Corte di Cassazione bis

suprema CORTE DI CASSAZIONE

sezione II

SENTENZA 12 febbraio 2014, n. 3219

Osserva in fatto

Con atto di citazione del 29 maggio 2001 la s.a.s. Edilcasa conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lodi, la s.r.l. C. per sentir riconoscere, in capo alla stessa, la titolarità di una servitù ex art. 1079 c.c., costituitasi per destinazione del padre di famiglia, sul presupposto di essere divenuta proprietaria (a seguito di aggiudicazione conseguente a procedura fallimentare) di un’area industriale identificata con il mappale 163, confinante a sud con il mappale n. 139 di proprietà della suddetta convenuta. A sostegno di tale domanda deduceva che i due predetti mappali erano appartenuti in precedenza ad un’unica proprietaria (la s.p.a. Alcom), la quale lì aveva acquistati in due momenti diversi – formando, successivamente, un’unica proprietà indivisa – e che avevano entrambi accesso alla strada provinciale 17 mediante uno stesso ponte ed il passaggio insistente sul mappate 139, sul quale – a seguito della sopravvenuta divisione dei fondi – la società C. aveva apposto una sbarra che aveva impedito ad essa attrice il transito dei mezzi diretti alla sua proprietà.
Nella costituzione della società convenuta, il Tribunale adito, con sentenza n. 411 del 2005, rigettava la domanda attorea, regolando le spese processuali in base al principio della soccombenza.
Interposto appello da parte della s.a.s. Edilcasa e nella resistenza dell’appellata, la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 263 del 2008 (depositata il 4 febbraio 2008),accoglieva il gravame e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accertava, ai sensi dell’art. 1079 c.c., la titolarità in capo all’appellante, in quanto proprietaria del terreno confinante, del diritto di servitù di passaggio sul fondo di proprietà della C. s.r.l., disponendo l’eliminazione di ogni ostacolo materiale all’esercizio di tale diritto ed ordinando, quindi, alla stessa la definitiva rimozione dell’apposta sbarra; con la medesima pronuncia compensava per intero le spese del giudizio di primo grado e condannava, invece, l’appellata alla rifusione di quelle del giudizio di appello. A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale rilevava che la sentenza di prime cure era incongrua in relazione alla sottovalutazione dell’esistenza del ponte, evidenziando che la circostanza che lo stesso, per un certo periodo, fosse stato inagibile avrebbe potuto avere rilievo in un contesto in cui si discuteva della continuità dell’esercizio della servitù e non quando, come nel caso di specie, si discuteva dell’esistenza o meno di una servitù costituita per destinazione del padre di famiglia; in altri termini, nella prospettiva della formulata domanda, era da considerarsi rilevante il solo fatto che il ponte esistesse e che, fino ad un determinato momento, fosse stato usato e che fosse suscettibile di riapertura, costituendo la strutturale interconnessione dei fondi attuata dal precedente unico proprietario. Così impostata la controversia, si sarebbe dovuto ritenere che acquistavano una diversa rilevanza sia la circostanza che, per accedere alla proprietà dell’appellante, fosse necessario attraversare non solo il ponte, ma anche la proprietà C. (ed invero l’opera visibile – ed apprezzabile anche fotograficamente – risultava essere costituita dal ponte in collegamento con la strada lungo la roggia sulla proprietà C.) sia l’ulteriore circostanza relativa alle emergenze di alcune deposizioni testimoniali che erano state del tutto trascurate e dalle quali, invece, era possibile evincere la ricostruzione dei luoghi e dell’accadimento dei fatti (con riguardo, in particolare, all’impedimento al passaggio posto in essere dalla società appellata) come dedotti dalla società appellante.
Avverso la suddetta sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione la C. s.r.l., basato su due motivi, in relazione al quale si è costituita in questa sede l’intimata Edilcasa s.a.s., con apposito controricorso.
I difensori di entrambe le parti hanno anche depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c. .

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. – la supposta violazione e falsa applicazione dell’art. 1061 c.c., nonché – con riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c. – il vizio di omessa ed insufficiente motivazione sull’elemento costitutivo della ‘apparenza giuridica’ della servitù di passaggio.

Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (‘ratione temporis’ applicabile nella fattispecie, risultando la sentenza impugnata pubblicata nel febbraio 2008) la ricorrente – a corredo dell’esposta censura – ha formulato i seguenti quesiti di diritto: a) ‘dica la S.C. se sia corretto e conforme all’ari. 1061 c. c., ai principi di legge ritenere sussistente opera idonea a rendere apparente una servitù di passaggio, che si vorrebbe costituita per destinazione, quando al momento della vendita da parte dell’unico proprietario della porzione immobiliare che si vorrebbe gravata dalla servitù: – l’opera che si indica destinata all’esercizio della servitù di passaggio, non sia più attuale ed utilizzabile così che sia di fatto impossibile l’utilitas oggetto della servitù di passaggio, ovvero se la servitù (non risultando sussistente la volontà dell’asservimento da parte dell’unico proprietario al momento della vendita separata); – il collegamento strutturale e funzionale di quell’opera (ponte) con l’accesso alla porzione successivamente venduta a terzo fosse anche prima della parziale eliminazione di essa, tale da renderla inagibile, rendesse certo, in equivoco ed oggettivo l’assoggettamento di essa anche al passaggio a favore del secondo fondo che si vorrebbe dominante; b) se sia corretto e conforme all’ari. 1061 c. c. dedurre l’assoggettamento della porzione che si vorrebbe servente a passaggio a favore della porzione che si vorrebbe dominante, e quindi la ‘apparenza’ della servitù, non sufficientemente emergente dai luoghi e dalle opere, integrando tale insufficienza con testimonianze e con risultanze non oggettive, come tali non verificabili dal primo acquirente al momento della separazione dell’unico bene iniziale’.

Quanto al dedotto vizio logico, la società ricorrente ha dedotto l’inadeguatezza del percorso motivazionale seguito dalla Corte di appello di Milano nella parte in cui aveva, per un verso, omesso di considerare la circostanza che, all’atto dell’introduzione del giudizio, non esisteva più neppure la possibilità giuridica di utilizzare il ‘reliquato’ di ponte poiché il Fallimento Alcom aveva rinunciato alla concessione della Provincia (tanto è vero che la società C. ne aveva dovuto richiedere una nuova per la sua ricostruzione), e, per altro verso, era incorsa nella confusione tra la mera possibilità di usufruire del ponte e del piazzale per l’accesso e la certezza ed inequivocità dell’asservimento del ponte e del piazzale per l’accesso (anche al pioppeto).

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato – in virtù dell’art. 360 n. 5 c.p.c. – il vizio di omessa ed insufficiente motivazione su fatti decisivi per il giudizio, anche con riferimento alla documentazione ed alle risultanze testimoniali con le quali le due sole testimonianze messe a fondamento della decisione risultavano in insanabile contrasto. In particolare, con tale doglianza, ha inteso allegare la carente motivazionale della sentenza impugnata sul fatto decisivo dell’apparenza, ancor più necessaria in quanto la situazione di fatto accertata escludeva la sussistenza delle caratteristiche indispensabili per rendere apparente la servitù in modo che la C. ne potesse prendere consapevolezza al momento dell’acquisto. Inoltre, secondo la ricorrente, la sintetica motivazione della Corte di appello, fondata su due sole testimonianze (anzi su due brevi stralci di deposizioni testimoniali avulsi dal resto) appariva assolutamente inidonea a giustificare la mancata considerazione di tutte le risultanze che avrebbero impedito la conclusioni alla quale la stessa Corte territoriale era giunta: infatti, di fronte all’onere della prova che incombeva all’attrice circa la ‘apparenza’ della servitù e, quindi, dell’esistenza di opere ‘stabili e visibili’, obiettivamente ed inequivocamente destinate per loro struttura e funzione al suo esercizio, la motivazione della sentenza impugnata risultava gravemente carente, non riuscendo a dare giustificazione logica e sufficiente alla decisione adottata, mentre era certo che i fatti ignorati erano, per la loro diretta incidenza sugli elementi costitutivi ed essenziali dell’oggetto in contestazione, idonei a condurre ad una diversa soluzione della controversia.

3. Ritiene il collegio che le due censure (ammissibili con riferimento all’osservanza del requisito prescritto dall’art. 366 bis c.p.c.), che possono essere esaminate congiuntamente siccome strettamente connesse, sono fondate per quanto di ragione nei termini che seguono.

Sul piano generale, è risaputo (cfr., ad es., Cass. n. 10425 del 2001; Cass. n. 3389 del 2009 e Cass. n. 16842 del 2009) che la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia – che è fattispecie non negoziale e postula la presenza di opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù – presuppone l’originaria appartenenza di due fondi (o porzioni del medesimo fondo) ad un unico proprietario, il quale abbia posto gli stessi, l’uno rispetto all’altro, in una situazione di subordinazione idonea ad integrare il contenuto di una servitù prediale e che, all’atto della loro separazione, sia mancata una manifestazione di volontà contraria al perdurare della relazione di sottoposizione di un fondo nei confronti dell’altro.

E’ altrettanto univoco che, per un verso, il presupposto della effettiva situazione di asservimento di un fondo all’altro, richiesto dall’art. 1062 c.c. per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, deve essere accertato attraverso la ricostruzione dello stato dei luoghi esistente nel momento in cui, per effetto dell’alienazione di uno di essi o di entrambi, i due fondi hanno cessato di appartenere al medesimo proprietario; per altro verso, essenziale per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia è che, all’atto della cessazione dell’appartenenza di due fondi ad un unico proprietario, le opere destinate al servizio di uno all’altro siano stabili, sì da escluderne la precarietà, e apparenti, in modo da render certi e manifesti a chiunque – e perciò anche all’acquirente del fondo gravato – il contenuto e le modalità di esercizio del corrispondente diritto.

E’ importante, altresì, rilevare che la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia non richiede il fatto storico dell’esercizio della servitù stessa, ma soltanto l’esistenza, al momento della separazione dei fondi, di una situazione tale da denotare in modo univoco ed oggettivo, per l’esistenza di opere visibili e permanenti, l’asservimento di uno di essi in favore dell’altro (cfr. Cass. n. 6470 del 1982 e Cass. n. 12197 del 1997).

In termini più complessivi, dunque, la servitù per destinazione del padre di famiglia si intende stabilita ‘ope legis’ per il fatto che al momento della separazione dei fondi o del frazionamento dell’unico fondo, lo stato dei luoghi sia stato posto o lasciato per opere o segni manifesti ed inequivoci ed univoci – nel che si concreta l’indispensabile requisito dell’apparenza – in una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio, che integri ‘de facto’ il contenuto proprio di una servitù, indipendentemente da qualsiasi volontà, tacita o presunta, dell’unico proprietario nel determinarla o nel mantenerla; conseguentemente, il requisito della subordinazione deve essere ricercato non già nell’intenzione del proprietario dei fondo, bensì nella natura delle opere oggettivamente considerate, in quanto nel loro uso normale determinino il permanente assoggettamento del fondo vicino all’onere proprio della servitù.

A tal proposito va, tuttavia, evidenziato che non è sufficiente la presenza di opere o segni manifesti che consentano l’esercizio della servitù, essendo anche necessario che tali opere e segni manifestino in modo non equivoco l’assoggettamento del fondo vicino alla servitù; da ciò consegue che l’esistenza di un ponticello (o di altro manufatto) di accesso al fondo preteso servente non comporta, di per sé, tale evidenza e se a tale accesso non segua sul fondo servente un’opera o un segno dell’utilizzo di tale ponte anche per accedere al fondo asseritamente dominante.

E proprio sulla scorta di tale puntualizzazione, deve sottolinearsi, che, nella fattispecie concretamente esaminata dalla Corte di appello di Milano, di tale evidenza non viene operata un’adeguata valutazione nella sentenza impugnata, non potendo valere, sul punto, in modo determinante, le risultanze di due sole deposizioni testimoniali in ordine all’accertamento della circostanza dell’esercizio del passaggio sul ponticello per accedere alla proprietà pretesa dominante. In merito, bisogna aggiungere che se, come già precisato, non occorre che al momento della separazione la servitù sia esercitata, essendo necessario pur sempre che la stessa sia esercitabile, nella specie non poteva essere sottovalutato il rilievo della inagibilità del ponte al momento della separazione delle proprietà, laddove lo stesso, potendosi risolvere in una concreta impossibilità di esercizio della servitù, avrebbe potuto comportare l’esclusione del requisito dell’apparenza.

E, a tal proposito, la Corte di secondo grado ha trascurato di valorizzare adeguatamente le risultanze dei documenti prodotti e della complessità degli esiti delle prove orali assunte (essendosi limitata a valutarne soltanto due, in modo peraltro incompleto) sulla effettiva agibilità del ponte (pure in relazione alla circostanza che era stato necessario ricostruirlo in base ad una nuova concessione) e sulla destinazione di esso oltre che del piazzale di accesso alla superficie acquistata dalla s.a.s. Edilcasa, nonché sulle modalità di utilizzazione di quest’ultimo (e, quindi, dell’esercizio della eventuale servitù di passaggio sullo stesso esistente in virtù dell’accertamento di opere visibili e permanenti a tal fine preposte, tenendo pure presente la sua precedente conformazione e destinazione), anche in relazione alla sua eventuale (ed esclusiva) destinazione ad accesso saltuario per necessità agricole.

Alla stregua di tali emergenze, deve, pertanto, ritenersi che la Corte di appello milanese, nella sentenza qui impugnata, non abbia fornito una motivazione univoca, completa ed effettivamente sufficiente sul punto decisivo e controverso dell’apparenza delle opere (da risultare, per l’appunto, dotate dei requisiti della visibilità e della permanenza) tali da denotare, ai fini del riconoscimento della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, il reale asservimento del fondo acquistato dall’odierna ricorrente in favore del fondo della controparte, avuto riguardo alla concreta situazione di fatto presente nella fattispecie.

In relazione a tale necessità motivazionale deve, infatti, riconfermarsi, in punto di diritto, il principio (cfr. Cass. n. 277 del 1997; Cass. n. 3399 del 1999 e Cass. n. 21087 del 2006) secondo cui la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia ha per presupposto che due fondi, appartenenti in origine allo stesso proprietario, siano stati posti dallo stesso in una situazione di subordinazione dell’uno rispetto all’altro idonea a integrare il contenuto di una servitù prediale e che, all’atto della separazione, sia mancata una manifestazione di volontà tale da escludere la preesistente relazione di sottoposizione di un fondo all’altro e risultino segni visibili concretantisi in opere permanenti necessarie per l’esercizio di una servitù e rivelatrici pertanto della sua esistenza; in particolare nel caso di servitù di passaggio, la servitù si intende costituita quando risulti l’esistenza di una o più opere visibili destinate stabilmente all’esercizio del passaggio dall’uno all’altro fondo e non risulti in altro modo manifestata una volontà contraria al mantenimento del passaggio come fin a quel momento esercitato dall’unico proprietario.

E del resto occorre riaffermare che la parte, la quale deduce di avere acquistato la servitù per destinazione del padre di famiglia, è tenuta ad assolvere con qualsiasi mezzo l’onere della prova dell’appartenenza dei due fondi, attualmente divisi, allo stesso proprietario, della unicità del possesso e della esistenza di opere visibili e permanenti dalle quali risulti che i fondi sono stati posti o lasciati nello stato dal quale discende la servitù.

4. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere accolto in relazione ai vizi motivazionali dedotti con entrambe le censure nei limiti precedentemente rimarcati, con conseguente cassazione, in tali sensi, della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Milano, che provvederà a rinnovare il percorso logico sull’appello formulato dalla s.a.s. Edilcasa in ordine agli evidenziati aspetti oggetto di confutazione da parte della s.r.l. C.(assolutamente rilevanti in funzione della valutazione definitiva in relazione all’effettiva sussistenza di tutti i presupposti per la configurazione della reclamata servitù per destinazione del padre di famiglia, anche sulla scorta di quanto enunciato in punto di diritto), oltre a regolare le spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione, rinviando la causa, anche per le spese della presente fase di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *