Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 12 settembre 2017, n. 41586. Omicidio aggravato dalla premeditazione e la valutazione dell’aggravante

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2.1. Con il primo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento agli articoli 85 e 89 c.p., articolo 27 Cost., articolo 530 c.p.p., commi 1 e 2, conseguenti alla formulazione del giudizio di responsabilita’ espresso nei confronti di (OMISSIS) per l’omicidio volontario della convivente, cui si correlava l’incongruita’ del percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale, con conseguente violazione degli articoli 391-decies c.p.p., comma 3, in relazione all’articolo 360 c.p.p. e articolo 117 disp. att. c.p.p..
Si evidenziava, in proposito, l’incongruita’ del percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Firenze nel valutare la capacita’ di intendere e di volere dell’imputato, censurato attraverso i passaggi espositivi di cui ai punti A-D del ricorso in esame, che era stata vagliata dalla Corte di assise di appello di Firenze sulla scorta di un’incongrua applicazione dei parametri ermeneutici della giurisprudenza di legittimita’ consolidata; incongruita’ resa evidente dalla consulenza tecnica della difesa relativa al giudizio sulla personalita’ del (OMISSIS) e sulla conseguente imputabilita’, della quale la Corte territoriale non aveva tenuto conto.
Osserva, in proposito, il Collegio che l’inquadramento delle questioni ermeneutiche sottese a questo motivo di ricorso – rispetto al quale le censure articolate attraverso i punti A-D devono essere valutate unitariamente attesa la loro incontrovertibile omogeneita’ processuale – impone il richiamo preliminare all’orientamento interpretativo affermatosi in seno alle Sezioni unite nello scorso decennio, presupposto dalla difesa del ricorrente, che non ritiene l’imputabilita’ una mera condizione psichica indispensabile per attribuire una condotta illecita all’agente, ma l’espressione della capacita’ penale dell’imputato complessivamente valutabile alla luce del suo comportamento, nella convinzione che non puo’ esservi colpevolezza senza piena consapevolezza delle proprie azioni delittuose. L’imputabilita’, infatti, e’ il presupposto soggettivo indispensabile per affermare la responsabilita’ dell’agente e presuppone l’accertamento di una condizione di rimproverabilita’ verificabile processualmente (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, Rv. 230317).
Attraverso questo percorso ermeneutico, che affonda le sue radici nella giurisprudenza di legittimita’ affermatasi negli anni Ottanta del secolo precedente (Sez. 1, n. 4103 del 24/02/1986, Ragno, Rv. 172790), le Sezioni unite ritenevano definitivamente superata la nozione tradizionale di infermita’ mentale, reputandola una condizione di grave disagio mentale, che induce il soggetto in una condizione psichica di intensita’ tale da fare escludere la sua capacita’ di intendere e di volere o da farla scemare grandemente (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.).
In questa prospettiva, non e’ tanto la condizione di infermita’ del soggetto attivo del reato a rilevare sul piano dell’accertamento giurisdizionale, quanto piuttosto lo stato di disagio mentale dell’individuo singolarmente inteso, che deve essere tale da incidere negativamente sulla sua capacita’ di intendere e di volere dell’imputato (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.), la quale, a sua volta, dovra’ essere intesa come la liberta’ di autodeterminazione dell’agente, collegata eziologicamente alla condotta delittuosa oggetto di valutazione processuale (Sez. 5, n. 8282 del 09/02/2006, Scarpinato, Rv. 233228; Sez. 1, n. 17853 del 17/02/2009, Broccatelli, Rv. 244538).
Ne discende che, prima di valutare la condizione di imputabilita’ del soggetto attivo del reato, occorre individuare preliminarmente i “requisiti bio-psicologici che facciano ritenere che il soggetto sia in grado di comprendere e recepire il contenuto del messaggio normativo connesso alla previsione della sanzione punitiva”. Ed e’ solo sulla base di questa preliminare e indispensabile ricognizione nosografica che il giudice potra’ provvedere all’individuazione delle “condizioni di rilevanza giuridica dei dati forniti dalle scienze empirico-sociali” sulle quali fondare le sue determinazioni processuali (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.).
2.1.1. Tenuto conto di questi parametri ermeneutici, la motivazione della sentenza impugnata, in ordine alla verifica dell’imputabilita’ di (OMISSIS), deve essere ritenuta congrua ed esente da discrasie motivazionali, fondandosi su una ponderata disamina degli elementi valutativi di cui si disponeva nel giudizio di primo grado, che non lasciavano spazio a dubbi di sorta in ordine alla capacita’ di intendere e di volere dell’imputato nel momento in cui decideva di uccidere la convivente, tenuto degli elementi bio-psicologici di cui i giudici di merito disponevano nel caso in esame.
Ne’ corrisponde, peraltro, al vero che la Corte di assise di appello di Firenze aveva trascurato di considerare gli esiti della consulenza tecnica della difesa, in ragione del fatto che, alla stessa, tenuto conto dei parametri ermeneutici che si sono richiamati nel paragrafo precedente (Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit.), che venivano correttamente valutati nel caso di specie, non si attribuiva una valenza processuale idonea a legittimare la sussistenza in capo al ricorrente di una condizione psichica patologica rilevante ai sensi degli articoli 88 e 89 c.p..
Esemplare, da questo punto di vista, e’ l’ineccepibile passaggio motivazionale, esplicitato a pagina 10 della sentenza impugnata, nel quale la Corte di assise di appello di Firenze, richiamando espressamente la consulenza tecnica svolto nell’interesse di (OMISSIS), affermava: “La tesi dei consulenti (…) si pone in stridente contrasto con le condizioni psichiche dell’imputato, che non aveva manifestato segni di squilibrio mentale, ne’ aveva manifestato stati di disagio tali da menomare le sue capacita’ volitive e cognitive. Non vi e’ in atti alcuna documentazione medica che attesti un quadro siffatto, e per tale condivisibile motivo il primo Giudice non ha disposto la perizia psichiatrica nei confronti dell’imputato (…)”.
A fronte di tali ineccepibili considerazioni, deve rilevarsi che, nel caso in esame, non erano emerse difficolta’ relazionali di altra natura, com’era evidente dal fatto che nessuno dei colleghi di lavoro di (OMISSIS), esaminati nel corso delle indagini preliminari, aveva messo in evidenza anomalie psichiche o anche solo meramente comportamentali sul posto dove l’imputato lavorava; analoghe considerazioni valgono per le dichiarazioni rese dalla moglie separata del ricorrente, (OMISSIS), la quale, pur evidenziando difficolta’ caratteriali dell’ex marito, precisava che tali profili non assumevano comunque una rilevanza tale da ipotizzare un’infermita’ psichica dell’ex coniuge, idonea a incidere sulla capacita’ di intendere e di volere del ricorrente.
Ne discendeva che la valutazione dei comportamenti quotidiani di (OMISSIS), antecedenti al verificarsi dell’evento delittuoso che si sta considerando, non forniva alla Corte territoriale fiorentina alcun elemento sintomatico o anche solo indicativo di uno stato di disagio mentale dell’imputato, rilevante sul piano nosografico, tanto e’ vero che il ricorrente, secondo quanto accertato nei giudizi di merito, non era mai ricorso a cure psichiatriche o a terapie psicanalitiche.
In questo univoco contesto processuale, non vi era alcuno spazio per disporre una perizia psichiatrica nei confronti di (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 603 c.p.c., non essendo emersa alcuna condizione di disagio psichico meritevole di approfondimento, dovendosi richiamare in proposito l’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui: “Alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale si puo’ ricorrere solo quando il giudice ritenga “di non poter decidere allo stato degli atti”, sussistendo tale impossibilita’ unicamente quando i dati probatori gia’ acquisiti siano incerti, nonche’ quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per se’ oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza” (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Ferrara, Rv. 256228; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv. 237410).
2.1.1. Tali considerazioni impongono di ritenere infondato il primo motivo di ricorso, proposto in relazione all’ipotesi di reato di cui al capo A.
2.2. Dall’infondatezza del primo motivo di ricorso discende l’infondatezza dell’ulteriore doglianza, mediante la quale si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all’articolo 111 Cost. e articolo 6 CEDU, conseguenti al fatto che sul problema dell’accertamento della capacita’ di intendere e di volere di (OMISSIS), che, secondo la difesa del ricorrente, costituiva il nucleo valutativo essenziale del giudizio di responsabilita’ espresso nei confronti dell’imputato, la Corte di assise di appello di Firenze non si era soffermata in termini motivazionali congrui, fondando le sue conclusioni su una consulenza tecnica, svolta nel corso delle indagini preliminari su incarico del pubblico ministero, in assenza di contraddittorio tra le parti processuali e smentita dalle conclusioni alle quali era pervenuta la consulenza tecnica della difesa.

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