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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 7 maggio 2014, n. 9876. Nel giudizio di legittimità, l'art. 371 bis c.p.c., là dove impone, a pena di improcedibilità, che il ricorso notificato sia depositato in cancelleria entro il termine perentorio di venti giorni dalla scadenza del termine assegnato, si riferisce non solo all'ipotesi in cui la Corte di cassazione abbia disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario cui il ricorso non sia stato in precedenza notificato, ma deve essere, con interpretazione estensiva, riferito anche all'ipotesi in cui la Corte di cassazione abbia disposto, ai sensi dell'art. 291 c.p.c., il rinnovo della notificazione del ricorso. Nello specifico, ove il difensore del ricorrente non abbia eletto domicilio in Roma, pur avendo indicato nel ricorso introduttivo l'indirizzo di posta certificata, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria della Corte discende in generale dall'art. 82 del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37 e specificamente per il giudizio di legittimità dall'art. 366, co. 2 c.p.c. nella formulazione vigente anteriormente all'entrata in vigore della L. n. 183 del 2011.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Sentenza 7 maggio 2014, n. 9876   Ragioni della decisione 1. Con sentenza del 3.6.2005 il Tribunale di Firenze respingeva la domanda proposta da K.H.H. al fine di ottenere la condanna del Ministero della Difesa o dell’Azienda USL n. (…) di Firenze al risarcimento del danno determinato da inadempimento...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 23 maggio 2014, n. 11517. l'accertamento del diritto e dell'entità all'assegno vada effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto. Ricostruita, dunque, in concreto la situazione patrimoniale di entrambi i coniugi, il giudice è chiamato ad accertare il tenore di vita dei medesimi durante il matrimonio, a tal fine dovendo reputare rilevante il complessivo andamento della vita familiare, anche con riguardo a viaggi, collaboratori familiari, acquisto di vestiario costoso, ed altro; quindi, al fine di quantificare l'assegno di mantenimento, occorre verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge richiedente gli permettano di conservare quel tenore di vita indipendentemente dalla percezione di detto assegno. L'insussistenza di “mezzi adeguati” in capo al coniuge richiedente rileva dunque non in senso assoluto, ma relativo alla posizione dell'altro, con riguardo al detto tenore di vita.

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza  23 maggio 2014, n. 11517 Svolgimento del processo Con sentenza del 14 maggio 2012, la Corte d’appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza di primo grado – che aveva, dopo la pronuncia di separazione dei coniugi, respinto le rispettive domande di addebito e le altre pretese delle...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 23 maggio 2014, n. 11489. Nel procedimento di revisione delle condizioni del divorzio intervenuto tra le parti, quando è definitivamente accertato il conseguimento dell'indipendenza economica da parte dei figli viene meno con decorrenza dalla data della domanda introduttiva del procedimento stesso, l'obbligo paterno di contribuzione al loro mantenimento nonché e conseguentemente il titolo che aveva legittimato la ex moglie a percepire dall'ex marito il contributo per i figli. D'altra parte, la ritenzione non può nemmeno ritenersi giustificata in ragione dei principi in tema di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle prestazioni alimentari, posto che tali principi non operano indiscriminatamente ed in virtù di teorica assimilabilità alle prestazioni alimentari dell'assegno di mantenimento per i figli maggiorenni, ma implicano che in concreto gli importi riscossi per questo titolo abbiano assunto o comunque abbiano potuto assumere analoga funzione alimentare

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 23 maggio 2014, n. 11489 Svolgimento del processo Con decreto ingiuntivo reso dal Tribunale di Palermo il 19.10.2004, A.A., tenuto a corrispondere all’ex moglie V.G. l’assegno mensile di e 632,51, quale contributo per il mantenimento delle tre figlie delle parti, intimava alla G. di restituirgli la complessiva somma...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 14 maggio 2014, n. 20030. In tema di peculato, il medico che eserciti attività medica nel regime di "intra moenia" non è di per se pubblico ufficiale ma lo diviene nel momento in cui provveda alla percezione degli onorari da riversare nelle casse dell'ente di appartenenza o per la quota ad esso ente dovuto od anche per l'intero laddove la quota di spettanza del medico gli venga versata tramite stipendio

Suprema CORTE DI CASSAZIONE sezione VI SENTENZA 14 maggio 2014, n. 20030 Ritenuto in fatto  La Corte di Appello di Genova con sentenza del 12 aprile 2012 confermava la sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato dal gip del Tribunale di Sanremo nei confronti di M.A. per il reato di peculato in quanto,...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 22 maggio 2014, n. 11391. A norma dell'art. 27, comma 7, c.c.n.l. del 1995 cit., quanto corrisposto a titolo di indennità al pubblico impiegato nel periodo di sospensione cautelare dal servizio dev'essere conguagliato con quanto dovuto se il lavoratore fosse rimasto in servizio, solo in caso di proscioglimento con formula piena e perciò non necessariamente in caso di proscioglimento per prescrizione". E' stato osservato che la norma contrattuale, – omologa a quella di cui ali' art. 32 del c.c.n.I. dei comparto sanità applicabile nel caso in esame – innova rispetto alla precedente (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 96) che permetteva il conguaglio in tutti i casi di proscioglimento disciplinare e, trasformando la sospensione cautelare della retribuzione in provvedimento definitivo ossia sostanzialmente in pena disciplinare: a) non può applicarsi agli illeciti disciplinari commessi prima della sua entrata in vigore; b) per gli illeciti successivi, e qualora venga inflitta la sanzione disciplinare della sospensione per durata inferiore alla sospensione cautelare sofferta, il mancato conguaglio può essere discrezionalmente disposto dall'Amministrazione, con motivazione riferita alla gravità dell'illecito nei suoi elementi oggettivi e soggettivi

Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro sentenza 22 maggio 2014, n. 11391 Svolgimento del processo Con sentenza dei 9.3.2007, la Corte di appello di Roma rigettava il gravame proposto da Colajacomo Enrico avverso la pronunzia di primo grado che aveva respinto la domanda del predetto intesa all’impugnativa della sanzione disciplinare irrogatagli dalla Azienda Sanitaria Locale...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 27 marzo 2014, n. 14432. L’amministratore di diritto di una società è chiamato a rispondere del reato per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali, quale destinatario degli obblighi di legge. Ciò in quanto il fatto dell’accettazione o del mantenimento della carica attribuisce anche doveri specifici, tra cui il controllo e la vigilanza. La violazione di tali obblighi comporta una responsabilità penale diretta.

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 27 marzo 2014, n. 14432   REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIALE Aldo – Presidente Dott. LOMBARDI Alfredo Maria – Consigliere Dott. GRILLO Renato – rel. Consigliere Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere...