CASSAZIONE

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

sentenza 2 aprile 2014, n. 15109

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 6.2.2013, confermava la sentenza del GIP del Tribunale di Lecce, emessa il 6.12.2011, con la quale G.F. , applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, era stata condannata alla pena di anni 12 di reclusione per il reato di cui agli artt. 40, 81, 609 ter ult. comma, 110 c.p. (perché, in qualità di madre delle minori K.F. , nata il (omissis), K.H. , nata il (omissis) e K.A. , nata il (…), e avendo l’obbligo giuridico, non impediva la perpetrazione di atti di violenza sessuale in danno delle medesime da parte del padre K.S. , e in talune occasioni agevolava materialmente la perpetrazione delle violenze sulle figlie) e per il reato di cui agli artt. 40 e 572 c.p. (perché in qualità di madre ed avendo l’obbligo giuridico non impediva la perpetrazione del reato di maltrattamenti da parte del padre in danno delle minori), unificati sotto il vincolo della continuazione.

Rilevava la Corte territoriale che l’atto di appello proposto dall’imputata era destituito di fondamento, in quanto dalle risultanze processuali emergeva la prova della sussistenza dei reati ascritti.

Le dichiarazioni delle parti offese, in ordine agli abusi sessuali subiti ad opera del padre, erano pienamente credibili e risultavano per di più riscontrate da elementi esterni (dichiarazioni de relato delle insegnanti, con le quali le minori si erano confidate).

Ricorrevano poi tutte le condizioni perché la G. dovesse rispondere, a titolo di causalità omissiva, dei reati, essendo emerso che essa era pienamente a conoscenza delle violenze sessuali e dei maltrattamenti cui le minori venivano sottoposte e che non aveva impedito la loro verificazione (in alcuni casi aveva addirittura contribuito a che si verificassero). Le dichiarazioni rese dalle minori in proposito trovavano conferma nella sostanziale confessione resa dall’imputata, la quale si era limitata ad invocare una sorta di impossibilità di opporsi al marito, il quale, oltre ad aggredirla fisicamente, l’aveva annullata psicologicamente.

Riteneva la Corte territoriale che tale linea difensiva non potesse trovare accoglimento, in quanto la G. aveva, comunque, la possibilità di rivolgersi alle forze dell’ordine.

Quanto al trattamento sanzionatorio, il contesto di abiezione nel quale i reati erano maturati e la loro gravità non consentivano, nonostante la confessione resa, la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

2. Ricorre per cassazione G.F. , a mezzo del difensore, denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla configurabilità del concorso omissivo ex art. 40 comma 2 c.p., in particolare sotto il profilo dell’elemento psicologico.

Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità, assume la ricorrente che dagli atti non emerge certo una sua complicità dolosa con il marito, trovandosi essa in una grave ed evidente sudditanza nei confronti del coniuge. Risulta, invero, accertato lo stato di terrore in cui viveva la ricorrente (le stesse minori riferiscono che anche la madre era considerata una ‘schiava’).

La Corte di Appello si è limitata a prendere atto delle ammissioni dell’imputata, ma non ha motivato in ordine al carattere scriminante della situazione in cui la donna si trovava (nel rendere dichiarazioni confessorie l’imputata aveva riferito di venire picchiata selvaggiamente, con minacce di morte, se solo avesse cercato di opporsi).

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 62 bis c.p., nonché la carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione.

Benché con i motivi di appello fossero stati evidenziati tutti gli elementi positivi (comportamento processuale, personalità e condizioni di vita, incensuratezza) che avrebbero dovuto portare al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale ha negato il beneficio con motivazione apodittica, facendo riferimento soltanto alla gravità del reato e senza neppure argomentare in ordine ai rilievi difensivi.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è infondato

2. In tema di reati contro la libertà sessuali grava sui genitori e sugli altri soggetti cui i minori risultino eventualmente affidati l’obbligo giuridico di impedire se non il verificarsi quantomeno il protrarsi di fatti delittuosi in danno dei minori medesimi, essendo essi titolari di una posizione di garanzia connessa al loro dovere di tutela e sorveglianza, con la conseguenza che il non aver impedito tali eventi equivale ad aver concorso a cagionarli’ (cfr. Cass. sez. 3 n. 4331 del 19.1.2006).

E per i genitori l’obbligo di impedire eventi lesivi in danno dei figli deriva dall’art. 147 c.c. (‘il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligazione di mantenere, educare e istruire la prole’).

E, come ha ricordato anche la Corte territoriale, si risponde, a titolo di causalità omissiva, ex art. 40 cpv. c.p. degli atti di violenza sessuale compiuti dal coniuge sui figli minori, se si verifichino le seguenti condizioni: a) conoscenza o conoscibilità dell’evento; conoscenza o conoscibilità dell’azione doverosa incombente al garante; c) possibilità oggettiva di impedire l’evento (cfr. Cass. pen. sez. 3., 30.1.2008).

2.1. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi e con motivazione, adeguata ed immune da vizi logici, ha evidenziato che risultava pacificamente che la G. fosse a conoscenza degli abusi sessuali cui venivano sottoposte le figlie minori e che non avesse in alcun modo impedito la perpetrazione degli stessi.

Le risultanze processuali erano univoche, in tal senso: le dichiarazioni precise e coerenti delle minori trovavano, per di più, riscontro nelle stesse ammissioni dell’imputata.

Peraltro emergeva dagli atti che in talune occasioni la G. aveva addirittura fornito un apporto causale alla realizzazione dell’evento (per tali episodi si è in presenza quindi di un concorso ex art. 110 c.p. e non di un concorso omissivo ex art. 40 cpv. c.p.).

Anche con il ricorso non si contestano siffatte circostanze fattuali (le dichiarazioni confessorie dell’imputata non lasciano margini di dubbio), ma si deduce l’insussistenza della ‘complicità dolosa omissiva’ e si invoca la scriminante per la impossibilità materiale e psicologica di reagire a cagione della grave situazione di terrore in cui la prevenuta era costretta a vivere da parte di un marito violento e pericoloso.

Anche sul punto la Corte territoriale ha adeguatamente argomentato, assumendo che non era configurabile l’invocata scriminante, non essendo minimamente sostenibile che nell’arco temporale di circa sette anni ‘la G. non abbia mai colto l’occasione per rivolgersi agli organi di polizia o a un consultorio familiare per denunciare così gravi abusi in danno delle tre figlie’ (pag. 23 sent).

3. Fondato è, invece, il secondo motivo di ricorso.

3.1. In relazione alle circostanze attenuanti generiche, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non è necessario scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che il giudice indichi, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione di dette attenuanti. Il preminente e decisivo rilievo accordato all’elemento considerato implica infatti il superamento di eventuali altri elementi, suscettibili di opposta e diversa significazione, i quali restano implicitamente disattesi e superati. Sicché anche in sede di impugnazione il giudice di secondo grado può trascurare le deduzioni specificamente esposte nei motivi di gravame quando abbia individuato, tra gli elementi di cui all’art. 133 c.p., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato e le deduzioni dell’appellante siano palesemente estranee o destituite di fondamento (cfr. Cass. pen. sez. 1 n. 6200 del 3.3.1992; Cass. sez. 6 n. 34364 del 16.6.2010).

L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (cfr. Cass. pen. sez. 6 n.7707 del 4.12.2003).

3.2. La sentenza di primo grado si limitava ad affermare che, per la gravità del comportamento omissivo tenuto, la G. era ‘immeritevole di benefici ed attenuanti di sorta’ (pag,68 sent.).

Con i motivi di appello si evidenziavano una serie di elementi, quali il comportamento processuale (stante la confessione resa), la personalità e le condizioni di vita (arretratezza culturale, emarginazione sociale, portatrice di handicap), incapacità di opporsi ad un marito (venendo essa stessa trattata come una ‘schiava’), incensuratezza, che avrebbero dovuto giustificare un trattamento sanzionatorio meno severo.

La Corte territoriale non solo non ha preso in considerazione, neppure per disattenderle, le deduzioni difensive (se non attraverso un vago e generico accenno alla non decisività, ai fini della concessione del beneficio, della confessione resa), ma non ha neppure indicato in modo puntuale l’elemento negativo ostativo all’invocato riconoscimento. Ha fatto, invero, riferimento soltanto alla gravità del reato, che di per sé non è ostativa, o genericamente al contesto di abiezione (senza riferirlo al ruolo avuto dall’imputata in quel contesto familiare). Ha quindi negato, con motivazione sostanzialmente apodittica, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

4. La fondatezza del secondo motivo di ricorso consente, per la forza propulsiva dell’atto di impugnazione, di dichiarare, a norma dell’art.129 c.p.p., la prescrizione del reato di cui all’art. 572 c.p., ascritto al capo b), anche se maturata dopo l’emissione della sentenza impugnata.

Il termine massimo di prescrizione di anni 7 e mesi 6 è infatti maturato in data 1.7.2010, essendo stato il reato, secondo la contestazione, commesso fino all’1.1.2003.

5. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata, senza rinvio, in ordine al reato di cui al capo b) perché estinto per prescrizione e, con rinvio, ad altra sezione della Corte di Appello di Lecce, che motiverà adeguatamente in ordine alla richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con riferimento al residuo reato di cui al capo a).

P.Q.M.

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata in ordine al reato di cui all’art. 572 c.p. perché estinto per prescrizione e, con rinvio alla Corte di Appello di Lecce, sez. di Taranto, relativamente alle circostanze attenuanti generiche in ordine al residuo reato. Rigetta nel resto il ricorso.

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