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In tale chiave ricostruttiva si pongono le pronunce della Corte costituzionale nn. 265 del 2010, 164 e 231 del 2011, ove espressamente si ribadisce nel concreto quanto gia’ chiarito in risalenti pronunce: le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza se sono arbitrarie o irrazionali e non rispondono a dati di esperienza generalizzati, quindi tutte le volte in cui sia agevole formulare ipotesi alternative a quelle generali su cui sono fondate.
Tale linea interpretativa ha introdotto, in maniera ancora piu’ stringente, la necessita’ di un’analisi riferita all’epoca di applicazione della misura, richiedendo che anche indicatori pregressi di pericolosita’ debbano essere attualizzati in forza delle condizioni accertate al momento applicativo, verifica che risulta logicamente essenziale, anche in ragione dell’immediata esecutivita’ delle misure. Sullo specifico tema, assume rilievo la pronuncia Corte cost. n. 48 del 2015, che ha espressamente censurato di irragionevolezza la presunzione di adeguatezza della misura piu’ gravosa, ove applicata in relazione al delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, malgrado la mancanza nel caso richiamato, di una connessione strutturale con il gruppo che consenta di presumere la stabilita’ del vincolo, concetto al quale solo puo’ essere ancorata, sul piano empirico-sociologico la presunzione di pericolosita’ ed adeguatezza della piu’ grave misura.
9. Se tale presupposto e’ stato ritenuto essenziale, a fronte di una espressa previsione normativa che impone la valutazione di gravita’ indiziaria inerente alla consumazione di un fatto reato, a piu’ forte ragione deve avvertirsi la necessita’ di spingersi a verificare l’attualita’ della pericolosita’ nell’ipotesi di applicazione di misura preventiva, posto che per essa si richiede quale presupposto applicativo, in luogo dell’esistenza di gravi indizi di consumazione del reato, l’accertamento di elementi sull’appartenenza alla compagine mafiosa, che costituiscono un minus rispetto a quanto legittima l’applicazione della misura cautelare, in quanto si attribuisce rilievo giuridico all’esistenza di un regime di vita non necessariamente connesso a fattispecie di reato attribuibili all’interessato, ma a fatti, anche privi di rilievo penale, che generino elementi indicativi di tale collegamento.
10. Come gia’ rilevato, il concetto di appartenenza, evocato dalla norma, e’ piu’ ampio di quello di partecipazione, con il conseguente rilievo attribuito in tema di misure di prevenzione a condotte che non integrano neppure in ipotesi di accusa la presenza del vincolo stabile tra il proposto e la compagine, ma rivelano una attivita’ di collaborazione, anche non continuativa.
La differente struttura risulta essenziale nel senso di impedire, anche sul piano logico ricostruttivo, la piena equiparazione tra situazioni radicalmente diverse.
Ne consegue che, nell’ipotesi in cui non siano apprezzati elementi indicativi di tale partecipazione, individuabile nella collaborazione strutturale con il gruppo illecito, nella consapevolezza della funzione del proprio apporto stabile e riconoscibile dai consociati, la collaborazione occasionalmente prestata, pur nel previo riconoscimento della funzione della stessa ai fini del raggiungimento degli scopi propri del gruppo, per la mancanza di stabilita’ connessa alla natura di tale cooperazione, non puo’ legittimare l’applicazione di presunzioni semplici, la cui valenza e’ radicata nelle caratteristiche del patto sociale, la cui ideale sottoscrizione, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, costituisce il substrato giustificativo (sul punto Corte cost., n. 231 del 2010) che l’apporto occasionale non possiede per definizione. In tal caso l’accertamento di attualita’ dovra’ logicamente essere ancorato a valutazioni specifiche sulla ripetitivita’ dell’apporto, sulla permanenza di determinate condizioni di vita ed interessi in comune.
11. A tali elementi concreti, desumibili dall’esame delle norme, devono aggiungersi considerazioni di ordine sistematico.
Si deve richiamare quanto in argomento gia’ sottolineato dalla Corte di legittimita’ (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605) ove si e’ chiarito che “Volendo cogliere (…) le piu’ significative linee di tendenza, puo’ dirsi che le misure di prevenzione personale, ab origine concepite quali misure intese a limitare la liberta’ di soggetti ritenuti pericolosi al fine di renderne piu’ agevole il controllo da parte delle autorita’ di pubblica sicurezza, sono state sottoposte ad un processo di costituzionalizzazione (…) interessando un bene di primaria valenza costituzionale come la liberta’ personale, presidiato dall’art.13 Cost.; e, quindi, ad un processo di “giurisdizionalizzazione”, allo scopo di assicurare, per quanto possibile – stante la peculiarita’ del procedimento di prevenzione rispetto a quello di cognizione – la tutela delle garanzie difensive, al fine del contemperamento, pur esso ineludibile, con i parametri convenzionali.
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