Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 23 novembre 2017, n. 53331. Differenze tra peculato e truffa

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3.2. Secondo la previsione della citata L. n. 38 del 1990, articolo 4, comma 3, nella formulazione vigente all’epoca dei fatti, i contributi (previsti dall’articolo 2) venivano erogati ai gruppi consiliari al fine di coprire: “a) le spese per l’acquisto di libri e riviste; b) le spese per lo svolgimento di attivita’ funzionalmente collegate ai lavori di Consiglio e alle iniziative dei Gruppi o comunque connesse all’attivita’ dei Consiglieri regionali; c) le spese per eventuali consulenze; d) le spese postali, telefoniche e di cancelleria non coperte dalla dotazione di servizio disposta ai sensi del comma 1; e) le spese per il personale e per l’attivita’ dei Consiglieri, fermo restando, per questi ultimi, quanto previsto dalla Legge Regionale 16 febbraio 1987, n. 3 (Testo unico concernente il trattamento economico e il fondo mutualistico interno dei Consiglieri regionali), compreso ogni onere ulteriore di carattere fiscale, previdenziale e assicurativo; f) le spese di rappresentanza e quelle collegate allo svolgimento del mandato popolare; g) le spese, secondo le destinazioni di cui alle lettere a), b), c), d), e) ed f), per il supporto delle attivita’ delle Segreterie politiche e particolari dei componenti del Gruppo eventualmente facenti parte dell’Ufficio di Presidenza”.
In ossequio a quanto previsto dalla L. n. 38 del 1990, articolo 3 (sempre nel testo vigente all’epoca dei fatti), i contributi venivano erogati in anticipo a rate dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale al Presidente di ciascun gruppo consiliare e quindi ripartiti fra i vari componenti del gruppo. Entro il 31 gennaio di ogni anno, i Presidenti dei gruppi consiliari erano tenuti a presentare all’Ufficio di Presidenza del Consiglio un rendiconto articolato circa l’utilizzazione dei fondi erogati nell’anno precedente in relazione alle categorie di spesa previste dal citato articolo 4, comma 3, rendiconto complessivo preventivamente approvato dal Gruppo consiliare e di cui il Presidente si assumeva la responsabilita’.
Il rendiconto delle spese veniva pertanto predisposto ex post, successivamente rispetto all’erogazione ed all’impiego dei contributi consiliari, sulla base delle pezze giustificative fornite dai singoli consiglieri in relazione alle somme da loro percepite e non restituite a fine anno.
Prima della presentazione all’Ufficio di Presidenza del Consiglio, il rendiconto doveva essere sottoposto alla Commissione prevista dalla Legge Regionale n. 38 del 1990, articolo 4-bis, comma 4, che, secondo la previsione del comma 5, era tenuta ad attestare l’esistenza di documentazione probatoria in merito all’ammontare delle spese di funzionamento e delle spese per il personale, compiendo pertanto un controllo, non nel merito delle spese rendicontate, bensi’ in punto di mera regolarita’ contabile delle pezze giustificative allegate a supporto.
3.3. Ricostruita la griglia normativa di riferimento e passando alla disamina del caso sub iudice, a tenore delle contestazioni elevate, i ricorrenti si sarebbero indebitamente appropriati delle somme ricevute a titolo di contributi consiliari nell’ammontare ritenuto in sentenza – impiegando le somme per scopi estranei all’attivita’ istituzionale per la quale erano stati loro erogati.
A tale riguardo – riprendendo quanto si e’ sopra rilevato nel paragrafo 2 del ritenuto in fatto -, il Giudice dell’udienza preliminare e la Corte ligure hanno concordemente evidenziato come gli imputati avessero consegnato al tesoriere (OMISSIS) scontrini e ricevute fiscali indecifrabili o comunque generici, tanto che gli inquirenti si erano trovati costretti a compiere investigazioni per verificare la rispondenza di quanto acquistato e documentato con l’esercizio delle funzioni istituzionali; come, sulla scorta delle risultanze di tali indagini, sia stato possibile accertare l’appropriazione delle somme oggetto di contestazione – come rettificate dalla Corte d’appello (v. pagine 20 e 21 della sentenza) – in quanto destinate dai ricorrenti, giusta l’esito dell’analisi dei documenti prodotti a sostegno, a coprire costi non inerenti ai fini istituzionali, o comunque non restituite in assenza di giustificazione (v. pagina 42 e 43 della sentenza di primo grado).
In risposta alle deduzioni difensive, i giudici della cognizione hanno indicato specifici elementi a confutazione della tesi dell’errore nell’allegazione dei titoli giustificativi e dunque della invocata buona fede, quali la mole degli scontrini e delle ricevute inconferenti rispetto alle finalita’ istituzionali prodotte a sostegno del rendiconto; la rilevanza dell’importo delle spese documentate; le univoche risultanze della conversazione ambientale del 9 dicembre 2012 della (OMISSIS) con l’assessore (OMISSIS) ed il tenore della e-mail inviata il 14 novembre 2012 dalla (OMISSIS) e (OMISSIS) al (OMISSIS) (v. pagine 15 e seguenti della sentenza in verifica).
4. Giova porre in rilievo come la circostanza che il Presidente del gruppo consiliare avesse la responsabilita’ amministrativa e contabile in ordine alla rendicontazione delle spese non esclude la responsabilita’ penale del singolo consigliere con riguardo alla condotta di appropriazione delle somme erogategli, realizzata mediante la destinazione dei contributi al soddisfacimento di esigenze personali o comunque diverse da quelle istituzionali, connesse al funzionamento del gruppo consiliare.
4.1. Per un verso, e’ pacifico che, ai fini del delitto di cui all’articolo 314 c.p., il concetto di “appropriazione” comprenda anche la condotta di “distrazione”, in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso – precisamente distogliere le risorse di cui l’agente abbia la disponibilita’ dalle finalita’ pubbliche istituzionalmente – significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene (ex plurimis Sez. 6, n. 25258 del 04/06/2014, Pg in proc. Cherchi e altro, Rv. 260070).
4.2. Per altro verso, il delitto di peculato si consuma nel momento in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio si appropria del denaro o delle cose di cui abbia gia’ la disponibilita’ in ragione del proprio ufficio o servizio, o da’ ad essi una diversa destinazione, la’ dove la produzione di documentazione giustificativa non incide sul perfezionamento della fattispecie che si e’ gia’ realizzata, ma costituisce comportamento fraudolento teso a coprire, ad occultare, l’illecito gia’ commesso (da ultimo, Sez. 6, n. 15795 del 06/02/2014, Campanile, Rv. 260154).
4.3. In applicazione di siffatti consolidati principi di diritto, si deve ritenere che, nella specie, il delitto di peculato si sia perfezionato con la destinazione delle somme percepite quali contributi consiliari ad un fine diverso da quello istituzionale e che la presentazione di documenti tesi a giustificare l’impiego dei medesimi contributi cosi’ come – ed a maggior ragione – la rendicontazione da parte del tesoriere costituiscano segmenti dell’azione temporalmente successivi ed ontologicamente distinti da quelli dell’appropriazione, ponendosi “a valle” rispetto all’impiego illegittimo dei fondi pubblici, gia’ consumata nella forma della destinazione degli stessi a sostenere spese diverse da quelle finanziabili.
Quale logico e giuridico corollario, ne discende che – ai fini della integrazione del reato in oggetto – non e’ rilevante la circostanza, oggetto del primo motivo dedotto dalla (OMISSIS) (sub punto 3.1), che i rendiconti fossero stati predisposti e sottoscritti con firme false da parte del tesoriere (OMISSIS) o che, come eccepito dal (OMISSIS) con il quarto e l’ottavo motivo (sub punti 4.4 e 4.8 del ritenuto in fatto), la commissione di verifica avesse il potere di depennare le spese non adeguatamente giustificate ovvero che i rendiconti fossero stati approvati con un documento recante le firme false dei consiglieri. D’altronde, nessuno degli imputati ha dedotto nel processo di merito di non avere effettuato “quelle” spese rendicontate, ne’ di non avere prodotto “quei” documenti giustificativi delle medesime.
Sono pertanto infondate le doglianze mosse in punto di perfezionamento del reato da (OMISSIS) (nel motivo sub punto 3.1) e da (OMISSIS) (nel motivo sub punti 4.1, 4.4, 4.7 e 4.8).

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