Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 23 novembre 2017, n. 53331. Differenze tra peculato e truffa

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5. E’ inammissibile il motivo col quale (OMISSIS) assume di avere concluso un “accordo” con il tesoriere del gruppo (OMISSIS), delegando in via esclusiva a quest’ultimo la cernita delle pezze giustificative da allegare al rendiconto, al fine di giustificare l’impiego del contributo percepito in conformita’ alle finalita’ istituzionali ad esso connesse (punto 3.2 del ritenuto in fatto).
5.1. La ricorrente ripropone una doglianza gia’ coltivata in appello e non si confronta con le esaustive considerazioni svolte sul punto sia dal primo Giudice, la’ dove ha evidenziato a chiare lettere come di tale accordo non vi sia alcun riscontro in atti e come anzi (OMISSIS) ne abbia categoricamente escluso l’esistenza (v. pagina 47 della sentenza di primo grado); sia dalla Corte territoriale che – nel rispondere all’omologa doglianza mossa in appello – ha osservato, con motivazione attenta e non manifestamente illogica, come la (OMISSIS) riverso’ nelle mani del tesoriere una moltitudine di scontrini e ricevute affinche’ li recepisse passivamente, certa della sua compiacenza, aggiungendo come la prova della malafede dell’imputata emerga con chiarezza dalle conversazioni intercettate nel settembre 2012 (v. pagina 16 della sentenza impugnata).
5.2. E cio’ a tacer del fatto che, se anche vi fosse prova di un accordo fra la (OMISSIS) ed il (OMISSIS) nel senso di demandare a quest’ultimo la selezione delle pezze giustificative da allegare alla rendicontazione da presentare all’Ufficio di Presidenza, non potrebbe comunque non ravvisarsi in capo all’imputata una condotta colpevole nell’avere rimesso a questi ricevute e scontrini indecifrabili o comunque del tutto generici quanto al bene o al servizio di riferimento, cosi’ da rendere in concreto impossibile l’effettiva verifica circa il corretto impiego dei contributi ricevuti ex lege.
6. Sono destituiti di fondamento anche i motivi con i quali i ricorrenti hanno dedotto la riconducibilita’ delle spese sostenute a quelle legittimamente imputabili al contributo consiliare ex L. n. 38 del 1990 (si tratta dei motivi dedotti dalla (OMISSIS) sub punti 3.3 e 3.4 del ritenuto in fatto e dei motivi dedotti dal (OMISSIS) sub punti 4.1, 4.2, 4.3, 4.5 e 4.6 del ritenuto in fatto).
In particolare, i ricorrenti hanno evidenziato come le spese per alloggio, pranzi, viaggi e regalie – da essi coperte con i contributi pubblici – siano riconducibili alla previsione della lettera b) del citato dell’articolo 4, comma 3, la’ dove contempla “le spese per lo svolgimento di attivita’ funzionalmente collegate ai lavori di Consiglio e alle iniziative dei Gruppi o comunque connesse all’attivita’ dei Consiglieri regionali”, consentendo dunque di abbracciare tutti gli esborsi che siano “comunque” correlati all’esercizio del mandato consiliare, secondo un’accezione non restrittiva del nesso funzionale e con esclusione delle sole spese per soddisfare interessi egoistici e personali. A sostegno di tale assunto, gli impugnanti hanno invocato il principio di diritto affermato da questa Corte nel caso (OMISSIS) (Presidente del gruppo consiliare del Partito Trentino Tirolese, costituito nell’ambito della Provincia di Trento), secondo il quale non risponde del delitto di peculato il Presidente del gruppo consiliare che si appropri dei contributi ricevuti per l’esplicazione dei compiti del proprio gruppo, impiegandoli per sostenere spese di propaganda politica o di rappresentanza (nella specie, per l’acquisto di materiale propagandistico e di oggetto-regalo di modesto valore per gli elettori, per pranzi e rinfreschi in occasione di incontri pre-elettorali), trattandosi di attivita’, benche’ non istituzionali, comunque legate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del gruppo (Sez. 6, n. 33069 del 12/05/2003, Rv. 226531).
6.1. Mette conto di rilevare preliminarmente come, diversamente dal caso preso in considerazione in tale pronuncia (nella quale questa Corte e’ pervenuta a tratteggiare una nozione assai ampia di “compiti” e di “attivita’” dei gruppi consiliari), nell’ipotesi sottoposta al vaglio del Collegio, la normativa di riferimento – segnatamente la Legge Regionale Liguria n. 38 del 1990 – non faccia riferimento generico ai “compiti” propri del gruppo consiliare, ma – nell’articolo 4, comma 3 – indichi nel dettaglio le spese che possono essere legittimamente coperte con tali contributi.
Proprio confrontandosi con il principio di diritto espresso nel caso (OMISSIS), i Giudici della cognizione hanno rilevato – con una motivazione puntuale e non manifestamente illogica, pertanto non censurabile in questa Sede – come, nella specie, i ricorrenti abbiano impiegato le somme ricevute a titolo di contributo consiliare, fra l’altro per un rilevante ammontare, senza giustificarne adeguatamente l’utilizzo o comunque producendo a supporto documenti attestanti spese aliene rispetto alle finalita’ predeterminate previste nell’elenco di cui al citato articolo 4, comma 3.
6.2. In particolare, non presta il fianco a censure di ordine logico o giudico l’argomentare del primo giudice della cognizione (v. pagine 32 e seguenti della sentenza del 13 aprile 2015), fatto proprio dalla Corte d’appello (v. pagine 17 e seguenti della decisione in verifica), la’ dove, al fine di sciogliere il nodo in ordine alla corretta interpretazione della previsione del citato dell’articolo 4, comma 3 lettera b), ha fatto richiamo ai principi espressi dalla Sezione di controllo della Corte dei Conti in materia di utilizzo dei contributi ai gruppi consiliari ai sensi della Legge Regionale n. 38 del 1990.
Sebbene si tratti di indicazioni ermeneutiche non vincolanti del libero convincimento del giudice penale, nondimeno offrono un utile spunto di riflessione al fine di stabilire quale sia il regime delle spese che possono essere coperte con i contributi de quibus. Orbene, nella relazione della Sezione di controllo sulla rendicontazione dei gruppi consiliari della regione Liguria per l’esercizio 2012, si legge che “i contributi non possono essere destinati a spese per attivita’ dei consiglieri che gia’ trovano copertura nel trattamento economico, il quale, come evidenziato in premessa, comprende la cosiddetta diaria mensile. Dalla normativa regionale risulta che le spese possono essere effettuate a carico dei fondi consiliari destinati ai gruppi solo se collegato allo svolgimento di attivita’ istituzionale del mandato popolare”, “in linea generale, pertanto, si ritiene necessario che la documentazione inviata a supporto delle spese sostenute rimborsate sia idonee a consentire la verifica dell’inerenza al fine istituzionale, indicando l’occasione, le circostanze e la finalita’ specifica della spesa. In difetto, la documentazione di spesa potrebbe essere riferita a qualunque utilizzo, anche difforme da quello normativamente previsto. La sola documentazione commerciale (scontrini, fatture, ricevute), ove non fornisca sufficienti elementi tali da ricostruire l’inerenza della spesa, si traduce in una mera attestazione di effettuazione della spesa, senza alcun riferimento alla sua giustificazione” (v. pagine 32 e 33 della sentenza di primo grado).
6.3. Giudica il Collegio che l’approdo ermeneutico dei Giudici della cognizione debba essere certamente condiviso la’ dove esclude che possa ritenersi legittimo l’impiego di somme in relazione a spese in nessun modo giustificate, ovvero rispetto alle quali siano stati prodotti scontrini o fatture prive di una qualunque giustificazione o comunque recanti indicazioni generiche e tali da impedire di verificare la riconducibilita’ della spesa alla specifica attivita’ del consiglio regionale.
Nel caso sub iudice, non si discute infatti se una certa tipologia di spesa rendicontata (ad esempio per ristorazione, per viaggi piuttosto che per acquisti di beni) possa o meno ricondursi alla finalita’ istituzionale – id est se possa rientrare fra quelle “comunque connesse all’attivita’ di consiglieri regionali”, come nel caso (OMISSIS) -, ma manca piuttosto la prova che quegli specifici esborsi siano effettivamente giustificati da tale causa. Sviluppando il condivisibile ragionamento svolto dai Giudici della cognizione, si deve invero affermare che la produzione di scontrini di acquisto di beni (libri o articoli di telefonia) ovvero di titoli di viaggio di per se’ privi di un’evidente correlazione con l’attivita’ di consigliere regionale, cosi’ come di ricevute di consumazioni presso bar e ristoranti senza alcuna menzione circa l’identita’ degli ospiti o comunque dell’occasione che si affermi essere legata all’attivita’ politica, dunque di giustificativi di spesa sguarniti di una qualunque idonea indicazione circa la connessione dell’esborso all’attivita’ istituzionale, impedisce di ritenere legittimo l’impiego dei fondi pubblici. La documentazione prodotta a corredo – giusta l’indeterminatezza e la plurivocita’ del relativo contenuto -, in quanto priva di elementi suscettibili di rendere possibile la verifica circa l’inerenza al fine istituzionale, potrebbe difatti, e del tutto plausibilmente, riferirsi all’acquisto di beni per uso personale ovvero ad esborsi in occasioni conviviali private, sconnesse da qualunque finalita’ politica o elettorale.
6.4. Coglie pertanto fuori segno il rilievo mosso dal (OMISSIS) col terzo motivo (sub punto 4.3 del ritenuto in fatto), la’ dove si duole del fatto che i giudici di merito non abbiano verificato se le spese per i trasferimenti sui territori di Genova, Savona e Milano si giustificassero in ragione di esigenze politiche.

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