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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 9 luglio 2014, n. 15676

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 18 e il 19 maggio 2011 Credifarma s.p.a., quale creditore pignorante, ha convenuto innanzi al Tribunale di Reggio Calabria la locale Azienda Sanitaria Provinciale, debitore esecutato, e la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., terzo pignorato, perché venisse accertato se, alla data di notifica dell’atto di pignoramento, vi fossero giacenti presso il predetto istituto somme di appartenenza dell’obbligato di importo pari o superiore al credito azionato in executivis, avendo la Banca reso dichiarazione negativa.
Costituitasi in giudizio, la B.N.L. ha eccepito l’incompetenza territoriale del giudice adito, per essere competente il Tribunale di Roma, luogo di residenza del terzo, ovvero il Tribunale di Catanzaro, luogo in cui viene in concreto disbrigato il servizio di tesoreria dell’Ente.
Con sentenza del 22 aprile 2013 il giudice adito ha dichiarato la propria incompetenza, per essere competente il Tribunale di Catanzaro.
Il decidente, dopo aver ricordato che, secondo un consolidato orientamento della Corte Regolatrice, in materia di espropriazione presso terzi, la previsione della competenza del giudice del luogo di residenza del debitor debitoris (art. 26, comma 2, e 543, comma 2, n. 4) comporta, ove questi sia una persona giuridica, la facoltà del creditore procedente di ricorrere al foro della sede legale oppure, in alternativa, a quello del luogo in cui la stessa ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda (confr. Cass. civ. 6 agosto 2002, n. 11758) – id est, in caso di esecuzione a carico di un ente pubblico che si avvalga del servizio di tesoreria svolta da un istituto bancario, del luogo in cui opera la filiale, la succursale o l’agenzia che abbia in carico il rapporto da dichiarare (confr. Cass. civ. 6 aprile 2006, n. 8112) – ha motivato il suo convincimento rilevando che la competenza della sede secondaria del terzo pignorato tende a porsi in termini di esclusività ogni qualvolta la qualità del debitor debitoris e le specifiche esigenze connesse al rapporto tra debitore e terzo impongano che il processo esecutivo si svolga nel luogo in cui, con carattere di autonomia organizzativa e funzionale, viene gestito il rapporto. Di talché, individuata nella filiale B.N.L. di (omissis) quella addetta al disbrigo del servizio di tesoreria dell’Ente debitore, ha dichiarato la competenza del Tribunale di quella città.
Avverso detta decisione ha proposto ricorso per regolamento di competenza Credifarma s.p.a..
Ha resistito con memoria B.N.L. s.p.a..
Prestandosi il ricorso ad essere trattato con il procedimento di cui all’art. 380 ter cod. proc. civ., sono state richieste le conclusioni al Pubblico Ministero presso la Corte e all’esito del deposito della requisitoria con la richiesta di rigetto del ricorso ne è stata disposta notificazione agli avvocati delle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.
Credifarma s.p.a. e B.N.L. s.p.a. hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1 Va preliminarmente sgombrato il campo dall’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di procura del difensore di Credifarma nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo: la procura conferita al difensore per la proposizione del procedimento monitorio ovvero per l’avvio dell’esecuzione forzata — sostiene il deducente Istituto – non poteva ritenersi estesa anche al giudizio di merito avente ad oggetto l’accertamento dell’obbligo del terzo.
2 L’eccezione, che all’evidenza non riguarda direttamente il proposto ricorso per regolamento di competenza e che non risulta trattata nel provvedimento impugnato, difetta di autosufficienza, non avendo l’eccipiente né riportato il contenuto della procura, né indicato l’esatta allocazione nel fascicolo processuale dell’atto sul quale la stessa risulta apposta.
Si ricorda, in proposito, che il principio di autosufficienza opera anche con riferimento al controricorso, in base al comb. disp. degli artt. 366, primo comma, nn. 3 e 4, e 370, secondo comma, cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. 14 marzo 2011, n. 5970).
3 Passando quindi all’esame del merito del proposto regolamento, il primo motivo, con il quale l’impugnante deduce violazione di legge, per essere stato il provvedimento emesso in forma di sentenza, piuttosto che di ordinanza, come prescritto dall’art. 42 cod. proc. civ., è palesemente privo di pregio.
È sufficiente al riguardo considerare che l’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo, di talché, ove il ricorrente non indichi la specifica lesione subita, il lamentato vulnus procedurale non acquista rilievo idoneo a determinare l’annullamento del provvedimento impugnato (confr. Cass. civ. 12 settembre 2009, n. 18635). Ciò significa che tutte le deduzioni concernenti l’osservanza delle regole processuali, ivi comprese quelle volte a garantire il rispetto del principio del contraddittorio, soggiacciono al principio dell’interesse al gravame, e cioè alla verifica dell’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del mezzo azionato (confr. Cass. civ. 23 maggio 2008, n. 13373), il che comporta che l’impugnante, a pena di inammissibilità della censura, deve indicare quale sia stato il danno arrecato alle proprie attività difensive dalla invocata nullità processuale (confr. Cass. civ. 4 giugno 2007, n. 12952).
4 Venendo al caso di specie, la ricorrente non chiarisce quale pregiudizio le sia derivato dal fatto che il provvedimento declinatorio della competenza sia stato adottato dal giudice di merito in forma di sentenza, piuttosto che di ordinanza, il che condanna in maniera irredimibile le critiche svolte sul punto alla sanzione della inammissibilità.
5 Peraltro è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Regolatrice il principio della sostanziale neutralità della forma esteriore e della qualificazione data dal giudice a un certo provvedimento, dovendosi avere riguardo, piuttosto, all’effetto giuridico che esso è destinato a produrre, e cioè alla sua intrinseca natura, in relazione alla quale andrà poi individuato il connesso regime giuridico (confr. Cass. civ. 30 luglio 2004, n. 14637; Cass. civ. 3 agosto 2001, n. 10731).
6.1 Con il secondo mezzo l’esponente lamenta contraddittorietà tra premesse e conclusioni. Il giudice di merito – sostiene – si era erroneamente dichiarato incompetente, benché dalla documentazione versata in atti si evincesse che le somme di pertinenza della Azienda debitrice, la quale ha sede unica in Reggio Calabria, confluiscono presso la Banca d’Italia della stessa città e che il rapporto di tesoreria con l’Ente viene disimpegnato, in base alle previsioni contrattuali, presso l’agenzia B.N.L. di Reggio Calabria. In tale contesto del tutto irrilevante sarebbe la diversa organizzazione interna che il soggetto obbligato all’espletamento del servizio si era data nel proprio interesse, non potendo perciò solo, e in contrasto con il tenore della convenzione, l’Agenzia di Reggio Calabria essere dequalifica a mera passacarte.
In sostanza, conclude, la competenza territoriale nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo va riconosciuta al Tribunale di Reggio Calabria, in base alla convenzione di tesoreria, a nulla rilevando le dichiarazioni rese dai dipendenti dell’Istituto.
6.2 Con il terzo motivo l’impugnante deduce l’inammissibilità dell’eccezione, per violazione dell’art. 38 cod. proc. civ., avendo l’eccipiente indicato non uno, ma due giudici ritenuti entrambi patimenti competenti, così lasciando al Tribunale adito la scelta del foro.
7 I rilievi, che si prestano a essere esaminati congiuntamente, sono privi di pregio.
Ai sensi dell’art. 1 bis della legge n. 720 del 1984, i pignoramenti e i sequestri a carico di enti e organismi pubblici si eseguono con atto notificato al debitore nonché all’azienda o all’istituto cassiere o tesoriere dell’ente o dell’organismo medesimo, con la precisazione che il cassiere o tesoriere assume la veste del terzo ai fini della dichiarazione di cui all’articolo 547 del codice di procedura civile e di ogni altro obbligo e responsabilità ed è tenuto a vincolare l’ammontare per cui si procede nelle contabilità speciali con annotazione nelle proprie scritture contabili.
8 Ora, se la norma ha un senso, territorialmente competente, nei giudizi di accertamento dell’obbligo del terzo, ex art. 548 cod. proc. civ., in caso di pignoramento di crediti vantati da Enti sottoposti al regime di tesoreria unica, deve ritenersi il giudice del luogo dove si trova la filiale dell’istituto presso la quale è localizzato il rapporto di tesoreria, perché detta filiale, ove dotata di autonomia, è l’unica abilitata a compiere le operazioni volte a vincolare il relativo ammontare e conseguentemente ad assumere la veste di terzo.
9 L’esegesi — è bene precisarlo — si pone sull’abbrivio di una pronuncia di questa Corte che aveva già avvertito come la competenza alternativa e concorrente del giudice del luogo della sede principale e di quello della struttura decentrata della persona giuridica varrebbe al solo fine della determinazione del foro generale delle persone giuridiche nei giudizi in cui le stesse siano convenute, ma sarebbe inestensibile all’ipotesi di pignoramento di crediti, sia in quanto porterebbe all’aberrante conseguenza che uno stesso credito possa essere pignorato davanti a giudici diversi con pluralità di dichiarazioni e con probabile conflitto fra creditori procedenti presso diverse sedi per lo stesso credito, sia in quanto la dichiarazione del terzo è mero atto di scienza, che non rende il terzo – persona giuridica parte del processo esecutivo, tenuto conto che la citazione del debitore e del terzo ha solo la funzione di provocare la dichiarazione ai fini esecutivi e nell’ambito, quindi, della procedura esecutiva, e non quella di introdurre una domanda giudiziale, di talché il giudizio si instaura solo se il terzo non compare all’udienza o rifiuta di rendere la dichiarazione ovvero ancora, se questa viene contestata (confr. Cass. civ. 12 settembre 1997, n. 9016).
10 Del resto, l’esigenza di evitare l’aggravamento degli oneri del processo esecutivo, consentendone lo svolgimento nel luogo più vicino al rapporto tra debitore e terzo, è stata alla base della pronuncia del Giudice delle leggi che ha ritenuto ingiustificata la previsione che i sequestri e i pignoramenti a carico dei dipendenti dello Stato dovessero eseguirsi presso l’Ispettorato generale del Ministero del tesoro, anziché presso l’organo dell’amministrazione che è titolare del potere di disporre la spesa, e cioè che in concreto provvede alla gestione del rapporto con il soggetto interessato (confr. Corte cost. n. 231 dell’11 gennaio 1994).
In tale contesto ogni soluzione della questione di competenza oggetto del presente giudizio, diversa da quella data dal giudice a quo, sarebbe profondamente asistematica.
11 A ciò aggiungasi che il decidente ha accertato che il gestore delle somme di pertinenza della Azienda sanitaria reggina era esclusivamente la filiale B.N.L. di (OMISSIS), dotata di autonomia giuridica, organizzativa e funzionale e retta da un preposto autorizzato a stare in giudizio. E rispetto a tale accertamento del tutto eccentriche, oltre che prive di autosufficienza, sono le deduzioni volte a rappresentare che, in base alla convenzione, obbligata a rendere il servizio era l’agenzia di Reggio Calabria, considerato che la convenzione giammai potrebbe derogare alle norme sostanziali in materia di tesoreria unica e alle connesse ricadute processuali.
In ogni caso dirimente è il rilievo che neppure è emerso – né è mai stato dedotto – che presso l’Agenzia di Reggio Calabria esistesse un rappresentante dell’Istituto autorizzato a stare in giudizio in sede contenziosa.
12 Infine del tutto infondato è l’assunto della pretesa inammissibilità della eccezione per essere stati dall’eccipiente indicati come competenti, alternativamente, il Tribunale di Roma e quello di Catanzaro.
Va al riguardo ricordato che l’indicazione del foro ritenuto competente, da parte del convenuto che eccepisce l’incompetenza per s territorio del giudice adito, è imposta dall’art. 38, secondo comma, cod. proc. civ. in funzione dell’eventuale adesione dell’attore, dalla quale deriva la cancellazione della causa dal ruolo, di talché l’erronea indicazione di detto foro non rende per ciò stesso irrituale l’eccezione, comportando soltanto che il giudice adito, in difetto di adesione della controparte alla indicazione, provvede alla individuazione del giudice competente in base ai criteri di collegamento previsti dalla legge (confr. Cass. civ. 8 agosto 2007, n. 17399).
Ne deriva che l’indicazione del giudice che la parte ritiene competente ben può essere formulata indicando fori diversi in via di pluralità alternativa (confr. Cass. civ. 1 giugno 2006, n. 13132).
13 Il ricorso è respinto.
La ricorrente rifonderà alla controparte le spese di giudizio, nella
misura di cui al dispositivo.
La circostanza che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 10.260,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali e accessori, come per legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater d.P.R. 115/02 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

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