri, fatta salva la possibilita’ per il proprietario di un fondo destinato all’agricoltura a cui vantaggio sussista un diritto di servitu’ di passaggio a piedi o con traino di carretti a mano o con animali, di ottenere a norma dell’articolo 1051 c.c. l’ampliamento del passaggio per il transito dei mezzi a trazione meccanica.
Ne deriva che l’avvenuto esercizio del passaggio solo a piedi e mediante carretti (di cui e’ dato atto in sentenza) per il tempo necessario per l’usucapione non puo’ valere a costituire una servitu’ di contenuto piu’ ampio (ossia di transito carrabile), occorrendo in concreto stabilire se la strada consenta – per caratteristiche oggettive e per la sua specifica destinazione funzionale – anche il traffico carrabile e soprattutto che il passaggio sia stato esercitato con mezzi meccanici e non solo con mezzi trainati a mano o con animali.

 

art. 1066 c.c.    possesso delle servitù: nelle questioni di possesso delle servitù si ha riguardo alla pratica dell’anno antecedente e, se si tratta di servitù esercitate a intervalli maggiori di un anno, si ha riguardo alla pratica dell’ultimo godimento.

 

art. 1067 c.c.    divieto di aggravare o diminuire l’esercizio della servitù: il proprietario del fondo dominante non può fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente.

Il proprietario del fondo servente non può compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l’esercizio della servitù o a renderlo più incomodo.

 

 In tema di servitù, l’aggravamento dell’esercizio in dipendenza della trasformazione operata sul fondo dominante va verificato accertando se l’innovazione abbia alterato l’originario rapporto con il fondo servente e se il sacrificio con la stessa imposto sia maggiore rispetto a quello originariamente previsto, dovendosi valutare non solo la nuova opera in sé stessa ma anche le implicazioni che ne derivano a carico del fondo servente, assumendo al riguardo rilevanza non solo i pregiudizi attuali ma anche quelli potenziali connessi e prevedibili, in considerazione dell’intensificazione dell’onere gravante sul predetto fondo. (Nella specie, la S.C. – Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 28 dicembre 2007, n. 27194 –  ha cassato la sentenza di merito che non aveva adeguatamente considerato la mancanza di proporzionalità tra l’aggravio della servitù di passaggio di alcune condutture condominiali all’interno di una porzione di proprietà esclusiva, costituito dall’apertura di una porta di accesso sul terrazzo di proprietà esclusiva, e il fine di tale modifica, consistente nell’episodica necessità di accedere al terrazzo da parte del condominio per effettuare la manutenzione delle condutture).

Le opere vietate al proprietario del fondo servente dall’1067 comma secondo cod. civ. sono soltanto quelle che si riflettono alterandolo sul contenuto essenziale dell’altrui diritto di servitù quale è determinato dal titolo e che incidano cioè sulla natura e sulla estensione dell'”utilitas” oggetto di quello stesso diritto, cosicchè non comporta diminuzione dell’esercizio di una servitù di passaggio l’esecuzione di opere che, pur riducendo la larghezza dello spazio di fatto disponibile a tale fine, la conservino tuttavia nelle minori dimensioni stabilite dal titolo, ovvero in quelle dimensioni che non comportino una riduzione od una maggior scomodità dell’esercizio della servitù. Analogamente, nulla osta a che il proprietario del fondo servente, senza il consenso del proprietario del fondo dominante, stabilisca egli stesso le modalità di esercizio della servitù purchè in conformità al titolo e comunque in modo tale da non recare impedimento o difficoltà all’esercizio del passaggio da parte del titolare (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 16 giugno 1992, n. 7360).

Ad esempio secondo giurisprudenza di merito[55] il prolungamento del transito sulla strada insistente sul fondo servente, da parte dei titolari del diritto di servitù di passaggio, unitamente alla intervenuta realizzazione di una nuova apertura, da parte dei medesimi, sul loro fabbricato con l’implicito intento di installarvi un secondo accesso, costituisce condotta comportante, in re ipsa, un sostanziale aggravamento della servitù di passaggio, in violazione del disposto codici stico di cui all’art. 1067 c.c. La riconosciuta inesistenza dei maggiori diritti jure servitutis, impone una pronuncia di rimessione in pristino della parte di fabbricato innanzi menzionato, mediante la chiusura del varco già realizzato e la cessazione del passaggio oltre il limite consentito. La mancata prova di danni ulteriori in dipendenza dell’aggravamento della servitù, costituisce, per il resto, motivo ostativo alla liquidazione del pur richiesto risarcimento per equivalente pecuniario.

Inoltre (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 1 agosto 2001, n. 10447), la servitù costituita a favore di un determinato fondo, ove ad esso ne venga unito un altro, non si estende a favore di questo, dovendo i due fondi originari, costituenti ormai un insieme, rimanere distinti ai fini della servitù, senza, tuttavia, che al “dominus” del nuovo più esteso fondo, come tale legittimato a muoversi in ogni parte del medesimo, ne possa essere imposta la divisione allo scopo di salvaguardare il fondo servente, la cui tutela può rinvenirsi solo nell’ art. 1067 cod. civ., in caso di uso della servitù divenuto più oneroso. Tale uso, peraltro, se a vantaggio della porzione esclusa dalla servitù, non giova a configurare un possesso estensivo della servitù stessa all’intero fondo, poiché la presunzione della riferibilità della servitù a tutto il fondo dominante è escluso dal titolo e gli atti di possesso, afferenti alla porzione dominante, sono inespressivi di uno “ius possessionis” più esteso dello “ius possidendi”, salvo che non intervengano situazioni di fatto tali da rendere manifesto l’asservimento a favore della porzione esclusa dal titolo.

Per altra Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 14582 del 21 agosto 2012

si ha aggravio della servitù in caso di nuovi “doppi servizi”, la nuova fogna va demolita perché non rientra nella servitù per illegittimo aggravamento del peso sull’immobile servente che si configura anche modificando le strutture preesistenti.

Inoltre (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 18 febbraio 2000, n. 1835), nel caso in cui costituita a favore di un edificio una servitù di passaggio su un’area appartenente ad un edificio altrui, configura aggravamento della servitù il transito dei veicoli dei condomini per il parcheggio, non previsto dal titolo, su un’area di un terzo, per di più aperta sulla via pubblica, perchè tale ulteriore modalità di esercizio del diritto reale, a vantaggio dei condomini e non del loro edificio, obbliga i proprietari del fondo servente ad una maggiore, prevedibile, manutenzione dell’area a causa dell`intensificato traffico derivantene; crea un collegamento tra il fondo servente e la via pubblica, e può determinare, ricorrendone gli altri necessari presupposti, l’acquisto per usucapione a favore del fondo del terzo del diritto di servitù di passaggio.

Secondo, invece, altra sentenza di merito[56], laddove sia stata costituita una servitù di passaggio, la sua concreta estensione e le pertinenti modalità di esercizio, in difetto di altri elementi utilmente fruibili, vanno determinati in base al criterio del minor aggravio per il fondo servente, il che radica e legittima la pretesa del relativo titolare ad ottenere la delimitazione del locus servitutis, sicché anche la riduzione dello spazio disponibile che non si risolva in una concreta ed effettiva diminuzione dell’utilità costituente contenuto della servitù deve ritenersi legittima e consentita.

Orbene per la Cassazione[57] non si ha aggravamento della servitù costituita per usucapione nell’ipotesi in cui il passaggio di autoveicoli sul fondo servente sia antecedente al mutamento di destinazione del fondo dominante. L’intensificarsi del passaggio non è di per sé sufficiente a determinare l’aggravamento della servitù in mancanza di concreti elementi atti a dimostrarne una frequenza anomala e superiore al normale uso del fondo.

Mentre la giurisprudenza della Corte di Cassazione  (v. Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 10 marzo 2011, n. 5741 e Cassazione, sentenza 1 marzo 1995, n. 2351) e’ consolidata nel senso che si incorre nel divieto di aggravamento della servitu’ di cui all’articolo 1067 nell’ipotesi in cui alla destinazione esclusivamente agricola del fondo dominante si aggiunga la destinazione a civile abitazione, poiche’ in tal caso la funzione originaria della servitu’ viene ad essere alterala dall’imposizione al fondo servente di un sacrificio ulteriore rispetto a quello originariamente contemplato.

Altro caso di minor aggravio affrontato dalla Cassazione è il seguente: allorché dal titolo costitutivo si evince solo l’oggetto della servitù (passaggio pedonale, carrabile, di manovra), e la localizzazione di essa (sul piazzale), e non anche modalità tali da indurre a considerare vietato e illogico il ricorso al criterio del minor aggravio, che pur costituisce un principio immanente nella materia, non è sostenibile che sulla base del titolo possa configurare lesione (aggravamento) dell’esercizio della servitù l’esistenza di un piccolo gradino (soli 8 cm.) che, certo, non può ostacolare la manovra di mezzi pesanti, considerata anche l’ampiezza del piazzale.

Ulteriore caso particolare è stato affrontato dal Tribunale Fiorentino (Tribunale Firenze, civile, sentenza 4 agosto 2007, n. 3282), secondo cui in ipotesi di servitù di passo, l’estensione del diritto di transito veicolare sul fondo servente, si intende implicitamente ammesso fino a ricomprendere il diritto di manovrare per invertire il senso di marcia (1). L’aggravio implicito, avendo ad oggetto una facoltà non espressamente attribuita dal titolo, non può superare il limite della stretta necessità della soddisfazione del bisogno del fondo dominante, in relazione allo stato dei luoghi esistente al momento della costituzione della servitù.

Sull’aggravio in senso generale è nuovamente intervenuta la Cassazione con ultima pronuncia

 Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 20 febbraio 2018, n. 4008

secondo la quale, per discriminare la liceità o meno delle opere che il proprietario del fondo dominante intenda fare sul fondo servente – avvalendosi della facoltà di cui all’art. 1069 c.c. – vale il criterio dell’indispensabilità delle opere ai fini della conservazione della servitù.
Il “divieto di aggravare l’esercizio della servitu’, di cui all’articolo 1607 c.c., costituisce un limite alle innovazioni sul fondo dominante che incidano sulle modalita’ concrete di esercizio della servitu’ e non anche un criterio per discriminare la liceita’ o meno delle opere che il proprietario del fondo dominante intenda fare sul fondo servente – avvalendosi della facolta’ di cui all’articolo 1069 c.c. – per la cui violazione vale, per contro, da un lato il criterio dell’indispensabilita’ delle opere ai fini della conservazione della servitu’, dall’altro il limite (subordinato al criterio anzidetto) rappresentato dal diritto del proprietario del fondo servente di usare e godere del proprio fondo, impedendo qualunque intervento del vicino, titolare della servitu’ di passo sulla proprieta’ medesima, oltre il necessario per il godimento della servitu’.

 

Sotto un mero profilo processuale è d’obbligo riportare anche quest’ultima massima della S.C.

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 24 settembre 2018, n. 22501.

in ipotesi di alterazioni dei luoghi compiute dal titolare di una servitu’ prediale, la tutela del proprietario del fondo servente non si esercita mediante l’actio negatoria servitutis, ma facendo ricorso ai rimedi di cui agli articoli 1063 o 1067 c.c., o sussistendone le condizioni, ai rimedi di natura possessoria.
L’azione negatoria servitutis tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sul bene e, quindi, non al mero accertamento dell’inesistenza della pretesa servitu’ ma al conseguimento della cessazione della dedotta situazione antigiuridica, al fine di ottenere la liberta’ del fondo, mentre la domanda di riduzione in pristino per aggravamento di servitu’ esistente prospetta un’alterazione dei luoghi compiuta dal titolare di una servitu’ prediale, trovando fondamento nei rimedi di cui agli articoli 1063 e 1067 c.c..

Le due domande sono diverse per petitum e causa petendi.

 

art. 1068 c.c.   trasferimento della servitù in luogo diverso: il proprietario del fondo servente non può trasferire l’esercizio della servitù in luogo diverso da quello nel quale è stata stabilita originariamente.

Tuttavia, se l’originario esercizio e divenuto più gravoso per il fondo servente o se impedisce di fare lavori, riparazioni o miglioramenti, il proprietario del fondo servente può offrire al proprietario dell’altro fondo un luogo egualmente comodo per l’esercizio dei suoi diritti, e questi non può ricusarlo (1350, 2643).

Il cambiamento di luogo per l’esercizio della servitù si può del pari concedere su istanza (Cod. Proc. Civ. 163) del proprietario del fondo dominante, se questi prova che il cambiamento riesce per lui di notevole vantaggio e non reca danno al fondo servente.

L’autorità giudiziaria può anche disporre che la servitù sia trasferita su altro fondo del proprietario del fondo servente o di un terzo che vi acconsenta, purché l’esercizio di essa riesca egualmente agevole al proprietario del fondo dominante.

 

Secondo la Cassazione

Corte di Cassazione, Sezione II civile,  sentenza 19 aprile 2012, n. 6130

il trasferimento della servitù di passaggio su un fondo servente di proprietà di un terzo richiede, ai sensi dell’art. 1068, comma quarto, cod. civ., il consenso di quest’ultimo, consenso che non può ritenersi implicito nel fatto che il proprietario già consenta il passaggio a taluni, essendo invece necessario, al fine della costituzione del rapporto intersoggettivo tra il titolare del fondo dominante ed il titolare del nuovo fondo servente, che il consenso sia non solo esplicito, ma, considerata la natura del diritto, manifestato per iscritto.

art. 1069 c.c.   opere sul fondo servente: il proprietario del fondo dominante, nel fare le opere necessarie per conservare la servitù, deve scegliere il tempo e il modo che siano per recare minore incomodo al proprietario del fondo servente.

Egli deve fare le opere a sue spese, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo o dalla legge (1030).

Se però le opere giovano anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi.

 

art. 1070 c.c.   abbandono del fondo servente: il proprietario del fondo servente, quando è tenuto in forza del titolo o della legge alle spese necessarie per l’uso o per !a conservazione della servitù (1030), può sempre liberarsene, rinunziando alla proprietà del fondo servente a favore del proprietario del fondo dominante (1350, 2643).

Nel caso in cui l’esercizio della servitù sia limitato a una parte del fondo, la rinunzia può limitarsi alla parte stessa.

 

 

art. 1071 c.c.    divisione del fondo dominante o del fondo servente: se il fondo dominante viene diviso, la servitù è dovuta a ciascuna porzione, senza che però si renda più gravosa la condizione del fondo servente.

Se il fondo servente viene diviso e la servitù ricade su una parte determinata del fondo stesso, le altre parti sono liberate.

H)   Le servitù per vantaggio futuro

art. 1029 c.c.  servitù per vantaggio futuro: è ammessa la costituzione di una servitù per assicurare a un fondo un vantaggio futuro (tale figura di servitù costituisce effetti reali immediati).

E’  ammessa altresì a favore o a carico di un edificio da costruire o di un fondo da acquistare, ma in questo caso la costituzione non ha effetto se non dal giorno in cui l’edificio è costruito o il fondo è acquistato (1472) (effetti obbligatori immediati e produrrà effetti reali solo quando il fondo sarà acquistato).

Alla base di questa disposizione vi è il riconoscimento di un principio di previsione: il proprietario di un fondo, che abbia intenzione, in futuro, di fare miglioramenti agricoli o trasformazioni di colture, può assicurarsi preventivamente una servitù d’acquedotto, o di presa d’acqua, ovvero in vista dell’installazione sul fondo di un’industria, precostituirsi una servitù per la immissione di esalazione moleste o per lo scarico di acque sul fondo vicino.

l’art. 1029 prevede tre ipotesi di servitù futuro[58]

 1  Servitù per vantaggio futuro in senso stretto

è questa l’ipotesi prevista dal 1 co dell’art. 1029, essa riguarda fondi già esistenti che si trovano nel patrimonio dei soggetti che costituiscono la servitù.

Non è necessario che il vantaggio futuro sia certo.

La dottrina e la giurisprudenza concordano nell’affermare che, in attesa del vantaggio futuro, la servitù possa essere subito esercitata per diverse e minori utilità attuali. Così, ad esempio una servitù di presa d’acqua, in vista della successiva trasformazione della coltura di un podere, può essere esercitata per il fondo nello stato attuale, purchè si tratti di un’utilità fondiaria e non meramente personale. A ben guardare si tratta in realtà di una servitù più per un vantaggio attuale (minore) che per un vantaggio futuro (maggiore).

2  Servitù a favore o a carico di un fondo da acquistare

la figura prevista dal 2 co produce immediatamente effetti obbligatori e produrrà effetti reali solo quando il fondo sarà acquistato.

a)     Nel caso di servitù attiva  (a favore del fondo da acquistare)

Tale figura configura un negozio (sia a titolo oneroso – vendita, permuta, ecc., sia a titolo gratuito – donazione) sottoposto a condizione sospensiva  e la condizione consiste nell’acquisto del fondo dominante. Il titolare della servitù potrà, frattanto, esercitare le misure cautelari che la legga attribuisce al titolare di diritti sotto condizione.

b)     Nel caso di servitù passiva (a carico del fondo da acquistare)

Tipica ipotesi di negozio (solo a titolo oneroso – poiché, infatti se fosse a titolo gratuito costituirebbe una donazione nulla ai sensi dell’art. 771, il quale vieta la donazione di cose future) sul patrimonio altrui; è cioè una figura analoga alla vendita di cosa altrui  con conseguente obbligo per il concedente la servitù di acquistare il fondo servente; se non adempie a tale obbligo la controparte potrà chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni ai sensi degli artt. 1463 e 1478.

 3  Servitù a favore o a carico di un edificio da costruire 

la dottrina ha assunto tre diverse posizioni sulla natura giuridica di questo istituto.

a)     la prima posizione[59] – fattispecie a formazione progressiva – l’atto costitutivo della servitù in esame pone immediatamente in essere un rapporto obbligatorio, mentre il rapporto reale  si costituirà solo quando l’edificio sarà costituito, con effetti ex nunc, in quanto precedentemente mancava il fondo dominante o servente.

Risvolti pratici

Per tale teoria la prescrizione inizierà a decorrere dal momento dell’effettivo esercizio, vale a dire dal momento della costruzione dell’edificio.

Per quanto riguarda l’opponibilità – prima della costruzione non sarà opponibile ai terzi, perché frattanto gli effetti sono solo obbligatori.

b) Seconda posizione[60] – negozio sottoposto a condizione sospensiva – di conseguenza il diritto reale è costituito subito anche se la sua efficacia è subordinata alla costruzione dell’edificio.

Risvolti pratici

Per tale teoria la prescrizione inizierà a decorrere dal momento in cui la condizione si verificherà.

Per quanto riguarda l’opponibilità – la servitù se è trascritta è immediatamente opponibile ai terzi acquirenti.

2)     Terza posizione[61]– teoria della servitù su fondi esistenti – la servitù è valida ed efficace sin dal momento della stipula della convenzione, perché fondo dominante o servente non è l’edificio, ma il suolo sul quale questo dovrà sorgere. Solo l’esercizio della servitù è sospeso fino alla costruzione dell’edificio.

Risvolti pratici

Per tale teoria si hanno due termini di prescrizione:

A)     la prescrizione ordinaria decennale relativa agli effetti obbligatori immediati, che inizierà a decorrere dalla data dell’atto costitutivo;

B)     una prescrizione ventennale per non uso che comincerà a decorrere dal momento della costruzione dell’edificio.

Per quanto riguarda l’opponibilità – la servitù se è trascritta è immediatamente opponibile ai terzi acquirenti.

I)     Le servitù coattive disciplinate dal codice civile

art. 1032 c.c.   modi di costituzione: quando, in forza di legge, il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere da parte del proprietario di un altro fondo la costituzione di una servitù, questa, in mancanza di contratto, e costituita con sentenza (2908, 2643 n. 14, 2932). Può anche essere costituita con atto dell’autorità amministrativa nei casi specialmente determinati dalla legge (853 e seguenti).

La sentenza stabilisce le modalità della servitù e determina l’indennità dovuta.

Prima del pagamento della indennità il proprietario del fondo servente può opporsi all’esercizio della servitù.

Orbene da ultimo la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 febbraio 2014, n. 2922

ha statuito che le servitù coattive, pur trovando nella legge il loro presupposto, ai sensi dell’art. 1032 comma 1, c.c. (che prevede che la servitù coattiva, in mancanza di contratto è costituita con sentenza), vengono ad esistenza per il tramite di un titolo che può anche essere negoziale e che, con effetti costitutivi, ne determina la creazione; in altri termini il negozio giuridico di indole privatistica è idoneo ad integrare il titolo, oltre che delle servitù volontarie anche, delle servitù coattive. Non è necessario che dal negozio medesimo risulti evidenziato l’intento delle parti di fronteggiare quell’esigenza in adempimento del correlativo obbligo legale.

In tema di servitù prediali, la titolarità del diritto di servitù di acquedotto o di scarico sul fondo altrui comporta la proprietà delle opere realizzate per l’esercizio del diritto stesso, soprattutto qualora non risulti diversamente dal titolo e dalla servitù non tragga alcun vantaggio il proprietario del fondo servente[62].

art. 1033 c.c.   obbligo di dare passaggio alle acque: il proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle acque di ogni specie che si vogliono condurre da parte di chi ha, anche solo temporaneamente, il diritto di utilizzarle per i bisogni della vita o per usi agrari o industriali.

Sono esenti da questa servitù le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti.

 

Limiti di applicabilità della esenzione

L’ art. 1033, comma secondo, cod. civ., che esonera le case, i giardini e le aie ad esse attinenti dalla servitù di acquedotto, si riferisce solo alle servitù coattive e non può essere invocato, quindi, per negare una servitù volontaria o, addirittura, la tutela, in sede possessoria, dell’esercizio di fatto del potere corrispondente[63].

 

art. 1034 c.c.    apertura di nuovo acquedotto: chi ha diritto di condurre acque per il fondo altrui deve costruire il necessario acquedotto, ma non può far defluire le acque negli acquedotti già esistenti e destinati al corso di altre acque.

Il proprietario del fondo soggetto alla servitù può tuttavia impedire la costruzione, consentendo il passaggio nei propri acquedotti già esistenti, qualora ciò non rechi notevole pregiudizio alla condotta che si domanda. In tal caso al proprietario dell’acquedotto è dovuta un’indennità da determinarsi avuto riguardo all’acqua che s’introduce, al valore dell’acquedotto, alle opere che si rendono necessarie per il nuovo passaggio e alle maggiori spese di manutenzione.

La facoltà indicata dal comma precedente non è consentita al proprietario del fondo servente nei confronti della pubblica amministrazione.

 

Nella servitù di acquedotto coattivo, la determinazione del luogo attraverso il quale deve effettuarsi il passaggio delle acque non può farsi se non con riguardo alla concreta situazione di fatto, considerandosi di volta in volta gli elementi che debbono concorrere alla scelta della soluzione più equa, con il temperamento dei contrastanti interessi, nel rispetto del criterio del minor pregiudizio per il fondo servente e della maggior convenienza sia per detto fondo che per quello dominante. Una siffatta indagine spetta al giudice del merito e non è sindacabile in Cassazione, se sorretta da idonea motivazione[64].

 

 

art. 1035 c.c.    attraversamento di acquedotti: chi vuol condurre l’acqua per il fondo altrui può attraversare al di sopra o al di sotto gli acquedotti preesistenti, appartengano essi al proprietario del fondo o ad altri, purché esegua le opere necessarie a impedire ogni danno o alterazione degli acquedotti stessi (1090).

 

art. 1036 c.c.    attraversamento di fiumi o di strade: se  per la condotta delle acque occorre attraversare strade pubbliche o corsi di acque pubbliche, si osservano le leggi e i regolamenti sulle strade e sulle acque.

 

art. 1037 c.c.   condizioni per la costituzione della servitù: chi vuol far passare le acque sul fondo altrui deve dimostrare che può disporre dell’acqua durante il tempo per cui chiede il passaggio; che la medesima è sufficiente per l’uso al quale si vuol destinare; che il passaggio richiesto e il più conveniente e il meno pregiudizievole al fondo servente, avuto riguardo alle condizioni dei fondi vicini, al pendio e alle altre condizioni per la condotta, per il corso e lo sbocco delle acque.

 

 

art. 1038 c.c.    indennità per l’imposizione della servitù: prima di imprendere la costruzione dell’acquedotto, chi vuol condurre acqua per il fondo altrui deve pagare il valore, secondo la stima, dei terreni da occupare, senza detrazione delle imposte e degli altri carichi inerenti al fondo, oltre l’indennità per i danni, ivi compresi quelli derivanti dalla separazione in due o più parti o da altro deterioramento del fondo da intersecare.

Per i terreni, però, che sono occupati soltanto per il deposito delle materie estratte e per il getto dello spurgo non si deve pagare che la metà del valore del suolo, e sempre senza detrazione delle imposte e degli altri incarichi inerenti; ma nei terreni medesimi il proprietario del fondo servente può fare piantagioni e rimuovere e trasportare le materie ammucchiate, purché tutto segua senza danno all’acquedotto, del suo spurgo e della sua riparazione.

 

art. 1039 c.c.   indennità per il passaggio temporaneo: qualora il passaggio delle acque sia domandato per un tempo non maggiore di nove anni, il pagamento dei valori e delle indennità indicati dall’articolo precedente è ristretto alla sola metà, ma con l’obbligo, scaduto il termine, di rimettere le cose nel primitivo stato.

Il passaggio temporaneo può essere reso perpetuo prima della scadenza del termine mediante il pagamento dell’altra metà con gli interessi legali (1284) dal giorno in cui il passaggio è stato praticato; scaduto il termine, non si tiene più conto di ciò che è stato pagato per la concessione temporanea.

 

art. 1040   c.c.     uso dell’acquedotto: chi possiede un acquedotto nel fondo altrui non può immettervi maggiore quantità d’acqua, se l’acquedotto non ne è capace o ne può venir danno al fondo servente.

Se l’introduzione di una maggior quantità d’acqua esige nuove opere, queste non possono farsi, se prima non se ne determinano la natura e la qualità e non si paga la somma dovuta per il suolo da occupare e per i danni nel modo stabilito dall’art. 1038.

La stessa disposizione si applica anche quando per il passaggio attraverso un acquedotto occorre sostituire una tomba a un ponte canale o viceversa.

 

 

art. 1041 c.c.     letto dell’acquedotto: è sempre in facoltà del proprietario del fondo servente di far determinare stabilmente il letto dell’acquedotto con l’apposizione di capisaldi o soglie da riportarsi a punti fissi. Se però di tale facoltà egli non ha fatto uso al tempo della concessione dell’acquedotto, deve sopportare la metà delle spese occorrenti.

 

art. 1042 c.c.    obblighi inerenti all’uso di corsi contigui a fondi altrui: se un corso d’acqua impedisce ai proprietari dei fondi contigui l’accesso ai medesimi, o la continuazione dell’irrigazione o dello scolo delle acque, coloro che si servono di quel corso sono obbligati, in proporzione del beneficio che ne ritraggono, a costruire e a mantenere i ponti e i loro accessi sufficienti per un comodo e sicuro transito, come pure le botti sotterranee, i ponti-canali o altre opere simili per continuare l’irrigazione o lo scolo, salvi i diritti derivanti dal titolo o dall’usucapione.

 

 

art. 1043 c.c.   scarico coattivo: le disposizioni contenute negli articoli precedenti per il passaggio delle acque si applicano anche se il passaggio e domandato al fine di scaricare acque sovrabbondanti che il vicino non consente di ricevere nel suo fondo.

Lo scarico può essere anche domandato per acque impure, purché siano adottate le precauzioni atte a evitare qualsiasi pregiudizio o molestia.

 

Condizioni

Lo scarico coattivo di cui all’art. 1043 cod. civ. non può essere invocato per smaltire le acque luride del proprio fondo in quello del vicino, atteso che detta norma riguarda soltanto il passaggio di acque sovrabbondanti od impure sul fondo del vicino, per condurle ad un luogo nel quale il proprietario del fondo dominante abbia diritto di scaricarle[65].

Acque sovrabbondanti

La servitù coattiva di scarico di cui all’art. 1043 cod. civ. può essere domandata per liberare il proprio immobile sia dalle acque sovrabbondanti potabili o non potabili provenienti da acquedotto o da sorgente esistente nel fondo o dallo scarico di acque piovane, sia dalle acque impure risultanti dal funzionamento degli impianti agricoli o industriali o dagli impianti e servizi igienico-sanitari di edifici[66].

 

art. 1044 c.c.    bonifica: ferme le disposizioni delle leggi sulla bonifica e sul vincolo forestale, il proprietario che intende prosciugare o bonificare le sue terre con fognature, con colmate o altri mezzi ha diritto, premesso il pagamento dell’indennità e col minor danno possibile, di condurre per fogne o per fossi le acque di scolo attraverso i fondi che separano le sue terre da un corso d’acqua o da qualunque altro colatoio.

Se il prosciugamento risulta in contrasto con gli interessi di coloro che utilizzano le acque provenienti dal fondo paludoso, e se gli opposti interessi non si possono conciliare con opportune opere che importino una spesa proporzionata allo scopo, l’autorità giudiziaria dà le disposizioni per assicurare l’interesse prevalente, avuto in ogni caso riguardo alle esigenze generali della produzione. Se si fa luogo al prosciugamento, può essere assegnata una congrua indennità a coloro che al prosciugamento si sono opposti.

 

art. 1045 c.c.   utilizzazione di fogne o di fossi altrui: i proprietari dei fondi attraversati da fogne o da fosse altrui, o che altrimenti possono approfittare dei lavori fatti in. forza dell’articolo precedente, hanno facoltà di servirsene per risanare i loro fondi, a condizione che non ne venga danno ai fondi già risanati e che essi sopportino le nuove spese occorrenti per modificare le opere già eseguite, affinché  queste siano in grado di servire anche ai fondi attraversati, e inoltre sopportino una parte proporzionale delle spese già fatte e di quelle richieste per il mantenimento delle opere, le quali divengono comuni.

 

art. 1046 c.c.    norme per l’esecuzione delle opere: nell’esecuzione delle opere indicate dagli articoli precedenti sono applicabili le disposizioni del secondo comma dell’art. 1033 e degli artt. 1035 e 1036.

 

(Libro III della proprietà  – Titolo VI delle servitù prediali – capo II delle servitù coattive  – sez. II – dell’appoggio e dell’infissione di chiusa  artt.  1047 – 1048)

art. 1047  c.c.    contenuto della servitù: chi ha diritto di derivare acque da fiumi, torrenti, rivi, canali, laghi o serbatoi può, qualora sia necessario, appoggiare o infiggere una chiusa alle sponde, con l’obbligo però di pagare la indennità e di fare e mantenere le opere atte ad assicurare i fondi da ogni danno (1032).

 

art. 1048  c.c.    obblighi degli utenti: nella derivazione e nell’uso delle acque a norma del precedente articolo, deve evitarsi tra gli utenti superiori e gli inferiori ogni vicendevole pregiudizio che possa provenire dallo stagnamento, dal rigurgito o dalla diversione delle acque medesime.

(Libro III della proprietà  – Titolo VI delle servitù prediali – capo II delle servitù coattive  – sez. III – della somministrazione coattiva di acqua a un edificio o un fondo –   artt.  1049 – 1050)

art. 1049 c.c.  somministrazione di acqua a un edificio: se a una casa o alle sue dipendenze manca l’acqua necessaria per l’alimentazione degli uomini o degli animali e per gli altri usi domestici, e non è possibile procurarla senza eccessivo dispendio, il proprietario del fondo vicino deve (1032) consentire che sia dedotta l’acqua di sopravanzo nella misura indispensabile per le necessità anzidette.

Prima che siano iniziati i lavori, deve pagarsi il valore dell’acqua, che si chiede di dedurre, calcolato per un’annualità. Si devono altresì sostenere tutte le spese per le opere di presa e di derivazione. Si applicano inoltre le disposizioni del primo comma dell’art. 1038.

In mancanza di convenzione, la sentenza determina le modalità della derivazione e l’indennità dovuta (2908, 2932).

Qualora si verifichi un mutamento nelle condizioni originarie, la derivazione può essere soppressa su istanza dell’una o dell’altra parte.

  

art. 1050 c.c.   somministrazione di acqua a un fondo: le norme stabilite dall’articolo precedente si applicano anche se il proprietario di un fondo non ha acqua per irrigarlo, quando le acque del fondo vicino consentono una parziale somministrazione, dopo soddisfatto ogni bisogno domestico, agricolo o industriale.

Le disposizioni di questo articolo e del precedente non si applicano nel caso in cui delle acque si dispone in forza di concessione amministrativa.

(Libro III della proprietà  – Titolo VI delle servitù prediali – capo II delle servitù coattive  –sez. IV – del passaggio coattivo –   artt.  1051 – 1055)

art. 1051 c.c.   passaggio coattivo: il proprietario, il cui fondo è circondato da fondi altrui, e che non ha uscita sulla via pubblica né può procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio, ha diritto (1032) di ottenere il passaggio sul fondo vicino per la coltivazione e il conveniente uso del proprio fondo.

Il passaggio si deve stabilire (1350) in quella parte in cui l’accesso alla via pubblica e più breve e riesce di minore danno al fondo sul quale è consentito. Esso può essere stabilito anche mediante sottopassaggio, qualora ciò sia preferibile, avuto riguardo al vantaggio del fondo dominante e al pregiudizio del fondo servente.

Le stesse disposizioni si applicano nel caso in cui taluno, avendo un passaggio sul fondo altrui, abbia bisogno ai fini suddetti di ampliarlo per il transito dei veicoli anche a trazione meccanica.

Sono esenti da questa servitù le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti.

La sussistenza

Poiché per verificare la sussistenza della interclusione di un fondo, ai fini della costituzione di una servitù di passaggio coattivo, ai sensi dell’art. 1051 cod. civ., il fondo deve essere considerato unitariamente e non per parti separate, non si ha interclusione quando da una residua parte del fondo, che ha accesso alla via pubblica, sia possibile, senza lavori particolarmente onerosi, realizzare un collegamento con la parte interclusa, altrimenti risolvendosi la costituzione del passaggio coattivo nella imposizione di un peso in danno del fondo altrui per prevalenti ragioni di comodità, atteso che non vi sono ostacoli al passaggio da una parte all’altra del fondo dominante[67].

In tale senso già si era espressa la S.C.[68] con altra sentenza secondo la quale ai fini della costituzione di una servitù coattiva di passaggio, l’accertamento dell’interclusione di un fondo, ai sensi dell’art. 1051 cod. civ., va eseguito in riferimento al fondo nel suo complesso e quindi senza tener conto del fatto che soltanto una parte di esso, per effetto di libere e legittime scelte del proprietario circa la sua utilizzazione (costruzione di fabbricati, piantagioni, destinazioni agricole ed altro) non sia raggiungibile con mezzi meccanici. (Nella specie, avendo il proprietario di un fondo – confinante da un lato con la via pubblica – costruito sul retro di un fabbricato, sito sul confine opposto del fondo, un’autorimessa non raggiungibile dalla via pubblica per il fatto che l’edificio si estendeva dall’uno all’altro dei confini laterali del fondo stesso, è stato escluso dal giudice del merito – la cui decisione è stata confermata dalla C.S. – che potesse considerarsi interclusa la parte di fondo su cui insisteva l’autorimessa).

Secondo, poi, ultima sentenza della medesima Corte, in base al principio testè riportato si legge in sentenza, qualora, a causa della divisione materiale di un fondo operata dal proprietario di esso, la prima parte del fondo sia priva di accesso alla pubblica via, mentre la residua parte ne mantiene il collegamento, non si è in presenza di una situazione d’interclusione, suscettibile di dar luogo alla costituzione di una servitù coattiva di passaggio, poiché all’interclusione di fatto può porre fine l’unico proprietario del fondo, ripristinando il collegamento alla pubblica via in favore della parte interclusa attraverso la porzione che gode di accesso all’esterno.

Corte di cassazione, sezione II, sentenza n. 9464 del 28 aprile 2011

Inoltre, la determinazione del luogo di esercizio di una servitù di passaggio coattivo deve essere compiuta alla stregua dei criteri enunciati dal comma secondo dell’art. 1051 cod. civ., costituiti dalla maggiore brevità dell’accesso alla via pubblica, sempreché la libera esplicazione della servitù venga garantita con riguardo all’utilità del fondo dominante, e dal minore aggravio del fondo asservito, da valutarsi ed applicarsi contemporaneamente ed armonicamente, mediante un opportuno ed equilibrato loro contemperamento e tenuto presente che, vertendosi in tema di limitazione del diritto di proprietà – resa necessaria da esigenze cui non è estraneo il pubblico interesse – va applicato, in modo ancora più accentuato di quanto avviene per le servitù volontarie, il principio del minimo mezzo; il relativo giudizio compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente e logicamente motivato.

Per altra sentenza di Cassazione, per di più, il requisito dell’interclusione, necessario per la costituzione della servitù coattiva di passaggio a norma dell’art. 1051 cod. civ., sussiste anche quando il fondo sia costeggiato da un lato dal lido del mare, non potendo quest’ultimo identificarsi con la strada pubblica[69].

Con altro arresto la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 31 dicembre 2014, n. 27565

ha precisato che errata e’ la considerazione secondo la quale non si possano configurare i presupposti per la costituzione di servitu’ coattiva di passaggio quando e per la sola circostanza che i terreni di una zona gia’ “sono edificati e raggiungibili da attraverso una rete di strade che si e’ formata gia’ nel tempo con caratteristiche evidentemente diverse da quelle ora imposte dal piano regolatore”. Con la decisione del Giudice di appello si e’, infatti, ritenuto che il fondo medesimo avesse gia’ una strada a proprio servizio e che la medesima strada (anche se di carreggiata inferiore a quella prevista PRG Aosta) era tale da consentire comunque l’uscita sulla via pubblica e cio’ anche per il transito di veicoli a trazione meccanica e che, pertanto, “mancavano i presupposti per la costituzione di servitu’ coattiva di passaggio”. Per la Cassazione la pianificazione urbanistica riservata alla P.A. ben puo’, come in ipotesi, prevedere una particolare sezione delle strade di urbanizzazione (sezione “misurata a partire dal loro inserimento nella maglia delle strade pubbliche, non inferiore a metri lineari 3,60?) o una particolare pendenza del loro tracciatoi cosi’ come stabilito dalle invocate norme di attuazione del locale P.R.G.. In tal caso la necessita’ dell’adeguamento dimensionale alle prescritte normative urbanistiche configura i presupposti per la creazione della costituzione coattiva di servitu’ cosi’ come richiesta in causa

Inoltre, è bene precisare che il requisito della interclusione deve ritenersi esistente anche quando il proprietario di un fondo sia comproprietario dei fondi interposti tra quello di sua esclusiva proprieta’ e la via pubblica, non potendo il comunista asservire il fondo comune al proprio (Cassazione sentenza n. 3702 del 1989).

Sotto un profilo processuale, inoltre, per recente sentenza di merito –  Tribunale di Trento, sentenza del 6 giugno 2014 n. 655 –  con riguardo, alla richiesta, di costituire una servitù coattiva di transito, richiamando una recente pronuncia a Sezioni unite (n. 9685/2013), in quanto la domanda non è stata rivolta a tutti i fondi attraversati dalla strada, è stata respinta la suddetta richiesta.

Per la Cassazione richiamata nella sentenza di merito, infatti, «l’azione di costituzione coattiva di servitù di passaggio deve essere contestualmente proposta nei confronti dei proprietari di tutti i fondi che si frappongono all’accesso alla pubblica via, realizzandosi la funzione propria del diritto riconosciuto al proprietario del fondo intercluso dall’art. 1051 cod. civ. solo con la costituzione del passaggio nella stia interezza. Ne consegue che, in mancanza, la domanda va respinta perché diretta a far valere un diritto inesistente, restando esclusa la possibilità di integrare il contraddittorio rispetto ai proprietari pretermessi».

Dunque, siccome l’oggetto del diritto riconosciuto dall’articolo 1051 del Cc al proprietario del fondo intercluso consiste nell’accesso alla strada pubblica «la servitù risulterebbe monca rispetto alla previsione normativa, priva di effettiva utilità e insuscettibile di esercizio se non in via puramente emulativa, ove fosse costituita soltanto per un tratto del percorso occorrente, in attesa di una sua futura, solo eventuale e ipotetica integrazione giudiziale o convenzionale». E la conseguenza, conclude il tribunale, è che in caso di pretermissione anche di uno soltanto dei proprietari dei fondi su cui si dovrebbe transitare, «non sarebbe ravvisabile un mero difetto di integrità del contraddittorio, ma una vera e propria infondatezza della domanda perché diretta a far valere un diritto inesistente».

Ancora per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|31 maggio 2021| n. 15116

in tema di costituzione di servitù coattiva di passaggio, il presupposto dell’interclusione, da accertare con riferimento al fondo dominante nella sua interezza, non è escluso dal passaggio esercitato, di fatto, su un fondo appartenente a terzi, occorrendo all’uopo, al contrario, che esista un diritto reale (“iure proprietatis” o “servitutis”) di passaggio, che soddisfi le esigenze per le quali si agisca per la costituzione della servitù, anche se insufficiente o inadatto ai bisogni del fondo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito, che aveva escluso l’interclusione sul rilievo che il fondo dominante, di proprietà di una società, avesse accesso alla via pubblica mediante il passaggio esercitato, di fatto, su beni in titolarità dei soci, i quali non avevano tuttavia formato oggetto di conferimento alla società medesima, ex art. 2254 c.c.).

Secondo altra Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 12 maggio 2020, n. 8779.

poi, la determinazione del luogo di esercizio di una servitù di passaggio coattivo deve essere compiuta alla stregua dei criteri enunciati dal comma 2 dell’art. 1051 c.c., costituiti dalla maggiore brevità dell’accesso alla via pubblica, sempreché la libera esplicazione della servitù venga garantita con riguardo all’utilità del fondo dominante, e dal minore aggravio del fondo asservito, da valutarsi ed applicarsi contemporaneamente ed armonicamente, mediante un opportuno ed equilibrato loro contemperamento e tenuto presente che, vertendosi in tema di limitazione del diritto di proprietà – resa necessaria da esigenze cui non è estraneo il pubblico interesse – va applicato, in modo ancora più accentuato di quanto avviene per le servitù volontarie, il principio del minimo mezzo; il relativo giudizio compete, in ogni caso, al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente e logicamente motivato.

Ancora sul punto la Cassazione di recente

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|22 ottobre 2021| n. 29579.

ha affermato che ai fini della costituzione di una servitù coattiva di passaggio, il giudice, all’esito di una valutazione implicante un tipico accertamento di fatto – insindacabile in sede di legittimità, se non per motivazione mancante, apparente o contraddittoria ovvero per omesso esame di fatti decisivi – da svolgere anche ove una o alcune delle soluzioni ipotizzabili concernano fondi (intercludenti) i cui proprietari non siano parti in causa, deve provvedere alla determinazione del percorso di collegamento tra la pubblica via ed il fondo intercluso in base ai criteri della maggiore brevità dell’accesso alla prima e del minor aggravio del fondo da asservire, esplicativi del più generale principio del “minimo mezzo”, sì da contemperare, nel massimo grado possibile, la maggiore comodità per il fondo intercluso con il minor disagio per quello servente.

 

Infine, in merito all’ultimo comma dell’art. 1051 c.c. la disposizione che esenta dall’assoggettamento le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti ed è applicabile anche all’ipotesi di passaggio su fondo non intercluso, in base al richiamo contenuto nel successivo art. 1052 cod. civ. – non prevede un’esenzione assoluta delle aree indicate dalla servitù di passaggio, bensì solo un criterio di scelta, ove possibile, nei casi in cui le esigenze poste a base della richiesta di servitù siano realizzabili mediante percorsi alternativi, tra i quali deve attribuirsi priorità a quelli non interessanti le menzionate aree[70].

Mentre, in ordine all’indennità, valga quanto enunciato in ultima sentenza della S.C.

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza 9 ottobre 2020, n. 21866.

l’indennità dovuta dal proprietario del fondo in cui favore è stata costituita la servitù di passaggio coattivo non rappresenta il corrispettivo dell’utilità conseguita dal fondo dominante, ma un indennizzo risarcitorio da ragguagliare al danno cagionato al fondo servente, sicché, per la sua determinazione, non può aversi riguardo esclusivamente al valore della superficie di terreno assoggettata alla servitù, dovendosi tenere altresì conto di ogni altro pregiudizio subìto dal fondo servente, in relazione alla sua destinazione, a causa del transito di persone e di veicoli.

Ampliamento

Il soggetto nei cui confronti è richiesto – per assicurare il transito anche dei veicoli a motore – l’ampliamento[71] coattivo di una servitù di passaggio non può, di norma, utilmente eccepire che sarebbe possibile realizzare il passaggio, secondo un tracciato più breve, sul terreno di un terzo, poiché, sussistendo già una servitù di passaggio a favore del fondo intercluso, la costituzione di una servitù coattiva sul fondo di un terzo sarebbe consentita solo se l’ampliamento di quella già esistente risultasse impossibile o possibile solo con dispendio o disagi eccessivi. (Nella specie, il motivo di ricorso investiva anche l’adeguatezza della motivazione con la quale il giudice di merito aveva escluso che effettivamente il tracciato alternativo fosse più breve ed agevole; la S.C. ha rigettato il motivo con riferimento alla correttezza ed adeguatezza delle affermazioni del giudice di merito sia in punto di fatto che in punto di diritto).

In altre parole il soggetto nei cui confronti e’ richiesto l’ampliamento coattivo di una servitu’ di passaggio non puo’, di norma, utilmente eccepire che sarebbe possibile realizzare il passaggio sul terreno di un terzo, poiche’, sussistendo gia’ una servitu’ di passaggio a favore del fondo intercluso, la costituzione di una servitu’ coattiva sul fondo di un terzo sarebbe consentita solo se l’ampliamento di quella gia’ esistente risultasse impossibile o possibile solo con dispendio o disagi eccessivi (Cassazione, sentenza n. 8192 del 2000 e 10702 del 1994).

In merito, poi,  è nuovamente intervenuta la S.C.,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 12819 del 23 maggio 2013

la quale, nel rinviare ad altra Corte di merito, enunciava il seguente principio di diritto generale in merito all’art. 1051 c.c.: ai sensi dell’art. 1051 c.c. l’interclusione assoluta o relativa che legittima la costituzione della servitù coattiva di passaggio ricorre quando il fondo, privo di accesso alla via pubblica, è circondato da fondi altrui, situazione, questa, che giustifica l’imposizione del peso in re aliena. Relativizzata la nozione di fondo all’uso produttivo o civile cui esso è adibito dal proprietario, l’interclusione sussiste se ed in quanto l’unità immobiliare che si assume come fondo dominante sia circondata da terreno di proprietà aliena, di guisa che il passaggio non possa essere attuato se non col sacrificio del diritto altrui.
Diversamente, se tra il fondo del cui vantaggio si tratta e la via pubblica s’interpongono altri fondi appartenenti al medesimo titolare e dotati o dotabili di accesso proprio alla via pubblica senza eccessivo dispendio o disagio, nessun ostacolo giuridico o materiale impedisce il passaggio attraverso i fondi del medesimo proprietario. In tal caso, pertanto, l’art. 1051 c.c. non può trovare applicazione alcuna, neppure con riguardo all’ampliamento della servitù di passaggio preesistente, che del pari presuppone la residua interclusione del fondo dominante.

Infine, riguardo sempre al III comma dell’art. 1051, di recente la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 giugno 2022| n. 19754

ha avuto modo di affermare che l’ampliamento coattivo di una servitù di passaggio già esistente, disciplinato dall’art. 1051, comma 3, c.c., va riferito alla estensione del contenuto del preesistente diritto di servitù, in relazione alla possibilità di esercizio del passaggio con modalità prima non previste, e cioè, per ipotesi, oltre che a piedi, con una motocarriola con piano di carico orizzontale, dotata di motore e cingoli che ne permettono il movimento, mentre l’eventuale allargamento del tracciato esistente, su cui grava la servitù, assume un aspetto meramente strumentale rispetto al nuovo modo di esercizio di questa, quando il tracciato non consenta il passaggio anche con il suddetto mezzo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto irrilevante la mancata richiesta di allargamento del tracciato, trattandosi di circostanza che non faceva venir meno la natura costituiva della pronuncia richiesta che era diretta, in conformità all’univoco significato desumibile dagli atti processuali, all’ampliamento della servitù esistente, in modo da consentire il transito con un motocariola).

Conveniente uso del fondo

In materia di servitù prediali, la necessità di ampliare il passaggio coattivo, a norma del terzo comma dell’art. 1051 cod. civ., va collegata ad esigenze del fondo dominante non in base a criteri astratti o ipotetici, ma con riguardo alle possibilità concrete di un più intenso sfruttamento o di una migliore sua utilizzazione e, quindi, anche subordinatamente all’accertamento di un serio proposito del proprietario, risultante da fatti concreti e non da mere intenzioni manifestate, di attuare tale più intenso sfruttamento e tale migliore utilizzazione[72].

Sempre secondo la S.C.[73] in tema di passaggio coattivo, nel caso in cui si lamenti l’impossibilità di accedere al proprio fondo, invece che con mezzi meccanici di ridotte dimensioni (motocicletta), con mezzi meccanici di medie o comunque più grandi dimensioni (autovettura), senza invadere la proprietà del vicino, si versa in una ipotesi di interclusione relativa, ai sensi dell’art. 1051, primo comma, cod. civ., perché il fondo, pur avendo possibilità di uscita sulla pubblica via, non ne ha ugualmente, causa la situazione dei luoghi, con gli anzidetti mezzi meccanici di dimensioni maggiori. Anche in tale caso, l’indagine del giudice ha ad oggetto il conveniente uso del fondo e la portata di tale indagine è condizionata dalla posizione difensiva del convenuto titolare del fondo servente, nel senso che, soltanto ove non proposte ovvero respinte le questioni sull’agevole acquisibilità di altro accesso o sulla materiale impossibilità dell’ampliamento del passaggio, occorre affrontare e risolvere le questioni sulle modalità di detto ampliamento in relazione al principio del contemperamento degli interessi dei due fondi.

 

Determinazione del percorso[74]

Il proprietario di un fondo intercluso, legittimato ad ottenere il passaggio sul fondo vicino verso la pubblica via onde realizzare una più conveniente utilizzazione del bene, nel convenire in giudizio il proprietario (ovvero uno dei proprietari) di fondi finitimi, ha il solo onere di provare lo stato di interclusione, assoluta o relativa, del proprio terreno, spettando al giudice di merito l’accertamento e la determinazione del luogo di esercizio, in concreto, della costituenda servitus viae, attesi i criteri (di cui all’art. 1051 cod. civ.) della maggior brevità dell’accesso alla via pubblica (avuto riguardo non solo alla maggiore o minor lunghezza del percorso, ma anche alla sua onerosità in rapporto allo “status” giuridico e materiale dei fondi interessati) e del minor aggravio per il fondo servente (sancito, oltre che nell’interesse del proprietario di detto fondo, anche in quello dello stesso proprietario del fondo intercluso, sotto il profilo della indennità da corrispondere, commisurata, appunto, al danno che l’assoggettamento al passaggio comporta per il potenziale fondo servente), entrambi da applicarsi, contemporaneamente ed armonicamente, secondo il più generale principio del “minimo mezzo”, inteso nel senso che la servitù dovrà costituirsi, da un lato, in modo che ne risulti garantita la libera esplicazione per l’utilità e la comodità del fondo dominante e, dall’altro, in modo che la condizione del fondo servente sia aggravata nel minor grado possibile. A tale valutazione, infine, il giudice potrà provvedere anche quando una delle soluzioni, in ipotesi, più conveniente riguardi proprietari di fondi non parti in causa, senza che, nella specie, sia necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti di essi, che potranno, successivamente, essere chiamati ad intervenire nel processo ad istanza di parte, ovvero iussu iudicis (salva l’ipotesi in cui, tra il fondo intercluso e la strada pubblica, si frappongano più fondi, su tutti i quali si renda necessaria la costituzione della servitù, occorrendo, in tale ipotesi, la presenza in causa di tutti i proprietari dei fondi intercludenti).

Esenzioni IV comma

Infine, in ordine alle esenzioni del IV comma del 1051 c.c., la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 30 settembre 2020, n. 20875

con ultimo intervento ha avuto modo di precisare che in materia di servitù di passaggio coattivo, l’esenzione prevista dall’articolo 1051, quarto comma, del codice civile – in favore di case, cortili, giardini e aie a esse attinenti – opera nel solo caso in cui il proprietario del fondo intercluso abbia la possibilità di scegliere tra più fondi, attraverso i quali attuare il passaggio, di cui almeno uno non sia costituito da case o pertinenze delle stesse. La norma indicata non trova invece applicazione allorché il rispetto dell’esenzione comporterebbe l’interclusione assoluta del fondo, e quindi un pregiudizio maggiore del disagio costituito dal transito attraverso cortili, aie, giardini e simili

art. 1052 c.c.  passaggio coattivo a favore di fondo non intercluse: le disposizioni dell’articolo precedente si possono applicare anche se il proprietario del fondo ha un accesso alla via pubblica, ma questo è inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo e non può essere ampliato.

Il passaggio può essere concesso dall’autorità giudiziaria (2908) solo quando questa riconosce che la domanda risponde alle esigenze dell’agricoltura o della industria.

 

Passaggio coatto e passaggio necessario[75]

La nozione di passaggio coatto, cioè del passaggio che può essere concesso officio iudicis a norma dell’art. 1052 cod. civ. non coincide con quella di passaggio necessario di cui all’art. 1051 cod. civ. Quest’ultima ipotesi ricorre quando il fondo sia circondato da fondi altrui e non abbia uscita sulla strada pubblica (interclusione assoluta) o non possa procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio (interclusione relativa) mentre il passaggio coatto può disporsi quando il fondo abbia un accesso alla via pubblica e sia, quindi, non intercluso, ma l’accesso sia inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo medesimo e non possa essere ampliato. L’interclusione assoluta o relativa attribuisce al proprietario del fondo intercluso il diritto di ottenere il passaggio coattivo dal vicino, mentre la concessione del passaggio nell’ipotesi dell’art. 1052 cod. civ. è rimessa all’apprezzamento discrezionale dell’autorità giudiziaria.

Sempre secondo la Corte di Legittimità[76] ai sensi dell’art. 1052 cod. civ., da leggere alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 167 del 1999, la costituzione di servitù coattiva di passaggio a favore di fondo non intercluso può avvenire non soltanto in presenza di esigenze dell’agricoltura e dell’industria, ma anche quando sia accertata, in generale, l’inaccessibilità al fondo da parte di qualsiasi portatore di handicap o persona con ridotta capacità motoria, essendo irrilevante l’inesistenza in concreto della disabilità in capo al titolare del fondo servente.

Sul punto è intervenuta anche ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 6 giugno 2018, n. 14477.

secondo la quale, appunto, ai sensi dell’articolo 1052 c.c., la costituzione di servitu’ coattiva di passaggio a favore di fondo non intercluso puo’ avvenire non soltanto in presenza di esigenze dell’agricoltura e dell’industria, ma anche quando sia accertata, in generale, l’inaccessibilita’ al fondo da parte di qualsiasi portatore di handicap o persona con ridotta capacita’ motoria, essendo irrilevante l’inesistenza in concreto della disabilita’ in capo al titolare del fondo servente, ovvero occorra garantire la tutela di esigenze abitative, da chiunque invocabili. Infatti, dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 167 del 1999, e’ emerso un mutamento di prospettiva secondo il quale l’istituto della servitu’ di passaggio non e’ piu’ limitato ad una visuale dominicale e produttivistica, ma e’ proiettato in una dimensione dei valori della persona, di cui agli articoli 2 e 3 Cost., che permea di se’ anche lo statuto dei beni ed i rapporti patrimoniali in generale.

Per il Tribunale dell’Aquila[77], ai fini della costituzione di una servitù di passaggio con mezzi meccanici, lo stato di interclusione (assoluta o relativa) del fondo deve essere escluso qualora risulti esistente una strada di accesso alla via pubblica, a nulla rilevando che detto accesso sia solo pedonale, che il transito sia reso difficoltoso dal difetto di manutenzione della strada e che anche con opportune manutenzioni rimanga materialmente impossibile renderlo idoneo al transito di mezzi meccanici. Infatti, in tema di interclusione del fondo e di possibile costituzione di servitù di passaggio coattiva, si ha interclusione assoluta solo quando il fondo considerato confini da tutti i lati con fondi privati attraverso i quali sia pertanto necessario passare per accedervi (o regredirvi) per raggiungere la via pubblica. Sempre in tema di interclusione del fondo e di possibile costituzione di servitù di passaggio coattiva, l’interclusione relativa, invece, si configura solo quando un fondo confini da un lato, con la via pubblica, ma non possa il titolare dello stesso procurarsi un passaggio diretto alla via pubblica, superando quel confine senza eccessivo dispendio o disagio. Ciò avviene, esempio, quando tra il fondo e la via pubblica esista un corso d’acqua o un dislivello particolarmente accentuato. Al di fuori di queste ipotesi non si può, pertanto, parlare di fondo intercluso, né assolutamente, né relativamente e, quindi, non sono applicabili le norme sulla costituzione di passaggio coattivo su fondo intercluso.

Con ultimo intervento la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 5 luglio 2016, n. 13655

ha avuto modo di specificare che in giurisprudenza si distingue tra passaggio coatto, cioe’ passaggio che puo’ essere concesso officio iudicis a norma dell’articolo 1052 c.c., e passaggio necessario di cui all’articolo 1051. Quest’ultima ipotesi ricorre quando il fondo sia circondato da fondi altrui e non abbia uscita sulla strada pubblica (interclusione assoluta) o non possa procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio (interclusione relativa) mentre il passaggio coatto puo’ disporsi quando il fondo abbia un accesso alla via pubblica e sia, quindi, non intercluso, ma l’accesso sia inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo medesimo e non possa essere ampliato. In particolare, il diritto potestativo alla costituzione della servitu’, per il fondo non intercluso, e’ accordato in presenza della inadeguatezza del passaggio sulla via pubblica rispetto alle esigenze dell’agricoltura e dell’industria, oltre che dell’impossibilita’ di ampliamento di detto passaggio.

L’interclusione del fondo necessaria per ottenere il passaggio coattivo sul fondo del vicino, a norma dell’articolo 1051 c.c. – e’ esclusa solo allorche’ esista un diritto reale (jure proprietatis o servitutis) di passaggio .

La possibilita’ di costituire un passaggio coattivo in favore di un fondo che, benche’ circondato da altri, fruisca di accesso alla via pubblica in forza di servitu’ volontaria su altro fondo, al fine di consentirne un altro sbocco sulla via pubblica, esula, dunque, dalla previsione dell’articolo 1051 c.c., restando regolata dal successivo articolo 1052 c.c.; in questo caso il diritto alla costituzione della servitu’ e’ condizionato all’esistenza dei seguenti presupposti: che il preesistente accesso sia inidoneo od insufficiente, che il suo ampliamento sia materialmente irrealizzabile od eccessivamente oneroso e che il nuovo passaggio risponda in concreto alle esigenze di sfruttamento agricolo od industriale del fondo dominante, senza impedire o compromettere analoghe utilizzazioni del fondo servente.

Compete poi al giudice di merito verificare l’esistenza dell’interclusione e accertare il luogo di esercizio di una servitu’ di passaggio coattivo: accertamento che deve essere compiuto alla stregua dei criteri enunciati dall’articolo 1051 c.c., comma 2. Nel caso in cui la domanda abbia ad oggetto un fondo non intercluso e l’attore lamenti l’insufficienza del passaggio rispetto ai bisogni del fondo, lo stesso giudice di merito dovra’ accertare se ricorrono le condizioni, sopra richiamate, atte a giustificare la costituzione della servitu’ a norma dell’articolo 1052 c.c..

art. 1053 c.c.  indennità: nei casi previsti dai due articoli precedenti e dovuta un’indennità proporzionata al danno cagionato dal passaggio.

Qualora, per attuare il passaggio, sia necessario occupare con opere stabili o lasciare incolta una zona del fondo servente, il proprietario che lo domanda deve, prima d’imprendere le opere o d’iniziare il passaggio, pagare il valore della zona predetta nella misura stabilita dal primo comma dell’art. 1038.

Il riconoscimento dell’indennità per la costituzione di servitù coattiva di passaggio deve formare oggetto di specifica domanda da parte del titolare del fondo servente, che può essere comunque proposta anche in separato giudizio[78].

Natura e determinazione dell’indennità[79]

L’indennità dovuta al proprietario del fondo a favore del quale è stata costituita la servitù di passaggio coattivo non rappresenta il corrispettivo dell’utilità conseguita dal fondo dominante, ma un indennizzo risarcitorio da ragguagliare al danno cagionato al fondo servente. Ne consegue che ai fini della determinazione dell’indennità non può aversi riguardo esclusivamente[80] al valore della superficie di terreno assoggettata alla servitù, ma si deve tener conto di ogni altro pregiudizio subito dal fondo servente in relazione alla sua destinazione a causa del transito di persone o di veicoli.

art. 1054 c.c.  interclusione per effetto di alienazione o di divisione: se il fondo è divenuto da ogni parte chiuso per effetto di alienazione a titolo oneroso, il proprietario ha diritto di ottenere dall’altro contraente il passaggio senza alcuna indennità (att. 154).

La stessa norma si applica in caso di divisione (1111).

Condizioni ed ambito della previsione

Il proprietario del fondo, rimasto intercluso a seguito di alienazione a titolo oneroso o di divisione, non può rivolgersi ad altro qualsiasi confinante per ottenere il passaggio coattivo pagando l’indennità ai sensi dell’art. 1051 cod. civ., se non provi l’impossibilità di agire utilmente contro il suo dante causa o i suoi eredi per ottenere il passaggio gratuito cui egli ha diritto come contraente a norma dell’art. 1054 cod. civ.[81]

La norma di cui all’art. 1054 cod. civ., sull’interclusione del fondo a seguito di alienazione a titolo oneroso o di divisione, trova applicazione anche nell’analoga ipotesi di interclusione derivante da espropriazione per pubblica utilità, sicchè il diritto di accesso senza corresponsione di indennità va fatto valere dal proprietario del fondo rimasto intercluso nei confronti dell’ente espropriante, non potendo il proprietario medesimo, rinunziando all’anzidetto beneficio, rivolgersi ad altro confinante e chiedere il passaggio pagando l’indennità[82].

Con altra pronuncia, già citata in merito alla costituzione delle servitù coattiva

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 febbraio 2014, n. 2922

la Cassazione ha stabilito che Nei casi di servitù di passaggio in favore di fondo rimasto intercluso a seguito di atto di divisione, la divisione (o le convenzioni ad essi esplicitamente connesse) si rivela, di per sé sola, idonea a far presumere l’esistenza della determinazione delle parti di porre in essere una servitù coattiva di passo (come desumibile dallo stesso art. 1054 c.c. che attribuisce al contraente che rimane intercluso il diritto di ottenere dall’altro contraente e gratuitamente il passaggio) e, di conseguenza, una siffatta servitù è da considerare coattiva ove non emerga, in concreto ed inequivocabilmente, l’intento delle parti di assoggettarla al regime delle servitù volontarie.

 Inoltre, si legge nella medesima sentenza che per il disposto dell’art. 1054 cod. civ., che riconosce al proprietario del fondo rimasto intercluso in conseguenza di alienazione a titolo oneroso o di divisione il diritto di ottenere coattivamente dall’altro contraente il passaggio senza corrispondere alcuna indennità, deve presumersi che la servitù di passaggio costituita con lo stesso atto di alienazione o di divisione o anche con atto successivo che all’interclusione siano oggettivamente preordinati, abbia natura coattiva, con conseguente applicabilità alla medesima in caso di cessazione dell’interclusione della causa estintiva di cui all’art. 1055 cod. civ., salvo che dal negozio costitutivo non emerga in concreto ed inequivocabilmente l’intento delle parti di assoggettarle al regime delle servitù volontarie.

art. 1055 c.c.   cessazione dell’interclusione: se il passaggio cessa di essere necessario, può essere soppresso in qualunque tempo a istanza del proprietario del fondo dominante o del fondo servente. Quest’ultimo deve restituire il compenso ricevuto; ma l’autorità giudiziaria può disporre una riduzione della somma, avuto riguardo alla durata della servitù e al danno sofferto. Se l’indennità fu convenuta in annualità, la prestazione cessa dall’anno successivo.

 

La causa estintiva della servitù di passaggio, prevista dall’art. 1055 cod. civ. per il caso di cessazione dell’interclusione del fondo dominante, opera con riguardo ad ogni servitù che si ricolleghi ai presupposti del passaggio coattivo, secondo il disposto dell’art. 1051 cod. civ., anche se sia stata convenzionalmente costituita[83]. In merito il Tribunale di Nola, si è conformato a tale principio, stabilendo che la causa estintiva della servitù di passaggio prevista dall’art. 1055 c.c si riferisce esclusivamente alle servitù che trovano titolo nella legge, anche se costituite per contratto; infatti ai fini della distinzione tra servitù volontarie e coattive ciò che rileva non è la natura contrattuale o giudiziale del diritto, bensì il fatto che la costituzione del peso sul fondo servente rappresenti un diritto per il proprietario del fondo dominante previsto dalla legge in forza di un determinata situazione di fatto giuridicamente riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 1051 c.c.; conseguentemente allorché non risulti che il fondo dominante non abbia alcuna possibilità di uscita sulla via pubblica, se non attraverso i fondi che lo circondano, o non possa procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio, né l’utilizzazione da parte dell’avente diritto di altro passaggio, né l’aggravamento delle modalità di esercizio della servitù costituiranno motivi idonei a determinare l’estinzione della servitù medesima. (Nella specie in considerazione la costituzione della servitù era stata prevista nell’atto di vendita del fondo servente).

Ai fini procedurali il venir meno della interclusione del fondo dominante, cioè della situazione che aveva determinato la costituzione della servitù coattiva di passaggio, non comporta l’estinzione di questa in modo automatico, neanche nel caso in cui la servitù sia stata costituita convenzionalmente, ma richiede una sentenza costitutiva emessa su domanda del soggetto interessato, i cui effetti si producono ex nunc; sicché, per paralizzare la actio confessoria[84] diretta all’accertamento della sussistenza e difesa di una servitù coattiva, non è sufficiente una semplice eccezione, ma occorre un’espressa domanda riconvenzionale, la quale è inammissibile, ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., ove sia stata proposta per la prima volta in grado di appello[85].

(Libro III della proprietà  – Titolo V delle servitù prediali – capo II delle servitù coattive  – sez. V – dell’elettrodotto coattivo e del passaggio coattivo di linee teleferiche –   artt.  1056 – 1057)

art. 1056 c.c.   passaggio di condutture elettriche: ogni proprietario è tenuto (2908) a dare passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche, in conformità delle leggi in materia.

 

In merito secondo la Corte d’Appello di Campobasso[86] l’indennità per l’occupazione temporanea preordinata all’asservimento di un immobile a servitù di elettrodotto (la quale deriva da un atto legittimo della pubblica amministrazione del tutto autonomo ed indipendente dal titolo in base al quale potrà poi concludersi la vicenda ablativa), va liquidata, analogamente a quella relativa all’occupazione preordinata all’espropriazione, in una percentuale dell’indennità che sarebbe dovuta per l’esproprio, se si tratti di suoli edificabile, o, se si tratti invece di terreni non edificabili, in base alla regola posta dall’art. 20 della Legge del 22 ottobre 1971, n. 865. Tale somma, in quanto credito di valore, va poi rivalutata secondo gli indici ISTAT per le famiglie di operai ed impiegati e sull’importo via via rivalutato spettano gli interessi legali dalla domanda al soddisfo.

art. 1057 c.c.    passaggio di vie funicolari: ogni proprietario è parimenti tenuto a lasciar passare sopra il suo fondo le gomene di vie funicolari aeree a uso agrario o industriale e a tollerare sul fondo le opere, i meccanismi e le occupazioni necessarie a tale scopo, in conformità delle leggi in materia.

J)     Servitù di non costruire oltre una certa altezza

Servitus altius non tollendi, ossia la servitù di non costruire oltre una certa altezza.

In sostanza al diritto di poter utilizzare il fondo altrui (non necessariamente confinante) deve per forza di cose corrispondere un’utilità che sia riconducibile direttamente alla proprietà e quindi di riflesso al suo titolare.

Per fare un esempio: il diritto di passare sul fondo del vicino (c.d. servitù di passaggio) spiega i propri effetti direttamente sulla proprietà in quanto consente di goderne in modo pieno e quindi migliore.

Il diritto di parcheggiare sul fondo altrui, invece, non dà alcuna utilità connessa alla proprietà ma solo una maggiore comodità per il suo titolare. Quest’ultima fattispecie prende il nome di servitù irregolare in quanto si caratterizza come rapporto contrattuale che può

nascere solamente in base ad un accordo tra le parti (le servitù invece possono essere imposte anche a mezzo di provvedimento giurisdizionale)

E’ usuale affermare che le servitù possono essere tante quante sono le possibili utilità per il fondo interessato.

In questo senso è stata considerata tale la c.d. servitus altius non tollendi, vale a dire la servitù di non edificare al di sopra di una determinata altezza.

Per la Cassazione[87] in base al principio dell’autonomia negoziale, deve ritenersi consentita la possibilità della contemporanea costituzione, a carico dello stesso immobile e tra le stesse parti, sia di un diritto di superficie avente ad oggetto lo spazio aereo soprastante l’immobile, sia di un diritto di servitù altius non tollendi, spettando al giudice di merito, nell’indagine sulla comune intenzione dei contraenti, accertare se la volontà delle parti sia stata quella di assicurare, con tale assetto negoziale, una posizione di privilegio ad una parte rispetto all’altra, concretantesi nella facoltà di scegliere tra l’edificazione ed il mantenimento della visuale anche dopo che il diritto di superficie sia estinto per non uso. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, nel decidere in controversia vertente su un contratto di “vendita d’aria” stipulato sotto il vigore del codice civile previgente – il quale non prevedeva tra i diritti reali “in re aliena” il diritto di superficie -, muoveva dalla premessa di principio per cui non fosse possibile operare contemporaneamente, sullo stesso immobile, la costituzione di una servitù altius non tollendi e la cessione del relativo spazio sovrastante, così da pregiudicare in radice la corretta indagine ermeneutica sul complessivo accordo intercorso tra le medesime parti).

Che cosa accade se il proprietario del fondo servente non rispetta questa prescrizione? La risposta è molto semplice: il proprietario del fondo dominante può agire giudizialmente[88] per ottenere l’accertamento della violazione, la remissione in pristino dello stato dei luoghi e l’eventuale risarcimento del danno subito.

E’ usuale trovare questo genere di servitù (ossia il divieto di sopraelevare) nell’ambito dei c.d. regolamenti contrattuali di origine assembleare. Qual è la sua funzione? Secondo la Suprema Corte di Cassazione[89], “ la causa del detto divieto – come di altre analoghe clausole comportati l’obbligo di non apportare modifiche di sorta alle proprie unità abitative – va individuata essenzialmente nell’avvertita esigenza sia di non alterare il rapporto tra il valore dell’appartamento dell’ultimo piano rispetto al valore delle unità immobiliari ubicate nei piani sottostanti, sia di evitare l’accrescimento – a scapito degli altri condomini – del diritto del proprietario dell’ultimo piano sulle parti comuni dell’edificio conseguente all’incremento dell’utilizzo di tali parti comuni. Non è possibile subordinare la tutela giudiziale di una tale servitù, come, in genere, di ogni diritto reale, all’esistenza di un concreto pregiudizio derivante dagli atti lesivi, attesa l’assolutezza propria di tali situazioni giuridiche soggettive, tutelate da ogni forma di compressione o ingerenza da parte di chiunque, col solo limite del divieto di atti emulativi (nella specie non configurabile) e salva la rilevanza dell’entità del pregiudizio al solo fine della quantificazione dell’eventuale risarcimento

In questi casi il proprietario del fondo dominante, al fine di non incappare nella prescrizione, dovrà agire per ottenere l’accertamento della violazione nel termine di vent’anni che decorre dal giorno in cui è stata realizzata l’opera vietata (art. 1073 c.c.)

Difatti nelle servitù negative nelle quali l’esercizio del diritto non si esplica mediante un comportamento positivo sul fondo servente, il non uso si identifica nella mancata osservanza dell’onere di riattivazione del diritto successivamente ad un evento che lo abbia violato e tale evento si produce per il solo verificarsi di un fatto che ne ha impedito l’esercizio. Pertanto, qualora sia stata convenzionalmente costituita una servitus altius non tollendi con precisa determinazione del suo limite di altezza, il mancato uso dello jus prohibendi da parte del proprietario del fondo dominante, per un periodo di oltre venti anni, nonostante la costruzione sul fondo servente di un edificio di altezza superiore al limite convenzionalmente fissato, comporta l’estinzione della servitù per prescrizione, nei limiti segnati dalla dimensione della costruzione eseguita e mantenuta[90].

K)  Estinzione delle servitù

art. 1063 c.c.   norme regolatrici: l’estensione e l’esercizio delle servitù sono regolati dal titolo e, in mancanza, dalle disposizioni seguenti.

Per estinzione delle servitù s’intende quel fenomeno giuridico che dà luogo direttamente alla cessazione dell’esistenza della servitù.

Le cause d’estinzione sono per la maggior parte previste espressamente dal codice

A)   o in sede propria (artt. 1072 – 1078)

B)    o in altra sede, ma sempre nella trattazione della servitù (art. 1070, abbandono del fondo servente),

C)    o in sede completamente diversa (artt. 1350, n. 5 e 2643 n.5, per la rinunzia e art. 1372: mutuo dissenso).

In merito alla rinuncia da ultimo secondo la Corte di Legittimità il requisito della forma scritta previsto dall’art. 1350, n. 5), cod. civ., può essere integrato – non essendo necessario l’uso di formule sacramentali o di particolari espressioni formali – anche dalla sottoscrizione di atti di tipo diverso, purché contenenti una chiara ed inequivoca dimostrazione di volontà incompatibile con il mantenimento del diritto stesso.

Corte di Cassazione sezione II, sentenza n. 10457 del 12 maggio 2011

Inoltresi continua a leggere nella sentenza della II sezione che, ad esempio, la rinuncia al diritto di “servitus inaedificandi” può essere contenuta nella domanda di concessione edilizia diretta all’esecuzione di opere che, ove realizzate, necessariamente determinerebbero il venir meno dell’”utilitas” dalla quale dipende l’esistenza della servitù stessa.

Ebbene la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|2 febbraio 2021| n. 2316.

da ultimo ha specificato che l‘estinzione del diritto di servitù per rinuncia del titolare deve risultare da atto scritto, ex art. 1350 c.c., e non può essere desunta indirettamente da fatti concludenti.

Sempre per altra pronuncia

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 28 novembre 2012, n. 21127

anche le piante planimetriche allegate ad un contratto, avente ad oggetto immobili, fanno parte integrante della dichiarazione di volontà contrattuale (di rinuncia), quando ad esse i contraenti si siano riferiti per descrivere il bene, rimanendo, peraltro, riservata al giudice di merito la valutazione della incidenza di tali documenti sull’intento negoziale delle parti ricavato dall’esame complessivo del contratto.

Sempre la Corte del Palazzaccio[91] ha affermato, poi, che l’art. 1063 c.c. stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitù, ponendo a fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, mentre i precetti dettati dai successivi artt. 1064 e 1065 c.c. rivestono carattere meramente sussidiario. Tali precetti, pertanto, possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti al riguardo lacune o imprecisioni non superabili mediante l’impiego di adeguati criteri ermeneutici; ove, invece, il contenuto e le modalità di esercizio risultino puntualmente e inequivocabilmente determinati dal titolo, a questo soltanto deve farsi riferimento, senza possibilità di ricorrere al criterio del soddisfacimento del bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente.

Non possono invece considerarsi vere cause d’estinzione delle servitù, nonostante autorevoli voci contrarie, quelle vicende che, pur portando, in definitiva, al venir meno della servitù, in realtà si riferiscono al titolo costitutivo:

1)     annullamento;

2)     nullità

3)     rescissione

4)     risoluzione del contratto costitutivo

5)     nullità o revocazione del testamento costitutivo.

Parimenti la rinuncia all’usucapione non può valere come estinzione del diritto alla servitù.

Secondo la Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 30 maggio 2016, n. 11158

la rinuncia per iscritto all’usucapione della servitu’ di passaggio fatta dal proprietario del fondo dominante – che, dopo avere esercitato il possesso ultraventennale della servitu’, esprima al proprietario del fondo servente la volonta’ di non avvalersi della causa di acquisto del diritto reale minore a titolo originario maturata a favore del proprio fondo – rileva di per se’, non potendo la sua efficacia negoziale essere fatta dipendere ne’ dall’avvenuta comunicazione al successivo acquirente (che, nel caso di specie, ancora non c’era: la rinuncia al diritto di passaggio proveniva infatti dall’allora legittimo proprietario del fondo dominante a vantaggio del quale era maturata l’usucapione per effetto del possesso ultraventennale, prima che questi alienasse il terreno), ne’ dall’osservanza dell’onere della trascrizione (non potendo evidentemente esigersi una trascrizione della rinuncia quando mancava la trascrizione dello stesso atto di acquisto della servitu’, non essendo stata la relativa usucapione ancora giudizialmente accertata)

1 –  confusione

art. 1072 c.c    estinzione per confusione: la servitù si estingue (853, 2812), quando in una sola persona si riunisce la proprietà del fondo dominante con quella del fondo servente.

Presupposto di questa causa estintiva è dunque la riunione nella stessa persona della proprietà dei due fondi.

2 –  prescrizione

art. 1073 c.c.    estinzione per prescrizione: la servitù si estingue per prescrizione quando non se ne usa per venti anni (2934 e seguenti).

Il termine decorre dal giorno in cui si è cessato di esercitarla; ma, se si tratta di servitù negativa o di servitù per il cui esercizio non è necessario il fatto dell’uomo, il termine decorre dal giorno in cui si è verificato un fatto che ne ha impedito l’esercizio.

Nelle servitù che si esercitano a intervalli, il termine decorre dal giorno in cui la servitù si sarebbe potuta esercitare e non ne fu ripreso l’esercizio.

Agli effetti dell’estinzione si computa anche il tempo per il quale la servitù non fu esercitata dai precedenti titolari.

Se il fondo dominante appartiene a più persone in comune, l’uso della servitù fatto da una di esse impedisce l’estinzione riguardo a tutte.

La sospensione o l’interruzione della prescrizione (2941 e seguenti) a vantaggio di uno dei comproprietari giova anche agli altri.

Il legislatore adopera una dizione analoga a quella relativa agli altri atti reali: così parla

  • art. 954 u.c. “Il diritto di fare la costruzione sul suolo altrui si estingue per prescrizione per effetto del non uso protratto per venti anni
  • art. 970 “il diritto dell’enfiteuta si prescrive per effetto del non uso protratto per venti anni
  • art. 1014 “per prescrizione per effetto del non uso durato per venti anni
  • art. 1166 “L’impedimento derivante da condizione o da termine e le cause di sospensione menzionate nel detto articolo non sono nemmeno opponibili al terzo possessore nella prescrizione per non uso dei diritti reali sui beni da lui posseduti”.

Il problema più interessante riguarda la natura giuridica del non uso e la sua relazione con l’istituto della prescrizione estintiva regolata nel VI libro del codice civile agli artt. 2934 e ss.

art. 2934 c.c.    estinzione dei diritti: ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge.

Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge (c.c.248 e seguente, 263, 272, 533, 715, 948,1422).

A)   secondo l’opinione prevalente della dottrina, il non uso è figura diversa dalla prescrizione estintiva, ma è precisamente la prescrizione dei diritti reali.

B)    Altri, invece, sostengono che esso, pur rientrando nella categoria generale della prescrizione, costituisce un fatto estintivo diverso, caratteristico dei diritti reali.

Ovviamente la disputa non è puramente  teorica: accogliendo la prima tesi, al non uso  vanno applicate tutte le norme in materia di prescrizione conformi alla peculiare natura dei diritti reali.

Sembra preferibile (Capozzi) aderire alla prima opinione pertanto, dovrà affermarsi l’applicabilità al non uso delle norme contenute negli artt. 2936 – 2939

 

art. 2936 c.c.   inderogabilità delle norme sulla prescrizione: è nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione (c.c.1418 e seguenti).

 

art. 2937 c.c.    rinunzia alla prescrizione: non può rinunziare alla prescrizione chi non può disporre validamente del diritto.

Si può rinunziare alla prescrizione solo quando questa è compiuta.

La rinunzia può risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione (c.c.1310).

 

art. 2938 c.c.   non rilevabilità d’ufficio: il giudice non può rilevare d’ufficio la prescrizione non opposta.

 

 

art. 2939 c.c.     opponibilità della prescrizione da parte dei terzi: la prescrizione può essere opposta dai creditori e da chiunque vi ha interesse, qualora la parte non la faccia valere. Può essere opposta anche se la parte vi ha rinunziato (c.c.2900).

La decorrenza

Non è, invece, applicabile l’art. 2935, dal momento che la decorrenza della prescrizione per non uso è specificamente disciplinata dall’art. 1073.

art. 2935 c.c.    decorrenza della prescrizione:  a prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

art. 1073  2 e 3 co  c.c.    estinzione per prescrizione: ……………………………..

Il termine decorre dal giorno in cui si è cessato di esercitarla; ma, se si tratta di servitù negativa o di servitù per il cui esercizio non è necessario il fatto dell’uomo, il termine decorre dal giorno in cui si è verificato un fatto che ne ha impedito l’esercizio.

Nelle servitù che si esercitano a intervalli, il termine decorre dal giorno in cui la servitù si sarebbe potuta esercitare e non ne fu ripreso l’esercizio.

Secondo la S.C.[92], in presenza di una situazione dei luoghi rimasta immutata, ove l’utilitas della servitù sia stata prevista in funzione di una specifica modalità di utilizzazione del fondo dominante, la quale sia rimasta sospesa per un apprezzabile lasso di tempo, si verifica una situazione di quiescenza del diritto di servitù, il quale non si estingue se non per prescrizione nel termine di cui all’art. 1073 cod. civ.; in tale periodo, le facoltà di esercizio del diritto reale restano sospese, giacché, se il titolare potesse continuare ad usare il diritto senza la specifica utilitas, verrebbe di fatto ad esercitare un diritto diverso da quello originario.

Se la servitù è  negativa la prescrizione non comincia a decorrere se non quando il proprietario del fondo ha violato il divieto, ha, ad es., alzato la sua costruzione. Allora  tocca al proprietario del fondo dominante reagire, chiamando in giudizio l’altro.

Se questa reazione manca, l’inerzia protratta da quel momento per 20 anni conduce all’estinzione del diritto.

In merito la S.C.[93] ha affermato che nelle servitù negative nelle quali l’esercizio del diritto non si esplica mediante un comportamento positivo sul fondo servente, il non uso si identifica nella mancata osservanza dell’onere di riattivazione del diritto successivamente ad un evento che lo abbia violato e tale evento si produce per il solo verificarsi di un fatto che ne ha impedito l’esercizio. Pertanto, qualora sia stata convenzionalmente costituita una servitus altius non tollendi con precisa determinazione del suo limite di altezza, il mancato uso dello jus prohibendi da parte del proprietario del fondo dominante, per un periodo di oltre venti anni, nonostante la costruzione sul fondo servente di un edificio di altezza superiore al limite convenzionalmente fissato, comporta l’estinzione della servitù per prescrizione, nei limiti segnati dalla dimensione della costruzione eseguita e mantenuta.

Le servitù affermative si distinguono a loro volta in continue (quando l’attività dell’uomo è antecedente all’esercizio della servitù; si prenda ad es. la servitù d’acquedotto: occorre l’attività dell’uomo per predisporre la conduttura) e discontinue.

Orbene se la servitù è continua, si riproduce la stessa situazione che si è constatata in tema di servitù negativa; costruito l’acquedotto, il proprietario non deve far nulla per ritrarre dalla servitù l’utilità voluta. Perciò la prescrizione anche in questo caso comincia a decorrere se non quando si è verificato un fatto contrario all’esercizio della servitù: per es. l’acquedotto è stato costruito.

In un caso particolare la Corte di Piazza Cavour[94] ha avuto modi di affermare che in presenza di una servitù di passaggio costituita su area del venditore “finché detto terreno non passerà al Comune quale pubblica strada” esattamente i giudici del merito escludono che si sia in presenza di una presupposizione con conseguente estinzione della servitù stessa, nell’eventualità che per effetto del mutamento del piano regolatore la strada pubblica non sia più realizzata secondo il tracciato inizialmente previsto. Correttamente, quindi, il detto giudice dichiara la sopravvivenza della servitù in questione anche dopo il mutamento del piano regolatore.

Ammissibilità dell’atto di riconoscimento del non uso

art. 2944 c.c.   interruzione per effetto di riconoscimento: la prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere.

A)     Una parte della dottrina[95] nega che la norma sull’interruzione per effetto di riconoscimento sia applicabile anche ai diritti reali,

1)     sia perché in questo campo si richiede l’esplicazione effettiva del potere sulla cosa,

2)     sia perché questo potere, che si afferma erga omnes, non si conserva in virtù dell’atto di uno solo fra coloro  contro i quali può essere fatto valere.

B)     La dottrina prevalente[96], invece, ha sostenuto esattamente che l’esplicazione effettiva del potere sulla cosa ha un’importanza relativa, in quanto il riconoscimento del proprietario del fondo servente non elimina il non uso, ma solo ne impedisce l’effetto estintivo, laddove il rilievo che il diritto reale, potendosi far valere erga omnes, non può essere conservato dal riconoscimento di un solo soggetto, non tiene conto che, attribuendo la legge efficacia interruttiva all’atto di riconoscimento del diritto e non indicando da quali soggetti debba provenire tale atto, l’interprete non può non individuare questi soggetti che nei titolari dei diritti che risultano compressi dai singoli iura in re aliena, servitù compresa, e non già negli altri consociati.

Per quanto riguarda la natura di tale atto per la giurisprudenza prevalente esso sarebbe un tatto giurino non negoziale ma necessariamente recettizio

3 –  impossibilità di uso o mancanza di utilità

art. 1074 c.c.     impossibilità di uso e mancanza di utilità: l’impossibilità di fatto di usare della servitù (si ha l’impossibilità sopravvenuta nel caso di mutamento dello stato dei luoghi derivante o da eventi naturali ovvero da fatti dell’uomo: si pensi all’inaridamento della fonte del vicino in una servitù di presa d’acqua) e il venir meno dell’utilità della medesima non fanno estinguere la servitù, se non è decorso il termine indicato dall’articolo precedente.

 

Per la Corte di legittimità[97], ai fini dell’interpretazione dell’art. 1074 cod. civ., la modificazione dello stato dei luoghi, determinante l’impossibilità di fatto di usare della servitù ed il venir meno dell’utilità della medesima, rileva qualunque sia la causa dell’impossibilità di fatto di usare della servitù, sia che essa dipenda da comportamenti attribuibili allo stesso proprietario del fondo servente, sia che essa provenga da fatti posti in essere da un terzo, divenuto soltanto successivamente titolare del fondo servente.

 

art. 1075 c.c.    esercizio limitato della servitù: la servitù esercitata in modo da trarne un’utilità minore di quella indicata dal titolo si conserva per intero (att. 158).

 

 

Di recente la S.C.[98] ha affermato che l’uso parziale della servitù, anche se protratto nel tempo, non vale a ridurne il contenuto nei limiti della minore utilità rispetto a quella consentita dal titolo, in quanto per non uso può cessare solo il diritto, mentre la maggiore quantità, che non è stata utilizzata dal titolare della servitù, non è un diritto, ma una sua componente, sicché la stessa non è suscettibile di estinzione.

Inoltre, la medesima Corte[99] con altra sentenza, affermando lo stesso principio, ovvero: l’accertata impossibilità di uso ai fini del transito carrabile non consente di ritenere, per questo solo fatto, automaticamente accertata anche l’impossibilità di uso in termini di passaggio pedonale, poiché l’art. 1075 cod. civ. stabilisce che la servitù esercitata in modo da trarne un’utilità minore di quella indicata dal titolo si conserva per intero (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che – sulla base dell’accertata impossibilità di transito carrabile in conseguenza del mancato compimento di lavori di costruzione e della naturale impraticabilità del terreno – aveva ritenuto di poter desumere da ciò l’estinzione della servitù di passaggio per impossibilità di uso, ai sensi dell’art. 1074 cod. civ., senza verificare se le condizioni del terreno fossero così impervie da non consentire neppure il transito a piedi).

 

art. 1076 c.c.    esercizio della servitù non conforme al titolo o al possesso: l’esercizio di una servitù in tempo diverso da quello determinato dal titolo o dal possesso non ne impedisce l’estinzione per prescrizione.

4 –  abbandono liberatorio del fondo

art. 1070 c.c.   abbandono del fondo servente: il proprietario del fondo servente, quando è tenuto in forza del titolo o della legge alle spese necessarie per l’uso o per !a conservazione della servitù (1030), può sempre liberarsene, rinunziando alla proprietà del fondo servente a favore del proprietario del fondo dominante (1350, 2643).

Nel caso in cui l’esercizio della servitù sia limitato a una parte del fondo, la rinunzia può limitarsi alla parte stessa.

L)   Azioni a difesa delle servitù

Sono date in via petitoria tanto l’azione di accertamento quanto quella di rivendicazione.

Con tali azioni il titolare della servitù può tanto fare accertare l’esistenza della servitù contro chi la contesti o rimuovere impedimenti o turbative da parte di chiunque si opponga al suo esercizio, chiedere la remissione in pristino e il risarcimento del danno.

art. 1079 c.c.    accertamento della servitù e altri provvedimenti di tutela: il titolare della servitù può farne riconoscere in giudizio l’esistenza contro chi ne contesta l’esercizio (949) e può far cessare gli eventuali impedimenti e turbative (1168 e seguenti). Può anche chiedere la rimessione delle cose in pristino, oltre il risarcimento dei danni (2933).

L’actio negatoria servitutis, riconosciuta al proprietario per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa propria, quando ha motivo di temerne pregiudizio o ad ottenerne la cessazione di eventuali turbative o molestie, non comporta un litisconsorzio necessario nell’ipotesi in cui il diritto affermato da altri sia una servitù ed il fondo dominante appartenga pro indiviso a più proprietari, giacché la sentenza emessa all’esito del giudizio, salvo che sia domandata anche la demolizione di manufatti o di costruzioni realizzati su detto fondo per l’esercizio della servitù, non viene ad incidere su di una situazione, la cui inscindibilità e comunanza alla pluralità dei proprietari ne impedisca l’esecuzione[100].

Inoltre, sempre ai fini processuali, secondo i giudici di merito[101] colui che agisce per la dichiarazione dell’inesistenza di una servitù di passaggio, al di là del fatto che sia l’esclusivo proprietario ovvero il comproprietario del fondo servente, circostanza, quest’ultima, irrilevante in quanto il diritto di comproprietà attribuisce ad ogni comunista il diritto sull’intero bene e non abilita uno o più di essi a consentire la costituzione della servitù, ha solo l’onere di provare di essere proprietario del fondo gravato dalla pretesa servitù mentre, in ragione della presunzione iuris tantum di libertà del fondo, spetta al convenuto la prova del vantato diritto reale.

In merito alla negatoria servitutis la Corte nomofilattica ha affermato[102] che qualora l’attore, sostenendo di essere proprietario di un immobile, neghi che il convenuto sia titolare di un diritto di passaggio sul medesimo, e quest’ultimo, a sua volta, pur riconoscendo il titolo di proprietà dell’attore, opponga di essere comproprietario del bene stesso, l’azione va qualificata negatoria servitutis in quanto la proprietà dell’attore non è oggetto di controversia, che è limitata ai soli diritti vantati sulla cosa dal convenuto. In tal caso, pertanto, incombe al convenuto dimostrare i fatti costitutivi del suo preteso diritto di comproprietà sul bene.

Ai fini del valido esercizio dell’actio negatoria servitutis alla parte compete unicamente l’onere di allegare e dimostrare di agire in forza di un titolo valido legittimante il possesso, mentre spetta al convenuto offrire la prova circa la sussistenza del titolo costitutivo del preteso e contestato diritto sulla cosa altrui. E’ necessario, peraltro, specificare che qualora venga invocato il riconoscimento di un diritto di servitù alla base del provvedimento in proprio favore il convenuto viene nella sostanza ad esercitare una vera e propria actio confessoria servitutis che, di fatto, supera i limiti di un’ordinaria difesa e si atteggia quale domanda autonoma da intendersi proposta in via riconvenzionale. Nell’ipotesi, rinvenibile nel caso sottoposto al vaglio del giudicante, in cui si contesti il diritto all’esercizio di una servitù apparente di passaggio acquisita in forza di usucapione, soddisfa il requisito dell’apparenza, ai sensi degli artt. 1061 e 1062 c.c., la mera esistenza di un tracciato tra i fondi, indiscutibilmente destinato al passaggio ed idoneo a consentire di raggiungere il fondo dominante attraverso il fondo servente[103].

Infine secondo altra giurisprudenza di merito[104] l’azione con cui il proprietario di un terreno chiede l’accertamento dell’inesistenza di alcun diritto o servitù di passaggio da parte di terzi, va qualificata come azione negatoria servitutis essendo diretta a sentire riconosciuta la libertà del suo bene contro terzi che ne attentino al libero godimento. Tale azione rientra nel novero di quelle previste e disciplinate dall’art. 949 c.c. in virtù del quale, la legittimazione processuale sia dal lato attivo che passivo, spetta in via esclusiva ai proprietari e ai titolari di un diritto reale di godimento sui fondi dominante e servente. Gli inquilini e i titolari di altro diritto reale sulla cosa non hanno potere di agire o resistere, ad essi può essere riconosciuto solo un interesse di fatto che consente l’intervento in giudizio a sostegno delle pretese di una delle parti. Pertanto, una tale azione non può portare all’accertamento negativo dell’affermato diritto di servitù senza la presenza in giudizio del proprietario dell’altro fondo, unico legittimo contradditore. Una domanda introdotta, come nel caso di specie, nei confronti dei comodatari dei terreni limitrofi che utilizzano il passaggio, non può che essere dichiarata inammissibile per carenza di legittimazione passiva dei convenuti.

Le Azioni Possessorie

Preliminarmente secondo la S.C.[105] costituendo il possesso l’esercizio di fatto delle facoltà corrispondenti alla proprietà o ad un diritto reale, la tutela possessoria prevista dagli artt. 1168 e 1170 cod. civ. presuppone, da parte del richiedente, la specifica deduzione di una situazione di fatto corrispondente alle facoltà esercitabili in virtù di un determinato diritto dominicale, che si assumono lese dall’altrui comportamento. Ne consegue che il comportamento della parte che abbia dedotto, nell’atto introduttivo, la violazione del possesso corrispondente alla proprietà del bene e successivamente, nel corso del giudizio, la lesione del possesso conforme ad un diritto di servitù, introduce una nuova causa petendi a fondamento della propria pretesa, dando luogo ad una mutatio libelli non consentita, atteso che le facoltà inerenti al diritto di servitù non rappresentano un connotato ordinario del diritto di proprietà, ma soltanto un vantaggio aggiuntivo ed eventuale.

Inoltre al fine della tutela del possesso corrispondente ad una servitù di passaggio, è irrilevante la circostanza che il passaggio medesimo non sia necessario od indispensabile al possessore, per avere questi altri e più comodi accessi al proprio fondo, atteso che l’utilità, quale elemento costitutivo essenziale della servitù, viene in considerazione unicamente in sede petitoria, come vantaggio che il fondo servente sia in grado di arrecare direttamente al fondo dominante[106].

Ancora, l’indicazione del luogo dello spoglio o della turbativa, in quanto finalizzata ad identificare non il diritto bensì il fatto del possesso, ben può essere anche sommaria e l’accoglimento della domanda di reintegrazione o di manutenzione -ove sia stata fornita la prova del possesso nonché dello spoglio o della turbativa determinati dall’opera o dalla condotta denunciata- non può ritenersi pregiudicato dalla circostanza che il luogo di esercizio della servitù sia risultato parzialmente diverso da quello indicato dall’attore[107].

Infine, come da ultimo arresto della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 28 gennaio 2015, n. 1584

in tema di tutela possessoria, non ogni modifica apportata da un terzo alla situazione oggettiva in cui si sostanzia il possesso costituisce spoglio o turbativa, essendo sempre necessario che tale modifica comprometta in modo giuridicamente apprezzabile l’esercizio del possesso (Cass. n. 11036 del 2003; Cass. n. 1743 del 2005) e, in particolare che l’apposizione di un cancello di agevole apertura, non configura spoglio o molestia ma costituisce un atto lecito rientrante nelle facoltà dei compossessori (cfr Cass. n. 154 del 1994; Cass. n. 3831 del 1985), dovendo al riguardo ritenersi del tutto irrilevanti le ragioni soggettive che abbiano spinto i resistenti alla collocazione del cancello. Decisiva, dunque, è stata la verifica, che peraltro rientra nell’indagine di fatto riservata al giudice di merito, che il cancello non apportava apprezzabile menomazione del passaggio esercitato dai potenziali clienti della ricorrente.

art. 1168 c.c.  azione di reintegrazione: chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.

L’azione è concessa altresì a chi ha la detenzione (qualificata) della cosa (c.c.1140), tranne il caso che l’abbia per ragioni di servizio o di ospitalità.

Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio.

La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione (Cod. Proc. Civ. 703 e seguenti).

In merito a tale azione da ultimo, in caso riguardante un condominio, la S.C.

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 13 settembre 2012, n. 15334

ha affermato che in tema di possesso, l’utilizzazione, da parte dei condomini di uno stabile, di un’area condominiale ai fini di parcheggio, non è tutelabile con l’azione di reintegrazione del possesso di servitù, nei confronti di colui che – come nel caso di specie – l’abbia recintata nella asserita qualità di proprietario. Per l’esperimento dell’azione di reintegrazione occorre infatti un possesso qualsiasi, anche se illegittimo ed abusivo, purchè avente i caratteri esteriori di un diritto reale, laddove il parcheggio dell’auto non rientra nello schema di alcun diritto di servitù, difettando la caratteristica tipica di detto diritto, ovverosia la realità (inerenza al fondo dominante dell’utilità cosi come al fondo servente del peso), in quanto la comodità di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedono al fondo non può valutarsi come una utilità inerente al fondo stesso, trattandosi di un vantaggio del tutto personale dei proprietari’ (Cass. n. 1551 del 2009). Invero, ‘il parcheggio di autovetture su di un’area può costituire legittima manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, ma non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, diritto caratterizzato dalla cosiddetta realitas, intesa come inerenza al fondo dominante dell’utilità così come al fondo servente del peso, mentre la mera commoditas di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedano al fondo (anche numericamente limitate) non può in alcun modo integrare gli estremi della utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio affatto personale dei proprietari.

Caratteristiche dello spoglio sono:

1)     la violenza[108]; atti di forza o di minaccia

2)     la clandestinità; spoglio effettuato in maniera occulta; rimanendo ininfluente il fatto che anche i terzi possono averne conoscenza;

3)     l’animus spoliandi; di tale requisito, però, non vi è cenno nella lettera della norma e pertanto non vi è motivo per ritenerlo un presupposto della tutela possessoria.

Orbene proprio sul presupposto della clandestinità è opportuno riportare ultima massima della S.C.

(Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 10 aprile 2012, n. 5690)

Il proprietario di un fondo ancorche’ gravato da servitu’ di passaggio, conserva sempre il diritto di difenderlo dall’ingerenza di terzi, diritto del quale costituisce lecita esplicazione la installazione di un  cancello all’ingresso della strada su cui si esercita il passaggio, purche’ siano adottati gli accorgimenti idonei a consentire al titolare della relativa servitu’ il libero esercizio del suo diritto senza che ne risultino, al di la’ di trascurabili disagi, limitazione al suo contenuto. Ne consegue che, pur potendo integrare l’installazione di un cancello un’azione di spoglio, quest’ultimo viene a cessare se e quando venga consegnata la chiave al proprietario del fondo dominante, il quale pertanto non puo’ chiedere, oltre alla consegna della chiave, la rimozione del cancello, sempre che questo non impedisca l’esercizio del passaggio, ne’ diminuisca apprezzabilmente “l’utilitas” del fondo a cui favore e’ costituita la detta servitu’.

Principio, poi, ripreso anche dalla Cassazione penale

Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 11 ottobre 2016, n. 42954

in merito all’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, laddove espressamente si legge:

nella giurisprudenza civile,  in tema di servitu’ di passaggio, rientra nel diritto del proprietario del fondo servente l’esercizio della facolta’ di apportare modifiche al proprio fondo e di apporvi un cancello per impedire l’accesso ai non aventi diritto, pur se dall’esercizio di tale diritto possano derivare disagi minimi e trascurabili al proprietario del fondo dominante in relazione alle pregresse modalita’ di transito; con la conseguenza che, ove non dimostrato in concreto dal proprietario del fondo dominante al quale venga consegnata la chiave di apertura del cancello l’aggravamento o l’ostacolo all’esercizio della servitu’, questi non puo’ pretendere l’apposizione del meccanismo di apertura automatico con telecomando a distanza o di altro similare rimedio, peraltro in contrasto col principio servitus in faciendo consistere nequit.

In considerazione di quanto esposto, secondo la Cassazione, non puo’ ritenersi arbitraria, da parte del titolare di un fondo servente, l’attivita’ di apposizione unilaterale di una catena munita di lucchetti che chiude l’accesso alla strada su cui insiste il diritto del titolare del fondo dominante, se il primo mette a disposizione del secondo le chiavi per aprire il congegno di sicurezza ed i disagi derivanti a quest’ultimo dall’innovazione siano minimi e trascurabili.

Mentre non costituisce spossessamento quel comportamento che tende a far cessare una detenzione semplicemente tollerata.

Oppure in tema di possesso delle servitù ed in ipotesi di dedotto spoglio, va negata la tutela richiesta ai sensi dell’art. 1168 cod. civ. quando il modo di esercizio della servitù non rimanga modificato dal mutamento dello stato dei luoghi, cosicchè la servitù stessa può continuare ad essere esercitata nel modo e con i mezzi con cui in precedenza veniva già esercitata (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 17 gennaio 2003, n. 643).

I legittimati a proporre tale azione sono:

1)     il possessore (diretto e indiretto);

2)     il possessore minore

3)     i nudi possessori;

4)     i compossessori

In tutti i casi d’impossibilità alla restituzione lo spoliatore sarà tenuto al risarcimento del danno, determinato in relazione alla perdita del possesso.

Pertanto, tanto premesso, secondo la Corte di legittimità[109] una servitù di passaggio e` suscettibile di tutela possessoria indipendentemente dall’esistenza di opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio, atteso che tale requisito – pur rilevante ai fini della prova dell’esercizio della servitù e del suo contenuto – non e` necessario per la configurabilità di una situazione di possesso della servitù stessa (al qual fine e` sufficiente il passaggio sul fondo servente, fuori dell’ipotesi dell’altrui tolleranza, in relazione alla qualità di proprietario o possessore del fondo dominante), restando indispensabile, ai sensi dell’art. 1061 c. c., solo ai fini dell’acquisto del diritto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.

O meglio, sul punto le Sezioni Unite hanno precisato che[110] la presenza di opere visibili e permanenti indicative di un transito, configura requisito ai fini dell`acquisto della servitù di passaggio per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, non anche per la tutela possessoria del passaggio medesimo, essendo all`uopo sufficiente la prova dell`effettuazione di detto transito sul bene altrui per accedere al fondo di cui si abbia la proprietà od il possesso.

Ciò non toglie che ai fini della tutela possessoria di una servitù di passaggio in considerazione della molteplicità di aspetti ed elasticità di contenuto, per differenza di oggetto, di estensione, di forme e di particolari modalità in cui può atteggiarsi tale ius in re aliena, è necessario che l’attore fornisca la prova[111] di avere svolto un’attività corrispondente non solo all’esercizio di una servitù di passaggio in genere, bensì all’esercizio di una ben determinata servitù di passo, precisata nel suo effettivo, esatto e concreto contenuto e nella sua esatta consistenza e ubicazione. (Fattispecie concreta, in tema di servitù non apparente).

In tema di servitù discontinue[112], come quelle di passaggio, il possesso tutelabile (nella specie, con l`azione di reintegrazione) va considerato in relazione alle peculiari caratteristiche ed alle esigenze dell`immobile a favore del quale il diritto stesso si esercita, senza venir meno in ragione del carattere solo saltuario del transito, essendo sufficiente, una volta instaurata sul bene la relazione di fatto sostenuta dal relativo “animus possidendi“, che il bene stesso possa continuare a considerarsi nella virtuale disponibilità del possessore, salvo che non risulti esteriorizzato da chiari ed univoci segni un “animus derelinquendi“.

art. 1169   reintegrazione contro l’acquirente consapevole dello spoglio: la reintegrazione si può domandare anche contro chi è nel possesso in virtù di un acquisto a titolo particolare (1321), fatto con la conoscenza dell’avvenuto spoglio.

Di recente la Corte territoriale Partenopea[113] ha avuto modo di affermare che nel giudizio possessorio assume rilievo esclusivo la situazione di fatto esistente al momento dello spoglio o della turbativa, con la conseguenza che per l’esperimento delle azioni di reintegrazione o di manutenzione è sufficiente un possesso qualsiasi, anche se illegittimo o abusivo o di mala fede, purché abbia i caratteri esteriori della proprietà o di altro diritto reale, e il potere di fatto non vanga esercitato per mera tolleranza dell’avente diritto. Dunque, in sede possessoria occorre accertare unicamente l’esistenza di una situazione di fatto (possesso, o jus possessionis) indipendentemente dalla circostanza che tale situazione di fatto corrisponda o meno alla situazione di diritto (jus possidendi). Non rileva, pertanto, che la parte convenuta nel giudizio possessorio di reintegrazione eccepisca che l’area oggetto di contestazione sia di proprietà di una terza persona estranea al processo, in quanto in tale procedimento incombe sul ricorrente esclusivamente l’onere di fornire la prova dell’esercizio, al momento del lamentato spoglio o molestia, del possesso, inteso come relazione di fatto con il bene corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. L’utilizzazione di uno spiazzo per la sosta delle autovetture da parte dei condomini di uno stabile è una circostanza idonea a qualificare correttamente la natura della relazione di fatto esistente tra un condominio e l’area come corrispondente all’esercizio della proprietà, piuttosto che ad altro diritto reale, quale la servitù di passaggio, e ciò naturalmente a prescindere che tale situazione di fatto coincida con la situazione di diritto, ciò in quanto il parcheggiare l’auto non é inquadrabile nel contenuto di un diritto di servitù, perché caratteristica tipica di detto diritto é la realità, e cioè l’inerenza al fondo dominante della utilità cosi come al fondo servente del peso, e la comodità di parcheggiare l’auto (o di effettuare più agevolmente manovra) per specifiche persone che accedono al fondo non può valutarsi come una utilità inerente al fondo stesso, piuttosto che un vantaggio del tutto personale del proprietario di questo.

art. 1170 c.c.    azione di manutenzione: chi è stato molestato nel possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di un’universalità di mobili può, entro l’anno dalla turbativa (attività che ostacola o rende più gravoso il possesso), chiedere la manutenzione del possesso medesimo (Cod. Proc. Civ. 703 s.s.).

L’azione e data se il possesso dura da oltre un anno, continuo e non interrotto, e non è stato acquistato violentemente o clandestinamente. Qualora il possesso sia stato acquistato in modo violento o clandestino, l’azione può nondimeno esercitarsi, decorso 1anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità è cessata.

Anche colui che ha subito uno spoglio non violento o clandestino può chiedere di essere rimesso nel possesso, se ricorrono le condizioni indicate dal comma precedente.

In generale per ciò che concerne i beni mobili registrati è preferibile secondo parte della dottrina[114] escludere la tutela possessoria ex art. 812 c.c.

Differentemente dallo spoglio, la molestia non priva il possessore del godimento del bene, ma ne turba l’esercizio; essa può consistere in un’attività materiale oppure in un’attività giuridica e deve trattarsi, in ogni caso, di attività persistenti o comunque destinati ad avere un seguito di turbativa.

La cessazione della molestia prima della proposizione della domanda fa venire meno il presupposto dell’azione.

I singoli beni mobili sono esclusi dall’azione per la manifesta inconfigurabilità di una molestia continuata che non sia prevenibile in via di autotutela.

La legittimazione spetta al possessore; ne rimane escluso il detentore, poiché gli è negata la tutela specifica contro gli atti che diminuiscono o rendono più complesso il godimento del bene.

Qualora vi siano elementi che condizionano l’esperibilità dell’azione di manutenzione contro la molestia del possesso, è possibile esercitarla anche contro lo spoglio semplice, che è lo spoglio non violento né clandestino.

Orbene, fatta questa necessaria premessa anche in merito all’azione di manutenzione, secondo la S. C.[115] si da tutela, mediante l’esercizio dell’azione di manutenzione, anche alle servitù negative, dal momento che pure con riguardo ad esse è configurabile un possesso.

Ad esempio[116], le violazioni delle distanze legali tra costruzioni – al pari di qualsiasi atto del vicino idoneo a determinare situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio di una servitù – sono denunciabili ex art. 1170 c.c. con l’azione di manutenzione nel possesso, costituendo attentati alla libertà del fondo di fatto gravato, e, pertanto, turbative nell’esercizio del relativo possesso (fattispecie in tema di creazione di affacci e vedute in parte inesistenti, in parte preesistenti ma accresciute).

In un caso particolare c’è stato anche l’intervento delle Sezioni Unite[117] che hanno affermato con riferimento ad azione di manutenzione esperita dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1998 ma prima delle modifiche introdotte dall’art. 7 legge n. 205 del 2000, relativa all’imposizione arbitraria di una servitù di linea elettrica aerea non assistita da provvedimento autoritativo di pubblica utilità, si configura la denuncia di un comportamento materiale non connesso, neppure implicitamente, all’esercizio di poteri d’imperio, facendosi valere un diritto soggettivo. E ciò assume rilievo, agli effetti dell’attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario, a seguito della sentenza n. 281 del 2004 della Corte costituzionale, tenendosi conto, in ogni caso, che a seguito della dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 34 del d.lgs. citati (come sostituito dal predetto art. 7 legge n. 205 del 2000), con la sentenza n. 204 del 2004, l’esclusione dei “comportamenti” dal testo della norma preclude la possibilità di esperire azioni possessorie davanti al giudice amministrativo.

Mentre in tema di legittimazione, come da ultimo arresto della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 28 gennaio 2015, n. 1584

nell’ipotesi in cui più soggetti esercitino distinte servitù di passaggio su un medesimo fondo, la valutazione dell’estensione del possesso e del modo di esercizio delle servitù, al fine di stabilire se un determinato comportamento di uno di tali soggetti configuri, considerato sotto il profilo oggettivo e soggettivo, una turbativa del concorrente possesso altrui, meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1170 c.c., deve essere compiuta tenendo conto dei titoli vantati dai diversi possessori e secondo criteri di temperamento suggeriti dalle esigenze della civile convivenza e delle relazioni di buon vicinato (così Cass. 27 giugno 1985 n. 3862). L’accertamento compiuto al riguardo dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità, se – come nella specie – sorretto da motivazione adeguata ed immune da errori, per avere la corte di merito argomentato anche in punto di prova del passaggio.

Sorrento, 22/4/2011.

Avv. Renato D’Isa


NOTE

[1] In latino, il termine praedium significa “fondo”, inteso come terreno
[2] Servitus est qualitas rei imposita, qua quis iu suum deminuit, alterius auxit
[3] Capozzi – I diritti reali –Branca
[4] Gazzoni – Manuale di diritto privato
[5] Gazzoni – Manuale di diritto privato
[6] Tribunale Trieste Civile, sentenza del 21 febbraio 2011, n. 175
[7] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 4 febbraio 2010, n. 2651
[8] Tribunale Salerno Sezione 2 Civile, sentenza del 17 giugno 2010, n. 1428
[9] Corte di Cassazione, sentenza del 29 luglio 1965, n. 1832
[10]Corte di Cassazione, sentenza del 24 agosto 1977, n. 3852. Conformi 1832/65, 3298/62, 2193/59
[11] Vedi pag. 7
[12] Capozzi – I diritti reali
[13] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 19 febbraio 2002, n. 2396, in tal senso anche la sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore del 6/5/2010, n. 458: i vantaggi o le limitazioni che i privati attribuiscono a favore ed a carico delle rispettive proprietà individuali con apposite convenzioni tra di essi stipulate ed a tal uopo dirette, avuto particolare riguardo alle modalità di edificabilità, incidendo, di fatto, sui poteri connessi alla proprietà di cui risultano essere titolari, mediante la compressione o l’ampliamento dei medesimi, determinano la configurabilità di vere e proprie servitù. In tal senso, invero, deve rilevarsi che il risultato delle rispettive limitazioni corrisponde ad un vantaggio o onere per l’altra parte, inquadrabile nello schema della servitù, di fatto indiscutibilmente configurabile, quale limitativa dello ius edificandi, in presenza di una clausola con la quale le parti convengono che l’immobile esistente non può essere sopraelevato oltre una determinata altezza. (Fattispecie relativa ad intervenuta costituzione di servitù reciproche tra le parti a mezzo una clausola contrattuale avente diretta incidenza sulla destinazione edilizia del fondo tra di esse diviso)
[14] Vedi pag. 37
[15] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 4 luglio 1985, n. 4016
[16] Vedi pag. 46
[17] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 17 febbraio 2005, n. 3273
[18] Capozzi – I diritti reali – Grosso
[19] Trib. Sup. Acque, 28/01/1999, n. 23
[20] Corte di Cassazione, sentenza del 6 novembre 1968, n. 3664
[21]Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 17 giugno 2010, n. 14622. La servitù può comportare per il proprietario del fondo servente l’obbligo di un facere, purché esso costituisca solo un’obbligazione accessoria che non esaurisce l’intero contenuto della servitù, in quanto volto solo a consentirne il completo esercizio.(Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto compatibile con il contenuto di una servitù di passaggio l’obbligo di tagliare i rami ovvero di potare gli alberi che ne ostacolavano l’esercizio)
[22] Cassazione Civile, Sez. II, sent. n. 6522 dell’11 giugno1993
[23] Trib. Vicenza, Sez. I, 23/03/2010
[24] Trib. Benevento, 05/03/2009
[25] Vedi pag. 14
[26] Tribunale Treviso Civile, sentenza del 15 marzo 2011, n. 479
[27] Tribunale Genova Sezione 3 Civile, sentenza del 26 aprile 2010, n. 1688
[28] Cass. civ. Sez. II, 21/10/2009, n. 22341 e Cass. civ., Sez. II, 03/06/2003, n. 8830
[29] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 15 febbraio 2011, n. 3705. Le clausole del regolamento condominiale che impongono limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà incidono sui diritti dei condomini, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca; ne consegue che tali disposizioni hanno natura contrattuale, in quanto vanno approvate e possono essere modificate con il consenso unanime dei comproprietari, dovendo necessariamente rinvenirsi nella volontà dei singoli la fonte giustificatrice di atti dispositivi incidenti nella loro sfera giuridica: certamente, tali disposizioni esorbitano dalle attribuzioni dell’assemblea, alla quale è conferito il potere regolamentare di gestione della cosa comune, provvedendo a disciplinarne l’uso e il godimento. Ciò posto, il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva.
[30] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 22 febbraio 2010, n. 4241. In senso conforme, vedi, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 11 febbraio 2000, n. 1516. Inoltre con altra pronuncia; ai fini della costituzione contrattuale di una servitù di passaggio non è richiesto l’uso di formule sacramentali, ma è sufficiente che dalla relativa clausola siano determinabili con certezza il fondo dominante, il fondo servente e l’oggetto, rappresentato dall’assoggettamento dell’uno all’utilità dell’altro; pertanto, ai fini dell’accoglimento della domanda ex art. 1079 cod. civ. non è necessario risalire al contratto originario istitutivo della servitù medesima, essendo sufficiente il richiamo di esso nei successivi atti di acquisto. Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 20 maggio 2008, n. 12766
[31] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 11 giugno 2010, n. 14088
[32] Tribunale Roma Sezione 5 Civile, sentenza del 17 dicembre 2010, n. 24847
[33] preferibile per Capozzi – teoria di Grosso e Dejana
[34] Art. 158 disp. att.  Il termine per l’usucapione delle servitù discontinue apparenti (Cod. Civ. 1061) comincia a decorrere dal 28 ottobre 1941.
[35] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 25 novembre 2008, n. 28135
[36] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 1 agosto 2008, n. 21016
[37] Cassazione Civile, Sezione II, sent. n. 3699 del 27 marzo 1993
[38] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 31 maggio 2010, n. 13238. Conforme a tale principio risulta una sentenza di merito secondo cui in virtù della definizione data dall’art. 1061 c.c. le servitù non apparenti, insuscettibili di acquisizione per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, sono quelle che non comportano opere visibili e permanenti per il loro esercizio. Argomentando all’inverso, quindi, una servitù può essere qualificata come apparente in presenza di una situazione oggettiva che di fatto assoggetti un fondo all’utilità di un altro, assoggettamento reso palese dalla sussistenza di opere visibili ed ivi collocate in via non meramente transitoria ma definitiva. Il requisito della visibilità, in particolare, costituisce il presupposto ai fini della sussistenza di una presunzione di conoscenza in capo al proprietario del fondo servente, e non può essere sostituito dal dato, puramente soggettivo, dell’eventuale conoscenza da parte dello stesso della sussistenza delle opere. In conclusione, quindi, colui il quale voglia farsi riconoscere l’acquisto per usucapione di una servitù ne deve, innanzi tutto, dimostrare, ove contestata, l’apparenza, requisito che, si ripete, va al di là della mera conoscenza da parte del proprietario delle opere a servizio del fondo dominante, ma che richiede l’oggettiva visibilità delle stesse (oltre che la natura permanente). Tribunale Genova Sezione 3 Civile, sentenza del 24 gennaio 2011, n. 335.
[39] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 27 maggio 2009, n. 12362
[40] Capozzi – I diritti reali
[41] Capozzi – I diritti reali
[42] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 24 giugno 2009, n. 14788
[43] Gazzoni – Manuale di diritto privato
[44] Corte d’Appello Napoli Sezione 2 Civile sentenza del 4 marzo 2011, n. 695
[45] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 11 febbraio 2009, n. 3389
[46] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 12 marzo 2008, n. 6520
[47] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 20 luglio 2009, n. 16842
[48] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 13 novembre 2009, n. 24127
[49]Corte Costituzionale, sentenza del 8 ottobre 2010, n. 293. È incostituzionale, in relazione all’art. 76 Cost. (con assorbimento delle questioni ulteriori), l’art. 43 del D.P.R. 8/6/2001, n. 327 per violazione dei principi e criteri direttivi stabiliti con legge delega di mero riordino n. 50 del 1999, a sua volta collegata alla L. 15/3/1997 n. 59 (che aveva previsto un generale strumento permanente di semplificazione e di delegificazione). La norma censurata ha ad oggetto la disciplina dell’utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico e consente all’autorità che abbia utilizzato a detti fini un bene immobile in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, di disporne l’acquisizione al suo patrimonio indisponibile, con l’obbligo di risarcire i danni al proprietario (c.d. «acquisizione sanante»); la disposizione regola, inoltre, tempo e contenuto dell’atto di acquisizione, l’impugnazione del medesimo, la facoltà della pubblica amministrazione di chiedere che il giudice amministrativo «disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo», fissando i criteri per la quantificazione del risarcimento del danno; anche la disciplina inerente all’acquisizione del diritto di servitù, di cui al comma 6-bis, appare strettamente ed inscindibilmente connessa con gli altri commi censurati, sia per espresso rinvio alle norme fatte oggetto di censura, sia perché ne presuppone l’applicazione e ne disciplina ulteriori sviluppi applicativi. Orbene, la legge-delega aveva conferito, sul punto, al legislatore delegato il potere di provvedere soltanto ad un coordinamento «formale» relativo a disposizioni «vigenti»; viceversa, l’istituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata è connotato da numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega 15/3/1997, n. 59, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale. Alla stregua dei rilievi svolti, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’intero art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, poiché la disciplina inerente all’acquisizione del diritto di servitù, di cui al comma 6-bis, appare strettamente ed inscindibilmente connessa con gli altri commi, sia per espresso rinvio alle norme fatte oggetto di censura, sia perché ne presuppone l’applicazione e ne disciplina ulteriori sviluppi applicativi. In tema di legislazione su delega, v. citate sentenze n. 340/2007 e n. 68/1991. Sulla illegittimità costituzionale di disposizioni strettamente ed inscindibilmente connesse ad altre espressamente censurate, v. citata sentenza n. 18/2009.
[50] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 3 marzo 2009, n. 5104
[51]Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, sentenza del 24 marzo 2005, n. 6401. Una strada privata può essere ritenuta soggetta a servitù di uso pubblico, e come tale esente dal rispetto delle norme civilistiche sulle distanze, in presenza di convenzione tra il proprietario e l’ente pubblico ovvero nel caso in cui l’uso pubblico (per la cui configurazione non è sufficiente l’utilizzazione di fatto da parte di soggetti diversi dal proprietario per raggiungere i terreni limitrofi, ma è necessario che essa sia al servizio della generalità dei cittadini e che la collettività ne faccia autonomamente uso per la circolazione) si sia protratto per il tempo necessario ai fini dell’acquisto per usucapione.
[52] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 6 febbraio 2009, n. 3030
[53] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 16 gennaio 2008, n. 731
[54] Vedi pag. 14
[55] Tribunale Potenza Civile, sentenza del 2 febbraio 2011, n. 116
[56] Tribunale Roma Sezione 5 Civile, sentenza del 29 ottobre 2010, n. 21382
[57] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 7 settembre 2009, n. 19291
[58] Capozzi – I diritti reali
[59] Messineo – Coviello e giurisprudenza prevalente
[60] Branca – Grosso e Dejana
[61] Biondi
[62] Corte di Cassazione Sezione Tributaria Civile, Sentenza del 15 giugno 2010, n. 14384
[63] Corte di Cassazione, Sez. II, sent. n. 3055 del 15-03-1995
[64] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 30 settembre 2009, n. 20992
[65] Cassazione Civile –  Sez. II, sent. n. 9226 del 29-08-1991
[66] Cassazione Civile Sez. II, sent. n. 11130 del 13-10-1992
[67] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 28 ottobre 2009, n. 22834
[68] Cassazione Civile, Sez. II, sent. n. 6674 del 09-12-1988
[69] Corte di Cassazione, Sez. II, sent. n. 5754 del 14 maggio 1992
[70] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 15 maggio 2008, n. 12340
[71] Corte di Cassazione, Sez. II, sent. n. 10702 del 14 dicembre 1994
[72] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 13 gennaio 2010, n. 382. Cass. civ., Sez. II, sent. n. 3973 del 07 maggio1997
[73] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 30 settembre 2009, n. 20997
[74] Corte di Cassazione, Sez. II, sent. n. 8105 del 27 agosto 1997
[75] Corte di Cassazione, Sezione II, sent. n. 6184 del 27-06-1994
[76] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 28 gennaio 2009, n. 2150
[77] Tribunale L’Aquila Civile, sentenza del 8 febbraio 2011, n. 125
[78] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 21 giugno 2010, n. 14922
[79] Cassazione Civile, Sez. II, sent. n. 4999 del 21-05-1994
[80]Corte di Cassazione, Sez. II, sent. n. 3378 del 23 marzo 1995
[81] Cassazione Civile, Sez. II, sent. n. 4207 del 14-05-1997
[82] Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, Sentenza del 9 novembre 2009, n. 23707
[83] Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, Sentenza del 17 maggio 2010, n. 12037
[84] Vedi pag. 45
[85] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 22 maggio 2009, n. 11955
[86] Corte d’Appello Campobasso Civile, sentenza del 1 marzo 2011, n. 32
[87] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile. Sentenza del 24 novembre 2009, n. 24701
[88] Vedi Pag. 45
[89] Corte di Cassazione  12.10.2009 n. 21629
[90] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 29 aprile 2010, n. 10280
[91] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 5 marzo 2010, n. 5434. In senso conforme, vedi, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 10 maggio 2004, n. 8853, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 7 agosto 1995, n. 8643, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 28 maggio 2002, n. 7795 e Cassazione civile, Sez. II, sentenza 30 marzo 2009, n. 7639
[92] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 17 maggio 2010, n. 12035
[93] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 29 aprile 2010, n. 10280
[94] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 17 gennaio 2003, n. 635
[95] Capozzi – I diritti reali – Biondi – Branca
[96] Capozzi – I diritti reali – Grosso Dejana – Albano
[97] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 9 giugno 2009, n. 13263
[98] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 23 settembre 2009, n. 20462
[99] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 25 febbraio 2008, n. 4794
[100] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 18 marzo 2010, n. 6550. In senso conforme, confronta, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 18 dicembre 2007, n. 26653 e Cassazione civile, Sez. II, sentenza 7 giugno 2002, n. 8621.
[101] Tribunale Cassino Civile, sentenza del 31 gennaio 2011, n. 78
[102] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 21 aprile 2009, n. 9449
[103] Tribunale Genova Sezione 3 Civile, sentenza del 12 ottobre 2010, n. 3738
[104] Tribunale Roma Sezione 5 Civile, sentenza del 30 giugno 2005, n. 14949
[105] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 28 luglio 2005, n. 15885
[106] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 9 maggio 2005, n. 9562
[107] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 27 dicembre 2004, n. 24026
[108] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 7 novembre 2003, n. 16727. In tema di spoglio deve ritenersi violenta qualsiasi azione che produca privazione del possesso contro la volontà anche presunta del possessore, ancorché non ricorrano veri e propri atti di violazione materiale. Sussiste, pertanto, violenza anche se lo spoglio venga compiuto con atti arbitrari comunque finalizzati, contro la volontà espressa o tacita del possessore, a togliere a questi il possesso o a impedirgliene comunque l’esercizio. Deriva, da quanto precede, quindi, che la costruzione di un muretto (o, come nella specie, l’apposizione di una serranda con conseguente chiusura di un’area) così da impedire il legittimo esercizio di una servitù di passaggio, configura spoglio violento tutelabile a norma dell’articolo 1168 del codice civile.
[109] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 30 aprile 1988, n. 3285
[110] Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile, sentenza del 18 febbraio 1989, n. 958
[111] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 28 agosto 2002, n. 12604
[112] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 16 agosto 1989, n. 3716
[113] Corte d’Appello Napoli Sezione 2 Civile, sentenza del 27 gennaio 2011, n. 191
[114] Capozzi – I diritti reali
[115] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 12 marzo 1962, n. 494
[116] Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, sentenza del 29 novembre 2004, n. 22414
[117] Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile, ordinanza del 9 novembre 2006, n. 24025

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