Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 22 marzo 2018, n. 13407.
Poiche’ l’imprenditore e’ posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono il loro affidamento nell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima, deve affermarsi la sua diretta responsabilita’, quale gestore di questa ricchezza, quanto alla sua conservazione onde assicurare l’integrita’ della garanzia dei creditori: garanzia cui e’ funzionale l’obbligo di verita’ di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 87, comma 3 (anche nella sua formulazione precedente alla sua riforma) imposto al fallito circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell’interpello formulato dal curatore al riguardo.
Ne deriva che le condotte descritte al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, comma 1, n. 1 hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto dell’interpello e giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova ascritta al fallito in ipotesi di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di giustificazione. Si tratta, infatti, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che presumibilmente soltanto egli, che e’ l’artefice della gestione puo’ rendere.
Il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e’ reato di pericolo e non e’ dunque necessario, per la sua sussistenza, la prova che la condotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori e quello a mente del quale nel delitto di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, comma 1, n. 1 l’elemento soggettivo e’ costituito dal dolo generico e, quindi, dalla coscienza e volonta’ dell’azione, compiuta con la consapevolezza, insita nel concetto stesso di distrazione, del depauperamento o della possibilita’ del depauperamento della societa’ in danno dei creditori, non incidendo su di esso, quindi, ne’ la finalita’ perseguita in via contingente dal soggetto, che e’ fuori della struttura del reato, ne’ il recupero o la possibilita’ di recupero del bene distaccato, attraverso specifiche azioni esperibili, in quanto la norma incriminatrice punisce, in analogia alla disciplina dei reati che offendono comunque il patrimonio, il fatto della sottrazione, nel quale si traduce, con corrispondente danno, ontologicamente, ogni ipotesi di distrazione.
Sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficolta’ superabili solo con particolare diligenza.
Mentre per la bancarotta fraudolenta documentale prevista dal Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, comma 1, n. 2, s.p., l’elemento soggettivo del reato deve essere individuato nel dolo generico, che si traduce nella consapevolezza che l’omessa o irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore, per la bancarotta semplice prevista dal Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 217, comma 2, il coefficiente di attribuibilita’ psichica della condotta puo’ essere sostenuto indifferentemente dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volonta’ o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili obbligatorie per legge nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento.
Sentenza 22 marzo 2018, n. 13407
Data udienza 27 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente
Dott. SCARLINI Enrico V – Consigliere
Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere
Dott. SCORDAMAGLIA Ire – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/02/2016 della CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Scordamaglia Irene;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa Lori Perla che ha concluso per il rinvio oppure per il rigetto;
l’avvocato (OMISSIS), chiede l’accoglimento del ricorso presentato;
l’avvocato (OMISSIS), chiede l’annullamento della sentenza e accoglimento del ricorso presentato, in subordine il rinvio in attesa di decisione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce ha confermato quella del Tribunale di Brindisi in data 3 febbraio 2014, che aveva riconosciuto colpevole (OMISSIS) del delitto continuato di bancarotta fraudolenta, patrimoniale – prefallimentare e postfallimentare – e documentale, impropria, di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, comma 1, n. 1 e 2, e comma 2, articolo 223, comma 1, e articolo 219, commi 1 e 2, commesso nella qualita’ di amministratore di fatto della âEuroËœ (OMISSIS)’ di (OMISSIS), dichiarata fallita dal Tribunale di Brindisi in data 23 febbraio 2010.
A fondamento della decisione il giudice distrettuale assumeva che: 1) la configurazione del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale come reato di pericolo a dolo generico rendeva ininfluente la mancata consapevolezza del dissesto da parte dell’imprenditore successivamente dichiarato fallito, venendo in rilievo esclusivamente la potenzialita’ depauperatoria delle condotte poste in essere dal dominus dell’azienda, il quale, proprio nella sua qualita’ di garante dell’integrita’ del patrimonio aziendale era tenuto a rendere conto della destinazione data ai beni non rinvenuti in esso al momento dell’inventario; 2) la mancata tenuta del libro giornale, del libro inventario e delle scritture previste a fini fiscali, nonche’ di quelle di supporto per l’anno di esercizio del (OMISSIS) e fino al fallimento dava ragione della contestazione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, posto che l’esiguita’ del compendio contabile non aveva consentito la completa ricostruzione della consistenza del patrimonio aziendale e, comunque, del movimento di affari; 3) non vi era riscontro documentale – essendo mancata l’allegazione di contratti di vendita di autovetture o fatture – della sola immatricolazione successiva al fallimento delle autovetture indicate in contestazione, la cui vendita sarebbe avvenuta in prossimita’ della dichiarazione dello stesso; 4) la capacita’ a delinquere manifesta dall’imputato e l’assenza di elementi positivi – neppure dedotti dalla difesa – giustificavano il diniego delle attenuanti generiche e di una mitigazione del trattamento sanzionatorio, tenuto conto altresi’ della condotta complessivamente considerata.
2.Nell’interesse dell’imputato sono stati proposti due distinti atti di impugnazione.
2.1. Il ricorso a firma dell’Avvocato (OMISSIS) e’ affidato a un solo motivo, con il quale e’ denunciato il vizio di violazione di legge, in relazione all’articolo 43 c.p., e all’articolo 192 c.p.p., e il vizio di motivazione. In particolare, si deduce la mancata considerazione da parte della Corte territoriale dell’assenza di pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori dalle condotte ascritte al (OMISSIS); dell’assenza di impedimento agli organi della curatela quanto alla ricostruzione del patrimonio aziendale e del movimento di affari derivante dal mancato rinvenimento delle scritture contabili relative all’esercizio (OMISSIS) e fino al fallimento; della piena spiegazione dell’apparente vendita di autovettura in prossimita’ della dichiarazione di fallimento.
2.2. Il ricorso a firma dei difensori, Professore Avvocato (OMISSIS) e Avvocato (OMISSIS), e’ affidato a tre motivi.
2.2.1. Il primo motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione al Regio Decreto n. 267 del 1942, articoli 216 e 223 e da carenza assoluta di motivazione, nonche’ il vizio di manifesta illogicita’ dell’argomentazione posta a sostegno della statuizione relativa alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Al riguardo eccepisce che la Corte territoriale aveva reso una motivazione del tutto apparente in ordine alle questioni devolute con i motivi di appello: cio’ con particolare riferimento all’ambito dell’elemento materiale del reato, desunto, quanto alle condotte di bancarotta prefallimentare, dal mero mancato rinvenimento in sede di inventario di cespiti aziendali risultanti dalle scritture contabili e, quanto alle condotte di bancarotta post-fallimentare, dalla mancata allegazione da parte dell’imputato di documenti comprovanti l’epoca della vendita delle autovetture. Segnatamente, con riferimento alle condotte da ultimo segnalate, la Corte aveva illegittimamente omesso di attivare i poteri di implementazione istruttoria previsti anche in sede di appello.
2.2.2. Il secondo motivo prospetta il vizio di violazione di legge, in relazione al Regio Decreto n. 267 del 1942, articoli 216 e 217, e il vizio di motivazione, sul rilievo che, a fronte della contestazione di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione e distrazione delle scritture contabili, il giudice distrettuale aveva omesso di prendere in considerazione il profilo dell’elemento soggettivo richiesto per il venire in essere della detta fattispecie, come desumibile da qualsivoglia riferimento alla finalizzazione delle condotte contestate allo scopo di conseguire per se’ o per altri un ingiusto profitto e di arrecare pregiudizio ai creditori. Vieppiu’ si evidenzia il mancato approfondimento della questione dell’elemento soggettivo che avrebbe animato le segnalate carenze nella tenuta della contabilita’ aziendale nella direzione della mera negligenza.
2.2.3. Il terzo motivo deduce il vizio di violazione di legge, in relazione agli articoli 62-bis e 133 c.p., e il vizio di motivazione, correlati al non corretto esercizio della discrezionalita’ vincolata nella graduazione della pena, siccome emergente, con tutta evidenza, dalla argomentazione posta a sostegno del diniego delle circostanze attenuanti generiche, affidata a mere formule di stile.
3. Con memoria in data 9 febbraio 2018, i difensori dell’imputato hanno articolato un motivo nuovo, ai sensi dell’articolo 585 c.p.p., comma 4, con il quale hanno denunciato il contrasto delle norme di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, comma 4, e articolo 223, u.c., con gli articoli 3, 4, 41, 27 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione alla CEDU, articolo 8 e articolo 1 Prot. n. 1, rilevandosi – mediante il rinvio alle argomentazioni poste a suffragio della Ordinanza n. 734 Sezione 1 penale del 6 luglio 2017 – come la condanna del ricorrente alla pena accessoria della inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale per la durata di dieci anni e l’incapacita’ per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa determini uno iatus insanabile nella tenuta complessiva del sistema delle pene criminali, poiche’, in ragione della sua misura fissa, non solo si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’articolo 3 Cost., in considerazione della differente previsione di variabilita’ tra un minimo ed un massimo della pena principale, ma anche con il principio di rieducativita’ della sanzione criminale di cui all’articolo 27 c.p., comma 3, e con il diritto di cui alla CEDU, articolo 8 al rispetto della vita privata. Hanno insistito, pertanto, perche’ questa Corte sollevi la relativa eccezione di illegittimita’ costituzionale o sospenda la decisione in attesa della decisione della Corte Costituzionale sulla questione gia’ rimessa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ infondato.
1. Manifestamente infondate sono le censure, articolate sia nel ricorso a firma dell’Avv. (OMISSIS) che in quello a firma del Prof. (OMISSIS) e dell’Avv. (OMISSIS), che investono l’elemento materiale del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale contestato.
1.1. Va dato atto che la Corte territoriale, nel riconoscere come integrato il reato di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, comma 1, n. 1, e articolo 223, comma 1, si e’ uniformata all’insegnamento impartito da questa Corte, ferma nel ribadire che, poiche’ l’imprenditore e’ posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono il loro affidamento nell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima, deve affermarsi la sua diretta responsabilita’, quale gestore di questa ricchezza, quanto alla sua conservazione onde assicurare l’integrita’ della garanzia dei creditori: garanzia cui e’ funzionale l’obbligo di verita’ di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 87, comma 3 (anche nella sua formulazione precedente alla sua riforma) imposto al fallito circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell’interpello formulato dal curatore al riguardo.
Ne deriva che le condotte descritte al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, comma 1, n. 1 hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto dell’interpello e giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova ascritta al fallito in ipotesi di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di giustificazione. Si tratta, infatti, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che presumibilmente soltanto egli, che e’ l’artefice della gestione puo’ rendere (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015 – dep. 29/02/2016, Aucello, Rv. 26771001; Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013 – dep. 27/05/2013, Zanettin, Rv. 255385; Sez. 5, n. 7569 del 21/04/1999 – dep. 11/06/1999, Jovino, Rv. 213636).
Del tutto legittimamente (ed esaurientemente), dunque, la Corte territoriale ha riconosciuto la responsabilita’ dell’imputato, quale amministratore di fatto della societa’ di capitali âEuroËœ (OMISSIS)’, esercente l’attivita’ di commercio di autovetture, per avere impresso ai beni aziendali una destinazione diversa da quella di perseguimento dell’oggetto sociale e di assicurazione della garanzia dei creditori, avendo omesso di rendere ragione agli organi della curatela, una volta intervenuto il fallimento, delle scelte compiute in ordine ai beni medesimi – non rinvenuti in sede di inventario (ricavi delle vendite di autovetture, rimanenze di magazzino, beni strumentali, incasso di crediti e di assegni, giacenze di cassa) – ancorche’ le stesse fossero eventualmente funzionali all’esercizio dell’impresa.
1.2. Quanto, infine, al danno per i creditori, che il ricorrente vorrebbe escluso, vale rammentare che costituisce principio ripetutamente affermato da questa Corte quello secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e’ reato di pericolo e non e’ dunque necessario, per la sua sussistenza, la prova che la condotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012 – dep. 22/01/2013, Rossetto e altri, Rv. 25393301) e quello a mente del quale nel delitto di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, comma 1, n. 1 l’elemento soggettivo e’ costituito dal dolo generico e, quindi, dalla coscienza e volonta’ dell’azione, compiuta con la consapevolezza, insita nel concetto stesso di distrazione, del depauperamento o della possibilita’ del depauperamento della societa’ in danno dei creditori, non incidendo su di esso, quindi, ne’ la finalita’ perseguita in via contingente dal soggetto, che e’ fuori della struttura del reato, ne’ il recupero o la possibilita’ di recupero del bene distaccato, attraverso specifiche azioni esperibili, in quanto la norma incriminatrice punisce, in analogia alla disciplina dei reati che offendono comunque il patrimonio, il fatto della sottrazione, nel quale si traduce, con corrispondente danno, ontologicamente, ogni ipotesi di distrazione (Sez. 5, n. 9430 del 17/05/1996, Gennari, Rv. 205921; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, Rossetto, Rv. 253932).
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