Bancarotta fraudolenta. Il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e’ reato di pericolo e non e’ dunque necessario, per la sua sussistenza, la prova che la condotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori

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1.3. E, infine, inammissibile il rilievo che si riferisce alla mancata attivazione dei poteri istruttori di ufficio da parte del giudice di appello quanto alla ricostruzione delle condotte di bancarotta fraudolenta post-fallimentare. Va evidenziato, infatti, che a fronte della mancata allegazione da parte del fallito di qualsivoglia documentazione idonea a comprovare l’epoca del passaggio di proprieta’ delle autovetture risultate immatricolate dopo la dichiarazione di fallimento della âEuroËœ (OMISSIS)’ e del contenuto delle dichiarazioni rese da testimoni attestanti il contestuale acquisto e l’immatricolazione di alcuna delle autovetture, indicate nel capo di imputazione – e dallo stesso imputato – che ha ammesso di avere proceduto alla vendita di autovetture senza provvedere all’annotazione in contabilita’ di tali operazioni commerciali o provvedendovi in maniera infedele – non e’ ravvisabile il presupposto che legittima l’esercizio dei poteri istruttori officiosi da parte del giudice di appello. E’ jus receptum, infatti, che la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, e’ un istituto di carattere eccezionale al quale puo’ farsi ricorso esclusivamente allorche’ il giudice ritenga, nella sua discrezionalita’, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 – dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266820) e che, allorche’, si verta, come nel caso censito, in ipotesi di integrazione officiosa della base cognitiva di apprezzamento, ai sensi dell’articolo 603 c.p.p., comma 3, gli elementi di prova da assumere devono essere assolutamente necessari per l’accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione (Sez. 1, n. 36122 del 09/06/2004, Campisi, Rv. 229837).
2. Sono, altresi’, infondate o inammissibili le doglianze formulate con riguardo alla corretta applicazione delle norme di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, comma 1, n. 2, e articolo 217, comma 2.
2.1. Inammissibile, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 3, e’ il motivo che prospetta il vizio di violazione di legge e il vizio argomentativo, per avere il giudice censurato, a fronte della contestazione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione e distrazione delle scritture contabili, omesso di motivare in ordine al dolo specifico richiesto per il venire in essere della detta fattispecie, posto che – siccome rilevabile dall’atto di gravame nel quale si era dedotto esclusivamente il profilo della necessita’ della “rappresentazione che il comportamento fraudolento rende o puo’ rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore – la specifica questione relativa all’elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta documentale di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, comma 1, n. 2 p.p. – risulta essere stata sviluppata per la prima volta in cassazione.
2.2. Come evidenziato nella sentenza impugnata, e’, inoltre, ius receptum che sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficolta’ superabili solo con particolare diligenza (Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, Faragona e altro, Rv. 26568201 Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965; Sez. 5, n. 24333 del 18/05/2005, Mattia, Rv. 232212; Sez. 5, n. 10423 del 22/05/2000, Piana e altri, Rv. 218383). Alla stregua di tale consolidata interpretazione, occorre riconoscere che il giudice censurato ha ampiamente dato conto del fatto che la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della societa’ fallita risulta essere stata possibile soltanto in maniera assai limitata, secondo quanto riferito dal Curatore fallimentare, per effetto della mancata consegna e dal mancato reperimento del libro giornale, del libro inventari e dei registri necessari a fini contabili nonche’ della documentazione di supporto, per l’anno di esercizio (OMISSIS) e fino al fallimento, cosi’ da non rendere possibile la verifica della consistenza delle attivita’ e passivita’ sociali nonche’ dei movimenti finanziari, tenuto conto che neppure vi era riscontro documentale di quelle operazioni (meglio dianzi indicate) che, secondo la voce di accusa, avevano finito per depauperare il patrimonio sociale esponendo a concreto pericolo le legittime pretese dei creditori. Donde le deduzioni difensive dirette ad accreditare la tesi di mere irregolarita’ formali del compendio contabile, dovute a negligenza, suscettibili di vulnerare solo astrattamente l’interesse dei creditori ad ottenere dagli organi fallimentari il rendiconto delle attivita’ e delle passivita’ sociali funzionale all’esercizio delle loro prerogative di tutela, scontano il limite del mancato confronto con il tenore della motivazione, che ha implicitamente escluso la qualificazione dei fatti nei termini della bancarotta documentale semplice, posto che, nel caso scrutinato, il deficit informativo riscontrato si e’ tradotto in una pesante ipoteca sulla compiuta ricostruzione del patrimonio sociale.
Ne’ possono trovare ingresso le critiche rivolte al provvedimento impugnato nella parte relativa all’omessa distinzione, in rapporto ai risultati probatori, dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta documentale fraudolenta rispetto a quello del delitto di bancarotta documentale semplice. L’indagine sull’elemento soggettivo, infatti, risulta efficacemente compiuta dalla Corte di appello anche ai fini del nomen iuris del fatto contestato, giacche’ proprio sul versante psicologico del reato e’ tradizionalmente colto il discrimen tra la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale da omessa o irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili e quella, meno grave, di bancarotta semplice documentale, correttamente esclusa perche’ non riconducibile ad un mero disordine contabile ma ad una cosciente e volontaria inerzia nella registrazione e nella custodia del compendio documentale ausiliario tenuta dagli imputati. Gli arresti di questa Corte sulla questione oggetto di scrutinio, infatti, si esprimono nel senso di ritenere che, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale prevista dal Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, comma 1, n. 2, s.p., l’elemento soggettivo del reato deve essere individuato nel dolo generico, che si traduce nella consapevolezza che l’omessa o irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore (Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero, Rv. 247444; Sez. 5, n. 6769 del 18/10/2005 – dep. 23/02/2006, Dalceggio, Rv. 233997; Sez. 5, n. 24328 del 18/05/2005, Di Giovanni, Rv. 232209; Sez. 3, n. 46972 del 03/11/2004, Francalacci, Rv. 230482; Sez. 5, n. 31356 del 11/05/2001, Feroleto, Rv. 220167; Sez. 5, n. 5905 del 06/12/1999 – dep. 16/02/2000, Amata, Rv. 216267), per la bancarotta semplice prevista dal Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 217, comma 2, il coefficiente di attribuibilita’ psichica della condotta puo’ essere sostenuto indifferentemente dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volonta’ o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili obbligatorie per legge nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento (Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, Incalza, Rv. 268867; Sez. 5, n. 48523 del 06/10/2011, Barbieri, Rv. 251709; Sez. 5, n. 8081 del 04/07/1991, Minuto, 188044). Situazione che, all’evidenza, non ricorre nel caso scrutinato, posto che non e’ stata rinvenuta la corrispondenza in entrata e in uscita e cosi’ si e’ impedita, quanto meno la ricostruzione del movimento degli affari.
3. Non merita accoglimento neppure la censura che impinge la determinazione del trattamento sanzionatorio.
3.1. Vale rammentare che “la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’articolo 62-bis c.p., e’ oggetto di un giudizio di fatto e puo’ essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimita’, purche’ non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato” (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419). Si e’ anche affermato che “ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice puo’ limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche’ anche un solo elemento attinente alla personalita’ del colpevole o all’entita’ del reato ed alle modalita’ di esecuzione di esso puo’ essere sufficiente in tal senso” (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv 249163). Come lo stesso difensore del ricorrente evidenzia, la Corte di appello risulta aver posto l’accento sui numerosi precedenti del (OMISSIS), nonche’ sull’assenza di elementi positivamente valutabili, sicche’ il percorso argomentativo adottato dal giudice distrettuale si rivela ineccepibile, soprattutto ove raffrontato con la generica deduzione spiegata, in parte qua, nell’impugnativa.
Del pari non merita censura alcuna l’uso che la Corte territoriale ha fatto, nella dosimetria della pena, della discrezionalita’ vincolata riconosciutagli, posto che ha dato ragione della gravita’ complessiva del fatto e della capacita’ a delinquere del reo.
4. Inammissibile e’ anche la questione di legittimita’ costituzionale sollevata con riferimento al Regio Decreto n. 267 del 1942, articoli 216 e 223 nella parte in cui prevedono pene accessorie in misura fissa, per violazione degli articoli 3, 4, 27, 41 e 117 Cost..
4.1. Va premesso che la questione e’ stata proposta con i motivi nuovi e non con il ricorso principale, di talche’ la stessa deve essere considerata inammissibile in forza della pacifica regula iuris a mente della quale: “I motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilita’, i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame, ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera a) (Sez. 6, n. 27325 del 20/05/2008, D’Antino, Rv. 24036701).
4.2. Ad ogni buon conto giova precisare che la dedotta questione era gia’ stata portata alla cognizione del giudice delle leggi, che l’aveva dichiarata inammissibile con sentenza n. 134 del 21 maggio 2012, sul rilievo che il âEuroËœpetitum’ formulato dai rimettenti (una pronuncia additiva che rendesse applicabile l’articolo 37 c.p.) fosse estraneo alla cognizione del giudice delle leggi, essendo “inammissibili le questioni di costituzionalita’ relative a materie riservate alla discrezionalita’ del legislatore e che si risolvono in una richiesta di pronuncia additiva a contenuto non costituzionalmente obbligato”.
E’ dato di fatto, tuttavia, che la Corte Costituzionale – pur auspicando una riforma delle pene accessorie nel loro complesso (e non solo di quelle previste dalla legislazione fallimentare) – non ha inteso cogliere l’occasione per estendere l’indagine alla “pura” costituzionalita’ delle norme denunciate, come pure era in suo potere fare (e come ha fatto – concretamente – in molteplici occasioni), sul presupposto, implicito, che il Regio Decreto n. 267 del 1942, articoli 216 e 223 non contrastino con le norme costituzionali richiamate.
Tanto, senza considerare che, per giurisprudenza costante del giudice delle leggi, la scelta e la quantificazione delle sanzioni per i singoli fatti punibili rientra nella discrezionalita’ del legislatore, il cui esercizio e’ censurabile solo nel caso di manifesta irragionevolezza (ex plurimis, sentenze n. 22 del 2007, n. 394 del 2006 e n. 144 del 2005): irragionevolezza che non e’ dato ravvisare a fronte di reati che, anche in astratto, sono considerati gravi dal legislatore, come dimostrato dalla cornice edittale – minima e massima – ad essi riferibile.
Non puo’ essere dato corso, pertanto, alla richiesta di sospensione del processo, avanzata dal ricorrente, ne’ alla richiesta di investire nuovamente della questione la Corte Costituzionale.
5. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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