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Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 23 maggio 2014, n. 11489

Svolgimento del processo

Con decreto ingiuntivo reso dal Tribunale di Palermo il 19.10.2004, A.A., tenuto a corrispondere all’ex moglie V.G. l’assegno mensile di e 632,51, quale contributo per il mantenimento delle tre figlie delle parti, intimava alla G. di restituirgli la complessiva somma di £ 3.125,10, per detto titolo dall’ingiungente pagata (tramite versamento diretto attuato dal suo datore di lavoro) in tesi indebitamente fino al mese di maggio 2004, giacché, con decreto del 26.03-7.04.2004, aveva ottenuto con decorrenza dal 1°.08.2003, data della sua domanda di revisione, la riduzione della contribuzione all’importo di € 320,00 destinato ad una sola delle tre figlie.
Con sentenza del 13.01-21.05.2007 il Giudice Unico del Tribunale di Palermo rigettava l’opposizione proposta dalla G. contro il provvedimento monitorio, condannandola a rifondere all’opposto le spese di lite.
Con sentenza del 7.01-5.04.2011 la Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, appellata dalla G., accoglieva il gravame e l’opposizione da costei proposta, revocando il provvedimento monitorio e condannando l’A. a rifondere alla controparte le spese dei due gradi di merito.
La Corte territoriale premetteva che la riduzione della contribuzione paterna statuita in sede di revisione delle condizioni di divorzio era dipesa dal sopravvenuto conseguimento dell’indipendenza economica da parte di due delle tre figlie maggiorenni delle parti e che la sostanziale natura alimentare dell’apporto economico in questione comportava l’irripetibilità degli esborsi effettuati dall’A..
Avverso questa sentenza l’A. ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito con controricorso la G., che ha anche depositato memoria.

Motivi della decisione

A sostegno del ricorso l’A. denunzia:
l. “Violazione degli artt. 445, 447 c.c., 545 c.p.c. e 2034 c.c. nonché dei principi in tema d’interpretazione degli atti giuridici; difetto di attività e difetto di motivazione circa un fatto decisivo del giudizio; il tutto con riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5..”.
Censura pure per il profilo motivazionale, il diniego di restituzione dei maggiori importi da lui versati a decorrere dall’accolta sua domanda di revisione degli assegni precedentemente dovuti per le due figlie resesi economicamente autonome, sostenendo che i giudici d’appello hanno erroneamente applicato alla fattispecie le norme di cui agli artt. 447 c.c. e 545 c.p.c. da cui discendono i principi della non ripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle somme già corrisposte a titolo di assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne e l’orientamento giurisprudenziale sul tema, posto anche che non si trattava di pagamenti da lui spontaneamente attuati.
2. “Omessa ed insufficiente – o contraddittoria-motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dagli appellati appellanti incidentali rilevabile anche d’ufficio.”
Il ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto estendere il suo giudizio all’esame della transazione del 18 marzo 2001 con cui le parti avevano superato – senza ledere i diritti dei figli – le statuizioni della sentenza di divorzio circa l’obbligo dell’A. a contribuire al mantenimento delle figlie e così accertare che la G. se avesse adempiuto in buona fede e correttezza gli obblighi nascenti da quell’accordo, non avrebbe dovuto ricevere fra l’agosto 2003 e il settembre 2004 il contributo accordatole in sede di divorzio né procurargli con la sua iniziativa un ingiusto danno, riconosciuto in diverso giudizio definito con sopravvenuta sentenza n. 3870 del 2009, resa dal Tribunale di Palermo.
Il primo motivo del ricorso è fondato; al relativo accoglimento segue anche l’assorbimento del secondo motivo d’impugnazione.
La G. non si rivela legittimata a ritenere le somme inerenti al contributo di mantenimento delle due figlie maggiorenni delle parti, in relazione al periodo decorso dal 1°.08.2003 al maggio 2004, recate dal decreto ingiuntivo opposto dall’ex marito e da lei riscosse per versamento diretto da parte all’ente datore di lavoro dell’obbligato e non spontaneo di questi.
Col decreto del 26.03-7.04.2004, reso a domanda dell’A., nel procedimento di revisione delle condizioni del divorzio intervenuto tra le parti, era stato infatti definitivamente accertato il conseguimento dell’indipendenza economica da parte delle predette figlie e, dunque, venuto meno con decorrenza dal 1°.08.2003, data della domanda introduttiva del procedimento stesso, l’obbligo paterno di contribuzione al loro mantenimento nonché e conseguentemente il titolo che aveva legittimato la G. a percepire dall’ex marito il contributo per le figlie. D’altra parte, la ritenzione non poteva nemmeno ritenersi giustificata in ragione dei principi in tema di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle prestazioni alimentari, posto che tali principi non operano indiscriminatamente ed in virtù di teorica assimilabilità alle prestazioni alimentari dell’assegno di mantenimento per i figli maggiorenni, ma implicano che in concreto gli importi riscossi per questo titolo abbiano assunto o comunque abbiano potuto assumere analoga funzione alimentare, il che non può in linea di principio evincersi nel caso in cui la loro dazione comporti beneficio finale a favore di chi sia, come nella specie, già divenuto economicamente autonomo ed in cui l’accertamento di tale sopravvenuta circostanza estintiva dell’obbligo di mantenimento di un genitore sia giudizialmente controverso nel procedimento di revisione pendente nei confronti dell’altro genitore abilitato a riscuotere la contribuzione e per il quale tale procedura comporta anche la conoscenza del correlato rischio restitutorio delle somme percepite dalla domanda introduttiva, se accolta.
Conclusivamente si deve accogliere il primo motivo del ricorso, dichiarare assorbito il secondo, cassare l’impugnata sentenza e, con pronuncia nel merito ex art. 384 c.p.c., respingere l’appello proposto dalla G., che, va conseguentemente condannata al pagamento in favore dell’A. delle spese del secondo grado e del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge l’appello proposto dalla G.. Condanna la G. al pagamento in favore dell’A. delle spese del giudizio di secondo grado, liquidate in € 2.270,00 oltre agli accessori come per legge nonché del giudizio di cassazione, liquidate in € 2.500,00 per compenso ed in € 200,00 per esborsi, oltre al contributo unificato ed agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs n. 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

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