Se il paziente sa perfettamente quale è l’intervento cui ha da essere sottoposto, quali ne siano le conseguenze, quali i rischi, quali le alternative l’eventuale inadempimento, da parte del medico, dell’obbligo di informarlo e’ giuridicamente irrilevante, per l’inconcepibilita’ d’un valido nesso di causa tra esso e le conseguenze dannose del vulnus alla liberta’ di autodeterminazione.

Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 27 marzo 2018, n. 7516.

Se il paziente sa perfettamente quale è l’intervento cui ha da essere sottoposto, quali ne siano le conseguenze, quali i rischi, quali le alternative (ad esempio, perche’ vi si e’ gia’ sottoposto; perche’ e’ stato gia’ informato da terzi; perche’ ha una competenza specifica su questa materia), l’eventuale inadempimento, da parte del medico, dell’obbligo di informarlo e’ giuridicamente irrilevante, per l’inconcepibilita’ d’un valido nesso di causa tra esso e le conseguenze dannose del vulnus alla liberta’ di autodeterminazione.
Non informare il paziente, infatti, e’ una condotta colposa che in tanto puo’ produrre un danno giuridicamente rilevante, in quanto impedisca al paziente di autodeterminarsi in modo libero e consapevole.
Ma se il paziente sia gia’, per qualsivoglia causa, perfettamente consapevole delle conseguenze delle proprie scelte, mai potra’ pretendere alcun risarcimento dal medico che non lo informi: non perche’ la condotta di quest’ultimo sia scriminata, ma perche’ qualsiasi conseguenza svantaggiosa dovrebbe ricondursi causalmente alle scelte consapevoli del paziente, piuttosto che al deficit informativo del medico.
Il consenso del paziente all’atto medico non puo’ mai ritenersi “presunto” (ad es., in base alle qualita’ soggettive del paziente); ma che e’ tuttavia consentito al medico od all’ospedale, gravati dall’onere di provare di avere informato il paziente, fornire tale prova in via presuntiva, ai sensi dell’articolo 2727 c.c.

Sentenza 27 marzo 2018, n. 7516
Data udienza 22 dicembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. DE FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 3404-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
AUSL RAVENNA, (OMISSIS) SPA;
– intimate –
Nonche’ da:
AUSL DELLA ROMAGNA gia’ AUSL DI RAVENNA, in persona dell’Avv. (OMISSIS), in qualita’ di procuratore speciale, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS) SPA, (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimate –
avverso la sentenza n. 1768/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 21/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/12/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e assorbimento del ricorso incidentale condizionato;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
FATTI DI CAUSA
1. Nel 1998 (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Ravenna l’Azienda Unita’ Sanitaria Locale di Ravenna (che in seguito verra’ trasformata in “Azienda Unita’ Sanitaria Locale della Romagna”; d’ora innanzi, per brevita’, sempre e comunque “la AUSL”) e (OMISSIS), esponendo che:
(-) nel (OMISSIS) si sottopose ad un intervento chirurgico di sterilizzazione mediante chiusura delle tube, eseguito dalla ginecologa (OMISSIS) nella struttura ospedaliera di (OMISSIS), gestita dalla AUSL convenuta;
(-) nonostante tale intervento, nel (OMISSIS) concepi’ un figlio;
(-) la gravidanza espose a rischio la salute sua e quella del nascituro;
(-) qualche mese dopo il parto pati’ una flebite all’arto inferiore sinistro;
(-) in occasione dell’intervento di sterilizzazione non aveva ricevuto una completa ed adeguata informazione sulle sue possibilita’ di insuccesso.
Concluse pertanto chiedendo la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni patiti sia in conseguenza della gravidanza e delle sue complicanze, ascritte all’imperita esecuzione dell’intervento di sterilizzazione; sia in conseguenza della carente informazione ricevuta sulla natura, sui rischi e sulle alternative dell’intervento di sterilizzazione cui venne sottoposta.
2. Tutti e due i convenuti si costituirono negando la propria responsabilita’.
Con sentenza 20 novembre 2006 n. 993 il Tribunale di Ravenna rigetto’ la domanda, non ravvisando alcuna colpa nell’operato dei convenuti.
3. La Corte d’appello di Bologna, adita dalla soccombente, con sentenza 21 luglio 2014 n. 1768 rigetto’ il gravame.
Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che:
(-) la paziente fosse stata correttamente informata della natura e delle conseguenze dell’intervento di sterilizzazione;
(-) l’intervento fu eseguito correttamente;
(-) nessuna tecnica di sterilizzazione reversibile esclude completamente il rischio di gravidanza;
(-) la gravidanza del (OMISSIS) non aveva arrecato alcun nocumento permanente alla salute della gestante.
4. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) con ricorso fondato su nove motivi.
Hanno resistito con controricorso (OMISSIS) e la AUSL, la quale ha altresi’ proposto ricorso incidentale condizionato, illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli articoli 2, 13 e 32 Cost.; articoli 1218 e 1223 c.c.; articolo 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo; articolo 24 della Carta dei diritti del fanciullo; articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; della L. 21 ottobre 2005, n. 219, articolo 3; della L. 19 febbraio 2004, n. 40, articolo 6; della L. 23 dicembre 1978, n. 833, articolo 33 e articolo 35 del codice deontologico dei medici.
Nella illustrazione del motivo si espone una tesi cosi’ riassumibile: la Corte d’appello ha accertato in fatto che la paziente non diede alcun consenso scritto all’intervento; ha accertato in fatto non esservi prova che la paziente venne informata dei rischi di insuccesso connessi al tipo di intervento prescelto; e nondimeno ha rigettato la domanda di risarcimento del danno da violazione del diritto all’informazione, sul presupposto che la paziente, in quanto infermiera ostetrica (addetta per di piu’ proprio all’ospedale ed al reparto dove venne operata), conoscesse perfettamente tali rischi.
Cosi’ decidendo, secondo la ricorrente, la Corte d’appello avrebbe violato le dodici differenti norme costituzionali, sovranazionali, nazionali e deontologiche indicate poc’anzi, poiche’ il consenso del paziente all’atto medico non puo’ esser presunto per facta concludentia, ne’ l’obbligo del medico di informare il paziente puo’ venir meno in ragione delle qualita’ personali del paziente.
1.2. Il motivo e’ inammissibile per estraneita’ alla ratio decidendi.
La Corte d’appello, infatti, non ha mai affermato quel che la ricorrente pretenderebbe di farle dire: e cioe’ che un medico possa astenersi dall’informare il paziente, quando anche quest’ultimo sia un medico, o comunque una persona esperta di medicina.
Ha affermato, invece, una cosa ben diversa: e cioe’ che il motivo d’appello col quale si lamentava la violazione del diritto della paziente ad essere informata da un lato prospettava una domanda nuova, non proposta in primo grado; e dall’altro che comunque era infondato, perche’ da tutti gli elementi raccolti nel corso dell’istruttoria era possibile trarre sia la prova dell’avvenuta informazione, sia la prova che l’intervento cui la paziente fu sottoposta venne discusso e concordato tra questa ed il medico; che la paziente sapesse benissimo quali ne fossero la natura ed i rischi, e che vi presto’ un consenso pieno ed informato (p. 7, ultimi due capoversi, ed 8, primo capoverso, della sentenza impugnata).
Ha precisato, la Corte d’appello, di poter trarre questa conclusione:
(-) dalle dichiarazioni rese dall’attrice al c.t.u.;
(-) dalla narrativa dei fatti contenuta nelle richieste stragiudiziali di risarcimento inviate dall’avvocato della paziente al chirurgo;
(-) dalla qualifica professionale della paziente (infermiera ostetrica).
La Corte d’appello, in definitiva, ha ritenuto in facto che la paziente fosse stata informata e fosse consapevole delle caratteristiche e dei rischi dell’intervento di sterilizzazione, e non ha affermato in iure che l’informazione fosse superflua.
Cosi’ ricostruito l’effettivo contenuto della sentenza impugnata, ne consegue che:
(a) da un lato, essa non contiene affatto l’affermazione in diritto contestata dalla ricorrente: la Corte d’appello infatti ha ritenuto provata la piena consapevolezza della paziente circa la natura dell’intervento cui si stava per sottoporre non soltanto dalla sua qualita’ di ostetrica, ma da una serie di plurimi indizi, evidentemente ritenuti gravi, precisi e concordanti;
(b) dall’altro lato, stabilire se la Corte d’appello abbia valutato correttamente o scorrettamente quegli indizi, e’ censura che investe un tipico apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimita’.
1.3. Restano solo da aggiungere due precisazioni.
1.3.1. La prima e’ che l’informazione dovuta dal medico al paziente circa la natura dell’intervento, i suoi rischi, i possibili benefici ad esso connessi, le possibili alternative terapeutiche, e’ coessenziale all’esercizio del diritto alla salute. Il titolare del diritto alla salute, infatti, non potrebbe compiere nessuna scelta consapevole, se non sapesse a quali conseguenze si esporrebbe adottando una terapia piuttosto che un’altra.
Informare il paziente non e’ dunque un atto formale, ne’ un rituale inutile. Esso serve a mettere il paziente in condizione di scegliere a ragion veduta.
Ne consegue che se il paziente sappia perfettamente quale sia l’intervento cui ha da essere sottoposto; quali ne siano le conseguenze, quali i rischi, quali le alternative (ad esempio, perche’ vi si e’ gia’ sottoposto; perche’ e’ stato gia’ informato da terzi; perche’ ha una competenza specifica su questa materia), l’eventuale inadempimento, da parte del medico, dell’obbligo di informarlo e’ giuridicamente irrilevante, per l’inconcepibilita’ d’un valido nesso di causa tra esso e le conseguenze dannose del vulnus alla liberta’ di autodeterminazione.
Non informare il paziente, infatti, e’ una condotta colposa che in tanto puo’ produrre un danno giuridicamente rilevante, in quanto impedisca al paziente di autodeterminarsi in modo libero e consapevole.
Ma se il paziente sia gia’, per qualsivoglia causa, perfettamente consapevole delle conseguenze delle proprie scelte, mai potra’ pretendere alcun risarcimento dal medico che non lo informi: non perche’ la condotta di quest’ultimo sia scriminata, ma perche’ qualsiasi conseguenza svantaggiosa dovrebbe ricondursi causalmente alle scelte consapevoli del paziente, piuttosto che al deficit informativo del medico.
Cosi’ come – ad esempio – il compratore non puo’ dolersi dei vizi della cosa sottaciuti dal venditore, se egli ne era comunque a conoscenza (articolo 1491 c.c.); cosi’ come il committente non puo’ dolersi delle difformita’ dell’opera, se l’ha accettata pur conoscendole (articolo 1667 c.c.), allo stesso modo il paziente non puo’ dolersi di non essere stato informato, se era gia’ in possesso di tutte le informazioni che lamenta di non avere ricevuto dal sanitario.
1.3.2. La seconda precisazione e’ che non e’ pertinente rispetto al presente caso, e non costituisce un precedente contrario, la decisione di questa Corte invocata dalla ricorrente a p. 19 del proprio ricorso (Sez. 3, Sentenza n. 20984 del 27/11/2012).
In quella decisione, infatti, questa Corte distinse tra il consenso presunto all’atto medico, ed il consenso provato in via presuntiva.
Chiari’ che il consenso del paziente all’atto medico non puo’ mai ritenersi “presunto” (ad es., in base alle qualita’ soggettive del paziente); ma che e’ tuttavia consentito al medico od all’ospedale, gravati dall’onere di provare di avere informato il paziente, fornire tale prova in via presuntiva, ai sensi dell’articolo 2727 c.c..
Il che e’ quanto avvenuto nel caso di specie, nel quale la Corte d’appello dalle tre circostanze ricordate sopra, al § 1.2, unitariamente valutate, ha tratto ex articolo 2727 c.c. la prova del fatto che la paziente fosse stata compiutamente informata e fosse pienamente consapevole.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio di nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Deduce, al riguardo, che la sentenza sarebbe nulla, ai sensi dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per irriducibile contraddittorieta’ ed illogicita’ manifesta della motivazione.
Sostiene che, in mancanza della prova scritta dell’avvenuta informazione della paziente, la Corte d’appello non avrebbe potuto desumere la prova dell’avvenuta informazione dalla circostanza che la paziente fosse un’infermiera ostetrica e frequentasse quotidianamente l’ospedale di (OMISSIS), dove poi venne operata.
2.2. Il motivo e’ infondato.
Per quanto gia’ detto, la Corte d’appello non ha affatto stabilito una equazione biunivoca tra il possesso della qualita’ di infermiera da parte della paziente, e la superfluita’ dell’informazione. Ha, al contrario, ricavato la prova del fatto che la paziente diede un consenso pienamente informato e consapevole all’atto medico in via presuntiva, ex articolo 2727 c.c., da una pluralita’ di indizi (uno soltanto dei quali era costituito dalla qualita’ personale della paziente).
La motivazione dunque esiste, e non e’ illogica. Stabilire, poi, se gli indizi siano stati correttamente o scorrettamente valutati, come gia’ detto, e’ questione di puro merito, estranea al perimetro del sindacato di legittimita’.
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta in via principale il vizio di nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4; subordinatamente al rigetto della doglianza, denuncia il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.
Sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che la paziente, quando decise di sottoporsi all’intervento di sterilizzazione, avesse di mira principalmente finalita’ terapeutiche (in considerazione della sua condizione di trombofilia congenita), e non quella di divenire sterile.
Sostiene che la Corte d’appello ha mutuato tale conclusione da un’altrettanto immotivata opinione del consulente tecnico, e che comunque le prove raccolte nel corso dell’istruttoria dimostravano che la paziente scelse la sterilizzazione perche’ non desiderava avere altri figli, e non per finalita’ terapeutiche.
3.2. Il motivo e’ inammissibile.
La Corte d’appello, infatti, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno sul presupposto che non vi fosse alcuna colpa dei sanitari: sia per quanto riguardava gli oneri informativi; sia per quanto riguardava la correttezza dell’esecuzione dell’intervento.
Questa essendo la ratio decidendi, non ha alcuna importanza stabilire se la Corte d’appello abbia visto giusto nell’individuare la ragione che indusse la paziente a sottoporsi all’intervento di sterilizzazione. Quale che fosse, infatti, tale ragione, il giudizio sull’assenza di colpa non ne verrebbe infirmato.
4. Il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso.
4.1. Questi tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.
Con tutti e tre questi motivi la ricorrente lamenta che la sentenza sarebbe nulla perche’ sorretta da una motivazione inesistente o manifestamente illogica.
In particolare sarebbero manifestamente illogiche le affermazioni con cui la Corte d’appello ha ritenuto:
(a) che l’attrice avesse “formulato progressivamente le sue domande”;
(b) che fosse corretta la scelta di eseguire un intervento di sterilizzazione reversibile, rispetto ad una paziente che aveva chiesto espressamente di non avere piu’ figli;
(c) che l’invalidita’ temporanea parziale patita dalla paziente durante la gravidanza indesiderata fosse da ascrivere non a quest’ultima, ma alle sue pregresse condizioni di salute. (d) 4.2. Tutti e tre i motivi sono manifestamente infondati.
Nessuna delle censure prospettate, infatti, costituisce un error in procedendo censurabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, e tanto meno una ipotesi di nullita’ della sentenza per manifesta illogicita’ della motivazione.
In ogni caso:
(-) la prima censura e’ manifestamente irrilevante, in quanto la doglianza concernente la sussistenza d’una colpa medica per violazione dell’obbligo di informazione e’ stata affrontata e rigettata nel merito, e non perche’ la relativa domanda non fosse mai stata tempestivamente formulata;
(-) la seconda e la terza censura investono altrettanti apprezzamenti di merito, non sindacabili in questa sede.
5. Il settimo motivo di ricorso.
5.1. Col settimo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli articoli 5, 1218, 1223, 1225 e 1227 c.c..
Nel motivo vengono affastellate le seguenti censure:
(a) la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto esenti da colpa i sanitari che operarono la ricorrente;
(b) la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che la paziente fosse stata correttamente informata;
(c) la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che i convenuti avessero fornito la prova liberatoria di cui all’articolo 1218 c.c.;
(d) la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto adatto un intervento di sterilizzazione reversibile, per una paziente che invece aveva bisogno e desiderava un intervento irreversibile;
(e) la Corte d’appello ha erroneamente rigettato la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale. (f) 5.2. Il motivo e’ inammissibile.
Le censure sopra riassunte da (a) a (d) sono inammissibili perche’ o ripropongono censure gia’ prospettate coi precedenti motivi, ovvero censurano apprezzamenti di fatto.
La censura sub (e) e’ inammissibile perche’ qualsiasi questione inerente l’esistenza del danno, la sua natura ed il suo ammontare non doveva nemmeno essere presa in esame dalla Corte d’appello, una volta esclusa la configurabilita’ d’una colpa professionale.
6. L’ottavo motivo di ricorso.
6.1. Con l’ottavo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto sussistere “la totale mancanza di prova di qualsivoglia danno”, in quanto tale prova era stata validamente fornita nei gradi di merito.
6.2. Il motivo e’ inammissibile.
La ritenuta insussistenza della colpa professionale, infatti, rendeva superfluo affrontare il tema del quantum debeatur, e qualunque osservazione al riguardo contenuta nella sentenza impugnata non costituisce che un inutile obiter dictum.
7. Il nono motivo di ricorso.
7.1. Col nono motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’articolo 2059 c.c. e articolo 183 c.p.c..
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere “nuova” la domanda di risarcimento del danno esistenziale.
7.2. Il motivo e’ inammissibile, per le medesime ragioni gia’ esposte nell’esame dell’ottavo motivo di ricorso.
8. Le spese.
8.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
8.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna (OMISSIS) alla rifusione in favore di AUSL della Romagna delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nella somma di Euro 6.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;
(-) condanna (OMISSIS) alla rifusione in favore di (OMISSIS) delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nella somma di Euro 6.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;
(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

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