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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

sentenza  2 luglio 2014, n. 15070

 
 

Svolgimento del processo

 

1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata il giorno 1 marzo 2013) dichiara improcedibile l’appello proposto, con ricorso depositato il 4 dicembre 2012, da I.A.S. avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria n. 1604/2012 del 6 giugno 2012, di rigetto della domanda dello I. avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla BANCA NAZIONALE del LAVORO s.p.a. (d’ora in poi: BNL).

La Corte d’appello di Reggio Calabria, per quel che qui interessa, precisa che:

a) all’udienza di prima comparizione – fissata con decreto regolarmente comunicato al procuratore della parte appellante a mezzo del sistema di posta elettronica certificata (PEC), secondo le indicazioni fornite dallo stesso procuratore nell’atto di appello e in base all’art. 136, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo modificato dall’art. 25 della legge n. 183 del 2011 – è comparso il suddetto procuratore dell’appellante che ha fatto presente di non avere ricevuto alcuna comunicazione ed ha, pertanto, chiesto un nuovo termine per provvedere alla prescritta notifica;

b) premesso che l’assunto relativo all’omessa comunicazione è destituito di fondamento, l’appellante, pur avendo ricevuto notizia del decreto di fissazione della prima udienza di comparizione (dell’8 febbraio 2013) in data 4 dicembre 2012, non ha provveduto ad effettuare la notifica alla controparte dell’atto di appello e del pedissequo decreto di comparizione entro il termine minimo di venticinque giorni prima della data della predetta udienza di cui all’art. 435, terzo comma, cod. proc. civ.;

c) ne consegue che in applicazione al recente orientamento espresso dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 20606 del 30 luglio 2008, l’appello, anche se proposto tempestivamente, è da considerare improcedibile perché la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell’udienza non è stata effettuata e – alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. – non è consentito al giudice di assegnare, ex art. 421 cod. proc. civ., all’appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell’art. 291 cod. proc. civ., tranne che nell’ipotesi in cui venga presentata un’istanza di proroga prima della scadenza del termine per la notifica in oggetto;

d) tale ultima ipotesi non ricorre nella specie, in quanto la parte appellante ha presentato la suddetta istanza nel corso della stessa udienza di prima comparizione.

2.- Il ricorso di I.A.S. domanda la cassazione della sentenza per un unico motivo; resiste, con controricorso, illustrato da memoria, la BANCA NAZIONALE del LAVORO s.p.a., la quale, fra l’altro, eccepisce la invalidità della notifica del ricorso per cassazione, soprattutto perché avvenuta (il 6 settembre 2013) dopo la scadenza del termine semestrale previsto dall’art. 327 cod. proc. civ., nel testo risultante dalla modifica introdotta dall’ari 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69, applicabile nella specie ratione temporis, ai sensi dell’art. 58 della stessa legge n. 69 del 2009.

 

Motivi della decisione

 

I – Profili preliminari.

1.— Preliminarmente deve essere esaminata la eccezione di ^invalidità della notifica della notifica del presente ricorso proposta dalla controricorrente, sull’assunto della pretesa tardività della stessa perché effettuata il 6 settembre e quindi dopo la scadenza del termine di sei mesi dal deposito della sentenza (avvenuto il giorno 1 marzo 2013), previsto dall’art. 327 cod. proc. civ.

Tale eccezione è infondata in quanto, sull’originale del ricorso risulta apposto un timbro leggibile dell’ufficiale giudiziario che attesta che la relativa consegna dell’atto per la notifica è stata effettuata in data 27 agosto 2013, sicché, la notifica stessa si deve considerare tempestiva, in applicazione del noto principio della scissione soggettiva del momento di perfezionamento delle notificazioni.

II – Sintesi delle censure.

1.- Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 136, 152, 159, 291, 421, 435 cod. proc. civ. e dell’art. 111 della Costituzione.

Il ricorrente sottolinea che:

1) il procuratore dell’appellante, presente all’udienza del giorno 8 febbraio 2013 per trattare altre cause, ha chiesto la concessione di un termine per le notifiche dichiarando che non era a conoscenza dell’emissione del decreto di fissazione dell’udienza, comunicatagli esclusivamente tramite PEC;

2) infatti il procuratore stesso non era ancora in possesso della password di accesso alla PEC, benché quest’ultima gli fosse stata rilasciata qualche giorno prima del deposito in cancelleria dell’atto di appello (ove era stata indicata);

3) pertanto la comunicazione effettuata dalla Corte d’appello per mezzo della PEC non sarebbe valida, in quanto esclusiva e non accompagnata da comunicazione cartacea a mezzo di ufficiale giudiziario ovvero a mezzo fax.

Comunque, la concessione del termine richiesto ad avviso del ricorrente era compatibile con l’art. 111 Cost. e, in ogni caso, l’appello non avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile, visto che era stato correttamente depositato.

Infine, al caso di mancata notifica in oggetto avrebbe dovuto applicarsi estensivamente la norma di cui all’art. 291 cod. proc. civ..

III – Esame delle censure.

2.- Il ricorso non è da accogliere per le ragioni di seguito esposte.

3.- Deve essere, in primo luogo, precisato che l’art. 125, primo comma, cod. proc. civ. nel testo attuale, vigente dal giorno 1 dicembre 2011, stabilisce che tra le indicazioni che devono obbligatoriamente essere presenti nella citazione, nel ricorso, nella comparsa, nel controricorso e nel precetto vi deve essere quella dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore “comunicato al proprio ordine” nonché del proprio numero di fax.

Il successivo art. 136, secondo comma, cod. proc. civ., come sostituito dall’art. 25 della legge 12 novembre 2011, n. 183, abilita i cancellieri ad effettuare le comunicazioni alle parti che sono prescritte dalla legge e a dare notizia di quei provvedimenti per i quali è disposta dalla legge una forma abbreviata di comunicazione, trasmettendo le comunicazioni stesse” a mezzo posta elettronica certificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.

Mentre il terzo comma dello stesso art. 136 stabilisce che “salvo che la legge disponga diversamente”, si può utilizzare la trasmissione a mezzo telefax ovvero la notifica a mezzo dell’ufficiale giudiziario solo “se non è possibile procedere ai sensi del comma che precede”.

Le modalità attuative di tale disposizione si rinvengono nel decreto del Ministro della Giustizia 21 febbraio 2011, n. 44 (Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24), vigente dal 18 maggio 2011 e poi modificato dal d.m. n. 209 del 2012 (vedi, al riguardo: Cass. 7 maggio 2014, n. 9876).

4.- Dal complesso di tale disciplina si desume, per quel che riguarda la presente fattispecie, che una volta ottenuta da parte dell’ufficio giudiziario interessato la prescritta abilitazione, ogni avvocato, dopo la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministero della Giustizia attraverso il Consiglio dell’Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria PEC, nel senso che se non la apre ne risente le conseguenze.

La Corte d’appello di Reggio Calabria è stata abilitata all’utilizzazione di tale sistema dall’inizio del 2012 e di conseguenza da quel momento le cancellerie hanno potuto trasmettere le prescritte comunicazioni ai difensori per mezzo della PEC da essi indicata.

Ciò è avvenuto, nella specie, con riguardo alla comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza di prima comparizione del giudizio di appello.

D’altra parte, come risulta dalla sentenza impugnata, e non viene contestato dal ricorrente, la suddetta trasmissione è risultata effettuata regolarmente – in data 4 dicembre 2012, alle ore 12:27:57 – al procuratore della parte appellante a mezzo del sistema di posta elettronica certificata (PEC), secondo le indicazioni fornite dallo stesso procuratore nell’atto di appello e in base all’art. 136, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo modificato dall’art. 25 della legge n. 183 del 2011.

Ne consegue che del tutto correttamente la Corte d’appello ha considerato valida a tutti gli effetti tale comunicazione e, conseguentemente, improcedibile l’appello non avendo l’appellante provveduto ad effettuare la notifica alla controparte dell’atto di appello e del pedissequo decreto di comparizione entro il termine minimo di venticinque giorni prima della data della predetta udienza di cui all’art. 435, terzo comma, cod. proc. civ..

5.- Nella descritta situazione, non solo non poteva trovare applicazione l’art. 291 cod. proc. civ. che riguarda tutt’altra situazione, ma neppure si sarebbe potuta lamentare la mancata utilizzazione della trasmissione a mezzo telefax ovvero della notifica a mezzo dell’ufficiale giudiziario, perché, come si è detto, in base all’art. 136, terzo comma, cod. proc. civ., a tali forme di trasmissione può ricorrersi soltanto quando non è possibile procedere a mezzo PEC, mentre, nella specie, non solo è stato possibile utilizzare la PEC ma la relativa trasmissione è andata a buon fine (come certificato), sicché l’inconveniente lamentato è dipeso esclusivamente da problemi di gestione della PEC da parte del relativo titolare (destinatario della comunicazione), come tali del tutto ininfluenti sulla validità della comunicazione stessa.

IV – Conclusioni.

6.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto, per le suindicate ragioni. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, Euro 3000,00 (tremila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Si da atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.

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