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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 1 febbraio 2016, n. 4097. A differenza del sequestro preventivo previsto dall’art. 321 c.p.p., il sequestro funzionale alla confisca “per equivalente” ha natura sanzionatoria, per cui non sono sottoponibili a tale vincolo i beni meramente futuri

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 1 febbraio 2016, n. 4097 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AMORESANO Silvio – Presidente Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere Dott. MANZON Enrico – Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere Dott....

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 febbraio 2016, n. 6569. Sono indifferenti la forma o il modo della minaccia, potendo questa essere manifesta o implicita, palese o larvata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata, purché comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo. La connotazione di una condotta come minacciosa e la sua idoneità ad integrare l’elemento strutturale del delitto di estorsione vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, quali la personalità sopraffattrice dell’agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso opera, l’ingiustizia della pretesa, le particolari condizioni soggettive della vittima, vista come persona di normale impressionabilità, a nulla rilevando che si verifichi una effettiva intimidazione del soggetto passivo. Questo, ovviamente, ove il comportamento minatorio posto in esser non sia di consistenza tale da avere un potenziale offensivo di “oggettiva” incidenza, così da rendere non rilevante la verifica dell’efficacia in concreto della minaccia, con conseguente ininfluenza sulla valutazione della efficacia coercitiva dei comportamenti dell’indice di resilienza soggettiva della vittima

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza  18 febbraio 2016, n. 6569 Ritenuto in fatto 1.La Corte di appello di Roma confermava la condanna del F. alla pena di anni tre mesi, mesi sei di reclusione per il reato di estorsione continuata, consumata ai danni di D.F.G.. Si contestava all’imputato di avere costretto l’offesa a...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 18 febbraio 2016, n. 6623. Da una parte l’art. 143 cod. proc. pen. non contiene alcuna sanzione processuale per gli atti in relazione ai quali è stata omessa l’obbligatoria traduzione – tanto meno ne sancisce espressamente la nullità – dall’altra la norma contiene un esplicito riferimento alla finalità della traduzione: quella di consentire l’esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa. Se ne può, quindi, ragionevolmente dedurre che l’omessa (o comunque, non tempestiva) traduzione non attiene alla struttura dell’atto – quindi non ne determina la nullità, non rientrando in alcuna delle nullità di ordine generale di cui all’art. 178 cod. proc. pen. – ma concerne la sua efficacia e, quindi, eventualmente può incidere sulla validità degli atti successivi e conseguenti all’atto non tradotto. L’omissione dell’adempimento non incide sulla perfezione e sulla validità dell’atto stesso ma sulla sua efficacia, con la conseguenza che la traduzione può essere successivamente disposta, determinandosi una sorta di restituzione nel termine, con riferimento al momento produttivo degli effetti, per consentirne l’eventuale impugnazione da parte dell’indagato/imputato alloglotta

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 18 febbraio 2016, n. 6623 Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Catania respingeva la richiesta di riesame proposta nell’interesse di D.C.I.M. avverso quella del G.I.P. dello stesso Tribunale applicativa della misura della custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di favoreggiamento...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19 febbraio 2016, n. 3258. La responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza di un difetto del prodotto. Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato – ai sensi dell’art. 8 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224 (trasfuso nell’art. 120 del cd. “codice del consumo”) – la prova specifica del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno, ciò rappresentando un prerequisito della responsabilità stessa, con funzione delimitativa dell’ambito di applicabilità di essa. Quanto, poi, alla difettosità del prodotto, essa si correla al concetto di “sicurezza”, nel senso che è difettoso – ai sensi dell’art. art. 5 del d.P.R. n. 224 del 1988 (oggi trasfuso nell’art. 117 Codice del Consumo) — quel prodotto che non offra la sicurezza che ci si può legittimamente attendere in relazione al modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all’uso per il quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, e ai comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere, al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 19 febbraio 2016, n. 3258 Ritenuto in fatto l. — M.C. proponeva impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Roma, del 26 febbraio 2008, con la quale era stata rigettata la sua domanda di condanna della Procter & Gamble s.r.l. al risarcimento dei danni patiti a seguito dell’esplosione...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 febbraio 2016, n. 3176. In tema di risarcimento del danno contrattuale per responsabilità professionale del notaio, al fine di determinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione occorre verificare, non la data di stipula del rogito, bensì il momento in cui si sia prodotto, nella sfera patrimoniale del cliente-creditore, il pregiudizio causato dal colpevole inadempimento del debitore

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 18 febbraio 2016, n. 3176 Ritenuto in fatto 1. – Con citazione del 15 febbraio 1995, i coniugi D.L.A. e B.L. convennero in giudizio P.G. e A.A.D. per sentir dichiarare risolto il contratto di compravendita immobiliare intercorso tra le parti il 17 settembre 1988 per atto notaio V.O....

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 febbraio 2016, n. 3212. Il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento integrale dei danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento e il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e il danno, ma non anche la colpa del datore di lavoro, nei cui confronti opera la presunzione posta dall’art. 1218 c.c., il superamento della quale comporta la prova di aver adottato tutte le cautele necessarie ad evitare il danno, in relazione alle specificità del caso ossia al tipo di operazione effettuata ed ai rischi intrinséci alla stessa, potendo al riguardo non risultare sufficiente la mera osservanza delle misure di protezione individuale imposte dalla legge: con estensione dell’obbligo dell’imprenditore di tutela dell’integrità fisiopsichica dei dipendenti all’adozione e al mantenimento, non solo di misure di tipo igienico – sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione di detta integrità nell’ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad attività anche non collegate direttamente allo stesso come le aggressioni conseguenti all’attività criminosa di terzi, non essendo detti eventi coperti dalla tutela antinfortunistica prevista dal d.p.r. 11241/1965 e giustificandosi l’interpretazione estensiva della predetta norma alla stregua sia dei rilievo costituzionale del diritto alla salute / (art. 32 Cost.), sia dei principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 cod. civ.), cui deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro.

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 18 febbraio 2016, n. 3212 Fatto Con sentenza 22 dicembre 2009, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello di Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che l’aveva condannata al pagamento, in favore della propria dipendente S.P. (coinvolta. nella rapina a mano armata del 24 luglio...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 15 febbraio 2016, n. 2906. La domanda ex art. 2932 c.c. – trascritta prima della iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese – non impedisce al curatore di recedere dal contratto preliminare: gli impedisce

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 15 febbraio 2016, n. 2906 Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1.- N.A.M. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Imperia la s.p.a. S.E.R. Società Edilizia Romana chiedendo la pronuncia di sentenza che tenesse luogo del contratto preliminare di vendita di un immobile stipulato con la...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 4 febbraio 2016, n. 2217. Non spetta alla lavoratrice alcun risarcimento del danno esistenziale, per il tardivo pagamento del trattamento economico di maternità

Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro Sentenza 4 febbraio 2016, n. 2217   Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 9.12.08 la Corte d’appello di Lecce, in riforma – per quel che rileva nella presente sede – della sentenza emessa il 26.1.06 dal Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda di L.R., dipendente della EOS...