Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 23 novembre 2017, n. 53331. Differenze tra peculato e truffa

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D’altra parte, l’errore sulla illiceita’ della destinazione delle somme ricevute quali contributi per sostenere spese non ammissibili si risolve in un errore su legge extrapenale integratrice del precetto, che pertanto non scusa.
10. Ne’ v’e’ spazio per ritenere che i fatti avrebbero dovuto essere sussunti sotto l’ipotesi della truffa aggravata, come sostenuto dal (OMISSIS) (con il motivo sub punto 4.9 del ritenuto in fatto).
10.1. Con riguardo al discrimen fra il peculato e la truffa aggravata ai sensi dell’articolo 61 c.p., n. 9, occorre rammentare che – secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimita’ – si ha il peculato allorquando il pubblico ufficiale si appropria del denaro di cui abbia gia’ il possesso anche solo mediato e gli artifici e raggiri sono realizzati soltanto per effettuare l’illegittima appropriazione oppure per occultarla; sia ha invece la truffa allorquando gli artifici e raggiri costituiscono lo strumento per ottenere il possesso o la disponibilita’ del danaro che il pubblico ufficiale non ha. In particolare, si e’ affermato che l’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell’articolo 61 c.p., n. 9, va individuato con riferimento alle modalita’ del possesso del denaro o d’altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone gia’ il possesso o comunque la disponibilita’ per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (Sez. 6, n. 35852 del 06/05/2008, Savorgnano, Rv. 241186). Pertanto, ai fini della distinzione tra peculato e truffa non rileva il rapporto cronologico tra l’appropriazione e la condotta ingannatoria, ma il modo in cui il funzionario infedele viene in possesso del danaro o del bene del quale si appropria: sussiste il delitto di peculato quando l’agente fa proprio il bene altrui del quale abbia gia’ il possesso per ragione del suo ufficio o servizio e ricorre all’artificio o al raggiro (eventualmente consistente nella produzione di falsi documentali) per occultare la commissione dell’illecito; mentre vi e’ truffa, quando il pubblico agente, non avendo tale possesso, se lo procura mediante la condotta decettiva (Sez. 6, n. 10309 del 22/01/2014, P.M. in proc. Lo Presti e altro, Rv. 259507; Sez. 6, n. 15795 del 06/02/2014, Campanile, Rv. 260154; Sez. 6, n. 31243 del 04/04/2014, P.M. in proc. Currao, Rv. 260505).
Tirando le fila degli arresti giurisprudenziali sopra rammentati, si puo’ dunque affermare che la linea di discrimine fra i reati di peculato e di truffa aggravata va tracciata avendo riguardo al fatto se in capo al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio sia o meno ravvisabile una disponibilita’ originaria, materiale e/o giuridica, della risorsa economica oggetto di appropriazione, di tal che, nel caso sanzionato dall’articolo 314 c.p., l’attivita’ decettiva non e’ strumentale al conseguimento della somma, ma e’ volta soltanto ad occultare l’appropriazione medesima, mentre nel caso sanzionato dal combinato disposto dell’articolo 640 c.p. e articolo 61 c.p., n. 9, l’azione fraudolenta costituisce un antecedente logico – e non necessariamente cronologico all’appropriazione, essendo appunto finalizzata ad ottenere la disponibilita’ delle risorse economiche oggetto di appropriazione.
10.2. In applicazione di tali principi di diritto, giudica il Collegio che non sia revocabile in dubbio la correttezza dell’inquadramento giuridico della fattispecie concreta nell’ipotesi di cui all’articolo 314 c.p..
Per quanto si e’ gia’ sopra chiarito, il ricorrente si appropriava di somme di denaro di cui aveva gia’ la disponibilita’ – segnatamente dei contributi consiliari a lui versati dalla Presidenza del gruppo consiliare, secondo la normativa vigente all’epoca – e produceva la documentazione in un momento cronologicamente e logicamente successivo all’indebito utilizzo di detti fondi, cosi’ da giustificarne l’impiego per scopi non istituzionali e da dissimulare l’appropriazione stessa. La produzione documentale ha dunque costituito, nella specie, non lo strumento fraudolento per conseguire le risorse oggetto di appropriazione (che appunto integra la truffa), ma per celare ex post la destinazione indebita delle somme gia’ nella propria disponibilita’ a finalita’ estranee a quelli istituzionali.
Il che appunto integra il peculato.
11. Inammissibili sono, infine, i rilievi mossi dal (OMISSIS) nei motivi aggiunti, in quanto tesi a sollecitare una diversa ricostruzione in fatto e, dunque, una valutazione squisitamente di merito non consentita nel giudizio di legittimita’.
12. (OMISSIS) deve essere altresi’ condannata a rifondere alla parte civile “(OMISSIS)” le spese processuali sostenute nel grado che il Collegio, tenuto conto delle tariffe forensi e dell’impegno defensionale profuso, ritiene equo liquida in complessivi 3.500 Euro, oltre a spese generali in misura del 15%, IVA e CPA.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Condanna altresi’ (OMISSIS) a rifondere alla parte civile “(OMISSIS)” le spese processuali sostenute nel grado che liquida in complessivi 3.500 Euro, oltre a spese generali in misura del 15%, IVA e CPA.

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