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Corte di Cassazione, sezione unite, ordinanza 9 luglio 2014, n. 15593. La giurisdizione in ordine alle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione del fermo amministrativo di beni mobili registrati (e del relativo preavviso), emesso ex art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, con riguardo a crediti di natura tributaria, spetta al giudice tributario e i si estende anche all'ipotesi in cui la domanda sia stata proposta in epoca anteriore all'entrata in vigore dell'art. 35, comma 25 quinquies, dei d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), il quale, modificando l'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ha incluso il fermo tra gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario. Ma va applicata la giuridizione del giudice ordinario quando la domanda proposta non investe il rapporto tributario (requisito necessario per configurare la giurisdizione tributaria, al fine di evitare la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali), ma ha ad oggetto il comportamento asseritamente illecito – causa del danno lamentato – tenuto dal concessionario nella fase successiva all’emissione del provvedimento di fermo, del quale non è chiesto l’annullamento per ragioni attinenti al credito tributario: sicché il giudizio attiene ad una posizione di diritto soggettivo del tutto indipendente ed avulsa dal rapporto tributario e rientrante, pertanto, nella giurisdizione del giudice ordinario

Suprema Corte di Cassazione sezione unite ordinanza 9 luglio 2014, n. 15593 Ritenuto in fatto 1. L.C., dopo che il Tribunale di Brindisi, in riforma della sentenza del Giudice di pace di San Vito dei Normanni, originariamente adito, aveva declinato la giurisdizione indicando come munito di questa il giudice tributario, ha riassunto la causa dinanzi...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 3 luglio 2014, n.15229. Se, nei confronti del danneggiato, l'assicuratore è tenuto responsabile del ritardo nella messa a disposizione del massimale non appena acclarata la responsabilità dell'assicurato, così da risultare a debito, anche oltre il massimale, solo a titolo di interessi ed, eventualmente, di maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c., nei confronti del danneggiante assicurato, la misura della sua responsabilità non è vincolata ai meri oneri finanziari della mora, concretandosi nell'importo (ultramassimale) corrispondente alla differenza tra quanto il responsabile avrebbe dovuto pagare al danneggiato se l'assicuratore avesse tempestivamente adempiuto le proprie obbligazioni, e quanto invece egli sarà costretto a pagare in conseguenza del ritardato adempimento. Anche quando il danneggiante-assicurato fondi la propria domanda di mala gestio non già su fatti pregiudizievoli specifici (riconducibili, ad esempio, alla trascuratezza delle difese processuali ovvero al fallimento di convenienti opportunità transattive), ma sul mero ritardo nel pagamento del massimale, la misura della responsabilità dell'assicuratore nei suoi confronti non trova limite nel massimale; il quale integra in realtà un “tetto” risarcitorio valevole solo nei confronti del terzo danneggiato. In altri termini, nei riguardi dell'assicurato, la responsabilità dell'assicuratore per la mora – pur muovendo necessariamente anch'essa dalla capienza o incapienza iniziale del massimale rispetto al danno cagionato, nonché dal ritardo con il quale esso sia stato liquidato a favore del danneggiato – può sussistere (oltre i suddetti pesi finanziari da ritardo) per l'intero danno risarcibile posto a carico del danneggiante; del quale quest'ultimo dovrà essere tenuto indenne.

Suprema CORTE DI CASSAZIONE sezione III SENTENZA 3 luglio 2014, n.15229 Ritenuto in fatto Nel (omissis) V.O. ed i genitori S.G. e V.C. (anche nella loro qualità di esercenti la potestà sul minore V.E. ) convenivano in giudizio, avanti al tribunale di Ascoli Piceno, T.R. e la compagnia assicuratrice Lavoro & Sicurtà spa, chiedendone la...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza n. 15109 del 2 aprile 2014. Risponde di concorso omissivo in violenza sessuale ex artt. 40 co. 2 e 609 bis c.p. la madre che, essendo a conoscenza (o potendo conoscere) degli abusi perpetrati dal proprio marito in danno dei figli, non interviene a scongiurare il verificarsi degli episodi illeciti o quantomeno la loro perpetuazione, avendone la concreta possibilità.

  SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III sentenza 2 aprile 2014, n. 15109   Ritenuto in fatto   1. La Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 6.2.2013, confermava la sentenza del GIP del Tribunale di Lecce, emessa il 6.12.2011, con la quale G.F. , applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato,...

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Consiglio di Stato, sezione IV, Sentenza 7 aprile 2014, n. 1609. Le forze armate sono regolate da un complesso di norme e principi (che gli appartenenti si obbligano ad osservare) i quali, in virtù di pubblici interessi ed in quanto rivolti a soggetti cui si chiede una disciplina “speciale”, possono trovare del tutto legittimamente un’applicazione in senso compressivo di alcuni profili di libertà comportamentale, seppur secondari, della persona, praticabili invece senza impedimenti dai soggetti che non vi fanno parte. Né può giovare rilevare, nel caso specifico, il richiamo ad alcune fogge che non sono incompatibili col decoro, ma tipiche: in quei casi, infatti, l’aspetto esteriore non usuale per un militare trova fondamento o in compiti operativi particolari o in immagini caratterizzanti storicamente il corpo di appartenenza, risultando perciò tollerate se non autorizzate da prassi o disposizioni interne al medesimo.Ne consegue che è legittima legittimità la sanzione disciplinare della consegna semplice irrogata al militare in ragione del taglio di capelli alla “skinhead”, ritenuto in contrasto con i doveri di decoro sanciti dal regolamento militare.

Consiglio di Stato Sezione IV Sentenza 7 aprile 2014, n. 1609   REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2126 del 2011, proposto da: Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza,...

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Corte di Cassazione, sezione unite, sentenza 7 luglio 2014, n. 15429. In tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, il potere di applicare la sanzione adeguata alla gravità ed alla natura dell'offesa arrecata al prestigio dell'ordine professionale è riservato agli organi disciplinari, cosicché la determinazione della sanzione inflitta all'incolpato dal Consiglio Nazionale Forense non è censurabile in sede di legittimità, salvo il caso di assenza di motivazione

Suprema Corte di Cassazione sezione unite sentenza 7 luglio 2014, n. 15429 Svolgimento del processo L’avvocato P.O. impugnò avanti al Consiglio Nazionale Forense la decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lucca del 30.9.2011-21.5.2012, con la quale gli era stata inflitta la sanzione disciplinare della cancellazione dall’Albo professionale, per avere svolto, in data 10.12.2010, attività...