S.r.l. – Società a responsabilità limitata

 Società a responsabilità limitata 

Articolo aggiornato al 4 settembre 2022

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Sommario

1) Introduzione

Oggi la s.r.l. costituisce uno dei tipi di società commerciali, che la riforma del diritto di società del 2003 non ha eliminato, ma più fortemente caratterizzato, mirando a farla diventare soprattutto adatta all’esercizio delle piccole e medie imprese.

Ulteriore slancio nell’ambito della disciplina delle S.r.l. si è avuto con gli interventi legislativi del 2012 e del 2013 e l’ultimissimo contenuto nel D.L. 25.6.2014, n. 91 (pubblicato nella G.U. 24.6.2014, n. 144), successivamente convertito con modificazioni dalla L. 11.8.2014, n. 116 (pubblicata nella G.U. 20.8.2014, n. 192).

Attualmente la S.r.l., corredata da una disciplina autonoma, è definita come un modello intermedio tra la S.p.A. e le società di persone: sono presenti alcuni elementi, quali la deroga completa del principio della responsabilità patrimoniale, che la equiparano alla S.p.A., insieme ad altri fattori, quali la flessibilità organizzativa o la personalità delle quote, che sono caratteristiche delle società di persone.

La s.r.l. raccoglie in sé in un certo qual modo le caratteristiche delle:

  1. S.n.C., in quanto la compagine della s.r.l. ha una forte caratterizzazione personalistica, essendo stata pensata come un gruppo di pochi soci, spesso a conduzione familiare, ognuno in grado di conoscere gli altri, e di poterne valutare la capacità e l’affidabilità.
  2. S.p.A., poiché proprio come nelle S.p.A., i soci della società a r.l., godono del beneficio della responsabilità limitata ed in via di principio risponde soltanto la società con il proprio patrimonio.

Il rischio di impresa nella s.r.l. incombe, pertanto, soltanto sulla società ed è limitato solo al patrimonio sociale.

art. 2462 c.c.   responsabilità

Nella società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio.

In caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui l’intera partecipazione è appartenuta ad una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall’articolo 2464, o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall’articolo 2470.

L’art. 2462, comma II, c. c., nell’indicare le ipotesi di responsabilità del socio unico di Srl, prevede due requisiti in rapporto di alternatività tra loro: è sufficiente che ne sussista uno solo affinché scatti la responsabilità personale e illimitata del socio [1].

Mentre, come da recente intervento della Corte dei Conti del Molise [2], la responsabilità amministrativa è personale; pertanto, nella fattispecie di danno erariale derivante dall’inutile erogazione di un finanziamento in favore di una società a responsabilità limitata, risponde il rappresentante legale che, mediante false dichiarazioni, aveva obiettivamente tratto in inganno la Banca concessionaria, e non la società ai sensi dell’art. 2462 c.c.

2) La Costituzione

Libro V del lavoro – Titolo V delle società – Capo VII della società a responsabilità limitata – sez. I – Disposizioni generali – 2462 – 2463

Le due forme di s.r.l.

 

Capitale sociale
Forma societaria Capitale sociale
S.r.l. ordinaria da Euro 10.000
S.r.l ordinaria da Euro 1 a 9.999

In tal caso i conferimenti devono farsi in denaro e devono essere versati per intero alle persone cui è affidata l’amministrazioneS.r.l. semplificatada Euro 1 a 9.999

art. 2463 c.c.   costituzione

La società può essere costituita con contratto o con atto unilaterale.

L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e deve indicare:

1) il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o lo Stato di costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza di ciascun socio [3];

2) la denominazione, contenente l’indicazione di società a responsabilità limitata, e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie;

3) l’attività che costituisce l’oggetto sociale;

4) l’ammontare del capitale, non inferiore a diecimila euro, sottoscritto e di quello versato;

5) i conferimenti di ciascun socio e il valore attribuito crediti e ai beni conferiti in natura;

6) la quota di partecipazione di ciascun socio;

7) le norme relative al funzionamento della società, indicando quelle concernenti l’amministrazione, la rappresentanza;

8) le persone cui è affidata l’amministrazione e l’eventuale soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti;

9) l’importo globale, almeno approssimativo, della spese per la costituzione poste a carico della società.

Si applicano alla società a responsabilità limitata le disposizioni degli articoli 2329, 2330, 2331, 2332 e 2341.

L’ammontare del capitale può essere determinato in misura inferiore a euro diecimila, pari almeno a un euro. In tal caso i conferimenti devono farsi in denaro e devono essere versati per intero alle persone cui è affidata l’amministrazione [4].

La somma da dedurre dagli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato, per formare la riserva prevista dall’articolo 2430, deve essere almeno pari a un quinto degli stessi, fino a che la riserva non abbia raggiunto, unitamente al capitale, l’ammontare di diecimila euro. La riserva così formata può essere utilizzata solo per imputazione a capitale e per copertura di eventuali perdite. Essa deve essere reintegrata a norma del presente comma se viene diminuita per qualsiasi ragione [5].

Non è, però, possibile per la costituzione della società a r.l. altro procedimento se non quello simultaneo, essendo escluso, per il divieto di far ricorso al pubblico risparmio, il procedimento per pubblica sottoscrizione, previsto invece per le S.p.A.

L’atto costitutivo deve poi, una volta venuto all’esistenza, essere depositato e iscritto presso il registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, seguendo lo stesso procedimento previsto dall’art 2330 c.c.

Secondo, poi, la S.C. [6], l’atto pubblico, prescritto ad substantiam dagli artt. 2332 e 2463 c.c. per la costituzione della società a responsabilità limitata, è necessario, ai sensi dell’art. 1351 c.c., per la conclusione del contratto preliminare [7] avente ad oggetto la futura costituzione della società, non anche la compravendita delle partecipazioni rappresentative dell’intero capitale della società stessa, una volta che essa sia stata costituita.

Inoltre, sempre per la medesima Cassazione [8], anche alla luce della disposizione, in tema di società di capitali, di cui all’art. 2332 c.c. nel testo modificato dall’art. 3 del d.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127, emanato in attuazione della direttiva C.E.E. n. 151 del 1968, la quale disciplina tassativamente le ipotesi di nullità societaria, le complesse formalità di organizzazione e di attuazione che, in virtù del rinvio previsto dall’art. 2475 c.c., caratterizzano anche una società a responsabilità limitata, con particolare riguardo alle finalità ed agli effetti che la pubblicità legale persegue, non rendono configurabile la simulazione [9] della società iscritta nel registro delle imprese.

E’ stato, poi, precisato dalla Cassazione [10] che il notaio rogante l’atto costitutivo di una società di capitale non può agire direttamente nei confronti della società per la corresponsione del compenso professionale per la confezione dell’atto.

Non solo, infatti, la nuova persona giuridica non è parte del rapporto di lavoro autonomo intellettuale, stipulato tra i promotori della società ed il professionista, ma quest’ultimo, terzo a tutti gli effetti nei confronti della società stessa, non può avere azione diretta per le obbligazioni contratte da persone fisiche nell’interesse della futura persona giuridica prima della sua costituzione.

L’art. 2463 c.c. non prevede la durata [11] della società come uno dei requisiti essenziali dell’atto costitutivo della società a r.l., con la conseguenza che si potranno avere atti costitutivi di società a r.l. non recanti alcuna indicazione sul termine di durata della società.

3) La società a responsabilità limitata semplificata

 

art. 2463 c.c. bis società semplificata a responsabilità limitata

La società a responsabilità limitata semplificata può essere costituita con contratto o atto unilaterale da persone fisiche [che non abbiano compiuto i trentacinque anni di età alla data della costituzione] [12].

L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico in conformità al modello standard tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, e deve indicare:

1) il cognome, il nome, la data, il luogo di nascita, il domicilio, la cittadinanza di ciascun socio;

2) la denominazione sociale contenente l’indicazione di società a responsabilità limitata semplificata e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie;

3) l’ammontare del capitale sociale, pari almeno ad 1 euro e inferiore all’importo di 10.000 euro previsto all’articolo 2463, secondo comma, numero 4), sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve farsi in denaro ed essere versato all’organo amministrativo;

4) i requisiti previsti dai numeri 3), 6), 7) e 8) del secondo comma dell’articolo 2463;

5) luogo e data di sottoscrizione;

6) gli amministratori [i quali devono essere scelti tra i soci] [13].

Le clausole del modello standard tipizzato sono inderogabili [14].

La denominazione di società a responsabilità limitata semplificata, l’ammontare del capitale sottoscritto e versato, la sede della società e l’ufficio del registro delle imprese presso cui questa è iscritta devono essere indicati negli atti, nella corrispondenza della società e nello spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato con la rete telematica ad accesso pubblico.

[E’ fatto divieto di cessione delle quote a soci non aventi i requisiti di età di cui al primo comma e l’eventuale atto è conseguentemente nullo.][15]

Salvo quanto previsto dal presente articolo, si applicano alla società a responsabilità limitata semplificata le disposizioni del presente capo in quanto compatibili.

Con l’entrata in vigore dell’art. 3 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, meglio noto come decreto sulle liberalizzazioni convertito con L. 24 marzo 2012, n. 27, il legislatore ha introdotto il nuovo art. 2463 bis c.c. che ha istituito la fattispecie della società a responsabilità limitata semplificata con l’obbiettivo (successivamente non supportato dalla realtà) di favorire l’accesso dei giovani all’esercizio dell’attività di impresa.

Il Legislatore, nel creare questa nuova tipologia di società con capitale ridotto (ex art. 2463 c.c.) sembrava essersi ispirato al modello tedesco.

La legge tedesca per la Unternehmergesellschaft Haftungsbeschrankt (UG), il cui capitale è inferiore a euro 25.000,00, prevede l’obbligo di destinare annualmente ad un riserva legale il 25% dell’utile netto, fino al raggiungimento della soglia di euro 25.000,00 che rappresenta il capitale minimo previsto per la GmbH.

Nelle intenzioni iniziali del legislatore  la possibilità di accedere alla società a responsabilità limitata semplificata era tuttavia riservata soltanto alle persone fisiche di età inferiore ai 35 anni.

La società a responsabilità limitata semplificata è dunque preclusa – nella fase di costituzione della società – alle persone giuridiche, quali società, associazioni o consorzi.

Il “nuovo” tipo di società è inoltre soggetto ad un regime particolarmente agevolato sia con riferimento all’ammontare del capitale sociale necessario per la sua costituzione sia per le formalità di accesso che saranno meno onerose rispetto ai costi da sostenere per fare ricorso alla “tradizionale” forma della società a responsabilità limitata.

Trascorso un anno, è stata varata una nuova disciplina di cui all’articolo 9 D.L. 28 giugno 2013 n. 76 (convertito nella Legge 99/2013) con lo scopo di ottenere una effettiva semplificazione attraverso la “fusione” delle due varianti e l’estensione, a tutti i soci persone fisiche, delle agevolazioni prima riservate alle sole s.r.l. semplificate, senza alcun riferimento all’età.

Quindi, dopo tale ultima riforma, sopravvive la sola s.r.l. semplificata, disciplinata dall’art. 2463 bis c.c.

Attualmente, pertanto, non ha alcuna importanza il dato anagrafico, né vi è divieto di trasferimento di quote a favore di persone over 35 anni; parimenti è stato abolito l’obbligo che imponeva di nominare gli amministratori tra i Soci.

Permangono le agevolazioni costituite, in sostanza, dall’esenzione dagli onorari notarili, dall’imposta di bollo e dai diritti camerali a fronte, tuttavia, dell’obbligo di adozione dello statuto ministeriale standard, con la  precisazione che le clausole del modello standard sono inderogabili.

Il principale pregio della riforma è determinato dall’eliminazione di una delle varianti (la Srl a capitale ridotto) e l’estensione dei benefici fiscali, notarili e quant’altro a tutte le persone fisiche, prescindendo dall’età.

Inoltre, si è ampliato l’accesso al regime di irresponsabilità dei soci, per le obbligazioni della Società, a fronte di un capitale sociale minimo compreso tra € 1,00 ed € 9.999,00.

Ovviamente permangono: la necessità dell’esistenza di capitale sociale; nonché i vincoli che impongono di intervenire immediatamente qualora il rapporto tra capitale sociale e patrimonio si alteri in conseguenza di perdite eccedenti un terzo [16].

Da ciò consegue che, quanto più il capitale sociale è vicino al minimo simbolico, tanto maggiore è il rischio che i soci debbano immediatamente attivarsi, osservando le regole a tutela dei  creditori e ricapitalizzando le società in perdita.

Nel quadro così delineato, tuttavia, la funzione della nuova srl semplificata è stata sostanzialmente circoscritta, se non del tutto eliminata, in considerazione del fatto che, sempre nel D.L. 76/2013, è stata introdotta in sede conversione (art. 9 comma XV ter) una previsione la quale, modificando la disciplina delle s.r.l. ordinarie, consente alle medesime di fissare un capitale minimo in misura inferiore a € 10.000,00 (articolo 2463 comma IV c.c.).

In sostanza, anche per le s.r.l. ordinarie si può fissare un capitale sociale ridotto che può variare da € 1,00 a € 9.999,00, con conferimenti in denaro versati ai soggetti cui è affidata l’amministrazione.

In tal caso, tuttavia, la somma da dedurre dagli utili netti per formare la riserva prevista dall’art. 2430 c.c., deve essere pari almeno ad un quinto degli utili stessi, fino a che la riserva non abbia raggiunto – unitamente al capitale – l’ammontare di € 10.000,00 (la riserva può essere utilizzata solo per imputazione al capitale e per copertura di eventuali perdite, con obbligo di reintegra art. 2463 comma V c.c.).

 

CAPITALE MINIMO e RISERVA LEGALE

Le S.r.l. con capitale compreso tra euro 1 e euro 9.999,99 non sono un nuovo tipo sociale, né gli aumenti o le riduzioni di capitale che determinano il superamento, verso l’alto o verso il basso, della soglia di euro 10.000,00 hanno la natura di trasformazione.

L’importo di euro 1,00 diviene requisito minimo della società sia nella fase iniziale sia in quelle successive.

Così come l’importo di euro 10.000,00 non rappresenta più il minimo legale del capitale sociale, ma costituisce una soglia rilevante ai fini della disciplina applicabile in tema di conferimenti e riserva legale.

A parere del Notariato, le nuove S.r.l. non sono soggette ad un doppio regime di riserva legale (quello di cui all’art. 2463, co. V, c.c. e quello di cui all’art. 2430 c.c.).

Difatti, una volta raggiunta la soglia della riserva legale di cui all’art. 2430 c.c., accantonata secondo i criteri integrativi di cui all’art. 2463, co. V, c.c., la società non deve provvedere ad un secondo integrale accantonamento realizzato esclusivamente secondo i criteri di cui all’art. 2430 c.c.

Dunque, la S.r.l. con capitale inferiore a euro 10.000,00 non ha l’obbligo di accantonare due riserve legali.

Anzi, una volta raggiunto l’importo che, sommato al capitale, sia pari a euro 10.000,00 (e sempre che esso abbia raggiunto il quinto dell’importo del capitale stabilito nell’atto costitutivo), non ha l’obbligo di continuare ad accantonare gli utili.

Per le S.r.l. con capitale compreso tra euro 1,00 e euro 9.999,99 la riserva da sovrapprezzo potrà essere distribuita quando la somma tra l’ammontare della riserva legale e quello del capitale sociale sarà pari a euro 10.000,00.

Ad esempio, una S.r.l. con capitale di euro 10.000,00 deve accantonare il 5% degli utili netti annuali fino al raggiungimento dell’importo di euro 2.000,00.

Viceversa, una S.r.l. con capitale di euro 1,00 deve accantonare il 20% degli utili netti annuali fino al raggiungimento dell’importo di euro 9.999,99.

Ovviamente, in tale ipotesi, la riserva imposta dalla legge supera notevolmente il parametro del quinto del capitale previsto in via generale dall’art. 2430 c.c.

Per le S.r.l. con capitale inferiore a euro 10.000,00, l’art. 2463, co. V, c.c. dispone espressamente che la riserva possa essere utilizzata non solo per la copertura delle perdite ma anche per l’imputazione a capitale, fermo restando l’obbligo di reintegrarla laddove essa venga diminuita per qualsiasi ragione.

Quindi, permane l’obbligo di reintegrazione della riserva legale; infatti, deve essere reintegrata se risulta diminuita a seguito del suo utilizzo per coprire delle perdite o, eventualmente, per un aumento gratuito di capitale.

Rispetto, alla disciplina contenuta nell’art. 2430 c.c. viene, quindi, espressamente prevista la possibilità di utilizzare la riserva legale per eseguire un aumento gratuito di capitale.

RIDUZIONE per PERDITE [17]

Pare che non possa essere negata ad una S.r.l. la facoltà di fissare liberamente il proprio capitale in un importo compreso tra euro 1,00 e euro 9.999,99 non solo in sede di costituzione ma anche dopo la fase della costituzione, ricorrendo alla riduzione volontaria del capitale, purché essa avvenga nel rispetto delle cautele imposte dall’art. 2482 c.c.

Il Notariato ritiene che, poiché l’art. 2482-ter c.c. contiene la disciplina della riduzione del capitale al disotto del minimo legale, e poiché il minimo legale delle S.r.l. è adesso di euro 1, la disciplina di cui all’art. 2482-ter c.c. si applica quando, per perdite superiori al terzo del capitale, questo risulti inferiore a euro 1,00.

Pertanto, nell’ipotesi che una S.r.l. con capitale di euro 8.000,00 subisca perdite pari a euro 4.000,00 (ossia superiori al terzo del capitale), si applica la disciplina di cui all’art. 2482-bis c.c. e, quindi, se nel corso dell’esercizio successivo a quello in cui le perdite sono state rilevate, esse non risultano diminuite a meno di un terzo, deve essere convocata l’assemblea per la riduzione del capitale in proporzione delle perdite accertate.

Laddove, invece, la società subisca delle perdite pari a euro 8.000,00, vale l’applicazione dell’art. 2482-ter c.c. e, pertanto, gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore a euro 1,00.

Viene, poi, evidenziato che, nel caso di S.r.l. con capitale pari a euro 1,00, qualunque perdita pari o superiore a euro 0,34 imporrebbe la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore a euro 1,00; ciò serve, di fatto, ad impedire che la società possa continuare ad operare con un patrimonio di segno negativo.

Inoltre, in presenza dei presupposti di cui all’art. 2482-ter c.c. (perdite superiori al terzo del capitale sociale in grado di farlo scendere al disotto di euro 10.000,00) resta comunque fermo l’obbligo, per le società con capitale superiore a euro 10.000,00, di adottare una delibera di riduzione, di trasformazione o di scioglimento della stessa.

Anche se la soglia di euro 10.000,00 non rappresenta più l’ammontare minimo del capitale, questa comunque rimane una soglia rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 2482-ter c.c., giacché il suo superamento determina l’applicazione di regole differenti in tema di conferimenti e accantonamento della riserva legale.

La società, in seguito alla riduzione di capitale finalizzata all’assorbimento delle perdite, potrà adottare, quindi, un capitale inferiore a euro 10.000,00, purché almeno pari a euro 1,00, il quale costituisce, quindi, il nuovo importo minimo legale del capitale sociale, valido per tutte le S.r.l.

Peraltro, il passaggio, per effetto delle perdite subite, al diverso regime delle società con capitale inferiore a euro 10.000,00 impone la necessità di intervenire mediante l’adozione dei provvedimenti elencati nell’art. 2482-ter c.c. di riduzione, trasformazione o scioglimento della società.

Occorre, però, valutare se la S.r.l. con capitale eroso dalle perdite, in seguito alla delibera di riduzione, sia poi obbligata a riportare il capitale ad una soglia pari a euro 10.000,00 o meno, potendo, invece, adottare un capitale almeno pari al nuovo minimo legale (art. 2463, co. IV, c.c.), che è stabilito in euro 1,00.

Ebbene su tale punto, il Notariato sostiene che in caso di perdite rilevanti ai sensi dell’art. 2482-ter c.c., la società, in seguito alla riduzione di capitale finalizzata all’assorbimento delle perdite, possa adottare un capitale inferiore a euro 10.000,00, purché almeno pari a euro 1,00, il quale risulta pertanto essere il nuovo importo minimo legale del capitale sociale.

Secondo tale interpretazione, ad esempio, una società con capitale di euro 10.000,00 che abbia subito perdite pari a euro 8.000,00, potrebbe limitarsi a ridurre il capitale a euro 2.000,00, senza essere obbligata a riportarlo a euro 10.000,00.

Si riportano qui di seguito le massime del Notariato [18] in tema s.r.l. semplificate o a capitale ridotto

Limiti di ammissibilità di clausole convenzionali nella s.r.l. semplificata (art. 2463-bis c.c.)[19] 

L’atto notarile col quale viene costituita una s.r.l. semplificata ai sensi dell’art. 2463-bis c.c. può contenere, oltre a quanto espressamente previsto nel modello standard tipizzato, adottato con D.M. Giustizia n. 138/2012;
a) le dichiarazioni, le menzioni e le attestazioni di carattere formale, con particolare riguardo a quelle richieste dalla legge notarile in ordine all’intervento delle parti, alla loro capacità e ad altri aspetti della formazione dell’atto pubblico;
b) le dichiarazioni che le parti rivolgono al notaio al fine della redazione della domanda di iscrizione della società nel registro delle imprese, quali ad esempio l’indicazione dell’indirizzo della sede sociale, ai sensi dell’art. 111-teratt. c.c., o l’indicazione della data di scadenza degli esercizi sociali;
c) le clausole meramente riproduttive di norme di legge, quand’anche redatte in documento separato, eventualmente contenente anche gli elementi non contingenti e transitori dell’atto costitutivo.

La presenza di clausole convenzionali aggiuntive – ove compatibili con la disciplina generale della s.r.l. e con la disciplina della s.r.l. a capitale ridotto – non incide sulla legittimità dell’atto costitutivo né sulla validità delle clausole stesse. Non si ritiene in ogni caso che si collochino al di fuori del perimetro del modello della s.r.l. semplificata, tenuto conto del disposto dell’art. 1, comma II, D.M. Giustizia n. 138/2012, le eventuali clausole concernenti la durata della società, la scelta del modello di amministrazione (collegiale, unipersonale, pluripersonale congiunta o disgiunta) e la previsione della possibilità di decisioni non assembleari.

Requisiti soggettivi e partecipazioni in s.r.l. semplificata (art. 2463-bis c.c.)[20]

La circostanza che i soci fondatori della s.r.l semplificata debbano essere persone fisiche di età inferiore a 35 anni non costituisce un requisito soggettivo di carattere permanente per l’assunzione e la detenzione di partecipazioni in s.r.l. semplificate. Il superamento dell’età di 35 anni da parte di uno o anche tutti i soci di tale modello societario non comporta pertanto alcuna conseguenza né in capo al socio (che mantiene i propri diritti e non può essere per ciò solo escluso, salva apposita clausola in tal senso), né in capo alla società (che permane ad essere una s.r.l. semplificata).

Si deve ritenere che il divieto di “cessione delle quote a soci non aventi i requisiti di età” (art. 2463, comma IV, c.c.):

  1. a) sia applicabile a tutti gli atti tra vivi che comportino, a qualsiasi titolo il trasferimento delle partecipazioni sociali;
  2. b) abbia ad oggetto, oltre che il trasferimento della piena proprietà della partecipazione, anche il trasferimento o la costituzione di diritti parziali di godimento o il trasferimento della nuda proprietà da essi gravata;
  3. c) comporti anche il divieto di porre in essere operazioni societarie (aumenti di capitale, fusioni, scissioni ecc.) in esito alle quali una o più partecipazioni della s.r.l. semplificata venga attribuita a persone fisiche che abbiano compiuto i 35 anni o a soggetti diverse dalle persone fisiche.

Ambito di applicazione dell’obbligo di integrale versamento dei conferimenti in denaro e del divieto di conferimenti diversi dal denaro, nella s.r.l. semplificata (art. 2463-bis c.c.) [21]

L’obbligo di integrale versamento dei conferimenti in denaro e il divieto di conferimenti diversi dal denaro si applicano in tutti i casi di costituzione di s.r.l. semplificate.

Tale obbligo e tale divieto, tuttavia, non si applicano ai conferimenti da eseguire in sede di aumento di capitale di s.r.l. semplificate o s.r.l. a capitale ridotto, nemmeno nelle ipotesi in cui il capitale non venga aumentato a un importo pari o superiore a euro 10.000 e la società mantenga la forma di s.r.l. semplificata o s.r.l. a capitale ridotto.

Le operazioni di aumento di capitale in tali sotto-tipi di s.r.l., pertanto, sono interamente disciplinate dalle norme dettate per la s.r.l. “ordinaria”.

4) START UP – nuova impresa innovativa

 

In ultimo, il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, artt. 25 a 31 (cd. Decreto Sviluppo bis) ha creato un nuovo modello societario denominato start up innovativa che prevede una serie di deroghe con specifico riferimento alla disciplina delle S.r.l.

La start-up innovativa è un’impresa di nuova costituzione fortemente propensa all’innovazione tecnologica; in essa si rileva una forte incidenza delle spese in ricerca e sviluppo ovvero lo sfruttamento di una privativa su un brevetto.

Le società già costituite al 20 ottobre 2012 sono considerate start-up innovative a condizione che entro 60 giorni, ossia entro il 19 dicembre 2012 depositino presso il Registro delle imprese una dichiarazione attestante il possesso dei requisiti previsti dalla norma.

 

CARATTERISTICHE

Costituzione

In fase di costituzione possono optare per le forme societarie previste per le società di capitali di diritto italiano (comprese S.r.l. semplificate e S.r.l. a capitale ridotto) ovvero per una societas europaea, residente in Italia ai sensi dell’art. 73, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Beneficiarie della favorevole regolamentazione risultano le imprese le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione (start-up).

Vengono introdotti la gli specifici requisiti della nuova impresa innovativa (start-up).

In particolare, viene previsto che la start-up innovativa deve essere in possesso dei seguenti requisiti:

  • la maggioranza del capitale sociale e dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria deve essere detenuta da persone fisiche;
  • deve essere costituita ed operare da non più di 48 mesi;
  • deve avere la sede principale dei propri affari e interessi in Italia;
  • il totale del valore della produzione annua, a partire dal secondo anno di attività, non deve superare i Euro 5 milioni;
  • non deve distribuire o aver distribuito utili;
  • deve avere quale oggetto sociale esclusivo, lo sviluppo e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
  • non deve essere stata costituita per effetto di una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda.

 

Criteri da soddisfare

Inoltre la start up deve soddisfare almeno uno dei seguenti criteri:

  • sostenere spese in ricerca e sviluppo in misura pari o superiore al 30 per cento del maggiore tra il costo e il valore della produzione;
  • impiegare personale altamente qualificato per almeno un terzo della propria forza lavoro;
  • essere titolare o licenziataria di una privativa industriale connessa alla propria attività.

Per qualificarsi come start-up innovativa è richiesta la sussistenza di tutti i requisiti indicati dalla norma. In particolare, il requisito della durata (i 48 mesi decorrenti dalla data di costituzione dell’impresa start up innovativa) individua l’orizzonte temporale ai fini dell’applicazione dell’art 25, co. II del nuovo Decreto Sviluppo bis. Si tratta di un termine congruo per la fase di avviamento e crescita di una nuova impresa innovativa.

START UP A VOCAZIONE SOCIALE

Le start up innovative di cui sopra che operano in via esclusiva nei settori indicati dal D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155, art. 2, co I.

Si considerano dunque beni e servizi di utilità sociale quelli prodotti o scambiati nei seguenti settori: assistenza sociale (ex L. 8 novembre 2000, n. 328, recante legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali);

  • assistenza sanitaria (per l’erogazione delle prestazioni di cui al D.P.C.M. 29 novembre 2001, recante “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”, e successive modificazioni);
  • assistenza socio-sanitaria (ex D.P.C.M. 14 febbraio 2001, recante “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie”);
  • educazione, istruzione e formazione (L. 28 marzo 2003, n. 53, recante delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale);
  • tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (ex 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione, con esclusione delle attività, esercitate abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi);
  • valorizzazione del patrimonio culturale (ex Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42);
  • turismo sociale (ex 7, co. X, L. 29 marzo 2001, n. 135, recante riforma della legislazione nazionale del turismo);
  • formazione universitaria e post-universitaria;
  • ricerca ed erogazione di servizi culturali;
  • formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo;
  • servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al settanta per cento da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale.

 

INCUBATORE DI START UP

Definizione di Incubatore

La norma propone la definizione dell’incubatore di imprese start-up innovative certificato, indicando gli specifici requisiti ed indicatori minimi, che sono oggetto di autocertificazione.

L’incubatore di imprese start up innovative è il soggetto che spesso ne accompagna il processo di avvio e di crescita, nella fase che va dal concepimento dell’idea imprenditoriale fino ai primi anni di vita, e lavora allo sviluppo della start up innovativa, formando e affiancando i fondatori sui temi salienti della gestione di una società e del ciclo di business, fornendo sostegno operativo, strumenti di lavoro e sede nonché segnalando l’impresa agli investitori ed eventualmente investendovi esso stesso.

Nascita e sviluppo delle start up

L’incubatore certificato offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start up innovative ed è in possesso dei seguenti requisiti:

  • dispone di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca;
  • dispone di attrezzature adeguate all’attività delle start up innovative, quali sistemi di accesso alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;
  • è amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e ha a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;
  • ha regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start up innovative;
  • ha adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start up innovative che configuri un adeguato track record.

L’incubatore è tenuto ad autocertificare il possesso dei requisiti previsti dalla norma, sulla base degli indicatori e valori minimi definiti con decreto del Ministero dello Sviluppo economico, mediante dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante.

PUBBLICITA’

Spese di iscrizione

E’ previsto l’esonero per la start up innovativa e per l’incubatore certificato dal versamento dei diritti di bollo e di segreteria dovuti agli adempimenti per l’iscrizione al Registro delle imprese, nonché del pagamento del diritto annuale dovuto in favore delle Camere di Commercio.

L’iscrizione nella sezione speciale prevista presso la Camera di Commercio è attestata mediante apposita autocertificazione prodotta dal legale rappresentante e depositata presso l’ufficio del Registro delle imprese.

Detta iscrizione consente la condivisione, nel rispetto della normativa sulla tutela dei dati personali, delle informazioni relative, per la start up innovativa, all’anagrafica, all’attività svolta, ai soci fondatori e agli altri collaboratori, al bilancio, ai rapporti con gli altri attori della filiera quali incubatori o investitori.

La norma prevede che le informazioni inerenti le imprese start up innovative e gli incubatori certificati siano rese disponibili secondo modalità operative (per via telematica o su supporto informatico in formato tabellare gestibile da motori di ricerca), improntate alla massima trasparenza e accessibilità prevedendo la possibilità di elaborazione e ripubblicazione gratuita di tali dati da parte di soggetti terzi.

L’accesso informatico alle suddette informazioni avviene dalla home page del sito Internet dell’impresa.

 

Incubatore di start up certificato

Per l’incubatore certificato la domanda di iscrizione deve includere le certificazioni necessarie per la verifica del possesso dei requisiti previsti dal decreto ai fini della sua identificazione come “incubatore di start up certificato“.

Le imprese iscritte avranno l’obbligo di depositare presso l’Ufficio del Registro delle imprese, entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio e comunque entro 6 mesi dalla chiusura di ciascun esercizio, la dichiarazione del legale rappresentante della start up o dell’incubatore certificato che attesti il mantenimento del possesso dei requisiti previsti dalla norma.

Pena, per il mancato deposito della dichiarazione, è la cancellazione d’Ufficio dalla sezione speciale del Registro delle imprese; permane in ogni caso l’iscrizione alla sezione ordinaria. La cancellazione è fatta automaticamente dal conservatore del registro.

ATTO COSTITUTIVO

Atto costitutivo

L’atto costitutivo di una S.r.l. start up innovativa può prevedere categorie di quote fornite di diritti diversi e categorie di quote anche prive di diritti di voto o con diritti di voto non proporzionali alla partecipazione ovvero diritti di voto limitati a particolari argomenti.

Assegnazione di quote di partecipazione

Le quote di partecipazione in start up innovative costituite in forma di S.r.l. possono essere oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari nei limiti previsti dalle leggi speciali (incluso attraverso l’impiego di funding portal).

Inoltre, il divieto di operazioni sulle proprie partecipazioni stabilito dall’art. 2474, c.c. non trova applicazione qualora l’operazione sia compiuta in attuazione di piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione:

  • a dipendenti;
  • a collaboratori;
  • a componenti dell’organo amministrativo;
  • a prestatori di opera e servizi anche professionali.

Infine l’atto costitutivo delle società può altresì prevedere, a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, l’emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nelle decisioni dei soci ai sensi degli artt. 2479 e 2479-bis, c.c.

Al termine del periodo di applicazione del regime derogatorio, tali clausole statutarie mantengono efficacia limitatamente agli strumenti già in circolazione e non è consentita l’emissione di ulteriori strumenti.

AGEVOLAZIONI FISCALI

Agevolazioni

Nei confronti dei soggetti (persone fisiche/società) che investono nelle start-up innovative, per il triennio 2013, 2014 e 2015 sono previste alcune agevolazioni.

In particolare, qualora l’investitore sia:

  • una persona fisica, è riconosciuta una detrazione Irpef pari al 19% della somma investita nel capitale sociale della start up. L’investimento massimo detraibile non può superare euro 500.000,00 e deve essere mantenuto per almeno 2 anni;
  • una società (non start up innovativa), è disposta la non concorrenza alla formazione del reddito del 20% della somma investita nel capitale sociale della start up. L’investimento massimo deducibile non può superare euro 1.800.000,00 e deve essere mantenuto per almeno 2 anni.

Per le start up a vocazione sociale, le predette percentuali di detrazione/deduzione sono aumentate, rispettivamente, al 25% e al 27%.

Le modalità attuative delle predette agevolazioni saranno individuate da un apposito decreto e la loro efficacia è comunque subordinata all’autorizzazione della Commissione Ue.

Nell’ottica di fornire alle start up innovative e agli incubatori certificati il necessario strumento per favorire la fidelizzazione e l’incentivazione del management viene adottato un regime fiscale e contributivo di favore per i piani di incentivazione basati sull’assegnazione di strumenti finanziari.

5) La società a responsabilità limitata unipersonale

 

Il modello della s.r.l. unipersonale ha ricevuto in Italia apposita disciplina di regolamentazione a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 88 in attuazione della direttiva 89/667/Cee (c.d. XII direttiva Cee) in materia di diritto delle società relativa alle s.r.l. con un unico socio.

La predetta normativa è stata poi innovata dalla c.d. riforma del diritto societario (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) e successivamente integrata per effetto degli interventi correttivi disposti nel D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37 e dal D.Lgs. 28 dicembre 2004, n. 310.

Dal punto di vista strutturale, la s.r.l. può essere

  • unipersonale sin dal momento della costituzione (c.d. unipersonalità iniziale o di costituzione) ovvero
  • successivamente quando, a seguito di mutamento della compagine societaria, viene a verificarsi la concentrazione della proprietà societaria in capo all’unico socio (c.d. unipersonalità sopravvenuta).

Anche nella società a responsabilità limitata unipersonale la responsabilità è limitata, in quanto per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio,

In tema di responsabilità per le obbligazioni sociali, l’unipersonalità sopravvenuta non determina modificazioni rispetto alla s.r.l. pluripersonale, beneficiando il socio unico della responsabilità limitata al capitale sociale, salvo il rispetto delle disposizioni (ambedue necessarie)

in tema

  1. di adempimenti pubblicitari (2470 c.c.)

art. 2470 IV coc.c.   efficacia e pubblicità

………………..
Quando l’intera partecipazione appartiene ad un solo socio o muta la persona dell’unico socio, gli amministratori devono depositare per l’iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente l’indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell’unico socio.
Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l’iscrizione nel registro delle imprese.
L’unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti.
Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti quarto e quinto comma devono essere depositate entro trenta giorni dall’iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di tale iscrizione.

Pubblicizzare adeguatamente, nel rispetto delle formalità e dei limiti previsti dalla legge, il trasferimento della quota e la conseguente unipersonalità sopravvenuta mediante deposito, ai fini dell’iscrizione nel Registro delle imprese, di una dichiarazione contenente l’indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell’unico socio (art. 2470 comma IV, c.c.) entro trenta giorni dalla sottoscrizione dell’atto di trasferimento (art. 2470 c.c.).

Nessun termine è, invece, previsto dalla legge per provvedere alla registrazione del trasferimento nel libro dei soci con annotazione delle generalità del socio entrante, limitandosi l’art. 2470 c.c. a prevedere che l’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell’alienante o dell’acquirente, verso esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l’avvenuto deposito.

Orbene, come attentamente osservato dalla dottrina [22], l’assenza di uno specifico termine per l’effettuazione dell’iscrizione, nel libro dei soci, del socio rappresenta un vuoto normativo piuttosto grave dal momento che potrebbe determinare incertezze circa l’esatta consistenza della compagine societaria della s.r.l. dal momento che nel Registro delle imprese risulterebbe effettivamente pubblicizzata ex art. 2470 c.c. la natura unipersonale della società, mentre invece nel libro dei soci risulterebbe ancora sussistente il nome del vecchio socio e pertanto la natura pluripersonale societaria.

  1. e in tema di conferimenti (2464 c.c.).

art. 2464 c.c.   conferimenti

il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale.
Possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica.
Se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro.
Alla sottoscrizione dell’atto costitutivo deve essere versato all’organo amministrativo nominato nell’atto costitutivo almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro e l’intero soprapprezzo o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare. I mezzi di pagamento sono indicati nell’atto. Il versamento può essere sostituito dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fidejussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; in tal caso il socio può in ogni momento sostituire la polizza o la fidejussione con il versamento del corrispondente importo in danaro
[23].

Liberare l’intero capitale sociale a seguito dell’integrale versamento dei conferimenti ancora dovuti da parte dell’unico quotista entro novanta giorni dalla data in cui si è verificata la concentrazione delle quote in capo all’unico socio (artt. 2464, comma VII, e 2462 c.c.).

In merito all’esatta individuazione del dies a quo del termine sopra indicato, la dottrina, in assenza di apposite indicazioni di legge, non ha ancora assunto una ferma posizione, ipotizzando che il termine sopra indicato possa decorrere – secondo alcuni – dalla data in cui venga sottoscritto l’atto notarile di cessione di quota ovvero – secondo autorevole dottrina – dalla data di deposito della dichiarazione ex art. 2470 comma IV, c.c. nel Registro delle imprese, mentre secondo innovativa interpretazione dalla data di iscrizione del trasferimento della quota nel libro dei soci. Quest’ultima interpretazione è stata tuttavia giudicata “piuttosto rischiosa” dal momento che, come si preciserà in seguito, non prevedendo la legge alcun termine per l’iscrizione dell’atto di trasferimento nel libro dei soci, in caso di omessa iscrizione del nuovo socio nel libro dei soci potrebbe estendersi ad libitum la natura pluripersonale societaria nonostante che la compagine societaria sia ormai a tutti gli effetti uni personale

Tuttavia, quando, in via del tutto eccezionale [A) che la società sia insolvente; B) che il capitale sociale non sia stato interamente versato; C) fin quando non sia stata attuata la pubblicità prevista], egli risponde illimitatamente per le obbligazioni sociali contratte dalla stessa società nel periodo in cui l’intera partecipazione sociale è appartenuta a lui solo, la sua responsabilità presenta le seguenti caratteristiche:

  • è diretta verso i terzi creditori sociali e non verso la società;
  • è autonoma e non surrogatoria, in quanto non vi è alcun diritto della società verso il socio unico;
  • è sussidiaria, in quanto opera in caso d’insolvenza ossia d’incapienza della società debitrice;
  • è eventuale, perché sorge solo con l’insolvenza della società debitrice.

La dottrina dominante giunge ad affermare che, in ogni caso, il verificarsi delle condizioni prescritte dalla legge salva il socio unico dalla responsabilità illimitata solo per le obbligazioni future diversamente dalla previsione della dottrina minoritaria la quale prevede un responsabilità limitata anche per le obbligazioni pregresse.

I contratti stipulati tra il socio unico e la s.r.l. unipersonale sono validi e opponibili verso terzi entro tali limiti:

  1. è inammissibile ogni forma di lavoro subordinato tra socio unico e s.r.l. uni personale [24];
  2. è vietata ogni forma di concessione di prestiti e garanzie della società al socio unico per l’acquisto delle quote (art. 2474 c.c.);
  3. i contratti stipulati tra socio unico e s.r.l. unipersonale, per essere opponibili verso terzi, devono risultare nel libro delle decisioni degli amministratori (art. 2478 commi I e III c.c.);
  4. in caso di acquisto da parte della società, di beni o di crediti del socio unico, l’operazione deve effettuarsi nel rispetto dei seguenti parametri ex 2465 c.c.:
  • approvazione dell’operazione da parte del socio unico in qualità di amministratore unico della s.r.l.;
  • relazione giurata di stima da parte di un esperto o di una società di revisione, iscritti nel registro dei revisori contabili, o di una società di revisione iscritta nell’albo speciale. La relazione, allegata all’atto costitutivo, deve contenere la descrizione dei beni o crediti conferiti, l’indicazione dei criteri di valutazione adottati e l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale soprapprezzo.

I parametri predetti, per espressa previsione di legge, possono essere non osservati qualora risulti che le predette operazioni siano avvenute successivamente ai due anni dalla iscrizione della società nel Registro delle imprese, ovvero per un corrispettivo inferiore al decimo del capitale sociale.

Unipersonalità sopravvenuta: i diritti del socio unico

In merito ai diritti spettanti al socio unico in caso di unipersonalità sopravvenuta, si applica quanto previsto in tema dall’art. 2479 c.c. e pertanto dal punto di vista della governance societaria possono ipotizzarsi ai seguito della predetta riforma societaria tali modelli gestionali:

  1. socio unico e amministratore unico senza previsione del collegio sindacale (nel caso specifico il socio unico assomma su di sé ogni potere di gestione e ogni competenza riconosciuta in capo al collegio sindacale ex 2403 e segg. c.c., può provvedere al compimento di ogni atto concernente sia all’ordinaria che alla straordinaria amministrazione ivi compresa la modificazione dell’atto costituivo e dello statuto osservate le formalità previste dalla legge di cui all’art. 2436 c.c. In tale sede, corre l’obbligo tuttavia di precisare che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2477 comma II, c.c., la nomina del collegio sindacale è obbligatoria qualora il capitale sociale della s.r.l. unipersonale risulti essere pari o superiore a 120.000,00 euro);
  2. socio unico ed amministratore unico con collegio sindacale (nel caso specifico il socio unico assomma su di sé ogni potere di ordinaria e straordinaria amministrazione, tuttavia dovrà sottostare al controllo del collegio sindacale che, di volta in volta, potrà formulare rilievi in merito all’osservanza della legge e dello statuto, al rispetto dei principi di corretta amministrazione e in particolare all’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e in riferimento al suo concreto funzionamento. In merito al compimento di atti di straordinaria amministrazione valgano le precisazioni sopra formulate);
  3. socio unico con competenze amministrative e gestionali affidate all’esterno a terzi sia a titolo individuale che in qualità di organi collegiali (in tal caso il socio unico ha diritto di partecipare ad ogni assemblea ordinaria e straordinaria, mentre la governance societaria risulta essere affidata all’esterno a organi che a tutti gli effetti dirigono, gestiscono e rappresentano la società unipersonale);
  4. socio unico con poteri di amministrazione e gestione congiuntiva o disgiuntiva affiancato pertanto a terzi siano essi persone fisiche o giuridiche ovvero organi collegiali. (In tal caso, attraverso un’amministrazione congiuntiva o disgiuntiva, il socio unico ha diritto sia di partecipare ad ogni assemblea ordinaria e straordinaria, sia di compiere congiuntamente e disgiuntamente con gli altri organi di amministrazione atti di direzione, gestione e rappresentanza in nome e per conto della società unipersonale nei limiti eventualmente previsti nello statuto societario).

 

6) I conferimenti

Libro V del lavoro – Titolo V delle società – Capo VII della società a responsabilità limitata – sez. II – Dei conferimenti e delle quote – 2464 – 2474

La legge non si accontenta per la s.r.l. di un qualsiasi capitale sociale, come fa per la società in nome collettivo: richiede comunque un capitale sociale minimo, tuttavia che è così basso da ridurre davvero a poco, anche per questo aspetto, la differenza tra i 2 tipi di società.

Come per la società in nome collettivo, e a differenza delle S.p.A., i conferimenti che devono concorrere a formare il capitale possono essere dati da qualsiasi utilità suscettibili di valutazione economica, e non solo da

(A) denaro,

(B) crediti o

(C) beni in natura.

Anche questa scelta ha di certo concorso la caratterizzazione personalistica della s.r.l.: il legislatore ha ritenuto che la conoscenza reciproca dei soci, quale si ha nella s.r.l., consenta di apprezzare meglio la capacità e la professionalità di ciascun socio, e renda accettabili, almeno dal punto di vista dei soci, conferimenti che non si qualificano, come il denaro, i crediti o i beni in natura, per avere un valore oggettivo.

Il legislatore, ammettendo al II co dell’art. 2464 c.c. la possibilità che possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica, ha chiarito che nella società a responsabilità limitata, diversamente dalla S.p.A., è possibile conferire entità che possono rilevarsi utili per lo svolgimento dell’attività sociale, ancorché non siano direttamente espropriabili e, quindi, immediatamente aggredibili dai creditori.

È evidente come tale disposizione costituisca il presupposto logico – giuridico per il riconoscimento dell’ammissibilità dei

(D) conferimenti di opere e di servizi

espressamente contenuto nel VI co dello stesso articolo.

Espressione di tale disposizione è la possibilità di conferire entità patrimoniali rappresentate da un facere o da un dare non immediato.

Si pensi come esempio emblematico, al caso del conferimento:

cose future;

cose altrui;

cose generiche;

si tratta di ipotesi di dare non immediato che impone al conferente il compimento di una serie di attività, successive al momento della sottoscrizione, volte a consentire che il bene oggetto di conferimento venga ad esistenza oppure passi nella titolarità della società conferitaria.

Riassumendo, possono essere conferite non solo le prestazioni di opere e di servizi ma tutte quelle entità aleatorie, che, sebbene non suscettibili di essere acquisite immediatamente dalla società conferitaria, possano soddisfare l’esigenza di corretta formazione del capitale a mezzo della prestazione di garanzie di cui all’art. 2464, co VI: come il conferimento di

Contratto non ancora eseguito

Il diritto commerciale d’autore

Il nome commerciale

Il credito di cui un soggetto gode sul mercato

Il know – how

Regole più stringenti in materia di conferimenti sono previste per la nuova forma di S.r.l. semplificata.

Sulle S.r.l. con capitale sociale inferiore a 10 mila, infatti, gravano i seguenti obblighi:

  • i conferimenti devono essere effettuati esclusivamente in denaro;
  • il capitale sociale deve essere interamente versato alla sottoscrizione dell’atto costitutivo, sia in caso di pluralità di soci sia di società uni-personale.

Per tutte le forme di S.r.l., sia ordinarie che semplificate, il D.L. 76/2013 ha altresì disposto l’abolizione del versamento su conto corrente bancario vincolato del capitale iniziale: i cd. “decimi” devono ora essere affidati agli amministratori della società.

Pertanto, in sede di costituzione della S.r.l., sarà necessario dare in custodia alle persone incaricate dell’amministrazione, tramite i mezzi di pagamento indicati nell’atto costitutivo, i seguenti importi:

  • il 25% dei conferimenti in denaro nella S.r.l. ordinaria, o il loro intero ammontare nel caso di società uni-personale;
  • l’intero capitale sociale nella S.r.l. ordinaria a capitale minimo e nella S.r.l. semplificata, sia con pluralità di soci che uni-personale.

 

art. 2464 c.c.   conferimenti

il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale.
Possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica.
(CONFERIMENTO IN DENARO) Se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro.
Alla sottoscrizione dell’atto costitutivo deve essere versato all’organo amministrativo nominato nell’atto costitutivo almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro e l’intero soprapprezzo o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare. I mezzi di pagamento sono indicati nell’atto. Il versamento può essere sostituito dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fidejussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; in tal caso il socio può in ogni momento sostituire la polizza o la fidejussione con il versamento del corrispondente importo in danaro [25].
Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255 [26]
. Le quote corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione.
(CONFERIMENTO DI OPERE O DI SERVIZI [27]) Il conferimento può [ma inteso nel senso di necessari età] anche avvenire mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti, per l’intero valore ad essi assegnato, gli obblighi assunti dal socio aventi per oggetto la prestazione d’opera o di servizi a favore della società. In tal caso, se l’atto costitutivo lo prevede, la polizza o la fideiussione possono essere sostituite dal socio con il versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in danaro presso la società.
Se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati nei novanta giorni

Il legislatore della riforma del 2003 ha voluto dare spazio a molte piccole società a r.l. in cui il lavoro quotidiano dei soci è di gran lunga preferito, talvolta, al capitale sociale conferito, privilegiando così, una prospettiva essenzialmente personalistica della s.r.l.

Tuttavia, al fine di garantire e tutelare i terzi con la salvaguardia del capitale sociale, il legislatore ha previsto che il socio conferente di tale prestazione debba necessariamente esibire, a garanzia della prestazione promessa, una fideiussione bancaria o una polizza fideiussoria che la società potrà escutere nell’ipotesi in cui la prestazione promessa non venga volontariamente (perché semplicemente non intenda più eseguire l’opera) o involontariamente (perché muoia o s’infortuni in modo grave) eseguita dal socio obbligato.

Proprio la prestazione di tali garanzie equipara i predetti conferimenti ai conferimenti suscettibili di essere acquisiti immediatamente dalla società.

Si tratta di conferimenti per contanti, nei limiti del valore corrispondente.

In tal modo viene soddisfatto il principio d’integrità del capitale sociale e le quote corrispondenti a tali conferimenti si possono dire integralmente liberate, ancorché la società concretamente venga ad acquisire le predette utilità giorno dopo giorno, a mano a mano che il socio obbligato effettui il suo conferimento.

Un logico corollario di quanto affermato è che in caso di trasmissione di quota di capitale sociale acquisita da chi ha promesso l’esecuzione dell’opera, in pendenza della prestazione, non si applica la disciplina di cui all’art. 2472 c.c.[28], in tema di trasferimento di quote non interamente liberate.

Si tratta, in altri termini, di una cessione di quota interamente liberata.

Se la prestazione che la società si è procurata con il socio alienante può essere prestata dal suo avente causa, questi continuerà a fornire alla società le utilità oggetto di conferimento.

Viceversa, nell’ipotesi in cui questa continuazione non sia possibile, la società può procedere all’escussione della fideiussione o al versamento da parte dell’originario acquirente di una somma pari al valore dell’opera che il socio deve ancora prestare in favore della società.

E’ opportuno anche precisare, come per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 4 maggio 2018, n. 10583

i versamenti effettuati dai soci in conto capitale, ovvero indicati come conferimenti, sebbene in alcuni casi non diano luogo a un immediato incremento del patrimonio sociale e non attribuiscano alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale, hanno tuttavia una causa che, di regola, e’ diversa da quella del mutuo ed e’ assimilabile a quella del capitale di rischio: siffatti versamenti non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della societa’ e possono essere chiesti dai soci in restituzione soltanto per effetto dello scioglimento della societa’, nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione. Tra la societa’ e i soci puo’ anche essere convenuta l’erogazione di capitale di credito, potendo i soci effettuare versamenti in favore della societa’ a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi il diritto alla restituzione anche durante la vita della societa’, fermo restando che e’ a carico del socio l’onere di fornire la prova del titolo posto a fondamento della domanda. L’indagine sul punto deve tenere conto sia della eventuale sussistenza di una clausola statutaria che detti versamenti preveda, sia della riconducibilita’ alla stessa dell’erogazione e soprattutto, al di la’ della denominazione con la quale il versamento e’ stato registrato nelle scritture contabili della societa’, del modo in cui concretamente e’ stato attuato il rapporto, tenendo conto delle finalita’ pratiche perseguite, degli interessi implicati e della reale intenzione dei soggetti – socio e societa’ – tra i quali il rapporto si e’ instaurato (v. sul punto, Sez. 1, Cass., Sentenza n. 7980 del 30/03/2007).

Una volta che gli apporti in conto capitale siano confluiti nel coacervo del patrimonio comune, e’ escluso che i soci eroganti, finche’ dura la societa’, possano esercitare pretese restitutorie. Quindi, a differenza dei finanziamenti, cioe’ dei prestiti, i versamenti in questione non generano crediti esigibili dei soci nei confronti della societa’; la definitiva aggregazione al patrimonio netto dell’ente – dotato per tale via di ulteriori mezzi propri di cui poter disporre evidentemente non sarebbe possibile se l’acquisizione delle somme erogate fosse bilanciata, al passivo, da debiti per restituzione di pari importo in favore dei soci. Pertanto, i soci possono chiedere la restituzione delle somme versate solo per effetto dello scioglimento della societa’ e nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione (quindi, dopo la liquidazione di tutte le passivita’ sociali). I suddetti versamenti, tuttavia, in caso di saturazione della riserva legale, possono essere distribuiti durante societate e le relative somme andranno ripartite tra i soci (non in proporzione delle rispettive quote di partecipazione al capitale da ciascuno possedute ma) in misura corrispondente a quanto da ognuno versato; in diversi termini, la riserva formata con detti apporti sara’ distribuita nel corso della vita normale della societa’ ai sensi e nei limiti dell’articolo 2431 c.c., con delibera dell’assemblea ordinaria (cfr. Sez. 1 – Cass., Sentenza n. 16393 del 24/07/2007).

Ancora in senso generale, è opportuno precisare, come ha avuto modo di recente la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 novembre 2021| n. 34503

che in tema di società di capitali (nella specie, società a responsabilità limitata), varie essendo le modalità di dazione di denaro da parte del socio alla società (conferimenti, finanziamenti dei soci, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti finalizzati ad un futuro aumento del capitale) l’organo amministrativo non è arbitro di appostare in bilancio le dazioni di denaro dei soci in favore della società, né di mutare la voce relativa, successivamente alla iscrizione originaria, dovendo essa rigorosamente rispecchiare la effettiva natura e causa concreta delle medesime, il cui accertamento, nella interpretazione della volontà delle parti, è rimesso all’apprezzamento riservato al giudice del merito (Nel caso di specie, rigettando il ricorso, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata con la quale la corte distrettuale aveva respinto l’impugnazione avverso la decisione del giudice di prime cure che aveva annullato le deliberazioni assunte dall’assemblea della società ricorrente di approvazione del bilancio e di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale, essendo emerso, sulla base dei documenti in atti, che i versamenti in conto futuro aumento capitale sociale, benché apporti di patrimonio, erano tuttavia stati inesattamente iscritti come debiti).

 

La stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti

art. 2465 c.c.   stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti

Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un revisore legale o di una società di revisione legali iscritti nell’apposito registro. La relazione, che deve contenere la descrizione dei beni o crediti conferiti, l’indicazione dei criteri di valutazione adottati e l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale soprapprezzo, deve essere allegata all’atto costitutivo [29].
(ACQUISTI PERICOLOSI) La disposizione del precedente comma [ma, mentre la finalità della perizia del conferimento è quella di evitare la sopravvalutazione del capitale nominale rispetto al valore effettivo del conferimento, la finalità della perizia in questo caso, è quella di evitare alla società acquirente di pagare un prezzo superiore al valore dei beni acquistati] si applica in caso di acquisto da parte della società, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale, di beni o di crediti dei soci fondatori, dei soci e degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese. In tal caso l’acquisto, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, deve essere autorizzato con decisione dei soci a norma dell’articolo 2479 [in caso di violazione delle disposizioni dettate in tema di c.d. acquisti pericolosi, gli amministratori e l’alienante sono solidalmente responsabili per i danni causati alla società, ai soci e ai terzi, ma l’atto compiuto in violazione della prescrizione s’intende valido ed efficace].
Nei casi previsti dai precedenti commi si applicano il secondo comma dell’articolo 2343 ed il quarto e quinto comma dell’articolo 2343 bis.

Esaurita la fase di controllo preventivo non è dunque prevista anche una fase di controllo successivo (art. 2343 co. III) da parte degli amministratori, da effettuarsi entro 180 giorni dall’iscrizione della stessa società nel registro delle imprese, procedendo eventualmente alla revisione della stima.

Ciò non è facilmente spiegabile, posto che anche per la s.r.l. si potrebbe porre un problema di sopravvalutazione dei beni conferiti.

Tanto che, seppure isolatamente [30], si è osservato che il mancato richiamo del co. III dell’art. 2343 c.c. sia da attribuirsi ad una lacuna legislativa, con la conseguente possibilità di estendere la disposizione citata anche alla s.r.l.

Si è passati da un sistema in cui con il controllo della stima, il rischio di una sopravvalutazione gravava solo sul conferente, ad un sistema in cui essendo cessato detto controllo, il pericolo grava su tutti.

Le prestazione accessorie

Si ritiene che in considerazione dell’ampia autonomia concessa alle parti, sia possibile prevedere nell’atto costitutivo, l’obbligo di eseguire prestazioni accessorie, potendo, in tale circostanza, farsi ricorso alla disciplina di cui all’art. 2345 dettata in tema di S.p.A.

La mancata esecuzione dei conferimenti

art. 2466 c.c.  mancata esecuzione dei conferimenti

se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni.

Decorso inutilmente questo termine gli amministratori, qualora non ritengano utile promuovere azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti, possono vendere agli altri soci in proporzione alla loro partecipazione la quota del socio moroso. La vendita è effettuata a rischio e pericolo del medesimo per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato. In mancanza di offerte per l’acquisto, se l’atto costitutivo lo consente, la quota è venduta all’incanto [31].
Se la vendita non può aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio, trattenendo le somme riscosse. Il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente.
Il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci.
Le disposizioni dei precedenti commi si applicano anche nel caso in cui per qualsiasi motivo siano scadute o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la garanzia bancaria prestate ai sensi dell’articolo 2464. Resta salva in tal caso la possibilità del socio di sostituirle con il versamento del corrispondente importo di danaro.

La società può trattenere le somme riscosse, le quali assolvono la funzione di una penale prevista per legge.

Sul punto ultima Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 maggio 2021| n. 13514

ha precisato che in tema di società a responsabilità limitata, il rimedio previsto dall’art. 2466 cod. civ. in caso di mancata esecuzione dei conferimenti da parte del socio non ha sempre e necessariamente natura risolutoria. Infatti, in caso di mora del socio nell’esecuzione dei versamenti, dovuti alla società a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea nel corso della vita della società, il socio, che non era moroso per i conferimenti precedentemente sottoscritti ed eseguiti, non può essere escluso, rimanendo comunque titolare della partecipazione sociale detenuta primo del deliberato aumento di capitale. In ogni caso, anche ove l’inadempimento riguardi il pagamento delle quote originariamente sottoscritte in sede di costituzione della società, è comunque contestuale all’effetto risolutorio quello esecutivo, essendo il procedimento disciplinato dalla citata diposizione e finalizzato ad ottenere l’immediato soddisfacimento coattivo del credito della società, prevedendosi, in caso di mancanza di offerte d’acquisto degli altri soci, l’immediata vendita all’incanto della quota del socio moroso, senza che la società debba procurarsi aliunde un titolo.

Con altra recente pronuncia la Corte di legittimità

Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 15 gennaio 2015, n. 585

ha nuovamente stabilito che non puo’ esercitare il diritto di voto il socio che “non esegue il pagamento della quota nel termine prescritto”, che e’ appunto il “socio in mora”, come previsto dal quarto comma della citata disposizione, indipendentemente sia da uno specifico atto di costituzione in mora (v. anche l’articolo 1219 c.c., comma 2, n. 3), sia dall’intimazione di una diffida ad eseguire il pagamento nel termine di trenta giorni, la quale va indirizzata al socio moroso al solo fine di dare inizio alla procedura di vendita in danno della intera quota sottoscritta, salva restando la decadenza dall’esercizio del diritto di voto.

E’ stato, poi,  precisato da altra recente Cassazione:

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 21 gennaio 2020, n. 1185

Invero, l’articolo 2466 c.c., in esito al procedimento di legge e laddove non siano state possibili soluzioni meno drastiche, prevede che il socio venga escluso dalla societa’, con corrispondente riduzione del capitale sociale, l’ente “trattenendo le somme riscosse”.
Si tratta, dunque, di una riduzione nominale per la parte non versata, ma reale per quella gia’ versata.
Il capitale nominale, o capitale sociale, e’ un’entita’ fissa, determinata contabilmente secondo l’articolo 2328 c.c., comma 2, n. 4 e articolo 2463 c.c., comma 2, n. 4, ed indicata, al passivo, nella voce A-I del patrimonio netto, ai sensi dell’articolo 2424 c.c.. Esso, quindi, puo’ essere ridotto solo in modo nominale.
Peraltro si distingue, a seconda che alla riduzione del capitale sociale corrisponda anche la riduzione del patrimonio netto della societa’ (riduzione reale) oppure l’operazione si risolva in un mero adeguamento contabile del capitale sociale al patrimonio netto (riduzione nominale). Da un lato si pone, tipicamente, la riduzione c.d. per esuberanza; dall’altro, la riduzione per perdite.
Nella categoria della riduzione reale vengono ricondotte, inoltre, la riduzione per recesso del socio ai sensi degli articoli 2437 e 2473 c.c., quella dovuta al socio per il suo recesso in caso di conferimento in natura di cui all’articolo 2343 c.c., comma 4, ed altre evenienze, qui non rilevanti.
Nella categoria della riduzione nominale rientrano, fra le altre, le ipotesi codicistiche della riduzione a causa dei conferimenti in natura sovrastimati ex articoli 2343 c.c., dell’annullamento di azioni proprie ai sensi dell’articolo 2357 c.c. e di azioni della societa’ controllante illecitamente possedute di cui all’articolo 2359-ter c.c. ed, appunto, della “decadenza” o esclusione del socio moroso, ai sensi degli articoli 2344 e 2466 c.c..
Ora, nel meccanismo previsto da tale ultima disposizione, qualora il socio venga escluso, sebbene egli fosse moroso solo in parte e non per l’intero debito del conferimento, la riduzione del capitale in proporzione all’intera quota finisce per costituire – per la parte corrispondente ai versamenti gia’ eseguiti – una riduzione non solo nominale, ossia di mero adeguamento alle effettive risorse conferite in societa’, ma in parte reale, permettendo di “liberare” i corrispondenti importi, non piu’ vincolati a capitale. Si tratta delle “somme riscosse”, che vengono legittimamente “trattenute” dalla societa’, ai sensi dell’articolo 2344 c.c., comma 2, e articolo 2466 c.c., comma 3, andando a costituire una riserva, e non piu’ la posta corrispondente al vincolo del capitale, sia pure sempre nell’ambito del patrimonio netto, di cui alla lettera A del passivo dello stato patrimoniale di bilancio.
Tale meccanismo, esplicitamente previsto dalla norma con riguardo alla sottoscrizione parziale di un’unitaria operazione, non puo’ tuttavia essere esteso al caso in cui il socio, in virtu’ di una precedente sottoscrizione attuata in fase di costituzione o anche di un pregresso aumento del capitale, fosse gia’ tale, e senza debiti di conferimento, prima dell’aumento che abbia condotto alla morosita’ in tal modo sanzionata.
In tale evenienza, il socio non potra’, invero, essere escluso, mentre la riduzione del capitale riguardera’, in modo corrispondente, solo la parte relativa alla sottoscrizione operata con riferimento all’aumento de quo.

In tal modo laddove, in esito al procedimento di cui all’articolo 2466 c.c., si pervenga alla riduzione del capitale sociale, questa sara’ operata solo per la parte corrispondente al conferimento dovuto in forza della sottoscrizione dell’aumento (costituendo, dunque, una riduzione in parte nominale, con riguardo alla quota non liberata, ed in parte reale, con riguardo al versamento parziale operato dal socio) e non per l’intera misura della partecipazione, di cui il socio sia titolare: con conseguente vantaggio per gli interessi della stessa societa’ e piu’ generali alla conservazione del valore del capitale sociale, ratio sottesa all’intero procedimento previsto dalla disposizione, il quale infatti procede, via via, dai rimedi endosocietari sino alla soluzione estrema della rinuncia a quel conferimento mediante la riduzione del capitale sociale.
Al contrario, la ratio di permettere agli altri soci, in virtu’ dell’inesecuzione del conferimento, di escludere definitivamente il socio inadempiente dalla societa’ non e’ rinvenibile nella disposizione in esame.
In conclusione, deve enunciarsi il seguente principio di diritto:
“Nel caso di mora del socio nell’esecuzione dei versamenti, dovuti alla societa’ a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea nel corso della vita della societa’, il socio non puo’ essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della societa’; pertanto, ferma la permanenza del socio in societa’ per la quota gia’ posseduta, l’assemblea deve deliberare la riduzione del capitale sociale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall’aumento non onorato, fatto salvo solo il caso in cui lo statuto preveda l’indivisibilita’ della quota”.

Le forme di finanziamento diverse dai conferimenti – i finanziamenti dei soci –

In particolare accade spesso che i soci in presenza di una società con capitale di entità pari al minimo o di poco superiore al minimo legale che, quindi, abbisogna di risorse ulteriori per l’effettivo esercizio dell’attività che costituisce oggetto sociale, anziché procedere ad apportare alla stessa capitale a titolo di rischio, sotto forma, quindi, di conferimenti, apportino capitale sotto forma di finanziamenti.

Infatti, la effettuazione dei conferimenti comporterebbe la imputazione delle somme relative a capitale con tutte le conseguenze di disciplina e i vincoli che ne derivano, primo fra tutti il diritto alla ripetizione dell’importo effettuato solo in sede di ripartizione del patrimonio sociale alla fine della fase di liquidazione.

art. 2467 c.c.     finanziamenti dei soci

Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato [si tratta di una rinuncia alla par condicio creditorum, soggetta alla condizione risolutiva dell’integrale soddisfacimento di tutti gli altri creditori] rispetto alla soddisfazione degli altri creditori [ad esempio fornitori] e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.
(PRESUNZIONE DI FINANZIAMENTI) Ai fini del precedente comma s’intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati [ad es. i c.d. finanziamenti indiretti mediante il rilascio di garanzie], che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.

 

La regola della postergazione prevista dall’art. 2467 c.c. è stata introdotta al fine di porre rimedio a situazioni che possono in concreto presentarsi in tutte le società di capitali, ovvero che il prestito del socio a favore della società in precario equilibrio finanziario abbia una finalità sostitutiva del capitale di rischio ed è stata introdotta a tutela dei terzi creditori [32].

All’indomani della riforma il Tribunale Milanese [33] così stabiliva: il principio di «posterogazione» del credito vantato dal socio finanziatore nei confronti della società, in deroga alla par condicio fra tutti i creditori della stessa, è applicabile nel solo presupposto della sussistenza di una condizione di debolezza economica della società stessa, sia pure transitoria e connessa con squilibri fisiologici ed occasionali recati dalla gestione dell’impresa ma tale da rendere improcrastinabile il reperimento di nuovi fondi e/o nuovi conferimenti. Pertanto, qualora la società finanziata non versi in una situazione di liquidazione ordinaria o concorsuale caratterizzata dalla monetarizzazione del patrimonio sociale per il soddisfacimento dei creditori bensì nel pieno della propria attività imprenditoriale, il credito del socio finanziatore andrà soddisfatto senza dilazione alla scadenza, con decorrenza del calcolo degli interessi legali dovuti, da questo momento fino all’effettivo soddisfo.

In generale, poi, per la S.C.[34] l’erogazione di somme, che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate, può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva “in conto capitale”, o altre simili denominazioni, il quale dunque non dà luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a quello di credito, connotandosi proprio per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali e per la posizione del socio quale residual claimant. La qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, non tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.

Principio ripreso anche da altra recente Cassazione,

Corte di Cassazione sezione terza civile, Ordinanza 23 agosto 2018, n. 20978.

secondo la quale, appunto, l’erogazione di somme che, a vario titolo, i soci effettuano alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento, destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva “in conto capitale”. La qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, e la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.

Per il Tribunale lagunare [35] al fine di valutare l’eventuale eccessivo squilibrio tra indebitamento e capitale netto (art. 2467 c.c.), il leverage, pari al rapporto tra il totale delle fonti di finanziamento e i mezzi propri, costituisce sicuramente un indicatore significativo, il quale deve però essere confortato e valutato unitamente ad ulteriori elementi, tra i quali riveste particolare importanza la struttura del debito. In quest’ottica, se è vero che una componente di debito a medio-lungo termine incide sullo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto in misura inferiore di una componente di debito a breve termine, è anche vero che la necessità di utilizzare i finanziamenti erogati da terzi per il pagamento dei debiti di imminente scadenza costituisce un indice di sottocapitalizzazione della società.

Precedentemente la stessa Cassazione [36] ha avuto modo di precisare che la proposizione normativa contenuta nell’art. 2467 c.c. è applicabile, come reso evidente dal secondo comma della disposizione, non a ogni forma di finanziamento da parte dei soci, ma, esclusivamente, alla figura dei cosiddetti prestiti anomali o “sostitutivi del capitale” al fine di porre rimedio alle ipotesi di sottocapitalizzazione cosiddetta nominale. Pertanto, in caso di impugnazione della delibera assembleare di rimborso di finanziamenti ritenuti anomali nel senso appena chiarito, la parte impugnante deve provare che la deliberazione medesima sia stata adottata in presenza di un eccesso di indebitamento rispetto al patrimonio netto della società, o di una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento, ovvero, in una fase in cui la società, in reazione all’attività in concreto esercitata, aveva la necessità delle risorse messe a disposizione dai socie finanziatori e non sarebbe stata in grado di rimborsarli.

La parte che agisce per la restituzione delle somme versate a titolo di mutuo – è stato precisato dal tribunale Milanese [37] – ha l’onere di provare non solo l’avvenuta erogazione, ma anche il relativo titolo. In particolare, nel caso in cui il socio intenda richiedere la restituzione di somme versate, a dir suo, a titolo di mutuo alla società, non può darsi rilievo decisivo alla modalità di iscrizione della relativa posta in bilancio della società beneficiaria dell’erogazione, dovendosi, invece, prendere in considerazione il modo di attuazione del rapporto, le finalità pratiche perseguite, gli interessi implicati e la reale comune intenzione del socio e della società, tenendo altresì presente che, al fine di qualificare come mutuo le sovvenzioni erogate dai soci, è indispensabile che, in sede di conferimento dell’importo, sussista una marcata connotazione in termini di mero prestito della somma, in modo tale da distinguere tale elargizione dai restanti contributi versati. La comune intenzione delle parti di consentire, tramite il finanziamento del socio, il rapido avvio dell’attività, non appare di per sé sufficiente ad equiparare tout court tale elargizione, sotto il profilo causale, a quelle di qualsiasi terzo finanziatore.

Secondo, poi, altra pronuncia della S.C.[38] gli artt. 2467 e 2497 quinques c.c., nel testo introdotto dalla riforma societaria di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, postergando in casi determinati il credito di rimborso dei soci, hanno introdotto una nuova disciplina di diritto sostanziale, non avente natura interpretativa, né processuale, ed applicabile in sede di liquidazione della società, incidendo in modo diretto sugli effetti giuridici del negozio di finanziamento; ne consegue che, in mancanza di una diversa disciplina sulla efficacia nel tempo in deroga all’art. 11 disp. prel. c.c., le predette norme non si applicano ai crediti dei soci nei confronti della società sorti per effetto di finanziamenti anteriori al 1° gennaio 2004, data di entrata in vigore della riforma.

In merito il Tribunale Scaligero [39] ha stabilito che il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato, in presenza dei requisiti di cui all’art. 2467 c.c., anche qualora lo stesso sia assistito da prelazione ipotecaria, la quale potrà avere rilievo solo nell’ambito del concorso tra più creditori postergati.

Per il Tribunale Euganeo [40] ricorrono i presupposti oggettivi e soggettivi della disciplina della postergazione ex artt. 2467 e 2497 quinquies c.c. anche nel caso di finanziamenti erogati in forma soggettivamente indiretta, poiché la ratio legis prescinde dalla necessaria identità formale del socio e del finanziatore; ciò si verifica sia nei casi di interposizione fittizia o reale, sia quando si tratti di finanziamenti erogati da parti correlate o comunque riconducibili ai soci. Secondo l’art. 2427 n. 22 bis c.c. e l’art. 98 Tuir, la correlazione sussiste quando vi sia identità degli interessi economici perseguiti e coordinamento dei relativi processi decisionali, cosicché le operazioni di riferimento sono imputabili ai soci ancorché eseguite da soggetti diversi. (Nella fattispecie è stato ritenuto operante il principio di correlazione ai soci, trattandosi di finanziamento effettuato da una srl partecipata in via esclusiva da altra srl controllata e amministrata dai soci della prima).

 

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione sesta (prima) civile, Ordinanza 20 agosto 2020, n. 17421.

in tema di finanziamento dei soci, agli effetti dell’applicabilità dell’art. 2467 cod. civ., a mente del quale s’intendono “… finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento…” rileva il tempo in cui il finanziamento è concesso: su tale momento si ferma la valutazione relativa allo squilibrio patrimoniale della società che riceve il finanziamento medesimo. Infatti, è in tale momento che il socio decide di provvedere al fabbisogno finanziario della società a mezzo di finanziamenti e non già a mezzo di capitale di rischio, ponendo in tal modo in essere il comportamento in contrasto con la funzione perseguita dalla norma. Quest’ultima consiste nell’intento di contrastare la non infrequente sottocapitalizzazione delle società, quale tecnica di traslazione sui creditori e sui terzi dei rischi da continuazione dell’attività in regime di crisi, con eventuale profitto dei soci ed aggravamento del dissesto a scapito dei creditori

Fallimento ed i soci postergati

I soci in cui il credito sia postergato ai sensi dell’art. 2467 c.c. rientrano tra i creditori che, ai sensi dell’art. 6, L. Fall., sono legittimati a richiedere il fallimento della società [41].

Per la S.C. [42] in tema di concordato preventivo nella specie di suddivisione dei creditori in classi nell’ambito della domanda di ammissione del debitore alla procedura di concordato preventivo, i crediti di rimborso dei soci per finanziamenti a favore della società – in quanto postergati rispetto al soddisfacimento degli altri creditori, se i finanziamenti sono stati effettuati verso una società in eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o in una situazione che avrebbe giustificato un conferimento di capitale, e da restituire, se percepiti nell’anno anteriore all’eventuale fallimento, ai sensi dell’art. 2467, comma I, c.c. – non possono essere inseriti in un piano di cui facciano parte anche altri creditori chirografari, violando tale collocazione la necessaria omogeneità degli interessi economici alla cui stregua, ex art. 160, primo comma, lett. c), legge fall., vanno formate le classi. Tuttavia, trattandosi pur sempre di creditori, da soddisfare dopo l’estinzione degli altri crediti, è ammessa la deroga al principio della postergazione, se risulta il consenso della maggioranza di ciascuna classe e non già il solo consenso della maggioranza assoluta del totale dei crediti chirografari.

Ancora secondo una pronuncia di merito [43] in base al principio generale dettato dall’art. 177 L. Fall., secondo il quale il diritto di voto non compete a coloro le cui sorti non sono incise dai concreti assetti concordatari, per cui non sono legittimati ad esprimersi sull’approvazione di una proposta che vede esclusivamente come destinatari terzi soggetti, è coerente con suddetto principio escludere dal voto i soci postergati (non destinatari, nel caso di specie, di alcun pagamento, neppure derivato dalla finanza esterna) la cui posizione non è influenzata dall’esito, qualunque esso sia, del concordato.

D’altra parte, l’esclusione dal voto è coerente anche con la previsione della postergazione ex art. 2467 c.c. che risponde all’esigenza di “sanzionare”, in un certo qual modo, i soci di quelle società a ristretta base sociale quali storicamente sono le s.r.l. – normalmente dotati degli strumenti per cogliere prima di tutti gli altri creditori i sintomi del rischio di insolvenza – per avere concesso credito alla società allorché essa versava in condizioni economico-finanziarie tali da richiedere invece un apporto di capitale. Per cui non sarebbe ragionevole, in sede di concordato preventivo, attribuire a chi ha, in un certo senso, “violato le regole del gioco” – scegliendo la più comoda strada del finanziamento anziché del conferimento, ed evitando così di farsi carico della funzione partecipativa del rischio di impresa – un trattamento “premiale” , nel senso di concedere a tali soci la possibilità di pronunciarsi e di incidere, magari in maniera determinante, sulla posizione dei creditori terzi.

Principio già enunciato in altra pronuncia [44] di merito secondo la quale, appunto, ai fini del computo delle maggioranze per l’approvazione del concordato preventivo, non si deve tener conto del voto dei soci che hanno finanziato la società nell’ultimo anno, i quali, ai sensi dell’art. 2467, c.c., sono postergati rispetto agli altri creditori chirografari ed apparendo peraltro opportuna la loro collocazione in una classe a parte.

Secondo, poi, il Tribunale di Terni [45] l’art. 2467, co. I, c.c., laddove prevede che il rimborso dei finanziamenti dei soci (o della società controllante) a favore della società controllata è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito, è applicabile anche alle società per azioni limitatamente all’ipotesi dei finanziamenti cosiddetti infragruppo e non anche ai finanziamenti effettuati dai singoli soci.

Infine, per il Tribunale Partenopeo [46] qualora si dimostri che la società – s.r.l. nella specie – nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento della medesima, abbia proceduto, trasgredendo la regola della postergazione ex art. 2467 c.c., alla restituzione ai soci dei finanziamenti operati dai medesimi, risulta ammissibile la concessione del sequestro conservativo avente ad oggetto i beni degli stessi soci.

 

7)  Le quote di partecipazione

Libro V del lavoroTitolo V delle societàCapo VII   della società a responsabilità limitatasez. II – Dei conferimenti e delle quote2464 – 2474

art. 2468 c.c.   quote di partecipazione

Le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni né costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari [47].
Salvo quanto disposto dal quarto comma del presente articolo,
i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta. Se l’atto costitutivo non prevede diversamente, le partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento.
Resta salva la possibilità che l’atto costitutivo preveda l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili.
Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo e salvo in ogni caso quanto previsto dal primo comma dell’articolo 2473, i diritti previsti dal precedente comma possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci.
Nel caso di comproprietà di una partecipazione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106. Nel caso di pegno, usufrutto o sequestro delle partecipazioni si applica l’articolo 2352.

Mentre nella S.p.A. un socio può avere e normalmente ha più azioni, nella s.r.l. il numero delle quote e il numero dei soci coincidono.

Ciascun socio diventa titolare di un’unica quota di partecipazione sociale, tanto grande è la quota di capitale sociale sottoscritta.

La quota di partecipazione del capitale sociale è unica per ogni socio e non è suscettibile di essere rappresentata da un titolo soggetto alla legge di circolazione dei titoli di credito.

In altre parole, il capitale sociale della S.r.l. è suddiviso in quote di partecipazione, tante quanti sono i soci.

Le S.r.l. sono società a base ristretta, non aperte al mercato finanziario, e pertanto le partecipazioni non possono essere rappresentate da azioni né costituire oggetto di sollecitazione all’investimento.

Le quote di partecipazione rappresentano beni immateriali comprensivi di un insieme di diritti, poteri, obblighi e facoltà.

I diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla quota da ciascuno posseduta.

Tuttavia, l’atto costitutivo della S.r.l. può istituire quote privilegiate dotate di diritti ed obblighi particolari che prescindono dal valore del conferimento, salvo l’atto costitutivo preveda diversamente.

Nello specifico possono essere attribuiti a singoli soci diritti particolari in materia di amministrazione della società, attribuzione di utili o altri diritti (ad esempio, la possibilità per il socio di partecipare alle perdite in misura diversa rispetto al valore conferito, rispettando in ogni caso il divieto del patto leonino). I diritti particolari devono essere attribuiti in via specifica al singolo socio (ad personam), non essendo ammessa l’eventualità di categorie speciali di quote.

Ciascun socio è titolare di un’unica quota di partecipazione che resta tale a prescindere dall’ammontare del conferimento e da ogni vicenda relativa alla quota.

Caratteristica fondamentale della quota di partecipazione è la sua unitarietà, che implica che le vicende relative al rapporto sociale riguardano la posizione del socio nella sua unitarietà.

Ciò comporta che sono inammissibili ipotesi di voto parziale, di voto divergente e di recesso parziale, o di esecuzione parziale sulla quota.

Ma naturalmente il concetto di unitarietà non comporta l’indivisibilità della stessa, nel senso che una sola quota è divisibile in tante quote in caso di alienazione o di successione a causa di morte.

Il socio, quindi può cedere una parte soltanto della sua quota, così come può lasciare in eredità o in legato frazioni della propria quota a più persone.

Riassumendo – la quota:

  • non può essere rappresentata da titoli –
  • non può formare oggetto di sollecitazione all’investimento –
  • è unitaria –
  • può essere espressa in cifre –
  • è divisibili in più parti –
  • è liberamente trasferibile –

 

La natura giuridica di tale quota

  1. Secondo un primo orientamento della giurisprudenza di legittimità essa rappresenterebbe un diritto di credito verso la società – ma l’attendibilità di tale tesi appare dubbia[48] se si pensa che la quota contiene anche rapporti diversi dai crediti.
  2. Altra parte della giurisprudenza ha assimilato la quota ad una complessa posizione contrattuale facente capo al socio, inquadrando, per conseguenza, il trasferimento della quota stessa in una cessione del contratto[49] ai sensi dell’art. 1406 c.c. In contrario, si può osservare che la cessione del contratto regola il trasferimento di contratti a prestazioni corrispettive non ancora eseguite da entrambi i contraenti, mentre il contratto di società non è a prestazioni corrispettive. Anche se pare preferibile la dottrina prevalente che afferma la natura della corrispettività nel contratto di società.
  3. Pare preferibile [50] la tesi della giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni secondo la quale la quota è assimilabile ad un bene immateriale equiparato ai beni mobili, ai sensi dell’art. 812 c.c., il cui trasferimento è valido ed efficace se attuato attraverso un contratto del quale sono parte l’alienante, titolare della quota, e l’acquirente; la società è terza rispetto al contratto di cessione di quota, indipendentemente dalla iscrizione della cessione della quota nel libro dei soci, la cui unica funzione è di renderla efficace verso la stessa società.

Infatti, secondo una pronuncia [51], ante riforma, la quota sociale della società a responsabilità limitata – non essendo incorporata in una azione e, quindi, in un documento avente natura di cosa materiale – è bene immateriale equiparato, ex art. 812 c.c., al bene mobile materiale (non iscritto in pubblico registro) e resta sottoposta alla disciplina legislativa di questa categoria di beni.

Tuttavia stante la necessità della collaborazione degli organi sociali ai fini dell’individuazione della quota il pignoramento della quota stessa deve avvenire nella forma del pignoramento presso terzi. Con riferimento alla quota sociale della società a responsabilità limitata, che è un bene immateriale equiparato ex art. 812 c.c. a bene mobile materiale non iscritto in pubblico registro e quindi sottoposto alla relativa disciplina legislativa, trova applicazione, per l’ipotesi di alienazione della quota che sia stata già pignorata, la disciplina dell’art. 2913 c.c. che fa salvi dall’inefficacia gli effetti del possesso di buona fede, equiparando estensivamente a tale possesso l’iscrizione nel libro dei soci della società a responsabilità limitata del trasferimento della quota sociale che immette l’acquirente nell’organizzazione societaria e lo pone in grado di esercitare i suoi poteri di socio. Ne consegue che, pignorata la quota di un socio di una società a responsabilità limitata ed alienata successivamente la quota dal socio ad un terzo, con iscrizione del trasferimento nel libro dei soci, il pignoramento non è efficace, e quindi non e’ opponibile, nei confronti del terzo acquirente in buona fede.

 

I principali diritti del socio della s.r.l. sono gli stessi dell’azionista della S.p.A

 

DIRITTI AMMINISTRATIVI

  • AL VOTO [52]
  • D’INTERVENTO IN ASSEMBLEA
  • D’IMPUGNATIVA DELLE DELIBERE ASSEMBLEARE

DIRITTI PATRIMONIALI

1)  AGLI UTILI

2)  ALLA SOTTOSCRIZIONE DEL CAPITALE IN CASO DI AUMENTO MEDIANTE NUOVI CONFERIMENTI[53]

3)  ALLA QUOTA DI LIQUIDAZIONE

 

Tuttavia non mancano differenze

  1. Nella s.r.l., è possibile attribuire particolari privilegi a singoli soci, non invece prevedere, come nella S.p.A., diverse categorie di quote, differenziate nel trattamento.
  2. Parimenti non è prevista la possibilità di escludere categorie di soci dal diritto di voto, ma solo la possibilità di escludere il diritto di voto a singoli soci, in casi specifici (p.e. per morosità ex 2466 4co).

In tema di società a responsabilità limitata, in perfetta analogia con quanto statuisce l’art. 2347 comma I, c.c. per l’ipotesi di comproprietà di un’azione, l’art. 2468 ultimo comma c.c. dispone che “nel caso di comproprietà di una partecipazione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106 c.c.”.

Evidente appare la ratio che ispira tali disposizioni: sul presupposto della non frazionabilità dei diritti corrispondenti ad una “partecipazione” ovvero ad una “azione”, e per evitare che, in caso di comunione [54], i singoli comunisti assumano posizioni contrastanti in ordine all’esercizio di un diritto sociale (determinando in tal modo una situazione non chiara), postulano la necessità di un rappresentante comune, il quale eserciti il diritto secondo una sola ed inequivoca espressione di volontà[55].

  1. L’attribuzione di quote in misura non proporzionale ai conferimenti[56]

Come nelle S.p.A., anche nelle s.r.l. l’autonomia dei soci può rompere la proporzionalità che esiste tra i conferimenti e quote sociali assegnate.

Naturalmente, occorre sempre che sia assicurato il principio dell’EFFETTIVITA’ e d’INTEGRITA’ del capitale sociale che trova espressione nel I co dell’art 2464 < il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale >.

La deroga può essere prevista nell’atto costitutivo sin dall’origine, oppure può essere introdotta mediante una successiva modifica.

La non proporzionalità tra quote e diritti sociali – L’ATTRIBUZIONE di particolari DIRITTI AD PERSONAM – 2468 III co

Nel novero dei particolari diritti amministrativi rientrano, senz’altro,

  • il diritto di nomina dell’organo amministrativo o di una parte di esso;
  • il diritto di porre il veto su determinate nomine o su determinate materie di gestione della società;
  • il diritto ad avere particolari informazioni e di svolgere particolari forme di controllo;
  • il diritto di convocare organi societari;
  • il diritto di recesso ad uno solo dei soci.

Nel novero dei particolari diritti agli utili rientrano

  • il diritto a riscuotere utili in misura diversa, ossia più elevata, rispetto all’entità della propria partecipazione;
  • il diritto di partecipare al ripianamento delle perdite in via postergata, intendendosi la stessa postergazione come una modalità indiretta di partecipazione ai benefici economici che comporta la partecipazione alla società;
  • il diritto alla sottoscrizione di futuri aumenti di capitale in misura eccedente quella che spetterebbe a un dato socio in relazione alla sua percentuale di partecipazione al capitale sociale;
  • il diritto a ricevere una quota maggiore rispetto alla propria partecipazione, nella ripartizione dell’attivo residuo di liquidazione.

LA CIRCOLAZIONE di tali diritti

  • (intrasferibilità) secondo una prima tesi [57], prevalente in dottrina, i diritti di cui al III co dell’art. 2468 non costituiscono un attributo della quota, bensì una concessione alla persona del socio, con la conseguenza che se viene meno la persona del socio per cessione inter vivos o per morte, anche quei diritti si estinguono. Con il trasferimento della quota non possono essere trasferiti quei particolari diritti che trovano la loro principale giustificazione nella persona del socio cedente.
  • (trasferibilità) In contrario[58] , si è sostenuto che i particolari diritti attribuiti al singolo socio si oggettivizzano nella partecipazione di cui risulta titolare, seguendone le relative sorti. Sarebbe inverosimile, secondo tali autori, che il socio, cui spetta tali diritti e quindi un particolare peso all’interno della società o una quota maggiore di utili non li possa monetizzare nel momento più importante, che è quello della vendita della sua quota di partecipazione.

 

Considerati tali dubbi interpretativi, è opportuno che sia lo statuto a prevedere se determinati diritti permangono oppure cessino al mutare della qualità soggettiva della persona del socio.

La MODIFICAZIONE di tali dirittiart. 2468 IV co

La regola dell’unanimità è richiesta sia nel caso di decisione che abbia ad oggetto la esplicita modifica dei diritti sia nel caso di decisioni che, seppure indirettamente, modifichino tali particolari diritti: si pensi al caso in cui ad un determinato socio spetti la nomina di 2 amministratori su 3, come particolare diritto e la società decida di aumentare il numero dei componenti a 5, si tratta, in altri termini, di una modificazione c.d. indiretta, che deve essere approvata da tutti i soci.

  1. LA CIRCOLAZIONE DELLA QUOTA

La quota di partecipazione sociale può formare oggetto di una

1 – compravendita [59]

2 – permuta [60]

3 – atto di conferimento in società

4 – donazione

5 – costituzione di una rendita vitalizia

6 – dazione in pagamento

7 – vendita con patto di riscatto [61]

8 – patto fiduciario [62]

9 – Trust [63]

Normalmente nella cessione a titolo oneroso della quota di partecipazione al capitale sociale, il cedente è tenuto a garantire

  • l’esistenza della quota,
  • la piena ed esclusiva titolarità della stessa,
  • la libertà della quota da ogni peso o vincolo a favore di terzi.

 

Non è tenuto, invece, a garantire il valore economico della quota, ossia la consistenza del patrimonio della società. Il cedente della partecipazione sociale di una s.r.l. non può essere chiamato a rispondere di un eventuale minore valore economico della quota, ossia della società, rispetto alle aspettative dell’acquirente, oppure per la sopravvenienza di eventi che mettono in pericolo il valore atteso da parte del cessionario.

Ne segue che il difetto di qualità della quota venduta che comporta la possibilità di agire con l’azione di annullamento del contratto per errore o in risoluzione non può riguardare il contenuto economico, che se non viene a formare oggetto di un’esplicita pattuizione, è relegato nella sfera giuridica delle motivazioni delle parti.

Questo assume rilevanza soltanto se il cedente abbia assunto esplicitamente garanzie contrattuali in ordine al valore economico della quota ceduta.

Difatti, per la Cassazione [64] il contratto di vendita di quote di società a responsabilità limitata ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che la partecipazione rappresenta, con la conseguenza che il difetto di qualità della cosa venduta, ai fini dell’annullamento del contratto per errore o della risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1497 c.c. [65], deve attenere unicamente alla “qualità” dei diritti ed obblighi che in concreto la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire, mentre non può riguardare il suo valore economico, in quanto questo non attiene all’oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti, e quindi può assumere rilievo giuridico solo ove siano state previste esplicite garanzie contrattuali circa la consistenza economica della partecipazione, ovvero nel caso di dolo di un contraente, che rende annullabile il contratto in relazione ad ogni tipo di errore determinante del consenso.

Ciò accade, in particolare, nell’ipotesi in cui attraverso la cessione delle quote si cede la società o rilevanti pacchetti di controllo di una determinata società. L’acquirente può tutelarsi provando che il valore effettivo che la quota sociale rappresenta è stato tenuto presente dalle stesse parti nella formazione del consenso come presupposto determinante ai fini della manifestazione della volontà contrattuale.

In effetti, per il Tribunale Romano [66], la consistenza patrimoniale della società nell’ambito della cessione di quote od azioni di quest’ultima rileva solo in presenza di una specifica garanzia assunta dal cedente. Invero, la cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali o di persone ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alla consistenza e alle caratteristiche dei beni ricompresi nel patrimonio sociale possono giustificare la risoluzione di tale contratto solo se sono state fornite a tale riguardo dal cedente specifiche garanzie contrattuali.

Con altra più recente sentenza la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 13 febbraio 2020, n. 3658

ha avuto modo di affermare e confermare che in tema di compravendita di quote di società a responsabilità limitata, il difetto di qualità previsto dall’art. 1427 cod. civ. come causa di annullamento e dall’art. 1497 cod. civ. come causa di risoluzione del contratto, in relazione alla compravendita di partecipazioni sociali, essendo queste attributive di un insieme di diritti ed obblighi in relazione ad una società, può riguardare unicamente la «qualità» dei diritti ed obblighi che in concreto la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire: infatti, il valore economico della partecipazione non attiene all’oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti, potendo assumere, pertanto, rilievo giuridico solo ove, in relazione alla consistenza economica della partecipazione, siano state previste esplicite garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, che rende annullabile il contratto in relazione ad ogni tipo di errore determinante del consenso.

art. 2469 c.c.  trasferimento delle partecipazioni

le partecipazioni sono liberamente trasmissibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo.
Qualora l’atto costitutivo preveda 1) l’intrasferibilità delle partecipazioni o 2) ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 2473. In tali casi l’atto costitutivo può stabilire un termine, non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può essere esercitato.

Per il trasferimento della quota di partecipazione per atto tra vivi – al pari per quanto avviene per il trasferimento della partecipazione azionaria in caso di non emissione di titoli – la legge non prevede alcuna forma, se non quella richiesta dalla natura del contratto di trasferimento: così, p.e. , anche per il trasferimento della quota di partecipazione sarà necessaria la forma dell’atto pubblico in caso di trasferimento per donazione.

Per il Tribunale Capitolino [67] il contratto di trasferimento di quote di partecipazione in una società a responsabilità limitata, indipendentemente dall’eventuale esistenza di immobili nel patrimonio di questa, non richiede né ad substantiam né ad probationem la forma scritta, la quale non è necessaria per la validità ed efficacia della cessione tra le parti, bensì soltanto per la sua opponibilità alla società stessa. Ne consegue, che nemmeno il preliminare di cessione deve rivestire necessariamente la forma scritta.

Sentenza di merito che riprende a pieno il principio già stabilito dalla S.C.[68] secondo cui in tema di riconoscimento del diritto di voto nelle assemblee delle società a responsabilità limitata, la legittimazione al relativo esercizio si connette, ai sensi dell’art. 2479 c.c. nel testo previgente al d.lgs. n. 6 del 2003, al fatto in sé dell’iscrizione dell’avente diritto al libro soci, mentre già il trasferimento di quota è valido ed efficace «inter partes» indipendentemente dalla predetta formalità, necessaria unicamente ai fini dell’efficacia verso la società ed i terzi.

Come da ultima pronuncia della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 21 marzo 2016, n. 5507

l’intestazione fiduciaria di titoli azionari (o di quote di partecipazione societaria) integra gli estremi dell’interposizione reale di persona, per effetto della quale l’interposto acquista (a differenza che nel caso di interposizione fittizia o simulata) la titolarita’ delle azioni o delle quote, pur essendo, in virtu’ di un rapporto interno con l’interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, nonche’ a ritrasferire i titoli a quest’ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario (Cass. 13261/1999).

Legge Mancino del 12 agosto 1993, n. 310 – ai fini dell’opponibilità ai terzi

Prima di tale innovazione, infatti, non vi era necessità dell’atto notarile, in quanto nessuna pubblicità era richiesta, svolgendosi il tutto nel segreto dei rapporti tra i soci.

 

La Cassazione

Corte di Cassazione, sezione sesta (prima) civile, Ordinanza 17 luglio 2020, n. 15336.

da ultimo ha avuto modo di affermare anche che in tema di società a responsabilità limitata, nel caso in cui lo statuto ammetta la circolazione delle quote “ai sensi di legge” riportandosi in tal modo al principio generale della libera circolazione delle partecipazioni enunciato nell’art. 2469, comma 1, cod. civ., non può invocarsi l’applicazione dell’art. 2479, comma 2, n. 5), cod. civ. disposizione che riserva in ogni caso alla competenza dei soci “la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci”, essendo la questione compiutamente risolta a monte: la partecipazione del socio nella società risulta infatti conformata in modo da non possedere alcun potere, o diritto, di interferire sulla circolazione delle quote sociali e, dunque, anche sulla misura di partecipazione concretamente posseduta dagli altri soci.

 

Nella s.r.l., il contratto di trasferimento deve, post riforma, però, essere depositato, entro 30 giorni dalla sua conclusione, a cura del Notaio autenticante, presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della società emittente, e il trasferimento è efficace nei confronti della società solo dopo che l’alienante o l’acquirente abbiano richiesto e ottenuto dalla società, documentando il contratto e l’avvenuto deposito presso il registro delle imprese, l’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci. Solo con l’iscrizione nel libro soci l’acquirente acquista la qualità di socio ed i diritti connessi alla partecipazione.

L’iscrizione nel libro dei soci è un atto dovuto da parte dell’organo amministrativo, il quale deve provvedervi senza alcun diritto di sindacare il contenuto della cessione.

Se l’organo amministrativo si rifiutasse di procedere all’iscrizione nel libro soci del trasferimento si potrebbe esperire anche la procedura di cui all’art. 700 c.p.c (<può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito >).

art. 2470 c.c.   efficacia e pubblicità [69]

Il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal momento del deposito di cui al successivo comma [70].

L’atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. In caso di trasferimento a causa di morte il deposito è effettuato a richiesta dell’erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l’annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni [71].

Se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, quella tra esse che per prima ha effettuato in buona fede [equiparato all’ acquisto in buona fede del possesso ex art. 1155 c.c.[72] – chi ha provveduto all’iscrizione in mala fede dovrà soccombere di fronte a chi, sia pure posteriormente, abbia in buona fede iscritto il suo titolo] l’iscrizione nel registro delle imprese è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.

Quando l’intera partecipazione appartiene ad un solo socio o muta la persona dell’unico socio, gli amministratori devono depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese una dichiarazione contenente l’indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell’unico socio [73].

Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l’iscrizione nel registro delle imprese.

L’unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti.

Le dichiarazioni degli amministratori previste dai commi quarto e quinto devono essere depositate entro trenta giorni dall’avvenuta variazione della compagine sociale [74].

La circolazione delle quote della S.r.l. deve avvenire mediante la redazione di un apposito atto di cessione, da depositare entro 30 giorni per l’iscrizione nel Registro delle Imprese nella forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata a cura del notaio e, altresì, nella forma di documento informatico sottoscritto con firma digitale a cura di un intermediario abilitato.

Entro lo stesso termine l’atto di cessione deve essere registrato presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate, previo versamento dell’imposta di registro.

Per il Tribunale Vicentino [75] la disposizione di cui all’art. 36 comma 1 bis, l. 2008/133 impone sempre che la sottoscrizione con firma digitale del professionista-intermediario venga autenticata dal notaio, in ossequio all’iter stabilito dall’art. 2470, comma 2, c.c.

Secondo il Tribunale Pavese [76] sono iscrivibili nel Registro delle imprese le domande giudiziali e le sentenze afferenti il trasferimento delle quote sociali, e ciò interpretando estensivamente l’art. 2470 c.c., e, segnatamente, il termine “atto di trasferimento”. È del resto, questa, la ratio ispiratrice della pubblicità commerciale, il cui scopo è quello di rendere manifesti tutti i fatti relativi alla titolarità delle quote sociali.

Inoltre, come stabilito anche da una pronuncia del Tribunale Milanese [77] può essere iscritta nel Registro imprese la domanda giudiziale di rivendicazione ex art. 948 c.c.[78] di quota sociale, atteso che il principio di tassatività delle iscrizioni va conciliato con il principio di completezza, principio il quale comporta che siano iscrivibili, anche in difetto di una espressa previsione normativa, tutti gli atti modificativi di situazioni soggette ad iscrizione, così potendo darsi luogo ad una interpretazione (non analogica delle norme in materia di pubblicità immobiliare ma) estensiva della disciplina ex art. 2470 c.c.

Mentre, per altro Tribunale [79] va rigettata la domanda di iscrizione nel Registro delle Imprese dell’atto di citazione diretto ad ottenere una declaratoria di simulazione [80] dell’atto di trasferimento di quote di una s.r.l. considerato che l’art. 2470 c.c., che si occupa degli effetti dell’iscrizione del trasferimento di quote, prevede una norma risolutiva del conflitto nell’ipotesi di più trasferimenti con successivi contratti, affermando il prevalere del soggetto che ha iscritto per primo, mentre non è disciplinato dalla legge l’effetto prenotativo della trascrizione della domanda come previsto dall’art. 2652 c.c. per i beni immobili.

A seguito dell’abolizione dell’obbligo di tenuta del libro soci per le S.r.l., è divenuto necessario comunicare alla Camera di commercio di competenza tutte le variazioni concernenti la compagine sociale della società a responsabilità limitata.

In mancanza, ogni variazione alla compagine sociale, oltre a non essere opponibile a terzi, non potrà esserlo neanche nei confronti dei soci e della società. L’unico documento ufficiale idoneo a certificare la proprietà di una quota di una S.r.l., diviene la visura camerale rilasciata dal Registro delle Imprese. L’eventuale certificato di quota rilasciato dalla società è un documento che attesta la titolarità dei diritti sociali ma è privo di qualsiasi valore ufficiale e non costituisce uno strumento per la circolazione delle quote.

In effetti, nel caso di trasferimento di quote di s.r.l., l’art. 2470 c.c. regola la forma del trasferimento – manifestazione del consenso per iscritto con sottoscrizione autenticata dal notaio – solo perché sia opponibile alla società e ai terzi, e dunque consentirne l’iscrizione nel registro delle imprese, mentre nei rapporti inter partes, in virtù del principio di libertà delle forme, la cessione è valida, e quindi produttiva dei suoi effetti, in forza del semplice consenso dalle medesime espresso [81].

In merito all’opponibilità, però, a mente di una sentenza del Tribunale Scaligero [82] è sempre salva la possibilità di provare in capo ai terzi la conoscenza effettiva dell’atto di cessione, nonostante la sua formale inopponibilità in difetto di iscrizione ai sensi dell’art. 2470 c.c.

Infine, secondo una pronuncia del Tribunale di Lucca [83] la domanda giudiziale di revocatoria ex art. 2901 c.c. di un atto di cessione di quote di una s.a.s. dal socio accomandatario al socio accomandante non può essere iscritta sul registro delle imprese in quanto: a) il sistema di pubblicità di impresa non conosce il meccanismo dell’effetto prenotativo della domanda giudiziale, né è possibile importarlo dalla disciplina speciale della trascrizione immobiliare, non applicabile né estensivamente, né analogicamente; b) la mera opponibilità ai terzi della domanda, derivante dall’eventuale iscrizione, non ha alcuna utilità pratica, in mancanza del suddetto effetto prenotativo; c) il suddetto effetto prenotativo della pubblicità della domanda giudiziale non appare essenziale a soddisfare l’esigenza giurisdizionale dei diritti atteso che l’eventuale prevalenza dell’acquisto perfezionato dal terzo nelle more del giudizio, in pregiudizio dell’attore, troverebbe comunque tutela sul piano risarcitorio; d) ulteriore ostacolo, nel campo delle società personali, è rappresentato dall’assenza di una norma analoga a quella che si vorrebbe interpretare estensivamente (l’art. 2470 c.c. dettato per le sole società a responsabilità limitata).

2. Il trasferimento della quota del socio d’opera

1 –   Caso in cui l’opera sia stata portata a termine

Le quote corrispondenti sono state completamente liberate e nessun problema può porsi.

2 – Caso in cui l’opera sia ancora in corso

In tal caso le quote corrispondenti dell’opera che il socio si è obbligato a prestare debbono intendersi interamente liberate all’atto della sottoscrizione, e, quindi ancora prima che la promessa venga per intero portata a termine.

A – prestazione fungibile – l’opera può essere continuata dal soggetto acquirente che subentra nella posizione di socio.

In questo caso il prezzo della cessione terrà conto del fatto che l’opera non è stata interamente espletata, venendo in rilievo la decurtazione del valore della residua prestazione che l’acquirente divenuto nuovo socio dovrà continuare a prestare. In capo a questi graverà l’obbligo di prestare la garanzia ai sensi dell’art. 2464 co 6, se il cedente pretende di essere liberato dai suoi obblighi e la restituzione della garanzia a suo tempo prestata.

B – prestazione infungibile – non si può immaginare una continuazione dell’opera da parte dell’avente causa.

Per la società sorge il problema relativo alla necessità di acquisire la somma di denaro corrispondente al residuo valore della prestazione che deve ancora essere eseguita.

  • il socio originario può continuare a prestare la propria opera, nonostante abbia ceduto la sua quota;
  • si può avere l’escussione della garanzia a fronte del mancato completamento dell’opera promessa da parte del socio d’opera;
  • l’avente causa può versare il controvalore dell’opera ancora da eseguire.

 

3. I limiti alla circolazione delle quote

art. 2469 II CO c.c. trasferimento delle partecipazioni ………………..
Qualora l’atto costitutivo preveda 1) l’intrasferibilità delle partecipazioni o 2) ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 2473. In tali casi l’atto costitutivo può stabilire un termine, non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può essere esercitato.

I limiti convenzionali trovano maggiore vitalità e spazio nelle s.r.l., rispetto alle S.p.A., essendo possibile, come anche prima della riforma del 2003, il divieto assoluto di circolazione delle quote senza limiti temporali (divieto relativo). Questo perché il carattere strettamente personalistico della struttura organizzativa della società rende, talvolta, ancora più sentita l’esigenza di lasciare inalterata la compagine sociale iniziale, evitando così l’ingresso di terzi che potrebbero minare il rapporto di fiducia tra i soci. Tali limiti possono avere:

  • efficacia obbligatoria – inopponibili ai terzi – se contenuti in atti separati (es. sindacati di blocco);
  • efficacia reale – opponibili ai terzi – se contenuti nello statuto

Nonostante il legislatore non ne faccia menzione (a differenza della S.p.A. in cui l’art. 2455 bis, co I legittima tali tipi di clausole), possono essere introdotte nell’atto costitutivo anche le clausole di prelazione [84], con le quali ciascun socio si obbliga, nel caso in cui intenda trasferire le quote, ad offrirle preventivamente ad altri soci, preferendoli rispetto ai terzi a parità di condizioni.

Con una non recente pronuncia la Cassazione [85] è intervenuta specificando che le clausole degli atti costitutivi di società a responsabilità limitata che stabiliscono il diritto di prelazione degli altri soci in caso di trasferimento di quote sociali per atto tra vivi (le quali clausole, una volta adempiute le formalità di legge relative alla pubblicità dello statuto e dell’atto costitutivo, debbono presumersi note ed opponibili a tutti), oltre ad essere indirizzate alla tutela del patrimonio sociale, consacrano altresì un vero e proprio diritto dei soci uti singuli. Con la conseguenza che, con l’interesse della società all’osservanza del patto di prelazione, concorre — ma in via autonoma — anche l’interesse dei singoli soci, i quali potranno, quindi, in virtù del diritto proprio di cui sono titolari, reagire alla violazione della clausola di prelazione deducendo la nullità del trasferimento della quota non solo nei confronti del socio inadempiente ma anche in quelli del terzo acquirente, anche se manchi analoga reazione da parte della società. Posto che la clausola statutaria di prelazione opera in modo reale, creando un vero e proprio vincolo obiettivo di intrasferibilità che, se inosservata, produce la nullità del contratto stipulato in violazione di esso, e ammissibile la condanna del terzo acquirente al risarcimento del danno.

Principio successivamente ripreso da altra pronuncia della Cassazione [86], secondo la quale, appunto, il diritto di prelazione può essere soddisfatto rivolgendo al terzo che ne è titolare, sia la proposta corrispondente al contratto definitivo, riguardante il bene che ne è oggetto, sia quella corrispondente al preliminare, essendo entrambi vincolativi per le parti e quindi tali da costituire il presupposto necessario e sufficiente per poter richiedere al terzo il tempestivo esercizio del diritto di prelazione a lui spettante.

Inoltre, è stato precisato [87] che la clausola dell’atto costitutivo di una società a responsabilità limitata, la quale contempli il diritto di prelazione degli altri soci in caso di trasferimenti di quote sociali per atti tra vivi, con la conseguenziale inefficacia delle alienazioni disposte senza consentire l’esercizio di detto diritto, può essere intesa come comprensiva anche dei trasferimenti a titolo gratuito solo in presenza di un’espressa previsione in tal senso, tenendo conto che l’istituto della prelazione, traducendosi nella sostituzione di un soggetto all’altro nella posizione di acquirente dietro un predeterminato corrispettivo, è naturalmente riferibile ai soli trasferimenti onerosi, e che, inoltre, una prelazione estesa ai trasferimenti gratuiti assumerebbe la sostanziale consistenza di un divieto di questi ultimi, cioè di una specifica deroga alla regola della trasferibilità della quota (art. 2479 c.c.).

Per una pronuncia di merito [88] qualora un soggetto vincolato dal patto di prelazione intenda vendere il bene che ne è oggetto, lo stesso è obbligato a non concludere il contratto con terzi fino a che il titolare del diritto abbia dichiarato di non accettare, ovvero non abbia accettato nel termine convenuto, e, altresì, a comunicare all’avente diritto alla prelazione le proposte da lui fatte o che intende fare a terzi una volta determinatosi alla conclusione del contratto. Nella fattispecie, trattandosi di cessione di quote sociali, il Tribunale ha ritenuto inefficace fra le relative parti, la società ed il socio pretermesso, il contratto di compravendita di quota concluso in violazione della clausola di prelazione inserita nello statuto.

In merito, infine, con ultima pronuncia, la Corte di Piazza Cavour [89] ha stabilito che la clausola di prelazione prevista dallo statuto di una società a responsabilità limitata è dettata nell’interesse dei soci che intendono garantirsi contro il rischio di mutamento della compagine sociale; peraltro, in caso di retrocessione di quote oggetto di intestazione fiduciaria non vi è, dal punto di vista sostanziale, mutamento nelle persone dei soci, operando il fiduciante nell’interesse e secondo le istruzioni del mandante; pertanto, il fiduciante, che sia titolare di proprie quote, non può invocare il diritto di prelazione, in quanto il trasferimento delle quote al mandante fa parte del pactum fiduciae.

Sul punto è tornata nuovamente la Cassazione

Corte di Cassazione, serzione I, sentenza 2 dicembre 2015, n. 24559

riaffermando i seguenti principi:

A) Non sussiste un danno “in re ipsa” in caso di violazione della clausola statutaria attributiva di un diritto di prelazione del socio per l’acquisto della partecipazione societaria, poiché la stessa assolve ad una funzione organizzativa per un interesse sociale e non del singolo socio. Ne discende che grava su quest’ultimo l’onere di allegare e dimostrare un suo specifico interesse all’acquisto della partecipazione societaria, rimasto pregiudicato dalla condotta violativa, potendo, solo in tal caso, giustificarsi l’eventuale liquidazione equitativa del danno ai sensi dell’articolo 1226 c.c., in ragione dell’impossibilità o notevole difficoltà di una sua precisa quantificazione.

B) La violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta l’inopponibilità nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione della cessione della partecipazione societaria (che resta, però, valida tra le parti stipulanti), nonché l’obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, alla stregua delle norme generali sull’inadempimento delle obbligazioni. Per contro, siffatta violazione non comporta anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell’acquirente, atteso che il c.d. retratto non integra un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela specificamente apprestata dalla legge e conformativa dei diritti di prelazione, previsti per legge, spettanti ai relativi titolari.

Per ciò che concerne in particolare il trasferimento mortis causa [90], è possibile sia prevedere il divieto assoluto di trasmissione mortis causa, sia la possibilità di apporre limiti o condizioni alla libera trasmissibilità mortis causa (clausole di gradimento, di mero gradimento e di prelazione), sia, infine, inserire una clausola che preveda la consolidazione della quota in capo ai soci superstiti, i quali sono tenuti a corrispondere il valore agli eredi (c.d. clausola di consolidazione o di concentrazione automatica).

In tema, per recente cassazione [91] il contratto di vendita della quota di una società di capitali caduta in successione mortis causa, concluso da alcuni coeredi sull’assunto dell’attuale piena titolarità dei diritti di partecipazione sociale, la quale poteva, invece, esser loro riconosciuta soltanto all’esito del pendente giudizio di divisione, non avendo ad oggetto la quota di eredità spettante agli stessi cedenti, non è volto a far subentrare l’acquirente nella comunione ereditaria e rimane, pertanto, inopponibile ad altro coerede rimasto estraneo all’alienazione, neppur rilevando rispetto a tale alienazione l’esercizio della prelazione di cui all’art. 732 c.c.; né l’opponibilità di detta cessione nei confronti del comproprietario non partecipe al negozio può essere affermata ricostruendo l’accordo come vendita di quota indivisa dei soli diritti sociali, ai sensi dell’art. 1103 c.c., in quanto anche un tale atto di disposizione riveste un’efficacia meramente obbligatoria, condizionata all’attribuzione del bene, in sede di divisione, ai coeredi alienanti.

In mancanza di una normativa espressa, forse è ancora preferibile [92] la tesi della giurisprudenza, secondo la quale la introduzione delle clausole limitative della circolazione durante il corso della vita della società necessita dell’unanimità dei consensi, e non già della maggioranza, sufficiente, invece, per la soppressione delle stesse clausole.

D’altra parte [93], la mancata ripetizione nella s.r.l. della previsione di recesso prevista, invece, per le S.p.A. induce a ritenere che, stante il carattere fortemente personalistico della s.r.l., sia sempre necessaria una decisione unanime, sia per la introduzione che per la soppressione sia delle clausole di gradimento che per quelle di prelazione.

La legittimità delle clausole di gradimento

discende dal fatto che nella s.r.l. è ammessa la clausola d’intrasferibilità assoluta.

Di conseguenza non può non dirsi legittima una clausola che subordina la circolazione al placet seppure immotivato di determinati soggetti.

Per la S.C.[94] allorché la cessione della quota di una società a responsabilità limitata sia, per statuto, subordinata al gradimento dell’amministratore, è sufficiente che tale gradimento sia manifestato riguardo al contratto preliminare stipulato fra il cedente e il cessionario perché la società sia tenuta ad eseguire l’iscrizione nel libro dei soci del trasferimento definitivo della quota stessa a norma dell’art. 2479 c.c.

 

4. I vincoli sulle quote

Altra novità introdotta dalla riforma del 2003 è quella che risulta dall’art. 2471 bis c.c., che prevede espressamente che la quota di s.r.l. possa essere oggetto di pegno, usufrutto [95] e sequestro.

La norma richiama l’art. 2352 c.c. dettato in materia di s.p.a. per la disciplina del diritto di voto e del diritto di opzione relativi alle quote oggetto di pegno o usufrutto.

Con riferimento al momento costitutivo di tali diritti i meccanismi sono analoghi a quelli della cessione, con conseguente applicazione della legge Mancino; l’atto di costituzione del diritto di pegno o di usufrutto, autenticato da notaio, verrà iscritto nel Registro delle imprese; successivamente il creditore pignoratizio o l’usufruttuario otterranno l’iscrizione nel libro soci, presupposto per l’esercizio da parte di questi ultimi dei diritti sociali loro riconosciuti attraverso il richiamo all’art. 2352 c.c.

Il vincolo sulla quota si perfeziona per effetto del semplice consenso (1376 c.c.) non prevedendo il legislatore alcuna forma particolare ai fini della validità del vincolo.

L’atto di costituzione dell’usufrutto e del pegno sulle quote di società a r.l., anche se perfezionabile a mezzo del semplice consenso dei contraenti, richiede, tuttavia, la forma della scrittura privata autenticata che deve essere depositata presso il Registro delle imprese, ai fini dell’opponibilità del vincolo verso la stessa società.

 

art. 2471 bis c.c.   pegno, usufrutto e sequestro [conservativo o giudiziario] della partecipazione

La partecipazione può formare oggetto di pegno, usufrutto e sequestro. Salvo quanto disposto dal terzo comma dell’articolo che precede, si applicano le disposizioni dell’articolo 2352 c.c.

Si è sostenuto, in particolare in giurisprudenza, che il sequestro giudiziario è un istituto generale applicabile a tutti i beni in senso lato, fra i quali rientra la quota di soci di società a r.l., rispetto alla quale si può prospettare l’opportunità di provvedere alla gestione temporanea nelle more della definizione del giudizio iniziato per il riconoscimento della titolarità della quota.

Il legislatore non distingue tra sequestro giudiziario e sequestro conservativo, facendo intendere così che il riferimento generico al sequestro non esclude anche il sequestro giudiziario.

art. 670 c.p.c.   sequestro giudiziario

il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario:
1) di beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni, quando ne è controversa la proprietà o il possesso, ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea;
2) di libri, registri, documenti, modelli, campioni e di ogni altra cosa da cui si pretende desumere elementi di prova, quando è controverso il diritto alla esibizione o alla comunicazione, ed è opportuno provvedere alla loro custodia temporanea.

Per la S.C.[96], poiché, come già scritto, la quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata esprime una posizione contrattuale obiettivata che va considerata come bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro ai sensi dell’art. 812 c.c., onde ad essa possono applicarsi, a norma dell’art. 813 c.c., le disposizioni concernenti i beni mobili e, in particolare, la disciplina delle situazioni soggettive reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene, giacché la quota, pur non configurandosi come bene materiale al pari dell’azione, ha tuttavia un valore patrimoniale oggettivo, costituito dalla frazione del patrimonio che rappresenta, e va perciò configurata come oggetto unitario di diritti e non come un mero diritto di credito; ne consegue che le quote di partecipazione ad una società a responsabilità limitata possono essere oggetto di sequestro giudiziario e, avendo il sequestro ad oggetto i diritti inerenti la suddetta quota, ben può il giudice del sequestro attribuire al custode l’esercizio del diritto di voto nell’assemblea dei soci ed eventualmente, in relazione all’oggetto dell’assemblea, stabilire i criteri e i limiti in cui tale diritto debba essere esercitato nell’interesse della custodia.

art. 671 c.p.c.   sequestro conservativo

il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle somme e cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento

 

Per quanto riguarda il diritto di voto, il legislatore ha espressamente stabilito che questo spetti, salvo diversa pattuizione, al creditore pignoratizio (art. 2352 c.c.).

La giurisprudenza [97], è orientata a ritenere che il creditore titolare, salvo patto contrario, del diritto di voto incontri, come unico limite nell’esercizio dello stesso, quello rappresentato dal divieto di votare in odium socii, il che vuole dire che il voto stesso deve risultare coerente con la ratio della sua attribuzione (tutelare la garanzia patrimoniale del creditore) potendo anche risultare diverso da quello che avrebbe esercitato il socio, purché ciò non sfoci in interessi meramente egoistici o, peggio, in finalità emulatorie in danno al socio debitore, i quali non inficerebbero la validità della delibera assembleare ma rileverebbero solo a livello di rapporti interni tra debitore e creditore, potendo dar luogo a un’azione per risarcimento dei danni.

Anche al fine di evitare il pericolo appena menzionato, nel contratto costitutivo del vincolo le parti possono, in deroga a quanto previsto dalla norma citata, stabilire che il diritto di voto resti in capo al soggetto debitore, con la previsione di determinati correttivi volti a tutelare anche le ragioni del creditore pignoratizio.

Tra i diritti strettamente correlati al diritto di voto in assemblea, il diritto di impugnazione delle delibere assembleari riveste un ruolo preminente a causa dell’incidenza che lo stesso può avere sugli assetti societari.

Ne deriva che, in assenza di un dato legislativo univoco (infatti l’ultimo comma del novellato art. 2352 c.c. recita: «i diritti amministrativi diversi da quelli previsti nel presente articolo spettano, nel caso di pegno od usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio»), l’attribuzione di tale diritto in capo al socio debitore o al creditore pignoratizio non è di secondaria importanza.

Per quanto attiene l’attribuzione del diritto di recesso [98], pacifica (anche dopo la riforma del 2003) è l’opinione secondo la quale esso spetta in via esclusiva al socio.

Ciò in base a ragioni sia di ordine sistematico (l’art. 2437 c.c., in tema di recesso, parla esclusivamente del socio), sia di ordine logico: se il legislatore ha espressamente riconosciuto al socio debitore la titolarità del diritto di opzione al fine di tutelare e preservare la misura della sua partecipazione all’interno della compagine sociale, è evidente come al solo socio possa spettare la decisione di porre fine al rapporto sociale.

Per quanto concerne gli altri diritti amministrativi (diritto di intervento, diritto di informazione, diritto di chiedere il rinvio dell’assemblea), ne viene riconosciuta quasi pacificamente l’attribuzione in capo al creditore pignoratizio, in base alla stretta connessione di tali diritti con quello di voto.

Infine, per ciò che riguarda il riconoscimento del diritto alla percezione degli utili relativamente alle azioni costituite in pegno, questo spetta, salvo patto contrario che dovrà essere specificato nella scrittura costitutiva del vincolo, al creditore pignoratizio, sulla base del disposto di cui all’art. 2791 c.c.

Le somme percepite a titolo di dividendo potranno ben essere scomputate dal credito vantato nei confronti del socio debitore.

Costituisce un’eccezione alla regola il caso in cui il pegno sulle azioni venga a cessare prima della chiusura dell’esercizio sociale e della distribuzione dei dividendi; in questo caso le utilità economiche non spetteranno più al creditore, mancando il presupposto giuridico per la loro riscossione.

5. Espropriazione forzata

Sul punto la Cassazione [99], come già scritto in precedenza ma è opportuno risegnalare, ha stabilito che la quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata esprime una posizione contrattuale obiettivata, che va considerata come bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro ai sensi dell’art. 812 c.c., per cui ad essa possono applicarsi, a norma dell’art. 813, ultima parte, c.c., le disposizioni concernenti i beni mobili e, in particolare, la disciplina delle situazioni soggettive reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene, poiché la quota, pur non configurandosi come bene materiale al pari dell’azione, ha tuttavia un valore patrimoniale oggettivo, costituito dalla frazione del patrimonio che rappresenta, e va perciò configurata come oggetto unitario di diritti; ne consegue che le quote di partecipazione ad una società a responsabilità limitata possono essere oggetto di pignoramento nei confronti del socio che ne è titolare, a nulla rilevando il fallimento della società, che è terzo rispetto al processo esecutivo, cui pertanto non si applica l’art. 51 legge fall.

art. 2471 c.c.   espropriazione della partecipazione [100]

La partecipazione può formare oggetto di espropriazione. Il pignoramento si esegue mediante notificazione al debitore e alla società e successiva iscrizione nel registro delle imprese [101].

L’ordinanza del giudice che dispone la vendita della partecipazione deve essere notificata alla società a cura del creditore.

Se la partecipazione non è liberamente trasferibile e il creditore, il debitore e la società non si accordano sulla vendita della quota stessa, la vendita ha luogo all’incanto; ma la vendita è priva di effetto se, entro dieci giorni dall’aggiudicazione, la società presenta un altro acquirente che offra lo stesso prezzo.

Le disposizioni del comma precedente si applicano anche in caso di fallimento di un socio.

Con recente pronuncia di merito il tribunale parmense [102] ha affermato che nel pignoramento di quote di srl, si deve considerare superata la tesi del pignoramento presso terzi, a favore di un procedimento esecutivo ad hoc, del tutto nuovo ed estraneo allo schema dell’espropriazione presso terzi, da svolgersi mediante notifica al debitore ed alla società di un atto complesso e la sua successiva iscrizione nel registro delle imprese, senza dover invitare la società a rendere la dichiarazione del terzo di cui all’art. 547 c.p.c. e tanto meno instaurare il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo. Visto che l’art. 2471 c.c. prevede che l’ordinanza che dispone la vendita da parte del GE debba essere notificata alla società a cura del creditore procedente, se ne desume che, dal momento della notifica al debitore esecutato dell’atto di pignoramento della quota decorra il termine di novanta giorni di cui all’art. 497 c.p.c. per formulare l’istanza di vendita e che, da questo punto di vista, la fase finale del pignoramento della quota di srl torni nel solco della procedura espropriativa mobiliare.

Tale pronuncia segue quella del Tribunale di Udine [103] secondo la quale l’art. 2471 c.c., il quale disciplina compiutamente le modalità di esecuzione della espropriazione delle quote di società a responsabilità limitata, non contiene alcun richiamo alla espropriazione presso terzi del codice di procedura civile, né prescrive che la società sia chiamata a comparire ad apposita udienza per rendere le dichiarazioni previste dall’art. 547 c.p.c..

Tutto ciò porta ad escludere che il pignoramento di quote di società a responsabilità limitata debba essere effettuato nelle forme del pignoramento presso terzi, mentre la previsione della notifica del pignoramento alla società ha lo scopo di rendere ad essa opponibile il vincolo pignoratizio e di ottenere la collaborazione dell’amministratore con particolare riferimento alla annotazione nel libro soci.

In merito, poi, al III comma dell’art. 2741, secondo la S.C.[104], qualora, pur in presenza di una clausola statutaria di previsione della necessità del consenso del consiglio di amministrazione per il trasferimento delle quote, la facoltà di designare un altro acquirente in sostituzione dell’aggiudicatario sia stata esercitata dal presidente del consiglio di amministrazione, quale legale rappresentante della società, senza una conforme deliberazione di detto consiglio, la relativa questione non è deducibile con l’opposizione agli atti esecutivi da parte dell’aggiudicatario, neppure se questi sia socio della società (come nella specie), poiché, concernendo una violazione di norme attinenti alla formazione della volontà sociale, non integra una questione afferente alla validità della rappresentanza in giudizio della società ai fini della dichiarazione di designazione e, quindi, all’atto processuale di designazione.

6. Riserve di utili

Il D.L. 76/2013 ha previsto l’obbligo per la S.r.l. a capitale minimo di accantonare in ciascun esercizio una quota pari almeno al 20% degli utili netti risultanti dal bilancio nella riserva legale, fino a che il patrimonio netto della società non abbia raggiunto la soglia di e 10 mila; dopo di che torna vigente la regola ordinaria (5% degli utili fino a un quinto del capitale sociale).

Per la S.r.l. ordinaria e la S.r.l. semplificata resta la regola ordinaria di destinare in ciascun esercizio una quota pari almeno al 5% degli utili netti risultanti dal bilancio alla riserva legale, fino a che questa abbia raggiunto un ammontare pari a un quinto del capitale sociale.

Riserva di utili
Forma societaria Destinazione utile d’esercizio
S.r.l. ordinaria 5% degli utili Riserva legale (fino a un quinto del capitale sociale)
S.r.l. semplificata 5% degli utili Riserva legale (fino a un quinto del capitale sociale)
S.r.l. ordinaria a capitale minimo 20% degli utili Riserva legale (fino a Euro 10.000)

I limiti alla disponibilità della riserva legale rimangono gli stessi per tutte le forme di S.r.l. La riserva legale non potrà essere distribuita ai soci.

Essa potrà essere utilizzata per imputarla a capitale sociale o per la copertura di eventuali perdite dopo che, a tale scopo, sono state utilizzate tutte le altre riserve disponibili e distribuibili e prima di erodere il capitale sociale. Se viene diminuita, per qualsiasi ragione, al di sotto del minimo legale, la riserva dovrà essere reintegrata con gli utili degli esercizi successivi.

7. Responsabilità dell’alienante

[105]

art. 2472 c.c. [106]   responsabilità dell’alienante per i versamenti ancora dovuti

Nel caso di cessione della partecipazione l’alienante è obbligato solidalmente con l’acquirente, per il periodo di tre anni dall’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese [107], per i versamenti ancora dovuti.

Il pagamento non può essere domandato all’alienante se non quando la richiesta al socio moroso è rimasta infruttuosa.

8. Le operazioni della società sulle proprie quote

Il divieto posto dalla disposizione ex art. 2474 c.c. trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di tutelare l’integrità del patrimonio sociale e di evitare operazioni di annacquamento del capitale.

art. 2474 c.c.   operazioni sulle proprie partecipazioni

in nessun caso la società può acquistare o accettare in garanzia partecipazioni proprie, ovvero accordare prestiti o fornire garanzia per il loro acquisto o la loro sottoscrizione

Perla S.C.[108] il principio inderogabile enunciato dall’art. 2483 c.c. (nel testo applicabile ratione temporis, ora sostituito dall’art. 2474 c.c.) — per il quale in nessun caso la società a responsabilità limitata può acquistare o ricevere in pegno le proprie quote — posto a tutela degli interessi dei creditori, dei soci e della società, comporta l’invalidità di ogni operazione che, comunque eseguita, tenda a conseguire risultati analoghi. Pertanto, in caso di cessione di quote di una società a responsabilità limitata, la stessa società non può validamente accollarsi il pagamento dovuto da chi ha acquistato tali quote. In altre parole, la violazione del divieto d’acquisto delle quote proprie comporti la nullità assoluta ed insanbile dell’acquisto. Mentre la violazione del divieto di sottoscrizione diretta o indiretta di proprie partecipazioni dovrebbe essere quella prevista dall’art. 2357 quarter per la sottoscrizione di azioni proprie.

Mentre, con altra pronuncia la Cassazione [109], ante riforma, ha stabilito che la disposizione dell’art. 2483 c.c. (ora sostituito dall’art. 2474 c.c.) — la quale fa divieto alla società, a garanzia dell’integrità del capitale sociale, di acquistare proprie quote — non osta a che essa possa vendere le quote del socio quali beni altrui [110], ai sensi dell’art. 1478 c.c., ossia assumendo l’obbligo di procurarne l’acquisto al compratore, dato che l’automatismo e l’immediatezza del trasferimento al compratore stesso di dette quote evita, nel momento in cui siano conseguite dalla società, che questa divenga «partecipante di se stessa», con pregiudizio della consistenza del capitale.

Inoltre, non rientra nel divieto di concedere prestiti o garanzie per l’acquisto delle proprie quote, posto a carico delle società a responsabilità limitata dall’art. 2483 c.c., l’adempimento, ancorché preordinato alla cessione, di pregresse e distinte obbligazioni della società nei confronti del socio cedente[111].

Ancora, per la medesima Cassazione [112], il divieto di accordare prestiti o fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di proprie partecipazioni, in quanto volto a garantire l’effettività del capitale sociale (e le regole di versamento almeno parziale del capitale sottoscritto), non trova applicazione nell’ipotesi in cui la società rinunci a perseguire ulteriormente una pretesa creditoria litigiosa nei confronti dell’acquirente o del sottoscrittore: in tale ipotesi, infatti, diversamente da quanto accade in caso di rinuncia ad un credito certo, l’aumento di capitale non si concretizza in un apporto proveniente in sostanza dal patrimonio della società stessa, senza immissione di ricchezza nuova da parte del sottoscrittore, non potendosi porre la rinuncia ad una mera possibilità (l’esito vittorioso della lite) sullo stesso piano della mancata acquisizione di un valore patrimoniale sicuramente esistente.

Infine, è da ritenersi legittimo l’acquisto di proprie quote da parte della società finalizzato al loro annullamento ed alla corrispondente riduzione del capitale sociale.

8) Il recesso del socio

Andando adesso ad approfondire il recesso del socio della s.r.l. già con la legge delega si è previsto di consentire allo statuto di ampliare le cause di recesso e di individuare criteri di determinazione del valore della partecipazione del recedente che contemperassero i suoi interessi con l’esigenza di tutelare l’integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori, il tutto nel quadro di una concezione del recesso come estremo, ma efficace mezzo di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali dell’operazione cui partecipa[113].

Il principio ispiratore della riforma è stato inquadrato, in altre parole,

  • nella salvaguardia dei diritti del recedente trasfusa in norme che hanno ampliato i casi in cui il socio può esercitare il diritto;
  • in norme che garantiscono la corretta valutazione della partecipazione del recedente [114].

Nel ventaglio generale molte norme per il recesso previste per le S.p.a. sono applicabili per analogia alle società a r.l. ma nell’ambito del recesso del socio non lo sono alcune cause previste specificamente per le S.p.a. ovvero:

  1. l’art. 2437 – II co lettera a) e b) <la modifica della clausola dell’oggetto sociale, quando consente un cambiamento dell’attività della società>, <la trasformazione della società>;
  2. l’art. 2437 – I co numero 6 <la modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso>;
  3. l’art. 2437 ter IV co <lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione.>

Dunque nello specifico la disciplina codicistica prevede all’art. 2473 le forme, i modi ed i presupposti per il recesso del socio nelle s.r.l. dove è lasciata, come testè detto, ampia autonomia all’atto costitutivo; infatti l’atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità.

In ogni caso (ossia inderogabilmente) il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito (sia il socio assente o dissenziente)

  • al cambiamento dell’oggetto (secondo un autore [115] – verrà in rilievo non solo la sua sostituzione, ma anche il suo ampliamento o la sua riduzione ed in genere ogni delibera che importi un’alterazione delle originarie condizioni d’investimento, con esclusione delle sole ipotesi di mera specificazione, di persè inidonee a determinare un mutamento delle condizioni di rischio connesse all’originaria previsione statutaria: basti pensare alla mera specificazione di alcune attività accessorie all’attività principale) o del tipo (rectius trasformazione) di società,
  • alla sua fusione o scissione,
  • alla revoca dello stato di liquidazione,
  • al trasferimento della sede all’estero,
  • alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo e
  • al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto della società determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’articolo 2468 IV co.

Restano salve le disposizioni in materia di recesso per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento.

Al II co è previsto che <nel caso di società contratta a tempo indeterminato il diritto di recesso compete al socio in ogni momento (Recesso ad nutum) e può essere esercitato con un preavviso di almeno 6 mesi (180 giorni); l’atto costitutivo può prevedere un periodo di preavviso di durata maggiore purché non superiore ad un anno.[116]>

In tema, da ultimo è intervenuta la S.C.[117] la quale ha affrontato una controversia in merito all’assimibilità o meno di una durata statutaria prevista per il 2100 a una durata a tempo indeterminato e ciò, evidentemente, al fine di ritenere se, di fronte a una durata della società fissata in epoca lontana e tale da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo, sussistano le stesse ragioni che hanno indotto il legislatore ad attribuire il diritto di recesso nelle società contratte a tempo indeterminato.

La risposta, si continua a leggere nella sentenza, a tale interrogativo non può che essere, a giudizio della Corte, positiva.

Sono decisive a tal fine delle considerazioni di ordine sistematico che registrano, da un lato, la conformazione delle società personali sul tempo di vita delle persone fisiche (art. 2285 c.c.).

Per altro verso la necessità di distinguere la funzione che nel diritto societario, nel suo complesso, può avere la fissazione della previsione di durata dell’ente. Tale funzione ha lo scopo di optare per una determinazione dell’aspettativa di vita di una società in funzione della possibilità che il progetto di attività, che con essa si intende perseguire, possa essere, sia pure indicativamente, determinato.

Laddove, invece, nel caso dell’impossibilità della determinazione prevalgono ragioni di perpetuità del progetto o limiti di individuazione prognostica dello spazio temporale necessario e/o programmato.

In tale quadro di riferimento generale è evidente che una data oltremodo lontana nel tempo ha, almeno di norma, l’effetto di far perdere qualsiasi possibilità di ricostruire l’effettiva volontà delle parti circa l’opzione fra una durata a tempo determinato o indeterminato della società.

Cosicchè tale indicazione si risolve o in un mero esercizio delimitativo che equivale nella sostanza al significato della mancata determinazione del tempo di durata della società ovvero in un sostanziale intento elusivo degli effetti che si produrrebbero con la dichiarazione di una durata a tempo indeterminato. Evidente in quest’ultimo caso la necessità di un intervento correttivo dell’interprete che garantisca il riconoscimento della tutela accordata dal legislatore al socio in una società che non preveda una determinazione del tempo della sua durata.

Inoltre, va registrato l’orientamento del legislatore della riforma del diritto societario che è consistito nel potenziare il diritto di recesso, specificamente nella forma della s.r.l., i cui dati distintivi sono frequentemente la ristrettezza della compagine societaria, il carattere familiare dell’investimento e, spesso, della gestione, la non ascrivibilità al modello della società aperta e, quindi, la non facile trasferibilità a terzi dell’investimento effettuato dai soci. Se il legislatore della riforma ha, da un lato, voluto semplificare la gestione e l’esercizio dell’impresa affidata alla s.r.l., differenziandone maggiormente i connotati rispetto a quelli della s.p.a., per altro verso ha voluto tutelare i soci di minoranza favorendo l’accessibilità al recesso come contropartita delle ampie facoltà attribuite al controllo da parte dei soci di maggioranza. Le esigenze di tutela dei soci di minoranza risultano quindi rafforzate per quanto concerne la possibilità di recedere da un investimento che non si riferisce più ai connotati essenziali dell’impresa selezionata dall’investitore. In questo contesto la previsione di poter recedere ad nutum dalla società in ragione della indeterminatezza della sua durata costituisce un profilo di affidamento che il legislatore ha voluto tutelare e che non può essere limitato se non in presenza di un chiaro indicatore della riferibilità del termine finale di vita della società ad un orizzonte razionalmente collegato al progetto imprenditoriale che ne costituisce l’oggetto.

Per tutte queste ragioni è stata ritenuta corretta l’interpretazione dell’art. 2473 c.c., da parte dei giudici di merito in relazione a una durata della società al 31 dicembre 2100 che è stata ritenuta equivalente a una durata a tempo indeterminato.

Mentre, secondo altra più recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 21 febbraio 2020, n. 4716.

è escluso il diritto di recesso “ad nutum” del socio di società per azioni nel caso in cui lo statuto preveda una prolungata durata della società (nella specie, fino al 2100), non potendo tale ipotesi essere assimilata a quella, prevista dall’art. 2437, comma 3, c.c., della società costituita per un tempo indeterminato, stante la necessaria interpretazione restrittiva delle cause che legittimano la fuoriuscita del socio dalla società e dovendo anche escludersi l’estensione della disciplina prevista dall’art. 2285 c.c. per le società di persone, ove prevale l'”intuitus personae”, ostandovi esigenze di certezza e di tutela dell’interesse dei creditori delle società per azioni al mantenimento dell’integrità del patrimonio sociale, potendo essi fare affidamento solo sulla garanzia generica da quest’ultimo offerta, a differenza dei creditori delle società di persone, che invece possono contare anche sui patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili.

Ancora secondo altra recente Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|27 giugno 2022| n. 20546

in tema di società di capitali, al fine di accertare la legittimità del recesso esercitato dal socio, a norma dell’art. 2437 comma 2, lett. b), cod. civ., è sufficiente verificare se la modifica statutaria abbia rimosso un limite alla circolazione delle azioni prima esistente, indipendentemente dal fatto se tale modifica abbia o meno una rilevanza sostanziale rispetto alla precedente disciplina. Per accreditare tale opzione ermeneutica, assai persuasiva è, in primo luogo, la valorizzazione dello stesso dato letterale: in altra ipotesi di recesso concernente la modifica della clausola che disciplina l’oggetto sociale, a norma dell’art. 2437, comma 1, lett. a), cod. civ., è stato lo stesso legislatore a richiedere espressamente la rilevanza sostanziale della modifica statutaria. Ne consegue che se, nell’ipotesi in esame, il legislatore non ha richiesto tale ulteriore requisito, vuol dire che, ai fini del recesso, è sufficiente una qualsiasi modifica statutaria idonea a rimuovere i limiti alla circolazione delle azioni. Depongono, inoltre, nel senso proposto altri argomenti di natura sistematica: nella già evocata ipotesi prevista dall’art. 2437, comma 1, lett. a), cod. civ. la legge richiede, a differenza che nell’ipotesi in esame la modifica sostanziale della clausola dell’oggetto sociale, dal momento che, trattandosi di una ipotesi tassativa ed inderogabile di recesso, per scongiurare che la società sia privata delle fonti del proprio approvvigionamento (costituite dai conferimenti dei soci) anche a fronte di modifiche solo formali delle proprie clausole, è necessario che la variazione abbia avuto un impatto significativo. Al contrario, in caso di introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni, non si pone l’esigenza di tale ulteriore cautela, dal momento che il diritto di recesso può comunque essere convenzionalmente escluso dalle parti (l’art. 2437 comma 2, cod. civ. esordisce, infatti, con la locuzione “…salvo che lo statuto disponga diversamente…”. Infine, milita in favore dell’interpretazione della disposizione in esame che assicuri, in radice, la certezza sulle condizioni di uscita da una società per azioni, il disposto dell’art. 2355-bis, quarto comma, cod. civ., il quale impone che tutte le limitazioni alla circolazione delle azioni debbano risultare dal titolo azionario: se il legislatore ha prescritto che l’introduzione e la rimozione dei vincoli debba essere sempre comunque annotata sul titolo, anche quando non si tratta di modifica sostanziale, sarebbe incoerente introdurre, invece, in caso di recesso, tale ulteriore requisito, che comporta necessariamente delle valutazioni di natura discrezionale.

Al III co < i soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale. Esso a tal fine è determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; in caso di disaccordo la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso l’articolo

1349 1 co.>

Al IV co < il rimborso delle partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere eseguito entro sei mesi dalla comunicazione del medesimo fatta alla società. Esso può avvenire anche mediante

1) acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni

2) oppure da parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi. Qualora ciò non avvenga, il rimborso è effettuato

3) utilizzando riserve disponibili o

4)   in mancanza corrispondentemente riducendo il capitale sociale; in quest’ultimo caso si applica l’articolo 2482 e, qualora sulla base di esso non risulti possibile il rimborso della partecipazione del socio receduto, la società viene posta in liquidazione.>

Per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 4 maggio 2018, n. 10583

Il negozio di ricognizione di debito rilasciato dalla società di capitale a favore del socio, attraverso cui la società intende far conseguire al socio il diritto di recedere dalla società e di ottenere un importo del tutto corrispondente a quanto versato a titolo di conferimento in conto capitale e di sovrapprezzo al tempo della sottoscrizione della partecipazione sociale, è nullo per contrarietà alle norme imperative ai sensi dell’articolo 1418 del Cc. Una siffatta ricognizione di debito, in quanto non corrispondente a una posta debitoria della società nei confronti del socio, intende neutralizzare il rischio imprenditoriale cui si sottopone incondizionatamente il socio con la sottoscrizione del capitale sociale ed è pertanto in contrasto con i principi che regolano il contratto sociale.

Al V° co   < il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società.>.

Orbene dopo aver analizzato pedissequamente l’art. 2473 si può osservare che la caratterizzazione in senso personalistico della s.r.l. riduce di molto le possibilità del socio, che non condivida la politica gestionale della società, di uscire dalla società mediante il trasferimento della quota.

Il legislatore ha perciò ritenuto, in cambio, di disciplinare in modo ancora più liberale di quanto non faccia in materia di S.p.A. il recesso del socio dalla società.

In altre parole la riforma ha introdotto il diritto di recesso in tutti quei casi in cui l’azionista di minoranza vede mutare sostanzialmente le condizioni del suo status di socio ed aumentare il rischio del suo investimento, non per fattori di mercato, ma per mutamenti sostanziali decisi dalla maggioranza[118].

Oltre alla previsione dell’art. 2437 c.c. ci sono altre cause legali di recesso che sono disciplinate da altre due norme del codice civile e dalla previsione dell’art. 34 comma ultimo, del D.lgs 17 gennaio 2003, n.5, ovvero:

Aart. 2481 bis [119] <L’atto costitutivo può prevedere, salvo per il caso di cui all’articolo 2482 ter, che l’aumento di capitale possa essere attuato anche mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi; in tal caso spetta ai soci che non hanno consentito alla decisione il diritto di recesso a norma dell’art.2473.>

B art. 2469 co. II   < Qualora l’atto costitutivo preveda 1) l’intrasferibilità delle partecipazioni o 2) ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 2473.>

C – l’art. 34, comma ultimo, del D.lgs 17 gennaio 2003, n.5 dispone che le modifiche dell’atto costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie, devono essere approvate dai soci che rappresentino almeno i 2/3 del capitale sociale; e che i soci assenti o dissenzienti possano, entro i successivi 90 giorni, esercitare il diritto di recesso.

Oltre alle cause di recesso previste dalla legge, appena descritte, si distinguono le cause di recesso convenzionali, da introdurre, cioè, per volontà dei soci, nell’atto costitutivo, in conformità dell’art. 2473 co I .

Sul punto si segnala ultimo intervento della S.C.

Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 2 novembre 2015, n. 22349

secondo il quale in tema di recesso del socio di s.r.l., la previsione contenuta nell’art. 2473, comma 1, c.c. riguarda l’ipotesi in cui venga operata una «…rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’art. 2468, comma 4, c.c.», modificazione per la quale la disposizione richiamata richiede «…il consenso di tutti i soci…». Come si desume dall’art. 2468, comma 3, c.c. cui rinvia il citato comma 4 della stessa norma, i diritti in parola sono quei «particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili», che l’atto costitutivo attribuisce “a singoli soci”. Ora, il combinato disposto normativo succitato si riferisce, dunque, al solo caso in cui vengano attribuiti a singoli soci, dall’atto costitutivo, particolari diritti in materia di amministrazione della società o di distribuzione di utili, ovverosia diritti diversi, quantitativamente o qualitativamente, da quelli normalmente spettanti a ciascun socio sulla base della partecipazione detenuta, come, per esempio, il diritto alla nomina di uno o più amministratori, o di porre il veto al compimento di talune operazioni, o all’attribuzione di una determinata aliquota degli utili netti eccetera. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto infondata la doglianza prospettata dal ricorrente, il quale aveva invocato il legittimo esercizio del diritto di recesso adducendo una lesione del diritto di sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale, spettante a tutti i soci, in proporzione delle partecipazioni da essi possedute)

Si dubita (Capozzi) se sia possibile introdurre nell’atto costitutivo ipotesi di recesso riferite solo ad alcuni soci e non già a tutti (c.d. recesso ad personam).

Basti pensare al caso in cui s’introduca il recesso per il socio di minoranza al verificarsi di determinati eventi non graditi al socio di minoranza medesimo.

  • in senso favorevole[120] –
  • in senso contrario[121]

Per quanto riguarda i termini e le modalità di esercizio del diritto di recesso spetta sempre all’atto costitutivo determinarle, sia nel caso di quello legale che convenzionale, anche se poi non si sa bene come queste modalità e questi termini debbano essere inquadrati nel caso che l’atto costitutivo abbia omesso di provvedervi.

È dubbio se sia applicabile la disciplina detta per le S.p.A ex art. 2437 bis, in ordine alla forma con cui deve essere espressa la dichiarazione di recesso, al contenuto della stessa e in ordine ai termini di esercizio.

L’art. 2437 bis c.c. prevede espressamente che <il diritto di recesso è esercitato mediante lettera raccomandata che deve essere spedita entro quindici giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima, con l’indicazione delle generalità del socio recedente, del domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, del numero e della categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato. Se il fatto che legittima il recesso è diverso da una deliberazione (considerando che le cause di recesso elencate all’art. 2437 sono tutte riferite all’adozione di delibere – fatta eccezione per l’ipotesi di cui al co 3 è da ritenere, che il riferimento a “fatti”, quali possibili cause del recesso, comporta che essi siano stati previsti ed introdotti per statuto), esso è esercitato entro trenta giorni dalla sua conoscenza (conoscibilità ex artt. 1341 e 1335 c.c.) da parte del socio>.

Prevale [122], in attesa dei risvolti giurisprudenziali in quanto ancora scarna è la casistica, la tesi positiva [123], ossia l’applicabilità anche per le s.r.l. della disciplina prevista all’art. 2437 bis, anche se si riconosce che l’applicazione deve essere effettuata nei limiti della compatibilità con la diversa struttura della s.r.l.

Per quanto riguarda il recesso ad nutum, ossia esercitabile quando è stato previsto un tempo di durata illimitato della società, il Tribunale di Cagliari [124] ha previsto che l’apposizione, ad un contratto costitutivo di una società a responsabilità limitata, di un termine di durata superiore alle aspettative di vita media di uno o più soci, non fa sorgere, in capo ad alcuno di essi, il diritto di recesso ad nutum, non essendo giuridicamente proponibile l’equivalenza tra la durata indeterminata del contratto e la durata determinata ma superiore a quella delle aspettative di vita dei soci. Fattispecie meno afflittiva (in quanto comunque è stata necessaria una pronuncia costituiva da parte dell’organo giudicante) per il soggetto che esercita il recesso, rispetto a quella delineata dalla Corte d’appello di Trento [125] secondo cui nell’ipotesi in cui il socio di s.r.l. abbia esercitato il diritto di recesso, in ragione dell’intervenuta proroga del termine di durata della società ad una data successiva all’aspettativa di vita dei soci, la società può rendere inefficace il recesso, ai sensi dell’art. 2473, ult. comma, c.c., attraverso la successiva delibera con la quale, senza revocare la precedente, si introduca un diverso termine di durata, risultando sostanzialmente soddisfatto l’interesse protetto dalla norma che legittima il recesso.

Anche per la s.r.l. si pone il problema di quando il recesso abbia efficacia:

  • immediata, oppure
  • successiva, ossia al momento della liquidazione della quota del socio receduto.

Sembra prevalere l’orientamento secondo il quale, eccezion fatta per l’ipotesi di cui al co 2 dell’art. 2473 (recesso ad nutum), in cui l’efficacia del recesso è posticipata al momento della scadenza del termine di preavviso, il recesso avrebbe efficacia immediata, con la conseguenza che, giunta a conoscenza della società, secondo i principi in materia di atti unilaterali recettizzi, la dichiarazione di recesso diventerebbe altresì irrevocabile. Orientamento anche avallato dalla giurisprudenza di legittimità [126] avendo stabilito che il recesso del socio da una società è un negozio unilaterale recettizio, destinato a perfezionarsi ed a produrre i propri effetti sin dal momento in cui la dichiarazione che lo esprime sia pervenuta nella sfera di conoscenza della società destinataria. Poiché l’esigenza di certezza e di rapida definizione degli assetti societari interessati dal recesso di uno o più soci è inconciliabile con l’attribuzione al socio recedente della facoltà di revocare la dichiarazione di recesso, già comunicata alla società, o di modificarne la portata subordinandola a condizioni.

Inoltre inseguito a tale forma di recesso secondo una sentenza di merito [127] essendo, come ampiamente detto, atto unilaterale e recettizio il socio recedente non può esercitare il diritto di controllo di cui all’art. 2476, comma II, c.c. poiché ad egli spetta esclusivamente il rimborso della partecipazione come previsto dall’art. 2473 comma III, c.c.

Per quanto riguarda il c.d. recesso parziale, pare prevalere [128] l’orientamento [129] secondo il quale non è possibile un recesso parziale, in quanto il recesso nella s.r.l. è collegato alla volontà del socio di non fare parte più di una determinata compagine sociale al ricorrere di certe situazioni, e non già alla volontà di diminuire il rischio.

Da ciò si può anche ritenere [130] che sia impossibile consentire, in mancanza di diversa previsione statutaria che disponga sul punto, la facoltà di recesso parziale.

In merito, poi alla cessione della quota dopo la dichiarazione di voler recedere si ritiene, che non si applichi alla s.r.l., l’art. 2437 – bis, co II. (le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale).

Ciò non significa affatto che nella s.r.l. la quota possa essere ceduta dopo la dichiarazione di voler recedere dalla società.

Anzi si ritiene che nel caso in cui la quota del socio recedente circoli, il cessionario subentri nella quota alla liquidazione, ossia nel diritto alla riscossione della liquidazione spettante al socio recedente, ma non già nella quota.

Inoltre il credito del socio recedente relativo alla liquidazione della quota ha natura pecuniaria e costituisce un credito di valuta. E’ un credito esigibile e di pronta e facile liquidazione, e come tale produttivo di interessi fin dal suo sorgere, senza necessità di alcun atto di messa in mora [131].

Si esclude, inoltre, che il diritto di recesso possa essere esercitato anche dai creditori particolari del socio, e, in particolare, dal creditore pignoratizio, in quanto tale diritto si configura come atto di disposizione della partecipazione societaria, di esclusiva spettanza dello stesso socio.

Nella società a responsabilità limitata, a differenza che per la S.p.A. (art. 2473 – Ter, co IV ), non è prevista la possibilità che le parti introducano nell’atto costitutivo una disciplina pattizia che deve essere seguita nella determinazione del valore della quota di partecipazione, in deroga a quella legale.

È dubbio, pertanto, se la materia della valutazione della quota del socio recedente sia regolabile mediante previsioni dell’atto costitutivo.

È da ritenersi, tuttavia, che sia possibile in ossequio al notevole spazio concesso all’autonomia privata nella s.r.l., inserire clausole che prevedano criteri diversi di valutazione, purché non si disincentivi lo stesso diritto di recesso, prevedendo una liquidazione pressoché irrisoria del recedente. È possibile demandare anche tale compito valutativo ad una terza persona in qualità di mediatore (come da ultimissima previsione) o arbitro.

Andando ora ad analizzare il III co dell’art. 2473 c.c., ove vi è forse la maggiore attività di giurisprudenza in merito al recesso del socio, è opportuno segnalare [132] che la sindacabilità ed il ricorso per la contestazione della valutazione – in caso di disaccordo per la determinazione del valore della quota – da parte del arbitratore nominato dal Tribunale si può perpetrare solo quando l’iniquità ed erroneità della determinazione del valore della quota del socio receduto da una s.r.l. sono riconosciuti prima facie, e ciò si verifica allorquando l’arbitratore, senza fornire alcuna spiegazione, non tenga conto, nella determinazione, di elementi oggettivamente esistenti ovvero utilizzi elementi inesistenti.

Sentenza che riprende in pieno un principio già enunciato dal Tribunale di Nocera Inferiore [133] secondo cui nell’ipotesi di recesso del socio di società a responsabilità limitata, una volta introdotto, in assenza di accordo, il procedimento per la quantificazione del valore della quota, mediante la nomina da parte del Tribunale di un perito, con funzione di arbitratore che concorre alla integrazione e alla formazione del contenuto negoziale, la determinazione contenuta nella perizia giurata – vincolante per le parti – potrà essere impugnata solo per manifesta iniquità o erroneità, restando preclusa qualsiasi ulteriore e successiva valutazione integrativa.

Proprio in merito al III co. dell’art. 2473 si è avuta una delle pochissime pronunce della Suprema Corte [134], quest’ultima ha dichiarato che è inammissibile il ricorso straordinario per cassazione di cui all’art. 111, settimo comma, Cost. avverso il decreto pronunciato dal giudice designato dal presidente del tribunale, ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, con il quale sia stato nominato, su istanza del socio, l’esperto per la valutazione della sua partecipazione sociale, ai sensi dell’art. 2473, terzo comma, c.c., essendo tale decreto un atto di volontaria giurisdizione privo dei caratteri della decisorietà e della definitività, da un lato perchè la stima operata dall’esperto non ha valore decisorio fra le parti ed è sindacabile dal giudice ove sia manifestamente erronea od iniqua (art. 1349 c.c., richiamato dall’art. 2473 c.c.), dall’altro perchè il decreto può essere revocato o modificato in presenza di nuove circostanze, ai sensi dell’art. 26 del d.lgs. citato; né la conclusione muta ove il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione, atteso che la pronuncia sull’osservanza delle norme sul processo ha la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato, e non può dunque avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo.

Sempre per quanto riguarda la relazione giurata dell’esperto, ai fini prettamente processuali, è opportuno indicare che sempre nella sentenza di merito del tribunale di Lanusei [135], (essendo ancora una tra le pochissime) l’asseverazione con giuramento dell’esperto nominato dal tribunale per effettuare la relazione giurata di stima del valore della quota sociale del socio receduto da una s.r.l. può essere prestata anche successivamente al deposito della stima dal momento che non è espressamente prevista a pena di inesistenza, invalidità od inefficacia.

Mentre per quanto riguarda le modalità e la forma, per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|19 febbraio 2021| n. 4481.

la disciplina normativa inderogabile della forma scritta ad substantiam prevista per l’atto costitutivo della società a responsabilità limitata non è trasponibile all’atto di recesso, dal momento che l’art. 2473 c.c. stabilisce l’opposto principio della libera determinazione delle ipotesi di recesso e della libertà di forma, salvo l’obbligo di prevederne alcune tipizzate dalla norma e fermi I vincoli convenzionali.

Non trascurabili, infine, sono i profili fiscali del recesso di un socio da una Srl.

Secondo l’articolo 47, comma V, del Tuir [136] <Non costituiscono utili le somme e i beni ricevuti dai soci delle società soggette all’imposta sul reddito delle società a titolo di ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con sopraprezzi di emissione delle azioni o quote, con interessi di conguaglio versati dai sottoscrittori di nuove azioni o quote, con versamenti fatti dai soci a fondo perduto o in conto capitale e con saldi di rivalutazione monetaria esenti da imposta; tuttavia le somme o il valore normale dei beni ricevuti riducono il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute.>.

Tale disposizione fissa un principio generale, ovvero: la restituzione di una somma che la società aveva conseguito a titolo di conferimento del socio deve ridurre il valore della partecipazione e non rappresenta materia imponibile per il socio.

Il socio recedente, persona fisica, verrà quindi tassato solo sulle maggiori somme, che riceve, in eccedenza rispetto al costo di acquisizione delle partecipazioni revocate, sia con riferimento alla parte di tali differenze che promana dalla distribuzione proquota del capitale, che delle altre riserve di capitali.

Il successivo comma VII dell’articolo 47 del Tuir, inoltre prevede che “le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o per la sottoscrizione delle azioni o quote annullate“.

In sintesi, poiché il rimborso della partecipazione deve avvenire “in proporzione al patrimonio sociale“, tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso, si può affermare che la parte della somma ricevuta, eccedente il prezzo pagato per l’acquisto o per la sottoscrizione delle azioni o quote annullate, di solito imputabile al plusvalore presente nei beni societari o all’avviamento della società, costituisce utile per il socio recedente, da tassare con le modalità fissate dall’articolo 47, comma I, del Tuir (se persona fisica con partecipazione qualificata ovvero <Salvi i casi di cui all’articolo 3, comma III, lettera a), gli utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione dalle società o dagli enti indicati nell’articolo 73, anche in occasione della liquidazione, concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo limitatamente al 40 per cento del loro ammontare. Indipendentemente dalla delibera assembleare, si presumono prioritariamente distribuiti l’utile dell’esercizio e le riserve diverse da quelle del comma 5 per la quota di esse non accantonata in sospensione di imposta.>).

A tal punto, occorre verificare quale sia la possibile ricaduta in capo alla società della liquidazione della quota al socio recedente.

L’Amministrazione finanziaria considera il recesso da una società di capitali come un’operazione che produce i suoi effetti direttamente, ed esclusivamente, nella sfera patrimoniale della società e nei rapporti fra i soci. In sostanza, considerando che l’attribuzione al socio escluso di una somma attiene all’anticipata liquidazione del valore della sua quota patrimoniale, viene affermato che la somma pagata non può rilevare ai fini della determinazione del reddito della società.

Tale recente tesi trova fondamento nel disposto del richiamato articolo 2473 cc, per il quale la società deve attingere alle riserve disponibili, o al capitale sociale o, al limite, ricorrere alla propria liquidazione.

Ai fini processuali è sulle dinamiche del recesso si segnala quest’ultima pronuncia della S.C.
Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 11 settembre 2017, n. 21036

il recesso da una societa’ di persone e’ un atto unilaterale recettizio, e, pertanto, la liquidazione della quota non e’ una condizione sospensiva del medesimo, ma un effetto stabilito dalla legge, con la conseguenza che il socio, una volta comunicato il recesso alla societa’, perde lo “status socii” nonche’ il diritto agli utili, anche se non ha ancora ottenuto la liquidazione della quota”.

Come e’ noto infatti, trattandosi di una dichiarazione recettizia, a cui si rende applicabile l’articolo 1334 c.c., la dichiarazione di recesso del socio produce i suoi effetti nel momento in cui la volonta’ del socio di sciogliersi dal vincolo societario viene portata a conoscenza della societa’ (Cass., Sez. 1, 24/09/2009, n. 20544), di modo che a seguito di essa, il rapporto sociale si scioglie limitatamente alla posizione del recedente, che perde la qualifica di socio, cessa di essere obbligato in relazione alle future obbligazioni che dovessero gravare sulla societa’ (articolo 2290 c.c.) e diviene titolare nei confronti di questa di un diritto di credito alla liquidazione della quota (Cass., Sez. 1, 23/10/2001, n. 22574).

La circostanza, dunque, che per effetto della comunicazione di recesso il rapporto sociale tra il socio e la societa’ si sciolga hinc et inde e che si caduca percio’ a far tempo dalla sua conoscenza da parte della societa’ ogni vincolo nascente dal rapporto pregresso, con eccezione dei soli rapporti obbligatori sorti fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento, rende inopponibili al recedente tutte le successive vicende che dovessero interessare la societa’, sicche’ sono conseguentemente irrilevanti nei suoi confronti, tra l’altro, i mutamenti che abbiano ad oggetto il suo assetto organizzativo e, segnatamente, il fatto che la societa’ originariamente di persone si trasformi, come qui e’ avvenuto, in una societa’ di capitali.

Rispetto a cio’ il socio receduto e’ un terzo estraneo o, piu’ esattamente, un creditore della societa’ risultante dalla trasformazione, a cui vengono infatti trasferiti in forza della mera mutazione formale che ha luogo all’esito del relativo procedimento, senza soluzione di continuita’, i crediti ed i debiti che la societa’ aveva contratto in precedenza.

Egli non e’ percio’ piu’ parte del rapporto societario che continua nella diversa forma organizzativa scaturita dalla trasformazione e non gli sono per questo opponibili le clausole statutarie – e dunque anche la clausola compromissoria – che governano il funzionamento della societa’ nella mutata veste formale.

Pertanto, competente a conoscere della lite in questione sia quindi il giudice ordinario e non il collegio arbitrale previsto dallo statuto della societa’ trasformata

 

9) Esclusione del socio

 

art. 2473 bis c.c.   esclusione del socio

L’atto costitutivo può prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio. In tal caso si applicano le disposizioni del precedente articolo, esclusa la possibilità del rimborso della partecipazione mediante riduzione del capitale sociale.

Da un’attenta analisi dell’articolo su indicato si può desumere, facilmente, che l’atto costitutivo della s.r.l. può, in altre parole, prevedere l’esclusione del socio anche in casi non enunciati dalla legge, purché l’atto costitutivo disponga in modo specifico, individuando determinati casi apprezzabili come casi di giusta causa (è da ritenere così invalida una clausola che prevedesse il recesso in modo generico).

Si tratta di una disciplina che, se non coincide nemmeno con quella della S.p.A., non coincide nemmeno con quella anch’essa più restrittiva, prevista per le società di persone: dove se da un canto è la stessa legge a prevedere direttamente i casi di esclusione del socio ex art. 2286 c.c., non sembra, invece, sicuro che il contratto sociale possa prevedere casi di esclusione diversi da quelli previsti dalla legge.

art. 2286 c.c.   esclusione

L’esclusione di un socio può avere luogo

  • (Cause di esclusione c.d. facoltative) per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale (2301, 2320), nonché
  • per l’interdizione, l’inabilitazione del socio (414 e seguente, att. 208) o per la sua condanna ad una pena che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici.
  • II co – Il socio che ha conferito nella società la propria opera [137] o il godimento di una cosa può altresì essere escluso per la sopravvenuta inidoneità a svolgere l’opera conferita o per il perimento della cosa dovuto a causa non imputabile agli amministratori.
  • III co – Parimenti può essere escluso il socio che si è obbligato con il conferimento a trasferire la proprietà di una cosa, se questa è perita prima che la proprietà sia acquistata dalla società (1465, att. 208).

 

art. 2287 c.c.   procedimento di esclusione

L’esclusione è deliberata dalla maggioranza [eccezione al principio dell’unanimità per le società semplici] dei soci, non computandosi nel numero di questi il socio da escludere, ed ha effetto decorsi trenta giorni dalla data della comunicazione al socio escluso.
Entro questo termine (2964) il socio escluso può fare opposizione davanti al tribunale, il quale può sospendere l’esecuzione.
Se la società si compone di due soci, l’esclusione di uno di essi è pronunciata dal tribunale, su domanda dell’altro
(la c.d. esclusione giudiziaria).

È sorta questione sul se sia possibile inserire cause di esclusione in un momento successivo alla costituzione della società e, in caso di risposta positiva con quali maggioranze.

Anche se non si nasconde l’opportunità che la variazione di elementi così importanti del contratto sociale siano valutati da tutti i soci, essendo quindi di fondamentale importanza il consenso del socio all’individuazione di nuovi casi di cessazione individuale forzata del rapporto sociale, si ritiene che, se nulla l’atto costitutivo dovesse prevedere sul punto, l’introduzione di ipotesi di esclusione del socio costituisca una modifica dell’atto costitutivo e come tale vada disciplinata.

In caso di esclusione, il rimborso della partecipazione si ha secondo le stesse modalità previste per il recesso: ma come dispone l’art 2473 bis è esclusa la possibilità del rimborso mediante riduzione del capitale sociale.

Particolare in merito risulta essere una sentenza del Tribunale di Lucca [138] secondo cui è illegittima per difformità dal modello legale previsto dall’art. 2473 c.c. la clausola statutaria che nell’ipotesi di esclusione del socio prevede il rimborso della quota in base al valore contabile del patrimonio sociale secondo l’ultimo bilancio approvato, con esclusione di plusvalenze consolidate dalle società.

La limitazione, discutibile, si fonda probabilmente sull’idea che i soci, che hanno voluto lo scioglimento del rapporto sociale (e non già sono stati costretti a subirlo, come nel caso di recesso), non possono provvedere al rimborso della partecipazione del socio escluso attingendo, a scapito dei creditori sociali, al patrimonio indisponibile della società.

Se non vogliono lo scioglimento della loro società, devono perciò provvedere alla liquidazione del socio escluso o acquistando essi stessi la partecipazione del socio escluso o facendola acquistare da un terzo.

Non è però chiaro, perché la legge tace sul punto, quale sia la procedura da seguire per giungere all’esclusione del socio, quando anche l’atto costitutivo non disponga in merito.

Infine, è confacente analizzare alcuni casi affrontati dalla giurisprudenza di merito, anche se i n realtà ancora ben poche.

Secondo il Tribunale di Modena [139] nel caso in cui lo statuto di una società a responsabilità limitata preveda la legittimità dell’esclusione del socio che senza il consenso egli altri soci eserciti una attività concorrente con quella della società, deve considerarsi legittima la delibera di esclusione del socio che abbia esercitato una siffatta attività in presenza della piena conoscenza della società. Ed invero, seppure sussistente per un certo periodo il consenso degli altri soci, questo può essere successivamente negato, in quanto, la società non può ritenersi sine die vincolata dal consenso o dalla tolleranza espressa in tempi precedenti.

Di opinione contraria è, invece, il Tribunale di Milano [140], che per un caso simile, ha stabilito che è illegittima la clausola statutaria che prevede l’esclusione del socio nell’ipotesi di svolgimento di attività in concorrenza con la società o per un generico inadempimento degli obblighi sociali di correttezza e buona fede.

Altro caso di esclusione è stato disciplinato dal Tribunale di Treviso [141] secondo cui lo statuto sociale può prevedere ipotesi di esclusione del socio differenti da quella della mancata esecuzione dei conferimenti, ma tali ipotesi devono essere specifiche e non contrarie a disposizioni di legge.

Infine, sul punto [142] sono lecite le clausole statutarie che prevedono l’esclusione del socio nell’ipotesi in cui questo tenga comportamenti che compromettano il corretto funzionamento della società.

 

10) Il governo della società

Libro V del lavoro – Titolo V delle società – Capo VII della società a responsabilità limitata – sez. III – Dell’amministrazione della società e dei controlli – 2475 – 2478 bis

Se si ipotizza una s.r.l. il cui atto costitutivo non sia in alcun modo intervenuto a derogare alla disciplina di legge, il sistema di governo della s.r.l. si basa su questi organi:
A) ASSEMBLEA DEI SOCI
B) AMMINISTRATORE UNICO O CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
C) COLLEGIO SINDACALE

Nella s.r.l., a differenza della S.p.A. (in quanto tutte le funzioni non espressamente attribuite dalla legge all’assemblea e necessarie per il conseguimento dell’oggetto sociale spettano all’organo amministrativo), sono i soci, eventualmente riuniti in assemblea, ad avere una funzione sovrana e centrale poiché attraverso l’atto costitutivo è possibile sottrarre quasi tutte le competenze gestorie, ponendole nelle loro mani.

Tutto ciò, è spiegato dal fatto che la s.r.l., a differenza della S.p.A., essendo utilizzata, come figura societaria, dalle imprese di piccola e media dimensione nell’ambito delle quali è esaltato il fattore umano rispetto a quello del capitale, determina, così, la possibilità di portare gli stessi soci a decidere (rectius amministrare).

L’atto costitutivo può derogare incisivamente alla disciplina legale, che è pertanto in larga parte solo suppletiva, applicabile cioè solo se lo statuto non ne preveda una diversa.

Ad esempio, e si segnalano solo le modifiche sicuramente possibili e di maggior significato, l’atto costitutivo può prevedere che:

  • Sulle materie di competenza dell’assemblea: l’atto costitutivo può invero aggiungere alla competenza dell’assemblea materie previste come di competenza degli amministratori, perché attinenti all’amministrazione della società (anzi ci si può domandare se l’atto costitutivo possa giungere a sopprimere del tutto l’organo amministrativo, in forza dell’art 2479 1 co n. 2 che parla di < nomina se prevista nell’atto costituivo, degli amministratori >.
  • Sulle decisioni dei soci: l’atto costitutivo può stabilire che non siano adottate in assemblea bensì mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto ex art 2479 3 co.

 

A)   ASSEMBLEA DEI SOCI

[143]

art. 2479 c.c.  decisioni dei soci

i soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall’atto costitutivo [ciò non toglie, appunto che ai soci è possibile rimettere decisioni in merito all’attività gestoria e comprimendo, ma non fino alla totale eliminazione, l’organo amministrativo, poiché l’attività rappresentativa della società, la quale non può essere esercitata in alcun modo dai soci, è una prerogativa del governo della società], nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione [tale diritto, spettante uti singuli, non può essere, con l’atto costitutivo, eliminato].

II co   In ogni caso (nel senso che non possono essere delegate agli amministratori) sono riservate alla competenza dei soci:

  • l’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili;
  • la nomina, se prevista nell’atto costitutivo, degli amministratori [in analogia con quanto previsto dall’art. 2364, co I, n. 3, la determinazione del loro compenso];
  • la nomina nei casi previsti dall’articolo 2477 dei sindaci e del presidente del collegio sindacale o del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti [144];
  • (riserva di metodo assembleare) le modificazioni dell’atto costitutivo;
  • (riserva di metodo assembleare) la decisione di compiere operazioni che

comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale [come esempio di operazioni che possono modificare, in attesa di una più ampia elaborazione giurisprudenziale, l’oggetto sociale si citano: la cessione d’azienda sociale, l’acquisto di un’altra azienda, il conferimento della propria azienda in un’altra azienda] determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci [l’atto compiuto in violazione di tali competenze spettanti all’assemblea sono validi ed efficaci. Salvo il caso dell’exceptio doli, è valida l’operazione compiuta dagli amministratori, anche in assenza dell’autorizzazioni richieste, per la tutela dell’affidamento dei terzi i quali contrattando con gli amministratori della società, sono portati a ritenere che sia stato rispettato tutto il procedimento previsto dalla legge].

III co   L’atto costitutivo può prevedere che le decisioni dei soci siano [1 – A procedura] adottate mediante consultazione scritta o [2 – A procedura] sulla base del consenso espresso per iscritto. In tal caso dai documenti sottoscritti dai soci devono risultare con chiarezza l’argomento oggetto della decisione ed il consenso alla stessa.

IV co   LE DECISIONI ASSEMBLEARI NECESSARIE . Qualora nell’atto costitutivo non vi sia la previsione di cui al terzo comma ed in ogni caso con riferimento alle materie indicate nei numeri 4) e 5) del secondo comma del presente articolo oppure quando lo richiedono uno o più amministratori o un numero di soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale, le decisioni dei soci debbono essere adottate mediante deliberazione assembleare ai sensi dell’articolo 2479 bis.

V co   Ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni previste dal presente articolo ed il suo voto vale in misura proporzionale alla sua partecipazione [quindi, non si possono creare quote a voto plurimo o limitato, perché in netto contrasto con lo spirito marcatamente personalistico della società a r.l., che vuole e pretende la partecipazione di tutti i soci alla vita della società].
VI co   Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, le decisioni dei soci sono prese con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale.

 

Altre funzioni spettanti all’assemblea previste per legge

1 Aart. 2361 co II   –   l’acquisto di partecipazioni in s.r.l.

2 Aart. 2465 co. II   – l’autorizzazione al compimento di acquisti pericolosi

3 A art. 2483   –   l’emissione di titoli di debito

4 Aart. 2484 co I, n. 6   –   la messa in liquidazione della società

5 Aart. 2487   –   la nomina e la revoca dei liquidatori e la determinazione dei criteri di liquidazione (riserva di metodo assembleare)

6 Aart. 2487 ter   –   la revoca dello stato di liquidazione (riserva di metodo assembleare)

7 Aart. 152, 161, 187 l. fall.   –   l’approvazione della richiesta del concordato preventivo o fallimentare e la domanda di ammissione all’amministrazione controllata.

Una delle novità più significative della riforma è senza dubbio costituita dalla possibilità di prevedere, all’interno dell’atto costitutivo, due nuovi metodi decisionali che possono essere utilizzati in alternativa al tradizionale meccanismo assembleare il quale, comunque, rimane obbligatorio per quelle decisioni che, in ragione della loro importanza nell’ambito della vita societaria, appaiono meritevoli di costituire oggetto di discussione e di riflessione tra i soci, appositamente riuniti in assemblea.

Tali metodi alternativi, ai sensi del terzo comma dell’art. 2479 c.c., sono rappresentati dalla possibilità che le decisioni dei soci possano essere assunte mediante consultazione scritta o mediante consenso espresso per iscritto.

Anche laddove i soci abbiano adottato patti sociali che demandano ai metodi extrassembleari qualsivoglia decisione che per legge possa essere assunta in tali modi, in ogni caso, rimangono inderogabilmente di competenza esclusiva dell’organo assembleare in sede collegiale le modificazioni dell’atto costitutivo, le decisioni di compiere operazioni che comportino una modificazione sostanziale dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo e le decisioni di modificare in modo rilevante i diritti dei soci.

Si può, quindi, affermare che, per le deliberazioni in tali materie, alla luce della loro particolare incidenza nella vita societaria, il Legislatore abbia ritenuto necessario prevedere un’espressa riserva di legge in favore della tradizionale modalità di formazione del consenso assembleare.

In ogni caso, ai sensi del quarto comma dell’art. 2479 c.c., anche nelle materie per le quali la legge non prevede una riserva obbligatoria di formazione del consenso in sede assembleare, nelle ipotesi in cui il contratto sociale contempli una delle forme alternative di espressione della volontà dei soci, la convocazione dell’assemblea diviene obbligatoria laddove tale modalità di formazione del consenso venga richiesta da tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale, ovvero da uno o più amministratori.

Nell’ipotesi di consultazione scritta, la volontà dei soci si forma attraverso il modello c.d. referendario: ciascun socio viene invitato a esprimere il proprio voto favorevole o contrario, ovvero a esprimere la propria preferenza per una delle possibili alternative che vengono prospettate e portate all’attenzione dei soci, pertanto, viene sempre richiesto un parere rispetto a una proposta di decisione predefinita e immodificabile.

In realtà, però, la dottrina prevalente individua due metodi diversi, che si distinguono, per le diverse modalità con cui i soci esprimono la propria determinazione

A – secondo alcuni autori [145]

  • nella consultazione per iscritto

vi sarebbe un unico documento destinato a circolare fra tutti i soci che lo sottoscrivono in tempi diversi: viene sottoposto ai soci un progetto di decisione sul quale essi stessi sono chiamati ad esprimersi;

  • nel consenso espresso per iscritto, invece, ciascun socio provvede ad esprimere il proprio consenso nella copia del documento che a ognuno di essi viene trasmesso individualmente.

B – secondo altri autori [146]

  • nella consultazione per iscritto la manifestazione di volontà del socio di adesione ad una proposta ben formulata sarebbe provocata (metodo c.d. del referendum);
  • nel consenso espresso per iscritto, invece, la manifestazione di volontà del singolo socio sarebbe spontanea, ossia non manifestata in seguito ad una previa consultazione dei soci e in adesione ad una predefinita proposta di decisione.

Lo statuto deve stabilire quale sia il soggetto legittimato ad attivare la consultazione, le modalità d’invio della c.d. circolare dei soci, se possa essere scritta su qualsiasi supporto cartaceo o magnetico, con quale sistema debba essere trasmessa, a mezzo posta, a mano, in via fax, o pec, i tempi da rispettare

L’atto costitutivo dovrà intervenire per colmare le notevoli lacune circa lo svolgimento di tutto il procedimento, in particolare, stabilendo le modalità di redazione e di trasmissione dei consensi espressi dai soci, la modalità attraverso la quale devono affluire alla società, la verifica e il computo dei consensi; la proclamazione del risultato e la verbalizzazione dello stesso.

  • Se si qualifica l’espressione del voto come atto unilaterale recettizio, la manifestazione di volontà del socio che lo ha espresso è da considerarsi irrevocabile quando giunge al centro di raccolta dei consensi dei soci;
  • se si equipara il voto ad una proposta contrattuale, esso è revocabile fin quando la decisione non si sia formata (conoscenza dell’accettazione).

Inoltre, come da ultima massima del Consiglio Notarile di Firenze (Presentazione dei nuovi Orientamenti dell’Osservatorio Societario Firenze, 25 novembre 2016), è stato rappresentato e precisato che in una società a responsabilità limitata dotata di consiglio di amministrazione, qualora la decisione su di un atto gestionale sia rimessa ai soci ai sensi dell’art. 2479 c.c., questi hanno la competenza esclusiva a decidere sulla materia. Non è pertanto richiesta, in tale ipotesi, alcuna ulteriore deliberazione da parte dell’organo amministrativo, che non ha più competenza sull’argomento.  In tal caso, la decisione può essere direttamente eseguita da chi ha la rappresentanza della società. La stessa decisione può altresì delegare alla sua esecuzione uno specifico amministratore, purché dotato di potere di rappresentanza ai sensi della legge e dello statuto.

Pertanto è computabile la superficie del locale seminterrato, in quanto non rientrante nella tipologia di locali sopra indicati e quindi anch’esso è computabile ai fini della superficie utile complessiva

1) Diritto di voto  e principio di proporzionalità

[147]

Si discute in tema di società a responsabilità limitata sull’ammissibilità di clausole statutarie che introducano diritti particolari che incidano sulla proporzionalità del diritto di voto tra i soci e/o prevedano particolari diritti di veto e/o consentano la decisione del singolo socio in relazione a specifiche materie ed operazioni.

Con la massima n. 138 del 13.05.2014, il Consiglio notarile di Milano ha preso posizione sul tema affermando che l’atto costitutivo delle s.r.l. può derogare, per tutte o alcune delle decisioni di competenza dei soci, al principio di proporzionalità del diritto di voto sancito dall’art. 2479, comma V, c.c.

Prima di entrare nel merito delle motivazioni attraverso le quali la Commissione notarile giunge a tali conclusioni occorre riportare la normativa in cui tali principi possono essere collocati.

L’art. 2479, co. V, c.c. in tema di «decisioni dei soci» stabilisce che ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni dei soci previste dal citato articolo ed il suo voto vale nella misura proporzionale alla sua partecipazione (al capitale sociale).

Prendendo in considerazione le disposizioni del codice civile relative ai conferimenti in sede di costituzione di società è previsto, all’art. 2468, co. II, che salvo il caso in cui l’atto costitutivo preveda l’attribuzione ai singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili, i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta; se l’atto costitutivo non prevede diversamente, le partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale ai conferimenti.

Da tali presupposti che precedono, coordinati con l’art. 2479, co. V, c.c., si determina che i diritti sociali, nei quali è compreso il diritto di voto, spettino al socio in misura proporzionale alla partecipazione posseduta che normalmente è a sua volta proporzionale al conferimento effettuato nella società.

L’atto costitutivo può prevedere l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardati però la sola amministrazione della società o la distribuzione degli utili e non anche quindi, da una interpretazione letterale, i diritti di voto.

L’atto costitutivo, ancora, può prevedere che le partecipazioni dei soci siano determinate in misura non proporzionale ai conferimenti.

Le disposizioni, ad una interpretazione letterale, paiono vincolare i diritti sociali e dunque i diritti di voto alla misura della partecipazione.

Questa può essere proporzionale (regola generale) o non proporzionale (eccezione da prevedere nell’atto costitutivo) ai conferimenti.

Di conseguenza si può avere: diritti di voto proporzionali alle partecipazioni che a loro volta sono proporzionali ai conferimenti; diritti di voto proporzionali alle partecipazioni che a loro volta non sono proporzionali ai conferimenti in quanto maggiori o minori.

L’elemento variabile pare quindi essere rappresentato dalle partecipazioni: se queste non sono proporzionali ai conferimenti anche i diritti di voto non lo saranno.

In questo contesto si inserisce la Massima in commento laddove viene precisato che l’atto costitutivo possa derogare, per tutte o alcune delle decisioni dei soci, al suddetto principio di proporzionalità (alle partecipazioni) del diritto di voto.

Tale massima, inoltre, ha stabilito che non può essere considerato un impedimento alla derogabilità del principio della proporzionalità del diritto di voto il combinato disposto dell’art. 2468 [148] e dell’art. 2479, comma V, c.c. che, dopo aver sancito in via generale il principio di proporzionalità fra i diritti sociali e la partecipazione al capitale, ne ammette una deroga con espresso riferimento alla «amministrazione della società e distribuzione degli utili».

È stato infatti sostenuto che le parole «particolari diritti riguardanti l’amministrazione» non devono essere intese ed applicate in senso tassativo, bensì esemplificativo, e che il riferimento non deve essere all’amministrazione in senso stretto, bensì ai generali poteri da esercitare all’interno della società.

Inoltre, la massima analizzata del Consiglio notarile di Milano prosegue definendo anche le modalità con cui tale deroga al principio di proporzionalità del diritto di voto può essere attuata.

Ciò può avvenire

  • con clausole applicabili in via generale e astratta a tutti i soci (ad esempio: tetto massimo di voto, voto scalare, voto scaglionato, voto capitario ecc.), nonché
  • con clausole che attribuiscono a taluni soci particolari diritti che comportano una “maggiorazione” del diritto di voto (ad esempio: voto plurimo, casting vote, voto determinante ecc.) o che lo limitano (ad esempio: voto limitato, voto condizionato ecc.)».

Sarà, pertanto, possibile derogare al principio di proporzionalità sancito dall’art. 2479, comma V, c.c. mediante l’inserimento all’interno dello statuto (con le maggioranze richieste dall’art. 2479-bis, salvo diversa disposizione statutaria) di previsioni generali, applicabili indistintamente a tutti i soci, che regolino un’attribuzione o modulazione dei diritti di voto in capo ai soci in deroga al regime ordinario; ovvero mediante l’attribuzione in capo a singoli soci (con clausola da introdursi con il consenso unanime di tutti i soci, salvo diversa disposizione statutaria) di diritti particolari che comportino una maggiorazione o limitazione del diritto di voto di quel determinato socio.

Le clausole applicabili in via generale e astratta a tutti i soci, da un lato, e quelle che attribuiscono a taluni soci particolari diritti che comportano una maggiorazione o una limitazione del diritto di voto, dall’altro, possono d’altronde anche combinarsi tra loro nell’ambito della medesima società.

Del tutto innovativa è, invece, la posizione dei notai milanesi in materia di voto plurimo, la cui ammissibilità era stata fortemente oggetto di discussione (oltre che per i principi generali fin qui esposti, anche per applicazione analogica del divieto posto dall’art. 2351, comma IV, c.c. in materia di s.p.a.), in quanto consente il risultato “abnorme” di imporre l’assunzione di una deliberazione con una percentuale di partecipazione al capitale sociale che non sarebbe altrimenti sufficiente per raggiungere la maggioranza ovvero in presenza di un numero di voti contrari che, in mancanza del voto plurimo, costituirebbe la maggioranza.

Ne discende, la legittimità di clausole statutarie che introducano la possibilità non solo di un veto “passivo” di uno o più soci su determinate decisioni societarie, ma anche – e soprattutto – di un potere “attivo” in capo ad uno o più soci di imporre una determinata decisione societaria ai soci che detengono la maggioranza del capitale sociale.

Infine, il Consiglio notarile di Milano ha precisato che tale deroga può avere ad oggetto «tutte o alcune delle decisioni di competenza dei soci», senza in alcun modo escluderne dall’ambito applicativo quelle materie riservate dalla legge alla competenza esclusiva dei soci.

Il Consiglio notarile di Milano, invece, sembra accogliere il principio per cui la riserva di competenza in favore dei soci prevista all’art. 2479, comma II, c.c. è finalizzata a tutelare il diritto-dovere dei soci di decidere in determinate materie che, per la loro rilevanza rispetto ai diritti dei soci, non possono essere decise dall’organo amministrativo, e non invece nel senso di escludere la possibilità che solo una parte (o anche uno soltanto) dei soci si vedano attribuito tale diritto.

In conclusione, si possono riassumere tali possibilità in deroga:

  • partecipazioni con voto limitato

Gli argomenti potranno riguardare tanto le materie di competenza dell’assemblea ordinaria tanto quelle di spettanza dell’assemblea straordinaria ovvero una loro commistione. Si pensi ad esempio, quanto alle prime, alle deliberazioni concernenti l’approvazione del bilancio, la distribuzione degli utili, il compimento di operazioni sulle azioni, la nomina degli amministratori, del collegio sindacale e della società di revisione, l’azione sociale di responsabilità ecc. Quanto alle seconde, alle deliberazioni riguardanti la riduzione obbligatoria del capitale, gli aumenti di capitale con esclusione del diritto di opzione, la fusione, la trasformazione, la nomina dei liquidatori, la modificazione dell’oggetto sociale.

  • partecipazioni con voto sottoposto a particolari condizioni non meramente potestative

Per quanto riguarda le condizioni a cui subordinare il diritto di voto, l’unica limitazione prevista dall’art. 2351, c.c. (in materia di S.p.a.) è che esse non potranno essere «meramente potestative». Affinché la condizione sia valida, dovrà avere ad oggetto un avvenimento futuro ed incerto, costituito o da un fatto o da un atto, interno od esterno alla società stessa, determinato con specificità e chiarezza nello statuto.

  • partecipazioni con «voto massimo» e con «voto scalare»

Con la prima clausola si impone l’inibizione al voto del socio relativamente a quella porzione azionaria (o partecipativa) di cui è possessore e che, per la sua quantità, superi quella determinata sogli a prevista nello statuto. Invece con la possibilità di disporre degli scaglionamenti di voto (voto a scalare) esso viene «progressivamente limitato al crescere del numero delle azioni (o partecipazioni) possedute da un determinato soggetto». Tali forme di limitazioni del diritto di voto costituiscono anche forme di «sospensione» di tale diritto dal momento che esso viene ad essere congelato a seguito del raggiungimento delle soglie previste dallo statuto e, sotto tale aspetto, paiono sussistere evidenti analogie con il voto condizionato.

  • voto capitario o per teste

Con questa espressione si fa riferimento alla clausola che prevede un voto per ogni socio a prescindere dalle azioni o partecipazioni possedute. È una previsione questa tipica delle società cooperative.

 

2) La paralisi nelle decisioni dei soci in situazione paritetica

È inesistente una definizione normativa della situazione di stallo decisionale.

L’utilizzo del termine “stallo”, “paralisi” o “blocco”, tradotto dall’inglese deadlock (“blocco mortale”), trova la sua origine nei contratti internazionali di joint venture a partecipazione paritetica.

In ambito societario, non tutte le situazioni di impasse decisionale sono idonee a comportare il blocco operativo della società e, quindi, il suo scioglimento anticipato.

Infatti, secondo l’orientamento quasi unanime della dottrina e la giurisprudenza, oltre al presupposto essenziale del mancato raggiungimento del necessario quorum (costitutivo o deliberativo) per adottare la proposta di delibera, occorre che:

  • la situazione di stallo si sia verificata in merito a una proposta di delibera essenziale per la prosecuzione dell’attività;
  • le cause della paralisi siano interne alla compagine sociale e non derivanti da eventi esterni (calamità naturali, scioperi ecc.);
  • il contrasto tra i soci si manifesti come definitivo, grave e insanabile, e ciò indipendentemente dal numero delle volte in cui la proposta di delibera sia stata paralizzata [149].

Con riferimento al mancato raggiungimento del quorum, è opportuno sottolineare che parte della dottrina, interpretando alla lettera l’articolato normativo introdotto dal legislatore della riforma in tema di quorum assembleari (art. 2479-bis, comma III, c.c.), ha sostenuto che nelle s.r.l. a partecipazione paritetica le delibere di cui ai nn. 4 e 5, comma II, dell’art. 2479 c.c. possano essere assunte con il «voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale».

Ebbene per tale teoria, salvo specifiche previsioni statutarie, lo stallo decisionale non si dovrebbe più verificare, risultando sufficiente per le delibere in argomento il voto favorevole di uno dei due soci.

Ma tale teoria è evidente che difetta in primis di logicità.

La metà del capitale sociale dovrebbe comunque rappresentare la maggioranza del suddetto capitale sociale.

Ma tale principio di maggioranza, nel caso di srl a partecipazione paritetica, si traduce nella sostanziale unanimità dei consensi.

Inoltre, l’incongruenza, logica prima che giuridica, della tesi contraria risiederebbe nel fatto che:

  1. una delibera approvata a parità di voti favorevoli e contrari sarebbe per sua natura instabile, in quanto potenzialmente oggetto di revoche e adozioni all’infinito;
  2. si farebbe dipendere l’adozione o meno di una delibera dalla formulazione della proposta di delibera (in forma positiva ovvero negativa), rimettendo così arbitrariamente al Presidente (despota) un effettivo, improprio potere decisorio.

Una parte della dottrina sostiene che il principio di maggioranza s’intenderà soddisfatto, qualora a fronte del voto favorevole espresso dai soci rappresentativi il 50% del capitale sociale gli altri soci fossero assenti ovvero si astenessero, posto che in questo caso il 50% del capitale rappresenterebbe anche la maggioranza dei consensi espressi dai soci.

Al fine di evitare che lo stallo decisionale comporti lo scioglimento anticipato della società, con tutte le conseguenze (iper negative) a questo connesse, i soci possono prevedere l’attivazione di possibili veri e propri escamotage giuridici (per usare un eufemismo) di natura pattizia volti alla risoluzione della situazione di blocco operativo.

A tal proposito è opportuno ricordare che, a seguito della riformulazione dell’art. 2484 comma III, c.c. ad opera del D.Lgs. n. 6/2003, gli effetti dello scioglimento non si producono più automaticamente al verificarsi della causa di scioglimento, bensì dall’iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa, costituendo tale forma pubblicitaria una nuova ipotesi di pubblicità costitutiva.

Pertanto, si sostiene che la previsione nell’ambito dell’atto costitutivo di tecniche di risoluzione dello stallo decisionale esonererebbe l’organo amministrativo dall’adempimento di tutti gli oneri connessi al verificarsi della causa di scioglimento, in verità non ancora prodottasi, in quanto lo stallo non potrà dirsi definitivo fino a quando non si sarà tentato di superarlo tramite l’adozione dei rimedi pattizi di cui si tratterà.

Soltanto in caso di infruttuoso esperimento delle suddette tecniche, la società potrà essere definita sciolta, con tutti gli obblighi e le responsabilità in capo agli amministratori a questo connessi e conseguenti.

I sistemi “anti stallo” applicati dalla prassi possono essere schematizzati in due categorie:

  • In una prima categoria, sono ricomprese le previsioni statutarie di risoluzione extraprocessuali volte a superare la paralisi decisionale, mediante tentativi di conciliazione o decisione determinante di un terzo indipendente (arbitro, mediatore etc etc, figure professionali che tanto piacciano al governo Renzi come da ultimo DECRETO-LEGGE 12 settembre 2014, n. 132 [150]
    Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile)

1. Tentativo di conciliazione

2. Intestazione fiduciaria [151]. Qualora si volesse evitare di attribuire in partenza a un socio il diritto di prevalere sull’altro, un altro strumento utilizzato nella prassi è quello che prevede il coinvolgimento di un soggetto terzo, al fine di esprimere il suo voto determinante in favore dell’una ovvero dell’altra proposta. La forma giuridica più utilizzata è quella dell’ intestazione fiduciaria a un terzo di una minima quota di capitale, funzionale a spogliare entrambi i soci del diritto di voto a questa connesso.

3. Arbitraggio. Con l’introduzione, a opera dell’ 37 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, dell’istituto del c.d. arbitraggio con riferimento ai soli casi di “contrasti tra coloro che hanno il potere di amministrazione in ordine alle decisioni da adottare nella gestione della società”, parte della dottrina ha sostenuto la sopravvenuta inapplicabilità del suddetto rimedio con riferimento alle ipotesi di dissidio tra soci, in tale modo interpretando il meccanismo dell’arbitraggio quale prerogativa dei contrasti del solo organo amministrativo.

  • Nella seconda categoria, sono concentrati i meccanismi aventi per oggetto lo scioglimento del rapporto tra i soci e la relativa regolamentazione, con o senza estinzione anticipata della società.
    1. Ci possono essere casi nell’ambito dei quali, per il particolare apporto materiale o professionale di uno dei due soci, venga pattuito che in caso di stallo decisionale il socio destinato a uscire dalla società sarà quello che avrà dato il minore apporto in sede di costituzione o di operatività della società . In tale caso, al socio “destinato a restare” sarà attribuito un’opzione per l’acquisto delle partecipazioni del socio “destinato a uscire”, predeterminandone il prezzo ovvero i relativi parametri; ovvero designando, o individuando i parametri per designare, un soggetto terzo, in veste di perito, al fine di individuare il prezzo di acquisto delle partecipazioni.
    2. Put&Call Option. Altra variante funzionale a predeterminare l’uscita di uno dei due soci è rappresentata dalle clausole di opzione di acquisto e vendita incrociate delle partecipazioni (c.d. “Put&Call Option). In tali casi, una volta scaduto il termine di efficacia della prima delle due opzioni (ad esempio l’opzione di put), inizierà a decorrere il periodo di efficacia della seconda (nell’esempio, l’opzione di call).
    3. Clausola della “roulette russa”. Un’altra tipologia di clausole prevede, invece, un meccanismo aleatorio per l’individuazione del socio destinato a uscire , a seconda del socio che assuma per primo l’iniziativa di proporre l’acquisto o, in alternativa, la vendita delle partecipazioni e della risposta del socio destinatario della offerta.

 

I suddetti meccanismi possono essere convenuti in sede parasociale ovvero, almeno alcuni di essi, in sede di atto costitutivo .

In tale ottica, la scelta di disciplinare in sede di atto costitutivo la risoluzione delle situazioni di stallo decisionale non sembra incontrare altri limiti se non quelli dati dal rispetto della legge; mentre avrebbe il vantaggio, contrariamente ai patti parasociali, di rendere opponibili a tutti (società, amministratori e terzi inclusi) l’esecuzione dei patti ivi contenuti, e ciò in virtù della sua efficacia reale .

3) Il procedimento assembleare

A – Convocazione – I co art.2479 bis
B – Riunione – II, III, co art.2479 bis
C – Votazione – III co art.2479 bis
D – I poteri del presidente dell’assemblea – IV co art.2479 bis
E – Verbalizzazione – IV co art.2479 bis

 

art. 2479 bis c.c.   assemblea dei soci

l’atto costitutivo determina i modi di convocazione [pec, telegramma, telefax, posta elettronica, avviso pubblicato su un dato organo di stampa, potendo prevedere anche un termine inferiore ai canonici 8 giorni; lo statuto deve indicare altresì a chi spetti la legittimazione a convocare l’assemblea: l’organo amministrativo nella sua collegialità, o i singoli componenti, oppure i singoli soci] dell’assemblea dei soci, tali comunque da assicurare la tempestiva informazione sugli argomenti da trattare. In mancanza la convocazione è effettuata mediante lettera raccomandata spedita ai soci [agli amministratori e ai sindaci, i quali devono assistere alle assemblee e al revisore ove nominati] almeno otto giorni prima dell’adunanza nel domicilio risultante dal libro dei soci.
II co Se l’atto costitutivo non dispone diversamente, il socio può farsi rappresentare in assemblea e la relativa documentazione è conservata secondo quanto prescritto dall’articolo 2478, primo comma, numero 2) [Il legislatore non ripropone per le s.r.l. le limitazioni di cui all’art. 2372].

III co Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo l’assemblea si riunisce presso la sede sociale [possibilità di partecipare a mezzo di teleconferenza o videoconferenza] ed è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno ½ del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta e, nei casi previsti dai numeri 4) [modificazione dell’atto costitutivo] e 5) [la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci ] del secondo comma dell’articolo 2479, con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno ½ del capitale sociale.
IV co L’assemblea è presieduta dalla persona indicata nell’atto costitutivo o, in mancanza, da quella designata dagli intervenuti [sarà sufficiente l’espressione di una maggioranza semplice di consensi e la relativa presa d’atto]. Il presidente dell’assemblea verifica la regolarità della costituzione, accerta l’identità e la legittimazione dei presenti, regola il suo svolgimento ed accerta i risultati delle votazioni; degli esiti di tali accertamenti deve essere dato conto nel verbale [in mancanza di diversa previsione dell’atto costitutivo si ritiene applicabile alla s.r.l. l’art. 2375, compresa la possibilità della non con testualità tra deliberazione e verbalizzazione, purché la riduzione sia effettuata senza ritardo nei tempi necessari per la tempestiva esecuzione degli obblighi di deposito o di pubblicazione].

V co ASSEMBLEA TOTALITARIA In ogni caso la deliberazione s’intende adottata quando ad essa partecipa l’intero capitale sociale e tutti gli amministratori e sindaci sono presenti o informati della riunione e nessuno si oppone alla trattazione dell’argomento [è da ritenersi applicabile alla s.r.l. l’art. 2366, co IV, che prevede la necessità di fornire < tempestiva comunicazione delle deliberazioni assunte ai componenti degli organi amministrativi e di controllo non presenti >].

A differenza delle complicate disposizioni stabilite per le s.p.a, oltre a sopprimere la distinzione tra assemblea ordinaria e straordinaria (cfr. il “vecchio” art. 2486 c.c.) la riforma ha profondamente modificato il sistema dei quorum (costitutivi e) deliberativi per la formazione della volontà sociale con il metodo assembleare.

In particolare la novella dispone che:

  • l’assemblea, regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale, di regola delibera col voto favorevole della maggioranza assoluta dei votanti;
  • l’assemblea delibera con il voto favorevole di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale:
    1. per le modifiche dell’atto costitutivo;
    2. per compiere operazioni che comportano una sostanziale modifica dell’oggetto sociale o una rilevante modifica dei diritti dei soci;
    3. per le decisioni di cui al n. 5 dell’art. 2479 comma V, c.c.;
    4. per la nomina e revoca dei liquidatori;
    5. per la determinazione dei criteri di liquidazione (art. 2487 c.c.);
    6. per la revoca della liquidazione (art. 2487- terc.).

In tutte queste ipotesi la maggioranza richiesta per la validità delle deliberazioni (quorum deliberativo) equivale al limite minimo previsto per la stessa costituzione (quorum costitutivo);

un quorum deliberativo più elevato è richiesto:

 

Quorum deliberativi più elevati

  1. per la rinunzia e transazione da parte della società dell’azione di responsabilità contro gli amministratori: due terzi del capitale sociale e la mancata opposizione dei soci titolari di almeno il 10 per cento del capitale sociale ex 2479 comma V, c.c.;
  2. per la trasformazione c.d. eterogenea: due terzi del capitale sociale ex 2500- septies c.c.;
  3. per l’introduzione o la soppressione di clausole compromissorie: due terzi del capitale sociale ex 34, D.Lgs. n. 5/2003;
  4. salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, è richiesto il consenso di tutti i soci per le modifiche dei particolari diritti attribuiti ai singoli soci dall’atto costitutivo (cfr. art. 2468 comma IV, c.c.).

Secondo la dottrina prevalente i quorum deliberativi anzidetti possono essere derogati dal contratto sociale che può ridurli, elevarli sino a prevedere l’unanimità

A differenza delle s.p.a, la legge non prevede l’assemblea in seconda convocazione, ovvero non vi è differenza tra la prima e la seconda convocazione, per cui i termini per la convocazione e le maggioranze richieste per deliberare sono sempre gli stessi, ogni volta che l’assemblea sia convocata sulle stesse materie

In merito alla costituzione per le sezioni unite [152] salvo che l’atto costitutivo della società a responsabilità limitata non contenga una disciplina diversa, deve presumersi che l’assemblea dei soci sia validamente costituita ogni qual volta i relativi avvisi di convocazione siano stati spediti agli aventi diritto almeno otto giorni prima dell’adunanza (o nel diverso termine eventualmente in proposito indicato dall’atto costitutivo), ma tale presunzione può essere vinta nel caso in cui il destinatario dimostri che, per causa a lui non imputabile, egli non ha affatto ricevuto l’avviso di convocazione o lo ha ricevuto così tardi da non consentirgli di prendere parte all’adunanza, in base a circostanze di fatto il cui accertamento e la cui valutazione in concreto sono riservati alla cognizione del giudice di merito.

La legge non distingue tra assemblea ordinaria e assemblea straordinaria: anche se non mancano deliberazioni assembleari – quelle, p.e. , relative alla modificazione del atto costitutivo – che richiedono quorum costitutivi e deliberativi più elevati di quello ordinariamente richiesto.

Del pari la legge non distingue tra assemblea di prima o successiva convocazione anche se è ammissibile la previsione statutaria (delineando una disciplina dettagliata in analogia a quella prevista nella S.p.A.) di tale possibilità.

Per la S.C. [153] ai fini della validità ed efficacia dell’avviso di convocazione dell’assemblea di una società a responsabilità limitata, l’art. 2484 c.c. previgente richiedeva due condizioni, rimaste invariate, una temporale, costituita dalla spedizione almeno otto giorni prima della data stabilita per l’assemblea, ed una spaziale relativa all’invio presso il domicilio indicato nel libro soci. La duplicità dei requisiti è destinata a contemperare l’esigenza di informare il socio in uno spazio temporale adeguato con l’esigenza, di pari rilievo, di una convocazione rapida. Risulta pertanto irrilevante che l’avviso non sia pervenuto al socio, se siano state rispettate entrambe le condizioni, dovendosi imputare esclusivamente alla sua negligenza la mancata comunicazione della modifica del domicilio.

4) L’invalidità delle decisioni dei soci – Nullità ed annullabilità

 

[154]

art. 2479 ter c.c.   invalidità delle decisioni dei soci

le decisioni dei soci che non sono prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo possono essere impugnate [ANNULLABILITA’] dai soci [a differenza di quanto previsto per le S.p.a. in cui è necessario che i soci siano titolari di una percentuale pari al 5%] che non vi hanno consentito, da ciascun amministratore e dal collegio sindacale entro tre mesi dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci. Il tribunale, qualora ne ravvisi l’opportunità e ne sia fatta richiesta dalla società o da chi ha proposto l’impugnativa, può assegnare un termine non superiore a sei mesi per l’adozione di una nuova decisione idonea ad eliminare la causa di invalidità.
Qualora possano recare danno alla società, sono impugnabili
[ANNULLABILITA’] a norma del precedente comma le decisioni assunte con la partecipazione determinante di soci che hanno, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società.
Le decisioni aventi oggetto illecito o impossibile e quelle prese in assenza assoluta di informazione possono essere impugnate
[NULLITA’] da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla trascrizione indicata nel primo periodo del precedente primo comma. Possono essere impugnate [NULLITA’]senza limiti di tempo le deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite.
Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 2377, quarto, sesto, settimo e ottavo comma, 2378, 2379 bis, 2379 ter e 2434 bis.

 

Nullità della delibera dei soci di s.r.l. per assoluta mancanza di informazione.

Di recente il Tribunale Milanese [155] è intervenuta stabilendo che in tema di invalidità delle delibere assembleari di s.r.l., l’assoluta mancanza di informazione va riferita al procedimento di convocazione in senso proprio e comporta la nullità della delibera impugnabile entro 3 anni. Gli altri vizi inerenti a carenze informative, invece, come per esempio il mancato deposito nei termini del bilancio sociale, rientrano nelle ipotesi di annullabilità e la relativa delibera è impugnabile entro 90 giorni dall’iscrizione della delibera nel libro soci. Così ribadisce la Sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Milano, esaminando il ricorso presentato dal socio detentore di una quota del capitale sociale di una società agricola a r.l., il quale impugnava le delibere assembleari adottate, con la sua astensione, in materia di approvazione del bilancio e di abbattimenti e ricostituzione del capitale per perdite. A dire del socio, le delibere erano affette da nullità per impossibilità dell’oggetto, poiché si riferivano a un esercizio futuro trattandosi dell’anno 20011, per assoluta assenza di informazione in suo capo rilevante, ex art. 2479-ter, comma III, c.c. essendogli stato recapitato all’estero l’avviso di convocazione tardivamente, infine, per mancato deposito del progetto di bilancio presso la sede sociale, in violazione dell’art. 2429, comma III, c.c. La società agricola a r.l. convenuta eccepiva, invece, un mero errore materiale del notaio nell’indicazione dell’anno di esercizio, da riferirsi al 2011, la regolarità dei restanti adempimenti e il decorso del termine di 90 giorni per impugnare le delibere annullabili.

Il Tribunale di Milano, nel caso in esame, richiama il proprio orientamento (cfr. sentenza n. 13994/2012) secondo il quale il termine di impugnazione di 3 anni delle decisioni dei soci di s.r.l. prese per assoluta mancanza di informazione va rapportata alla specifica disciplina per la s.r.l. delle decisioni dei soci, decisioni adottabili in assemblea anche quando lo statuto preveda la consultazione scritta o il consenso espresso per iscritto (art. 2479, 2479-bis e -ter c.c.). In caso di deliberazione assembleare di s.r.l., l’assoluta mancanza di informazione va riferita in via sistematica al procedimento di convocazione in senso proprio e comporta lo stesso vizio di nullità previsto per le s.p.a. inerente alla completa mancanza di convocazione. Ogni altro vizio relativo a carenze informative (come, per esempio, il mancato deposito del bilancio), invece, va ricondotto alla categoria dei vizi di annullabilità, che sono soggetti al termine di impugnazione “breve” di 90 giorni decorrente dalla data di iscrizione della delibera nel libro delle decisioni dei soci (2479-ter c.c.).

 

B) Amministratore (a. u.)   o Consiglio di amministrazione (c. d. a.)

Per quanto non molto chiara, una simile normativa sembra dire che, secondo il sistema legale di governo, i primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo, mentre spetta all’assemblea procedere alle nomine successive, quando i primi siano per qualsiasi motivi cessati dalla carica.

Si ripete che nella s.r.l., è possibile anche dar vita ad una struttura societaria incentrata sulla decisionalità dei soci, fermo restando che, comunque, all’organo amministrativo, sono riservate <in ogni caso > le decisioni inerenti alla redazione del progetto di bilancio, del progetto di fusione o di scissione, nonché le decisioni di aumento del capitale sociale allo stesso organo delegante dallo statuto dall’art. 2481, co I (2475, co I).

Anche se c’è una parte della dottrina, la quale sostiene che l’organo amministrativo possa addirittura totalmente esautorato e giunge alla conclusione che anche le funzioni di cui all’art 2475, co V possano essere affidate ai soci.

Tuttavia, essa aggiunge che i soci, quali amministratori, dovrebbero adottare le decisioni di cui al co V dell’art. 2475 in modo collegiale; sicché, anche nell’ipotesi in cui l’atto costitutivo stabilisse che le decisioni dei soci fossero prese senza il necessario rispetto di tale metodo (ossia con consultazione scritta o con il consenso espresso per iscritti), le decisioni di cui all’art. 2475 c.c., richiederebbero comunque l’adozione del procedimento assembleare.

 

art. 2463 II co n 8c.c.  costituzione:…. 8) le persone cui è affidata l’amministrazione e gli eventuali soggetti incaricati del controllo contabile;

Per la Corte di Cassazione [156] è legittima la clausola dell’atto costitutivo e dello statuto di una società a responsabilità limitata, la quale — ferma la necessità di indicare nell’atto costitutivo coloro che, per primi, vengono designati quali amministratori –preveda che la società possa essere amministrata da un amministratore unico, ovvero da un consiglio di amministrazione, rimettendo all’assemblea ordinaria la scelta in ordine alla concreta configurazione dell’organo ed al numero degli amministratori, in quanto questa previsione non vulnera gli interessi dei soci e dei terzi, tutelati dalla disciplina in materia di pubblicità, prevista anche in riferimento alle delibere dell’assemblea ordinaria (art. 2383, III comma, c.c., richiamato dall’art. 2487, c.c.), non rilevando, in contrario, che l’art. 2487, c.c. non richiama l’art. 2380, III comma, c.c., concernente la S.p.A., sia perché questa norma stabilisce esclusivamente che la fissazione del numero degli amministratori spetta all’assemblea ordinaria, qualora il numero non sia indicato nell’atto costitutivo, in virtù di una facoltà non prevista direttamente da detta disposizione, ma insita nel sistema, sia perché il mancato richiamo espresso nell’art. 2487, c.c., di una norma relativa alla S.p.A. non giustifica, da sola, l’inapplicabilità alla S.r.l., se l’estensione della disposizione non risulti in contrasto con le caratteristiche peculiari di questo tipo societario.

art. 2475 c.c.   amministrazione della società

salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’amministrazione della società è affidata a uno o più soci nominati con decisione dei soci presa ai sensi dell’articolo 2479.
All’atto di nomina degli amministratori si applicano il quarto e quinto comma dell’articolo 2383.
Quando l’amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione. L’atto costitutivo può tuttavia prevedere, salvo quanto disposto nell’ultimo comma del presente articolo, che l’amministrazione sia ad esse affidata disgiuntamente oppure congiuntamente; in tali casi si applicano, rispettivamente, gli articoli 2257 e 2258.
Qualora sia costituito un consiglio di amministrazione, l’atto costitutivo può prevedere che le decisioni siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto. In tal caso dai documenti sottoscritti dagli amministratori devono risultare con chiarezza l’argomento oggetto della decisione ed il consenso alla stessa.
La redazione del progetto di bilancio e dei progetti di fusione o scissione, nonché le decisioni di aumento del capitale ai sensi dell’articolo 2481 sono in ogni caso di competenza del consiglio di amministrazione.

 

La disciplina degli amministratori nella s.r.l. non prevede cause d’ineleggibilità o di decadenza, né si possono applicare per analogia le regole dettate per la S.p.A. – artt. 2382 – 2387 [157].

Se nulla prevede l’atto costitutivo, gli amministratori sono a tempo indeterminato, ossia fino a revoca o a dimissioni; essi, quindi possono essere nominati anche per un periodo superiore a tre anni, a differenza di quanto accade nella S.p.A ex art. 2383, co II.

Però, come previsto dal Tribunale Milanese [158], in tema di società di capitali, all’amministratore di società a responsabilità limitata nominato a tempo indeterminato non è applicabile – atteso il richiamo operato dall’art. 2475, II comma, c.c. ai soli commi IV e V – il disposto del III comma dell’art. 2383 c.c. a mente del quale gli amministratori sono revocabili dall’assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell’atto costitutivo, salvo il diritto al risarcimento dei danni se la revoca avviene senza giusta causa.

Tale disposizione, infatti, dettata per l’ipotesi, tipica per le società per azioni (art. 2383 II comma, c.c.) di amministratore nominato a tempo determinato, non si presta a regolare l’ipotesi di nomina a tempo indeterminato, ricorrente solo nelle società a responsabilità limitata, in quanto, diversamente opinando, la norma richiamata, in contrasto con il carattere fiduciario dell’incarico, comporterebbe l’impossibilità per tutta la durata della vita dell’amministratore di una revoca in assenza di giusta causa senza l’obbligo di risarcimento del danno.

Ne consegue che, nel caso di amministratore nominato a tempo indeterminato, può trovare applicazione in via analogica la diversa disciplina di cui all’art. 1725 c.c.[159], II comma, c.c. secondo cui la revoca del mandato oneroso a tempo indeterminato, che costituisce sempre facoltà del mandante, attribuisce al mandatario il diritto al risarcimento del danno solo in difetto di congruo preavviso, salvo sussista una giusta causa.

Principio ripreso dalla massima della Cassazione [160] secondo la quale l’amministratore di una società a responsabilità limitata nominato a tempo indeterminato può, del tutto legittimamente, esser revocato con preavviso, ai sensi dell’art. 1725, II comma c.c., senza che a ciò osti il disposto del III comma dell’art. 2383 stesso codice (richiamato, ratione materiae, dal successivo art. 2487), riguardando detta norma la (diversa) ipotesi di nomina dell’amministratore a tempo determinato.

  • La composizione dell’organo amministrativo

< salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’amministrazione della società è affidata a uno o più soci nominati con decisione dei soci presa ai sensi dell’articolo 2479 c.c. >

 

Nella società a responsabilità limitata si assiste di solito ad una tendenziale coincidenza tra coloro i quali gestiscono la società e coloro i quali sono titolari del capitale sociale, con la conseguenza che, ove non sia diversamente previsto nell’atto costitutivo, l’amministrazione non può che competere a coloro i quali rivestono la qualità di soci; ciò a differenza di quanto accade nella S.p.A., in cui al co II dell’art. 2380 bis, stabilisce che < L’amministrazione della società può essere affidata anche a non soci >.

La regola, però non ha carattere inderogabile, potendo l’atto costitutivo, affidare l’amministrazione anche a soggetti non soci.

Lo Studio 892-2013/I, approvato dal Consiglio nazionale del Notariato il 12.12.2013, sul punto ha cercato di interpretare il dettato normativo.

L’art. 2475 c.c., norma generale sull’amministrazione delle S.r.l., stabilisce che l’amministrazione della società deve essere affidata a uno o più soci, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo.

L’art. 2463-bis, co. II, n. 6), c.c., che disciplina la costituzione della S.r.l. semplificata, nella sua formulazione originaria imponeva l’obbligo di scegliere gli amministratori nominati nell’atto costitutivo tra i soci.

In seguito, il Legislatore, con la lett. b) del co. XIII dell’art. 9, D.L. 76/2013, ha soppresso la previsione dell’art. 2463-bis, co. II, n. 6), c.c. relativa all’obbligo di scegliere tra i soci gli amministratori nominati nell’atto costitutivo.

Su tale soppressione il Notariato fornisce tre possibili interpretazioni.

Secondo una prima interpretazione, trattandosi dell’eliminazione di una disposizione di per sé superflua, e considerato che l’atto costitutivo delle S.r.l. semplificate ha un contenuto standard non integrabile dall’autonomia statutaria, non sarebbe comunque mai possibile nominare amministratori estranei in sede di atto costitutivo.

Tuttavia, viene evidenziata anche una seconda plausibile interpretazione secondo cui vi sarebbe la possibilità di nominare amministratori estranei in sede di atto costitutivo.

Partendo dal riferimento contenuto nella norma “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo” viene ritenuto che lo stesso possa essere interpretato ammettendo che è consentita l’adozione di una clausola derogatoria ed anche che la nomina dei primi amministratori, avvenendo in sede di atto costitutivo, possa riguardare gli estranei.

Infine, secondo la terza interpretazione risaltata dal Notariato, dovrebbe essere sempre riconosciuta la possibilità di nomina di amministratori estranei, anche a prescindere dall’adozione di un’apposita clausola statutaria; ed a tal fine, il co. I dell’art. 2475 c.c. non potrebbe applicarsi alle S.r.l. semplificate giacché incompatibile con la loro disciplina ai sensi dell’art. 2463-bis, co. V, c.c.

  • Nomina di persone giuridiche

Nel nostro ordinamento giuridico, diversamente da quanto accade in altri Paesi europei, non vi sono norme espressamente dettate dal legislatore che vietino o al contrario sanciscano l’ammissibilità della nomina di persone giuridiche alla carica di amministratori di società; da questa lacuna normativa è scaturito un annoso dibattito, nell’ambito del quale la posizione della dottrina e della giurisprudenza prevalenti era nel senso di ritenere che soltanto le persone fisiche potessero ricoprire l’incarico di amministratori di una società, sia di quelle di persone, sia di quelle di capitali.

I principali argomenti contrari all’ammissibilità di un amministratore persona giuridica nell’ambito delle società di persone erano fondamentalmente gli stessi utilizzati per escludere la possibilità di una partecipazione delle società di capitali in società di persone [161], visto lo stretto collegamento esistente in tali assetti societari tra la qualità di socio e la carica di amministratore.

Il divieto era motivato essenzialmente dal rilievo che, consentendo alle società di capitali di acquisire la qualità di socio di società di persone, si sarebbe permesso in ultima analisi ai soci amministratori di esercitare attività di impresa secondo le più agili modalità organizzative delle società di persone, ma godendo tuttavia del regime di responsabilità limitata previsto solo per le società di capitali, cumulando sostanzialmente i vantaggi delle società di capitali (responsabilità limitata) con quelli delle società di persone (potere diretto di amministrazione).

Altra tradizionale argomentazione era relativa al fatto che le società di persone sono caratterizzate dall’intuitus personae e che un rapporto fiduciario sarebbe stato concepibile solo tra persone fisiche; inoltre alcune norme dettate in tema di società di persone presupporrebbero la qualità di persona fisica dei soci e sarebbero state pertanto inapplicabili nel caso in cui l’amministratore fosse una persona giuridica.

Per quanto riguarda, invece, la nomina di una persona giuridica quale amministratore di società di capitali, e in particolare di s.p.a., l’argomento tradizionalmente frapposto era quello secondo cui sarebbe stato in tal modo violato il principio della competenza assembleare nella nomina e nella revoca degli amministratori, sancito dall’art. 2383 c.c., dal momento che le persone fisiche che realmente amministrano la società avrebbero finito con l’essere nominate e revocate da un terzo, ossia la persona giuridica-amministratore esautorando di fatto l’assemblea.

La tesi, facilmente discutibile in base ai principi generali in tema di immedesimazione organica tra persona giuridica e organi attraverso cui essa opera, ne sottende in realtà una ulteriore e più sottile, e quindi se sia ammissibile un rapporto fiduciario che leghi la persona giuridica dell’amministratore ai soci rappresentati dall’assemblea, problematica già posta in evidenza per le società di persone rispetto alle quali essa mostra una forza ancora maggiore vista la loro caratterizzazione dall’intuitus personae.

Ad ulteriore sostegno della tesi limitativa si argomentava poi dalla disciplina dettata in tema di società mutualistiche, quale essa era prima della riforma di diritto societario, per cui l’art. 2535 comma 1, c.c. stabiliva espressamente che i soci persone giuridiche non potessero assumere direttamente incarichi gestori, ma dovessero indicare persone fisiche che avrebbero assunto la qualità di amministratori e di rappresentanti.

Il D.Lgs. n. 6/2003 è intervenuto a riformare alcuni aspetti fondamentali della disciplina societaria, ma tuttavia ancora una volta il legislatore non si è pronunciato espressamente sul tema oggetto della presente punto.

Nonostante il vuoto legislativo lasciato dunque immutato dalla riforma, il nuovo diritto societario ha offerto alcuni importanti spunti che hanno portato ad una riconsiderazione dell’ammissibilità della nomina di una persona giuridica all’incarico di amministratore di società.

L’argomento più importante a sostegno della tesi positiva è indubbiamente contenuto nella novella dell’art. 2361 comma 2, c.c., il quale sancisce la possibilità di una partecipazione della società di capitali in una società di persone.

Inoltre, l’art. 111 duodecies disp. att. c.c. prevede espressamente che tutti i soci illimitatamente responsabili (art. 2361 comma 2, c.c.) possano essere s.p.a., s.a.p.a., s.r.l.

Dal combinato disposto delle due norme sopraesposte con le disposizioni che regolano il potere di amministrazione nelle società di persone attribuendolo disgiuntamente ai soci illimitatamente responsabili discende la considerazione che ogniqualvolta una società di capitali assuma la qualità di socio di una società illimitatamente responsabile ben possa assumere conseguentemente la carica di amministratore e di rappresentante della stessa

In seguito all’intervento della riforma, infatti, si è affermato un orientamento che tende oggi ad ammettere l’attribuibilità dell’amministrazione alla persona giuridica anche per le società di capitali.

Per quanto riguarda le s.r.l., l’art. 2475 c.c. statuisce che «salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’amministrazione della società è affidata ad uno o più soci», nulla disciplinando quindi sulla natura di detti soci e lasciando intendere dunque come possibile la nomina della società ad amministratore quando la stessa sia socia. Tale argomentazione diventa poi ancora più pregnante nell’ipotesi in cui unico socio della s.r.l. sia, per esempio, un’altra s.r.l.: è evidente come in questo caso l’unico socio s.r.l. sarà anche amministratore della società.

Questa ricostruzione sembra confermata dall’art. 2468 cod. civ, il quale, disponendo che ai singoli soci possano essere per statuto attribuiti «particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società», introduce una deroga alla competenza assembleare alla nomina degli amministratori, facendo venire meno un ostacolo all’affidabilità della carica di amministratore ad un soggetto diverso dalla persona fisica.

Né valgono ad affermare il contrario le norme dettate in tema di atto costitutivo (art. 2463 c.c.) e di iscrizione della nomina degli amministratori nel Registro delle imprese (art. 2383 c.c., dettato in tema di s.p.a. e richiamato nella s.r.l. dall’art. 2475 c.c.) che presupporrebbero entrambe la qualità di persona fisica dei soci; si tratta infatti di disposizioni di natura meramente procedimentale da cui non possono derivarsi considerazioni definitivamente preclusive circa l’ammissibilità di un amministratore persona giuridica.

  • Consiglio di amministrazione

[162]

Organo collegiale che – deve ritenersi, malgrado anche per questa parte la disciplina sia lacunosa – delibera a maggioranza.

La disciplina dettata in tema di s.r.l. non prevede disposizioni che consentano di delegare i poteri del c.d.a. a determinati membri del consiglio stesso (amministratori delegati oppure comitato esecutivo – art. 2381).

Ciò è spiegato dal fatto che nelle s.r.l., essendo prevista anche la possibilità di attuare un’amministrazione disgiuntiva, come per le società di persone, si rende inutile applicare in via analogica la norma dettata per la S.p.A. in materia di amministratori delegati o comitato esecutivo.

Ma comunque è possibile, attraverso una previsione statutaria, prevedere il ricorso ad un esercizio delegato, mediante la figura dell’amministratore delegato o del comitato esecutivo, del potere gestorio.

Secondo ultima massima del Consiglio Notarile di Firenze (Presentazione dei nuovi Orientamenti dell’Osservatorio Societario Firenze, 25 novembre 2016), è possibile procedere alla nomina in sede di costituzione di società di capitali di amministratori delegati a condizione che:

a) tutti coloro che sono nominati componenti del consiglio di amministrazione siano comparenti all’atto costitutivo, abbiano accettato la carica e abbiano assunto la decisione all’unanimità oppure, in alternativa, seppur non comparenti, abbiano preventivamente accettato la carica in forma scritta e abbiano sottoscritto una dichiarazione di nomina e di delega di poteri a favore di uno o più fra loro;
b) in caso di nomina dell’organo di controllo, tutti i suoi membri siano comparenti all’atto costitutivo e abbiano accettato la carica oppure, in alternativa, seppur non comparenti, abbiano preventivamente accettato la carica in forma scritta e abbiano sottoscritto una dichiarazione di presa d’atto, sempre in forma scritta, della scelta in ordine alla nomina di uno o più soggetti quali amministratori delegati.

La corte di Cassazione [163] ha anche specificato che quando l’attività di gestione di una società dotata di personalità giuridica è affidata ad un consiglio d’amministrazione si verifica (a differenza del caso dell’amministratore unico) una separazione del potere deliberativo, diretto a formare la volontà dell’ente, da quello di rappresentanza esterna, in quanto il primo appartiene al consiglio d’amministrazione, mentre il secondo spetta al presidente o all’amministratore cui esso sia stato espressamente conferito.

Pertanto, ad esempio, il contratto concluso dal presidente senza la ratifica del consiglio d’amministrazione, essendo stipulato da un rappresentante senza poteri, è inefficace per la società.

Infine, è stato sottolineato da ultimo intervento della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione sesta (prima) civile, Ordinanza 25 febbraio 2020, n. 4954

che in tema di società di capitali, nel silenzio dell’art. 2381 c.c. anche la revoca della delega all’amministratore delegato da parte del consiglio di amministrazione deve essere assistita da giusta causa, sussistendo, in caso contrario, il diritto del revocato al risarcimento dei danni eventualmente patiti, in applicazione analogica dell’art. 2383, comma 3, c.c. che disciplina la revoca degli amministratori da parte dell’assemblea.

  • Presidente del consiglio di amministrazione

Potrà essere nominato dai soci, all’atto della nomina degli amministratori, e, quando essi non vi abbiano proceduto, può essere nominato dallo stesso c.d.a.

Non c’è nella s.r.l. una norma analoga all’art. 2381, co I, dettata in tema di S.p.A., che fissi i poteri del presidente.

E’ stato anche precisato dal Tribunale Milanese [164] che l’incarico di presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali ben può essere svolto gratuitamente, atteso che i compensi degli amministratori sono disciplinati dall’atto costitutivo, ovvero da delibera di assemblea ordinaria. La gratuità dell’incarico infatti è perfettamente legittima, non costituendo l’onerosità un presupposto imprescindibile dell’incarico fiduciariamente conferito, né un presupposto della prestazione di lavoro autonomo.

  • Modelli di formazione della volontà

 

Decisione non collegiale

Decisione collegiale

 

Di regola le decisioni vengono prese con il metodo collegiale.

Ciò significa che i componenti del c.d.a. vengono convocati per tempo in un certo luogo e ad una certa ora per discutere su un determinato o.d.g.; il potere di convocazione spetta al presidente del c.d.a.

Per quanto riguarda i quorum costitutivi e quelli deliberativi, in mancanza di una previsione dell’atto costitutivo, si ritiene applicabile la disciplina dell’art. 2388, co II

 

  • Amministrazione disgiuntiva o congiuntiva

art. 2257 c.c.   amministrazione disgiuntiva

salvo diversa pattuizione, l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri.
Se l’amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all’operazione che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta.
La maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili, decide sull’opposizione
[l’opposizione deve essere esercitata prima che l’operazione sia compiuta, e se tempestiva paralizza il potere decisorio del singolo amministratore in ordine all’operazione contestata – inoltre si dubita su chi sia legittimato a decidere sulla fondatezza dell’opposizione, in mancanza di diversa previsione dell’atto costitutivo, se la maggioranza dei soci secondo la quota spettante a ciascuno di essi negli utili].

art. 2258 c.c.   amministrazione congiuntiva

se l’amministrazione spetta congiuntamente [si tratta di un modello di amministrazione che garantisce l’unità gestionale, ma che può andare a svantaggio dell’immediatezza e della rapidità delle decisioni] a più soci, è necessario il consenso di tutti i soci amministratori per il compimento delle operazioni sociali.
Se è convenuto che per l’amministrazione o per determinati atti sia necessario il consenso della maggioranza, questa si determina a norma dell’u. c. dell’art. precedente
[determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili].
Nei casi preveduti da questo articolo, i singoli amministratori non possono compiere da soli alcun atto, salvo che vi sia urgenza di evitare un danno alla società.

  • I poteri degli amministratori

Amministrazione

La competenza degli amministratori è generale, nel senso che si estende a tutto ciò che dalla legge o dall’atto costitutivo non sia espressamente affidato ai soci: la regola è che la gestione della società è affidata agli amministratori.

Tale potere, tuttavia, risulta limitato dallo statuto, il quale affida ai soci in maniera inderogabile le funzioni di cui all’art. 2479, co II n. 1 – 5, e può essere limitato dallo statuto, il quale può riservare alla competenza dei soci altre materie sottraendo, così, alla competenza degli amministratori.

Inoltre, secondo la S.C.[165], è bene evidenziare che in tema di determinazione dei poteri attribuiti agli amministratori delle società di capitali, non trova applicazione la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione prevista con riguardo ai beni degli incapaci dagli artt. 320, 374 e 394 c.c., dovendosi invece fare riferimento agli atti che rientrano nell’oggetto sociale – qualunque sia la loro rilevanza economica e natura giuridica – pur se eccedano i limiti della cosiddetta ordinaria amministrazione, con la conseguenza che, salvo le limitazioni specificamente previste nello statuto sociale, rientrano nella competenza dell’amministratore tutti gli atti che ineriscono alla gestione della società, mentre eccedono i suoi poteri quelli di disposizione o alienazione, suscettibili di modificare la struttura dell’ente e perciò esorbitanti (e contrastanti con) l’oggetto sociale.

Rappresentanza

Il potere di rappresentanza, consente d’imputare gli atti posti in essere alla società e spetta agli amministratori, anche qualora i poteri decisionali siano attribuiti, con apposita previsione statutaria, ai soci.

Per l’attribuzione del potere di rappresentanza non occorrono particolari, salvo specifica previsione statutaria, investiture, posto che esso non consegue ad una specifica attribuzione, ma è strettamente connesso alla qualità di amministratore.

La rappresentanza di regola, non può spettare a chi, socio o non socio, sia estraneo all’organo amministrativo.

Tuttavia, l’amministratore, dotato di potere rappresentativo può liberamente conferire ad un terzo speciale procura o una procura generica per il compimento di una serie di atti o, infine, una procura generale per il compimento di una seri di atti ma non della stessa specie.

Naturalmente nel caso in cui i due poteri (di gestione e di rappresentanza) spettino a soggetti distinti, è chiaro che il potere di rappresentanza non è esercitatile in maniera indipendente dal potere di gestione: un amministratore dotato di potere di rappresentanza, ma a cui non sia stato delegato nessun potere di gestione, prima di compiere l’atto nei confronti dei terzi, deve provocare una delibera autorizzativa del consiglio di amministrazione.

In caso contrario, l’atto è comunque valido e vincola la società nei confronti del terzo, ma l’amministratore si rende responsabile dell’eventuale danno nei confronti della società e può essere revocato per giusta causa.

In generale, però, secondo il Tribunale Capitolino [166] la società è titolare di rapporti giuridici, sostanziali e processuali, anche se manchi la persona che per statuto è chiamata a rappresentarla nei confronti dei terzi e manchi una manifestazione di volontà a essa imputabile. Nel caso, quindi, di decreto ingiuntivo emesso nei confronti di una società a responsabilità limitata solo costei è destinataria del comando in tale atto contenuto, senza che nessuna disposizione di legge imponga anche di indicare nell’atto medesimo il soggetto che, per statuto, è dotato dei poteri rappresentativi della società.

L’opposizione avverso tale decreto, in quanto manifestazione di volontà processuale, è poi riferibile esclusivamente alla società, nel cui nome e interesse agisce l’amministratore dotato dei poteri di rappresentanza esterna di tale persona giuridica, anche nel processo.

art. 2475 bis c.c.  rappresentanza della società

gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società.
Le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina, anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società
(exceptio doli).

Ciò significa che gli atti posti in essere dagli amministratori in violazione dei limiti imposti dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina sono validi ed efficaci, per la tutela dell’affidamento dei terzi i quali contrattando con gli amministratori della società, sono portati a ritenere che sia stata rispettata i predetti limiti, salvo il caso in cui la società riesca a provare che i terzi hanno agito intenzionalmente a danno della società.

Ma in realtà la S.C.[167] ha precisato che con riferimento alla rappresentanza delle persone giuridiche, il principio dell’apparenza del diritto non può trovare applicazione a tutela dell’affidamento del terzo contraente nei casi in cui la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità mediante i quali sia possibile controllare con l’ordinaria diligenza la consistenza effettiva dell’altrui potere, come accade in ipotesi di organi di imprese commerciali regolarmente costituiti. (Nella specie la Corte Cass. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la tutela del contraente che, nello stipulare con una società di trasporti un nuovo rapporto – distinto dai rapporti commerciali intercorsi in precedenza – di ingente onere economico e gravato da un patto di esclusiva, aveva omesso di accertare la reale consistenza dei poteri del soggetto che aveva contrattato).

Mentre, come da altro provvedimento di merito [168], l’attività e gli atti compiuti dal singolo socio, sprovvisto dei poteri di amministrazione e rappresentanza, stante la personalità giuridica della s.r.l., non sono in alcun caso opponibili alla società, né producono effetti, nè fanno nascere obbligazioni in capo alla medesima.

Tra le limitazioni volontarie ai poteri degli amministratori, non opponibili ai terzi, salvo l’exceptio doli, si possono ricordare

A – il compimento di un atto da parte di un amministratore senza potere rappresentativo

B – il compimento di un atto da parte di un rappresentante in mancanza di un potere di gestione (ad es. presidente del c.d.a. che ha la rappresentanza e pone in essere un atto senza la preventiva deliberazione del c.d.a.)

C – il compimento di un atto da parte di un rappresentante violando la regola della firma congiunta

D – il compimento di un atto da parte del rappresentante legale della società, in mancanza della decisione dei soci, in materie riservate agli stessi all’atto costitutivo

E – le limitazioni risultanti dall’oggetto sociale

F – contratto che non sia stato preventivamente deciso dall’organo competente o sia stato deciso con un contenuto diverso da quello che il rappresentante ha poi realizzato (abuso di potere).

Le limitazione legali ai poteri degli amministratori, viceversa, a differenza dei limiti statutari, sono opponibili ai terzi.

Si faccia l’esempio del n. 5 dell’art. 2479, co II, che assegna determinate funzioni ai soci, qualora il rappresentante compia operazioni rientranti in tali funzioni, in mancanza di una formale decisione dei soci, la società può opporre ai terzi il difetto di potere rappresentativo e impugnare i relativi contratti. Si pensi al compimento dei c.d. acquisti pericolosi senza la preventiva autorizzazione dei soci (art. 2465, co II).

Si applica in analogia l’art. 2384 c.c.

art. 2384 c.c.   poteri di rappresentanza: il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina è generale.
Le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società.

Naturalmente nel caso in cui i due poteri (di gestione e di rappresentanza) spettino a soggetti distinti, è chiaro che il potere di rappresentanza non è esercitatile in maniera indipendente dal potere di gestione: un amministratore dotato di potere di rappresentanza, ma a cui non sia stato delegato nessun potere di gestione, prima di compiere l’atto nei confronti dei terzi, deve provocare una delibera autorizzativa del consiglio di amministrazione.

In caso contrario, l’atto è comunque valido e vincola la società nei confronti del terzo, ma l’amministratore si rende responsabile dell’eventuale danno nei confronti della società e può essere revocato per giusta causa.

Per la S.C. ai fini della valutazione della pertinenza di un atto degli amministratori di una società di capitali all’oggetto sociale, e della conseguente efficacia dello stesso ai sensi dell’art. 2384 c.c., il criterio da seguire è quello della strumentalità, diretta o indiretta, dell’atto rispetto all’oggetto sociale, inteso come la specifica attività economica (di produzione o scambio di beni o servizi) concordata dai soci nell’atto costitutivo in vista del perseguimento dello scopo di lucro proprio dell’ente.

Non sono invece sufficienti, al predetto fine, né il criterio della astratta previsione, nello statuto, del tipo di atto posto in essere (in quanto, da un lato, la elencazione statutaria di atti tipici non potrebbe mai essere completa, data la serie infinita di atti, di vario tipo, che possono essere funzionali all’esercizio di una determinata attività, e, dall’altro, anche la espressa previsione statutaria di un atto tipico non assicura che lo stesso sia, in concreto, rivolto allo svolgimento di quella attività), né il criterio della conformità dell’atto all’interesse della società (in quanto l’oggetto sociale costituisce, ai sensi dell’art. 2384 c.c., un limite al potere rappresentativo degli amministratori, i quali non possono perseguire l’interesse della società operando indifferentemente in qualsiasi settore economico, ma devono rispettare la scelta del settore in cui rischiare il capitale fatta dai soci nell’atto costitutivo).

Principio, confermato anche da recente sentenza della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 12 dicembre 2016, n. 25409

Per la S.C. si ha eccezione al secondo comma quando la clausola di uno statuto di una società prevede la firma congiunta degli amministratori ed è opponibile ai terzi, atteso che l’inopponibilità delle limitazioni dei poteri di rappresentanza, di cui al secondo comma dell’art. 2384 c.c. (nel testo sostituito dal d.P.R. 29 dicembre 1969 n. 1127 e prima delle modifiche apportate dalla legge 24 novembre 2000, n. 340), riguarda unicamente il contenuto della rappresentanza e non l’esistenza stessa del potere di rappresentanza, come si desume dalla duplice pubblicità (iscrizione nel registro delle imprese e menzione nel bollettino ufficiale delle spa e delle srl) cui viene sottoposta l’indicazione della titolarità (congiunta o disgiunta) della rappresentanza pluripersonale, in forza del combinato disposto degli artt. 2383 VI comma e 2457 ter c.c., attuativi della facoltà concessa al legislatore nazionale dall’art. 9 n. 3 della direttiva comunitaria 9 marzo 1968 n. 151, che consente agli stati membri di rendere opponibili ai terzi simili disposizioni statutarie alla condizione che siano rispettati gli adempimenti di pubblicità previsti dalla direttiva stessa.

Compenso

In generale, infine, è bene anche precisare, come disposto da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 29 ottobre 2014, n. 23004

che il diritto al compenso degli amministratori delle societa’ di capitali e’ implicitamente riconosciuto negli articoli 2365 e 2389, nei quali si prevede la sua determinazione dall’atto costitutivo o dall’assemblea, nonche’ dall’articolo 2392 che, in ordine all’adempimento dei loro doveri, richiama le norme del mandato, negozio che si presume oneroso (articolo 1709), sicche’, ove manchi una disposizione nell’atto costitutivo e l’assemblea si rifiuti od ometta di stabilire il compenso all’amministratore o lo determini in misura inadeguata, l’amministratore e’ abilitato a richiedere al giudice la determinazione del suo congruo compenso (Cass. n. 2895 del 1991; conforme: Cass. n. 1647 del 1997).

Tale facolta’ viene meno, vertendosi in materia di diritti disponibili, qualora detta delibera assembleare sia stata accettata e posta in esecuzione senza riserve (Cass. n. 8897 del 2014; Cass. n. 12592 del 2010; Cass. n. 1554 del 1981; Cass. n. 6209 del 1979).

Ove non vi si stata accettazione è stato statuito che l‘azione giudiziaria a tutela del diritto al compenso spettante all’amministratore di una societa’ puo’ essere esercitata dall’interessato anche per richiedere l’adeguamento del suddetto compenso, qualora lo ritenga insufficiente o non piu’ proporzionato all’intensita’ del proprio impegno ed all’importanza qualitativa e quantitativa dell’attivita’ svolta nell’interesse della societa’ (Cass. n. 12681 del 2003).

Inoltre, però, è possibile anche la rinuncia al compenso:

per la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 13 febbraio 2020, n. 3657

la rinuncia al compenso da parte dell’amministratore può trovare espressione in un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco una sua volontà dismissiva del relativo diritto; a tal fine è pertanto necessario che l’atto abdicativo si desuma non dalla semplice mancata richiesta dell’emolumento, quali che ne siano le motivazioni, ma da circostanze esteriori che conferiscano un preciso significato negoziale al contegno tenuto.

  • Impugnazione delle decisioni degli amministratori

Il legislatore in materia di s.r.l. non ha disciplinato l’invalidità delle decisioni degli amministratori, a differenza di quanto accade nelle S.p.A., per le quali è previsto l’art. 2388, co 4 [169].

Secondo parte della dottrina il silenzio del legislatore sarebbe indice della volontà di escludere una generale impugnabilità delle decisioni degli amministratori.

L’unica impugnazione ammessa è contenuta nel 2 co dell’art. 2475 ter, avente ad oggetto le decisioni adottate dal c.d.a. con il voto determinante di un amministratore in conflitto d’interessi con la società.

art. 2475 ter c.c.   conflitto di interessi

i contratti conclusi dagli amministratori che hanno la rappresentanza della società in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, con la medesima possono essere annullati su domanda della società, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo.
Le decisioni adottate dal consiglio di amministrazione con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società, qualora le cagionino un danno patrimoniale, possono essere impugnate entro tre mesi dagli amministratori e, ove esistenti, dai soggetti previsti dall’articolo 2477. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della decisione.

La disposizione non trova applicazione quando l’amministratore abbia agito sulla base di una decisione del c.d.a., ossia nel caso in cui il rappresentante che manifesta la volontà della società all’esterno concluda contratti in base ad un previo conforme deliberato assembleare, il quale escluderebbe il conflitto d’interessi. In questo caso, sussistendone i presupposti, si applica piuttosto la disposizione di cui al successivo 2 co.

Per il Tribunale Lodi [170] la legge ha inteso limitare al solo conflitto di interesse l’impugnazione delle delibere adottate dal consiglio di amministrazione, mentre ammette espressamente svariati motivi di impugnazione in relazione alle delibere dei soci, e ciò sulla scorta dell’esame comparativo delle disposizioni di cui agli artt. 2475-ter c.c. e 2479- ter c.c., non ritenendosi dunque ammissibile un’eventuale estensione delle ragioni di impugnazione delle delibere del consiglio di amministrazione.

Precedentemente il Tribunale Bolognese [171] affermava che l’art. 2475 ter c.c. – a differenza del vigente art. 2391 c.c. che, per le società per azioni, si limita a chiedere il riscontro di un interesse personale dell’amministratore (anche non confliggente) e la prospettiva meramente “potenziale” del correlativo danno alla società – sanziona le fattispecie ove siano preliminarmente dimostrate tre condizioni: esse sono date dalla contemporanea esistenza di un conflitto di interessi “effettivo” in capo all’amministratore; un suo voto “determinante” ai fini dell’approvazione della contestata delibera consiliare; un danno “reale” cagionato alla società con tale decisione. Tale norma si occupa del pregiudizio subito dalla società – anziché dai suoi soci – donde la legittimazione attiva prevista dall’art. 2475 ter, comma II, c.c., risulta testualmente affidata ai soli amministratori ed ai sindaci, sempreché quest’ultimi vi siano. In altri termini, per le società a responsabilità limitata manca una disposizione esplicita corrispondente a quella – viceversa prevista dall’art. 2388 comma IV, c.c. – che, nelle società per azioni autorizza altresì i soci ad impugnare “in proprio” le delibere dei c.d.a., ove riconosciute “lesive dei loro diritti”, applicandosi, in tal caso, in quanto compatibili, gli artt. 2377 e 2378 c.c.

  • La responsabilità degli amministratori

[172]

Non vengono riproposti in tema di s.r.l. i parametri della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalla specifica competenza posseduta, previsti nell’art. 2392, né viene richiesta la diligenza del mandatario, ma si ritiene che tali parametri vadano a circoscrivere anche l’agire dell’amministratore di s.r.l.

Ciò significa che le loro scelte all’interno dell’organizzazione sociale devono essere informate e mediate, basate sulle rispettive conoscenze e non frutto di un agire irresponsabile e improvvisato.

Tuttavia, il parametro della c.d. diligenza tecnica appare del tutto indispensabile anche nell’agire degli amministratori di società a responsabilità limitata.

Un minore dovere di diligenza o, meglio, il mancato riferimento alla diligenza tecnica, infatti, non potrebbe trovare giustificazione nel carattere più o meno personalistico della s.r.l.

L’agire secondo la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze, dunque, è insito nell’esercizio stesso dei compiti dell’amministratore.

Il parametro della diligenza tecnica, dunque, scompare solo apparentemente dalla disciplina della responsabilità degli amministratori.

In tal senso, anche la giurisprudenza [173], ha affermato che la diligenza richiesta agli amministratori è quella professionale prevista dall’art. 1176; ma nella gestione di società la diligenza implica una valutazione parametrata allo specifico incarico conferito, alla luce dei principi di correttezza e della buona fede nello svolgimento della prestazione.

La diligenza, pertanto, non può essere scissa dalla perizia in quanto la consapevolezza di determinate situazioni costituisce anche una componente della diligenza.

Il giudizio sulla diligenza degli amministratori, dunque, sarà incentrato, da un punto di vista oggettivo, sulla natura dell’incarico e, sotto un profilo soggettivo, sulle conoscenze tecniche possedute dall’amministratore.

La giurisprudenza [174], del resto, ha evidenziato come in materia di amministrazione di una società a responsabilità limitata, trova applicazione il criterio generale di diligenza, nell’adempimento stabilito dall’art. 1176 c.c., e precisamente la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176, comma I, c.c.), avendo poi riguardo non alla diligenza dell’uomo medio, quanto alla più elevata diligenza che si può richiedere ad un accorto gestore di un patrimonio altrui (art. 1176, comma II, c.c.), quale è quello appartenente alla società amministrata.

Non si tratta di una responsabilità conseguente all’esito della gestione, del quale essi non rispondono, se dovuto a sfortuna o ad eventi oggettivi di mercato ad essi non imputabili.

La responsabilità degli amministratori è sempre conseguente al fatto personale e non deriva per il fatto stesso di essere amministratori o dalla semplice appartenenza al consiglio di amministrazione.

Quanto alla natura giuridica della responsabilità, si tratta di una responsabilità di tipo contrattuale, con tutte le conseguenze in ordine all’onere della prova [175] (presunzione di colpa a carico dell’inadempiente), al termine di prescrizione (5 anni, invece dei 10 previsti normalmente dall’art. 2946 c.c., per la specifica disciplina ex art. 2949 c.c. < prescrizione in materia societaria >) e alla determinazione del danno risarcibile.

Difatti, secondo ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione civile, Ordinanza 7 febbraio 2020, n. 2975.

in tema di azione di responsabilità verso gli amministratori sociali, sull’attore incombe la prova dell’illiceità dei comportamenti degli amministratori medesimi.

Allorquando tali comportamenti non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto e l’obbligo di astenersi dal porli in essere discenda dal dovere di lealtà, coincidente col precetto di non agire in conflitto di interessi con la società amministrata, o dal dovere di diligenza, consistente nell’adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati, l’illecito è integrato dal compimento dell’atto in violazione di uno dei menzionati doveri. In tal caso, l’onere della prova dell’attore non si esaurisce nella prova dell’atto compiuto dall’amministratore ma investe anche quegli elementi di contesto dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di diligenza.

E’ stato anche precisato dal Tribunale Capitolino, con ultimo intervento (Tribunale di Roma – Sentenza 17 ottobre 2016) che non basta l’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo a far scattare la responsabilità degli amministratori della società. È necessario, piuttosto, che la condotta abbia causato un danno concreto al patrimonio sociale.

Il giudizio nasceva a seguito di azione dalla socia di una Srl in danno dell’ex amministratore unico, a cui l’attrice contestava diverse violazioni degli obblighi previsti dalla legge, ovvero: dalla non corretta redazione del bilancio al conflitto di interessi per la partecipazione a una società concorrente; sino all’omessa redazione del resoconto di gestione al mancato passaggio di consegne al liquidatore.

La socia quindi chiedeva nelle proprie conclusioni la condanna dell’ex amministratore al risarcimento del danno provocato alla società, nella misura accertata «in corso di causa, anche in via equitativa».

Nel respingere tale domanda, il Tribunale affermava, innanzitutto:

  1. che nei giudizi di responsabilità verso gli amministratori (articolo 2476 del Codice civile) l’attore non si può limitare a prospettare un inadempimento, ma deve «provare, sia pure ricorrendo a presunzioni, l’esistenza di un danno concreto» e cioè un «depauperamento del patrimonio sociale» dovuto all’azione dell’ amministratore. In mancanza di questa prova, infatti, la pretesa risarcitoria sarebbe priva di oggetto.
  2. Il Tribunale,  aggiungeva quindi che la mancata (o non corretta) tenuta della contabilità «costituisce certamente un inadempimento» dei doveri degli amministratori. Tuttavia, ciò non implica («di per sé e necessariamente») una responsabilità civile a carico degli stessi amministratori, dal momento che «tale inadempimento non può dirsi, in assenza di altri elementi che devono essere allegati e provati dall’attore, causa di un danno per la società». Piuttosto – prosegue la sentenza – l’irregolare tenuta della contabilità può essere «presupposto di altri e diversi inadempimenti direttamente produttivi di danno». Come, ad esempio, quando serve a occultare le perdite per evitare lo scioglimento della società.

Situazione, questa, non dimostrata nel caso in esame, giacché la socia «ha completamente omesso finanche di allegare l’esistenza di un danno da ricollegare, sotto il profilo del nesso eziologico, a quelle violazioni».

L’azione di responsabilità, nonostante non vi sia alcuna norma che disponga sul punto, può, comunque, essere esercitata dalla società.

La titolarità delle azione da parte della società è dimostrata, tra l’altro, dal potere di rinunciare o di transigere che alla società spetta.

La decisione dei soci di promuovere l’azione di responsabilità non comporta automaticamente la revoca dell’amministratore: questa deve essere oggetto di una separata decisione, a differenza di quanto previsto dall’art. 2393 c.c. [176].

art. 2476 c.c.   responsabilità degli amministratori e controllo dei soci

Gli amministratori sono solidalmente responsabili [nell’ambito dei rapporti interni tra i condebitori è consentito poi l’accertamento del grado di responsabilità di ciascuno, ragion per cui l’amministratore o gli amministratori condannati che abbiano pagato il debito, hanno il diritto di rivalersi nei confronti degli altri, anche se contro di questi non sia stata proposta l’azione sociale, secondo i comuni principi che regolano il regresso nella responsabilità solidale] verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso.
II co I soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’ammininistrazione.
III co   L’azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio [a sue spese – termine di prescrizione di tale azione 5 anni ex art. 2949, co 1, termine che rimane sospeso durante la carica], il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca (in questo caso la norma supplisce alla mancanza di una disciplina specifica, come in materia di S.p.A., ex art. 2409, che è il rimedio della denunzia al tribunale di gravi irregolarità che comportano la revoca dell’amministratore) degli amministratori medesimi. In tal caso il giudice può subordinare il provvedimento alla prestazione di apposita cauzione.
IV co   In caso di accoglimento della domanda la società, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli amministratori, rimborsa agli attori le spese di giudizio e quelle da essi sostenute per l’accertamento dei fatti.
V co Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’azione di responsabilità contro gli ammininistratori può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché vi consenta una maggi.za dei soci rappres.te almeno i 2/3 del capitale sociale e purché non si oppongano tanti soci che rappres.no almeno 1/10 del capitale sociale.
VI co    Le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.
VII co   Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi [ciò a differenza di quanto accade nelle S.p.A. in cui sono solo gli amministratori a rispondere del compimento di determinati atti dannosi alla società e ai terzi].
VIII co   L’approvazione del bilancio da parte dei soci non implica liberazione degli amministratori e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale.

Violazione del dovere di informativa

La responsabilità dell’amministratore nei confronti della società è ravvisabile anche per la violazione di determinati obblighi imposti dalla norma.

Una particolare forma di responsabilità dell’amministratore nei confronti della società è identificabile nel comportamento omissivo tenuto nei confronti dei soci qualora gli venga richiesto di avere notizie in merito alla gestione sociale e di consultarne i documenti

Il comma II dell’art. 2476 c.c. dispone che «i soci che non partecipano all’amministrazione della società hanno il diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione»[177].

Con tale disposizione il Legislatore ha notevolmente ampliato, rispetto alle disposizioni previgenti dell’art. 2489 c.c., il diritto di controllo di ciascun socio sulla gestione della società, prefigurando un vero e proprio diritto soggettivo all’informazione sulla concreta amministrazione della compagine e sulla conduzione degli affari, oltre che alla consultazione non solo dei libri sociali, ma anche di tutta la documentazione relativa all’amministrazione.

La norma, dunque, attribuisce a ogni socio, non amministratore, indipendentemente dalla quota di capitale posseduta, importanti e incisivi diritti di controllo sulla gestione sociale.

I soci assumono, così, un ruolo di primaria importanza nei meccanismi di governance della nuova società a responsabilità limitata.

I diritti di controllo previsti dal secondo comma dell’art. 2476 c.c., pertanto, si caratterizzano per essere funzionali all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità da parte dei singoli soci.

Si può, dunque, affermare che il diritto in esame consente a ciascun socio di ottenere dagli amministratori informazioni non solo sull’andamento generale della gestione della società, ma anche sui singoli affari.

E’ opportuno passare all’esame di alcuni casi trattati dalla giurisprudenza di merito.

Ad esempio il diritto di consultazione dei libri sociali e dei documenti relativi all’amministrazione comprende anche la possibilità di estrarne copia [178].

Secondo il Tribunale di Ivrea [179] ai sensi del vigente art. 2476, comma II, c.c. ai soci non amministratori di una s.r.l. è riconosciuto il diritto potestativo di controllo sulla gestione attuabile mediante la consultazione della documentazione sociale con possibilità di estrazione di copia della medesima, senza alcun limite se non quello della buona fede del socio ed è esercitabile anche in via cautelare con un ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c., proposto nei confronti della società. Per la quale sussiste la legittimazione passiva.

Infine, per il Tribunale Milanese [180], il nuovo testo dell’art. 2476, comma II, attribuisce al socio non partecipante all’amministrazione, in virtù della sola qualifica di socio, un ampio potere di controllo, riguardante non soltanto i libri sociali, ma tutti i documenti e le scritture contabili, i documenti fiscali e quelli riguardanti i singoli affari, poiché il riferimento normativo ai documenti relativi all’amministrazione appare in sé idoneo a ricomprendere ogni documento concernente la gestione della società e non consente letture riduttive volte a distinguere, ad esempio, la documentazione amministrativo-contabile da quella più propriamente commerciale.

Interessante risulta ultima pronuncia della S.C., secondo la quale

Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza 26 gennaio 2018, n. 2038

compete anche al socio-amministratore di s.r.l. il diritto, previsto dall’articolo 2476 c.c., comma 2, di ricevere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri ed i documenti relativi alla gestione societaria compiuta dagli altri amministratori, cui egli non abbia in tutto o in parte partecipato.

Ancora, per ultima Cassazione,

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|15 luglio 2021| n. 20252

in tema di responsabilità dell’amministratore di una società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata, l’insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione (cd. “business judgement rule”) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi sia “ex ante”, secondo i parametri della diligenza del mandatario, alla luce dell’art. 2392 cod. civ., – nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla novella introdotta dal D.lgs. n. 6 del 2003 – sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.

Azione ante causam

Nell’ambito della preannunciata azione di responsabilità ex art. 2476, comma III, c.c., promossa dal socio nei confronti dell’amministratore di società a responsabilità limitata, è ammissibile la domanda di revoca cautelare ante causam.

Il ricorso per la concessione della misura cautelare di revoca dell’amministratore di s.r.l., prevista, tuttavia, può essere proposto anche prima dell’instaurazione dell’azione di responsabilità.

La misura cautelare di revoca, dunque, ha natura conservativa, perché essa non anticipa gli effetti della futura decisione di merito (sulla responsabilità degli amministratori), ma è finalizzata ad impedire, in attesa della statuizione di merito, le conseguenze dannose determinate da gravi irregolarità gestionali.

Di conseguenza, secondo la giurisprudenza, il provvedimento cautelare di revoca dell’amministratore di s.r.l. è privo dell’ultrattività che, ai sensi dell’art. 23 D.Lgs. n. 5/2003, caratterizza i provvedimenti d’urgenza e gli altri provvedimenti idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito

Per il Tribunale di S.M. Capua Vetere [181], all’indomani della riforma del 2003, quale ricorso a un tipico strumento cautelare di tipo anticipatorio, la richiesta del socio (a suo nome ma per conto della società) di revoca cautelare dell’amministratore incolpato si fonda, per un verso, sulla probabile esistenza del diritto sostanziale (della società) alla sua revoca definitiva (fumus boni iuris), quale pretesa sostanzialmente riconducibile (senza esaurirla) alla giusta causa di cui all’articolo 2383 comma III, del c.c. (intesa, ai fini in esame, come qualunque violazione posta in essere dall’amministratore ai doveri posti a suo carico dalla legge o dal contratto sociale) – applicabile anche alle società a responsabilità limitata nonostante il mancato richiamo da parte dell’articolo 2475 comma II, del c.c. – e sul pericolo imminente (non che si disperda la garanzia patrimoniale degli amministratori incolpati, né che siano provocati danni al patrimonio sociale, ma piuttosto) che, nel tempo necessario a ottenere una sentenza a cognizione piena, il suddetto diritto (e gli interessi sostanziali sottostanti, relativi alla corretta amministrazione della società) possa subire un pregiudizio irreparabile (periculum in mora).

La responsabilità degli amministratori verso i creditori

Non è prevista l’azione di responsabilità a favore dei creditori sociali, analoga a quella di cui all’art. 2394 c.c. in tema di S.p.A.

Si discute se questo silenzio sia da interpretare come una svista, configurante, quindi, una lacuna legislativa, con la conseguenza che possa continuare a ritenere applicabile l’art. 2394 nell’ambito della s.r.l., oppure risponda ad una precisa scelta di voler escludere una specifica tutela ai creditori.

Comunque l’interprete potrebbe escludere l’esistenza di una lacuna facendo all’uopo ricorso alle tutele generali previste dal diritto civile: l’azione surrogatoria ex art. 2900 c.c. ovvero l’azione ex lege aquilia di cui all’art. 2043 c.c.

Il problema si pone in considerazione del fatto che, prima della riforma societaria del 2003, il vecchio art. 2487, comma II, c.c. estendeva alle s.r.l., tra le altre, la norma contenuta nell’art. 2394 c.c., secondo la quale gli amministratori delle s.p.a. rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e la relativa azione può essere proposta dai creditori qualora il patrimonio sociale sia insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.

A seguito della riforma, invece, il novellato art. 2476 c.c. (secondo la nuova numerazione) non contiene più espressamente il richiamo per le s.r.l. al citato art. 2394 c.c.

Il dibattito sulla questione è sempre acceso, stante l’evidente lacuna legislativa sul punto nella disciplina della s.r.l. relativamente all’azione di responsabilità dei creditori sociali e la sua esperibilità.

In primo luogo occorre capire se in una s.r.l. in bonis sia esperibile l’azione dei creditori sociali come previsto espressamente dal legislatore in tema di s.p.a.

Infatti, a mente dell’art. 2394 c.c., «gli amministratori (di s.p.a.) rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti». La norma istituisce dunque una tipologia di azione risarcitoria legata a due condizioni. La prima richiede che si sia in presenza di perdite provocate alla società conseguenti alla violazione dei doveri di sorveglianza, di attività e di revisione in capo agli amministratori.

La seconda è che il patrimonio sociale non sia garanzia sufficiente per i creditori di veder soddisfatte le proprie pretese.

La norma sembrerebbe dunque prevedere una sorta di beneficium excussionis in favore degli amministratori tale per cui l’azione potrà essere utilmente perseguita nei loro riguardi solo dopo l’insoddisfacente aggressione del patrimonio sociale [182].

  • Tesi favorevole – da una parte [183] si afferma che i creditori potrebbero comunque agire verso gli amministratori, in forza di quanto previsto dall’art. 2476, co VI, rientrando tra i terzi anche il creditore della società.

Inoltre, si sostiene che «se si dovesse opinare diversamente si verificherebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra i creditori di una s.r.l. e quelli di una s.p.a.», con la conseguenza, pertanto, di dover prospettare l’illegittimità costituzionale della disposizione in questione, per violazione del principio di cui all’art. 3 Cost.

In secondo luogo, si ribadisce che, ove tale silenzio rispondesse a una precisa scelta legislativa, ve ne sarebbe traccia nella legge delega o, almeno, nella relazione al decreto delegato che, invece, tacciono al riguardo.

Si ritiene, dunque, opportuno colmare la lacuna applicando in via analogica l’art. 2394 [184] c.c. dettato in materia di responsabilità degli amministratori verso i creditori nelle s.p.a.

L’applicazione analogica dell’art. 2394 c.c. alle s.r.l. sembra invece poggiare su solide basi. Anzitutto, esistono ragioni di logicità e coerenza del sistema della responsabilità degli amministratori delle società di capitali. Non avrebbe, infatti, alcuna giustificazione distinguere il regime previsto per le s.p.a. da quello delle s.r.l.; non avrebbe senso, in altre parole, limitare gli strumenti di tutela per i creditori di s.r.l., pena il rischio di illegittimità costituzionale (ex artt. 3 e 24 Cost.) per ingiustificata disparità di trattamento. Sempre in quest’ottica, la non applicazione analogica dell’art. 2394 c.c. cozzerebbe con gli art. 2477, 2485 e 2486 c.c.

In pratica, se non ci fosse l’applicazione analogica, si integrerebbe un sistema in cui è possibile l’azione di responsabilità dei creditori sociali verso i sindaci di s.r.l., ma non verso gli amministratori di s.r.l. Ulteriori incongruità sarebbero determinate dalle disposizioni dettate dagli artt. 2485 e 2486 c.c. in tema di responsabilità degli amministratori durante la fase di scioglimento delle società di capitali (anche s.r.l.). Tali articoli dispongono che gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi, primo, per non aver accertato tempestivamente la causa di scioglimento e adottato gli opportuni provvedimenti, secondo, per non aver gestito la società successivamente al verificarsi di una causa di scioglimento «ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale».

  • Tesi contraria – ma in contrario, si è osservato che il co VI dell’art. 2476c. prende in considerazione il danno direttamente arrecato dall’amministratore al patrimonio del terzo e non il danno che il creditore subisca in conseguenza del depauperamento del patrimonio sociale.

Perciò si è osservato che il creditore potrebbe essere considerato titolare di un’azione extracontrattuale legittimata dal comportamento illecito degli amministratori, oppure dall’azione contrattuale spettante al socio, che il creditore esperirebbe in via surrogatoria.

Balza subito all’occhio che l’odierno art. 2476 c.c. (a differenza del “vecchio” art. 2487) non fa più riferimento al citato art. 2394 c.c.

Ciò ha alimentato la tesi di coloro che sostengono non sia più possibile (dopo la riforma del 2003) esperire l’azione dei creditori sociali avverso gli amministratori di s.r.l. L’omissione del legislatore sarebbe stata in altre parole una scelta deliberata e volontaria a seguito della quale si è deciso di espungere l’azione ex art. 2394 c.c. dal novero dei rimedi accordati a difesa dai danni provocati dagli amministratori. Secondo questa impostazione, i creditori di s.r.l. sarebbero già abbondantemente tutelati dal sistema complessivo delineato dall’art. 2476 c.c. e dai principi generali dell’ordinamento. In particolare, il comma III, art. 2476 c.c. legittima l’esperimento dell’azione sociale di responsabilità da parte di ogni singolo socio, senza limiti di partecipazione nella persona giuridica.

Discussa è la natura dell’azione in esame.

Secondo alcuni si tratterebbe di un’azione contrattuale fondata sul generale dovere di protezione dei terzi gravante sugli amministratori ex art. 1173 c.c.

Per altri sarebbe invece un’azione extracontrattuale ex art. 2043 c.c.

Così sarebbe simile all’art. 2395 c.c. e la condotta illecita assumerebbe il paradigma della “lesione del credito”.

In quest’ottica la differenza tra le due disposizioni risiederebbe nel fatto che l’art. 2395 c.c. presuppone un’iniziativa individuale del singolo socio o terzo direttamente “leso”, mentre l’art. 2394 c.c. alluderebbe ad un’azione di “massa” mirata a reintegrare il patrimonio sociale nei limiti della misura dei crediti insoddisfatti.

Le pronunce di merito

In tema il Tribunale di Vicenza [185], con un’ordinanza esaustiva a livello esegetico, si conforma alla corrente maggioritaria in dottrina, che ritiene la configurabilità dell’azione di responsabilità promossa da un creditore sociale nei confronti dell’amministratore di una s.r.l.

Precedenti giurisprudenziali in materia si ricavano da altre pronunce di merito [186].

La vicenda affrontata dal Tribunale vicentino riguarda un caso particolare della fattispecie in questione rappresentata dalla situazione della società amministrata da parte convenuta, ammessa alla procedura di concordato preventivo; la questione, pur non approfondita nel provvedimento, non pone ostacoli, in quanto è stata ritenuta ammissibile l’azione di responsabilità spettante ai creditori sociali nei confronti degli amministratori, anche quando la società sia stata sottoposta a procedura di concordato preventivo; l’azione in discorso, infatti, ha un petitum (il risarcimento dei danni sofferti dal creditore il cui credito sia stato leso dall’illegittimo comportamento degli amministratori della società debitrice) e una causa petendi (la responsabilità degli amministratori) che nulla hanno a che fare con l’azione contrattuale esercitabile nei confronti della società [187].

Tornando alla questione dell’ammissibilità dell’azione di responsabilità dell’amministratore di una s.r.l. promossa da un creditore, il Tribunale di Vicenza, premettendo che nessun dubbio esisteva prima della riforma del 2003, ha ritenuto che sussiste, tuttora, una responsabilità diretta e personale dell’amministratore della s.r.l. nei confronti del creditore sociale, quando il patrimonio sociale risulti insufficiente in conseguenza della mala gestio dell’amministratore.

I motivi che hanno indotto a tale scelta sono i seguenti:

  • il richiamo testuale contenuto nell’art. 2477 c.c., che comporta l’applicazione dell’art. 2407 c.c., che richiama l’art. 2394 c.c.;
  • la lettura costituzionalmente orientata delle suddette norme, essendo incompatibile con il nostro sistema giuridico un’interpretazione tale da rendere impunibili gli amministratori che si siano macchiati di condotta infedele, incauta, imprudente o fraudolenta;
  • l’incongruenza logica di una diversa interpretazione, che opererebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra amministratori di s.p.a. e di s.r.l., considerate le medesime limitazioni a cui è soggetta la responsabilità dei soci;
  • l’armonizzazione dell’interpretazione di ammissibilità con il resto del sistema, anche alla luce del contenuto delle norme di cui agli artt. 2485 e 2486 c.c., che affermano, in alcune ipotesi, la responsabilità personale degli amministratori;
  • l’incongruità della tesi contraria, per la quale potrebbero essere destinatari di un’azione di responsabilità i sindaci e non gli amministratori, anche tenuto conto della medesima esigenza di tutela sottesa alle due diverse azioni.

In relazione ai presupposti dell’azione, vale soltanto la pena di aggiungere che, ai sensi dell’art. 2392 c.c., gli amministratori devono adempiere ai doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

La legittimazione del curatore della s.r.l. fallita

A questo punto, giunti a simile conclusione, bisogna verificare cosa può fare in concreto il curatore fallimentare.

Sebbene, oggi, sia ammessa anche nelle s.r.l., è bene ricordare che l’azione di responsabilità da parte dei creditori non appartiene al patrimonio del fallito e, quindi, non è prevista “automaticamente” la legittimazione del curatore ex art. 42 e 43 legge fall.

Al contrario è necessaria una norma che preveda esplicitamente tale possibilità. L’“ancora” normativa esiste per le s.p.a., cioè l’art. 2394-bis c.c. (introdotto nel 2003): «in caso di fallimento (…) le azioni di responsabilità previste dai precedenti articoli (tra cui quindi anche l’art. 2394 c.c. – n.d.r.) spettano al curatore del fallimento…».

Analoga disposizione però (ancora una volta) non esiste per le s.r.l.

Occorre allora rifarsi all’art. 146 legge fall., comma II, che stabilisce in generale per il curatore fallimentare (qualunque sia la società fallita) la legittimazione attiva per «le azioni di responsabilità contro gli amministratori, gli organi di controllo, i direttori generali, i liquidatori». È vero che l’odierno art. 146 non richiama più gli articoli 2393 e 2394 c.c., ma l’assenza di specificazione sul punto pare potersi intendere come attribuzione all’organo della procedura di tutte le azioni di responsabilità previste dal codice civile, senza distinzioni di sorta.

In tal senso, la giurisprudenza di legittimità [188] e di merito [189] hanno ricordato che per effetto del fallimento della società le due azioni (una a favore della società e l’altra a favore dei creditori) confluiscono in un unico strumento processuale cumulato nelle mani del curatore sulla base del disposto di cui all’art. 146 legge fall., pur rimanendo diverse poiché basate su presupposti e modalità differenti (per esempio, in ordine agli oneri probatori, ai danni risarcibili, ai termini di prescrizione).

In conclusione, non potendosi ritenere che il “nuovo” art. 2394-bis abbia abrogato l’art. 146, comma II, legge fall. e avendo anzi sopra dimostrato l’applicazione analogica dell’art. 2394 c.c. anche al sistema delle s.r.l., ben può riconoscersi in capo al curatore fallimentare di s.r.l. la legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità in rappresentanza dei creditori.

Così si sono espressi ancora recentemente i giudici di merito [190], nonché di legittimità [191] «… il curatore può esercitare qualsiasi azione di responsabilità sia ammesso contro gli amministratori di qualsiasi società» e, stante la natura unitaria dell’azione ex art. 146, comma II, legge fall. non rileva «il riferimento all’art. 2393 piuttosto che all’art. 2394 c.c., bensì i fatti che il curatore allega come generatori di responsabilità»).

Ancora una volta l’interpretazione – ora estensiva, prima analogica – ricostituirebbe quella compiutezza e coerenza che il sistema originario aveva (prima delle riforme del diritto societario del 2003 e del diritto fallimentare del 2006-2007) e scongiurerebbe il rischio dell’illegittimità costituzionale ipotizzabile per omessa previsione nelle s.r.l. di norme (cioè gli artt. 2394 e 2394-bis c.c.) che consentano, anche in caso di fallimento, al curatore di agire anche a nome dei creditori contro gli amministratori.

  • La revoca degli amministratori

Sul punto è stato chiarito, anche da ultimo

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 dicembre 2020| n. 28719.

che in tema di società di capitali, ai sensi dell’art. 2383, comma 3, cod. civ. (norma dettata per le s.p.a., ma analogicamente applicabile pure alle s.r.l. in difetto, per queste ultime, di specifica disciplina), gli amministratori sono revocabili dall’assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell’atto costitutivo, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni se la revoca avviene senza giusta causa. Trattasi di disposizione la cui “ratio” va evidentemente individuata in quella secondo cui, pur nella libertà del conseguimento degli interessi e degli obiettivi societari, occorre, in assenza di “giusta causa”, tenere conto del sacrificio economico e sociale dell’amministratore conseguente alla revoca, soprattutto quando la delega comporti un’attività remunerata suscettibile di valutazioni professionali nel mercato dei “manager”. In particolare, la giusta causa di revoca consiste nell’esistenza di circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, siano o non provocate dall’amministratore, le quali pregiudicano l’affidamento nel medesimo ai fini del migliore espletamento dei compiti della carica, dunque nella compromissione del “rapporto fiduciario”; più specificamente, la “giusta causa” di revoca dell’amministratore di società non è integrata dalla mera ricorrenza di esigenze di auto-organizzazione della struttura societaria, ove la stessa non sia stata motivata sulla base di circostanze o fatti idonei ad influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto e tali da elidere l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e capacità dell’amministratore. Inoltre, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., grava sulla società l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, quale fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie. Trattandosi di facoltà di recesso attribuita “ex lege”, la società gode così di una tecnica di autotutela privata, potendo senz’altro porre in essere la deliberazione ad effetto estintivo del rapporto di amministrazione; il controllo giudiziale è infatti solo successivo ed eventuale, ai fini della liquidazione dell’eventuale risarcimento.

  • La responsabilità del socio

La manifestazione dell’ingerenza del socio nelle scelte aziendali: il caso della delibera assembleare

Il comma VII dell’art. 2476 c.c. è stato voluto dal legislatore della riforma affinché non si possa concretizzare una facile elusione delle responsabilità di chi nella sostanza gestisce la società o, per lo specifico atto, abbia assunto ruolo dominante.

Si ritiene che affinché si configuri la responsabilità del socio cogestore sia necessario almeno l’elemento intenzionale della colpa che deve accompagnare la decisione o l’autorizzazione di atti dannosi. Tale elemento psicologico si identifica con la necessaria consapevolezza, da parte del socio, circa le conseguenze del proprio comportamento.

Qualora il socio, pur non rivestendo formalmente il ruolo di amministratore, di fatto esercita in modo “continuativo e sistematico l’amministrazione della società”, allora assumerà la qualifica di “amministratore di fatto [192]” con conseguente disapplicazione dell’art. 2476 comma VII c.c. ed applicazione delle norme che relative alla responsabilità degli amministratori di diritto.

La Cassazione [193], infatti, ravvisa una “responsabilità per l’amministrazione” e non una responsabilità degli amministratori e quindi postula l’applicazione delle regole di cui agli artt. 2392 e ss. non solo a chi riveste formalmente la carica di amministratore ma a chiunque assolva di fatto alle funzioni di amministratore in modo continuativo.

Dottrina e giurisprudenza si sono quindi interrogate se l’assemblea dei soci possa essere il momento e il luogo nei quali si possa concretizzare il comportamento dei soci previsto dalla più volte richiamata norma.

Sul punto, si ritiene corretto affermare che per la chiamata del socio alla responsabilità dei danni conseguenti a una decisione assunta in sede assembleare, si debba in via preliminare accertare se la manifestazione di voto del socio medesimo sia stato il frutto e il risultato di un’effettiva e consapevole partecipazione al relativo processo decisionale.

Anche in questo caso, quindi, sembrerebbe necessario superare gli aspetti formalistici della procedura attraverso la quale si è formata la decisione, dando maggiore e decisivo rilievo al processo che ha consentito o indotto il socio ad assumere la scelta gestoria dannosa.

Qualora, infatti, il socio fosse stato posto nelle condizioni di partecipare attivamente al processo cognitivo – prima – e decisionale – poi – , l’assemblea potrebbe costituire un mero atto formale, subordinato alla superiore e dominante decisione influenzata dal socio; che in ogni caso sarebbe stata assunta, anche in carenza della menzionata delibera formale.

  • La responsabilità del socio quale responsabilità da concorso con gli amministratori

Pare a questo punto necessario sottolineare come la previsione dell’art. 2476, comma VII, c.c. non tolga alcuna rilevanza alla figura e alla funzione dell’organo amministrativo della s.r.l., il quale continua a detenere la rappresentanza sociale e la competenza esclusiva sulle attività specificatamente a lui riservate.

Infatti, la rilevanza della funzione dell’organo amministrativo è confermata dal fatto che la responsabilità del socio è sempre e solo “solidale” e mai esclusiva e che detta responsabilità è connessa a un potere decisorio ma mai di compimento dell’atto (fattispecie quest’ultima che, se rafforzata anche da autonomia e indipendenza decisionale, nonché dalla continuità dell’azione gestoria, configurerebbe tutt’al più l’ipotesi dell’amministratore di fatto).

Quindi, sotto l’aspetto procedurale, la responsabilità da art. 2476, comma VII, c.c. si concretizza solo nell’ipotesi di decisioni o autorizzazioni assunte dal socio ma materialmente poste in essere dall’organo amministrativo.

Si può pertanto concludere che:

  • la responsabilità del socio qui in argomento sia inquadrabile nella responsabilità da concorso nella gestione, con l’immediata conseguenza della necessità della compresente responsabilità dell’organo amministrativo;
  • la responsabilità in trattazione non potrà mai essere accertata senza una contestuale ed espressa domanda volta a far riconoscere la concorrente responsabilità dell’organo amministrativo;
  • quale ulteriore corollario, il socio chiamato a rispondere solidalmente con gli amministratori, non potrà lui stesso ricoprire la carica di amministratore. Ciò, in quanto l’amministratore risponde già ex art. 2476, commi I e VI, c.c. e parrebbe quindi irragionevole applicare una diversa e autonoma previsione normativa (appunto, il comma VII dell’art. 2476 c.c.), oltretutto sensibilmente circoscritta rispetto alle più ampie norme sulla responsabilità propria dell’amministratore.

 

  • La responsabilità del socio quale responsabilità da “culpa in vigilando

La norma in esame prevede la responsabilità del socio nell’ipotesi in cui lo stesso abbia “intenzionalmente” influenzato il compimento di atti dannosi.

Detta intenzionalità pare debba individuarsi nella conoscenza e nella consapevolezza della dannosità dell’atto autorizzato o deciso, competenze, queste ultime, che il socio può acquisire solo mediante la partecipazione diretta al processo cognitivo e decisionale svolto dall’organo amministrativo. Sembrerebbe allora condivisibile affermare che la responsabilità gestoria del socio non possa essere rinvenuta qualora il socio stesso si sia semplicemente limitato a non vigilare adeguatamente sull’attività di gestione posta in essere dall’organo amministrativo. Nell’ipotesi contraria, infatti, si dovrebbe porre in capo al socio comportamenti, in termini di diligenza e di informazione, che il legislatore già impone all’organo amministrativo: e ciò sarebbe del tutto illogico, con un’impropria sovrapposizione delle prerogative tipiche dell’amministratore e del socio.

  • Responsabilità estendibile all’amministratore di fatto

[194]

La dottrina e la giurisprudenza unanime sono concordi nel ritenere che le norme disciplinati l’attività degli amministratori di una società di capitali, dettate al fine di consentire un corretto svolgimento dell’amministrazione della società, sono applicabili non soltanto ai soggetti immessi, nelle forme stabilite dalla legge, nelle funzioni di amministratori, ma anche a coloro che si siano, di fatto, ingeriti nella gestione della società in assenza di una qualsivoglia investitura da parte dell’assemblea, sia pur irregolare o implicita, così che i responsabili delle violazioni di dette norme vanno individuati, anche nell’ambito del diritto privato (così come in quello del diritto penale ed amministrativo: art. 135, 136 d.lgs. 385/93; art. 11 d.lgs. 472/97; artt. 190, 193 d.lgs. 58/98) non sulla base della loro qualificazione formale, bensì con riguardo al contenuto delle funzioni concretamente esercitate.

Difatti per ultima sentenza della S.C.[195] l’amministratore di fatto può essere responsabile dell’evasione fiscale della società.

Mentre di contro, sempre per la medesima Corte [196] legittimo l’addebito della bancarotta documentale per l’inosservanza da parte dell’amministratore di diritto di elementari obblighi di tenuta formale delle scritture contabili.

Sempre in tema di bancarotta fraudolenta è stato individuato, dalla S.C.[197] il reale dominus dell’azienda, il quale non solo dava direttive, in colui il quale ritirava incassi, disponeva trasferimenti di dipendenti, ma compiva anche atti di liberalità verso i predetti (la cena sociale offerta a tutti gli impiegati).

Inoltre, seguendo i principi affermati dalla medesima Corte [198] con cui si è affermato che il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA (art. 5, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è configurabile nei confronti dell’amministratore di diritto di una società e l’amministratore di fatto, quale mero prestanome, risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento (artt. 40, comma II, cod. pen. e 2932 c.c.), a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.

Secondo ultima Cassazione [199] a prescindere dal reato contestato non muta, infatti, la sostanza delle motivazioni con le quali si è puntualizzato, tra l’altro, che il rappresentante legale si deve considerare mancante, non solo quando non vi è la nomina, ma anche in presenza di un prestanome che non ha alcun potere o ingerenza nella gestione della società e, quindi, non è in condizione di presentare la dichiarazione perché non dispone dei documenti contabili detenuti dall’amministratore di fatto.

In tale situazione l’intraneo è, infatti, colui che, sia pure di fatto, ha l’amministrazione della società mentre al prestanome il fatto potrebbe essere addebitato a titolo di concorso a norma dell’art. 2392 c.c. e art. 40 cpv c.p. a condizione che ricorra l’elemento soggettivo proprio del singolo reato.

Nell’occasione, si legge in sentenza, si è evidenziato come tale principio si riscontra anche in materia di sanzioni amministrative tributarie.

Il D.Lgs. n. 472 del 1997, all’art. 11, parifica infatti il legale rappresentante all’amministratore di fatto sancendo formalmente la diretta responsabilità per le sanzioni anche degli amministratori di fatto.

E nel medesimo contesto si è anche rilevato come un’interpretazione diversa comporterebbe risultati palesemente iniqui.

Si finirebbe, infatti, per addebitare al solo prestanome, per il semplice fatto di avere assunto formalmente la carica di amministratore, tutte le omissioni civilmente o penalmente imputabili a colui che di fatto ha gestito la società mentre rimarrebbe esente da responsabilità civile o penale per i fatti omissivi proprio colui il quale ha il potere ed il dovere di compiere l’azione omessa: nella fattispecie la presentazione della dichiarazione dei redditi.

Con ultimo arresto della S.C. [200] è stato nuovamente affermato che nei confronti di una presunta “testa di legno” non può trovare «automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto»; tuttavia, ciò vale soltanto per i casi di bancarotta fraudolenta per distrazione, «mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita […], atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture».

C) Collegio sindacale

art. 2476 2 co c.c.   responsabilità degli amministratori e controllo dei soci

……..

I soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione.

 

I soci – tutti i soci – quale che sia la loro quota di partecipazione – non amministratori sono così messi in grado di esercitare un controllo continuativo sull’amministrazione della società.

Un controllo che è attribuito inderogabilmente dalla legge, e che l’atto costitutivo non può né eliminare né escludere, dato che esso è strumentale all’esercizio di altri diritti individuali del socio.

Invero, solo in forza di questo ampio potere di controllo, tutti i soci, anche non amministratori, sono messi nella condizioni di conoscere i dettagli della gestione sociale.

Oltre al controllo dei soci è previsto anche quello di un organo apposito, ovvero il Sindaco e/o del revisore.

art. 2477 c.c.   sindaco e revisione legale dei conti [201]

L’atto costitutivo può prevedere, determinandone le competenze e i poteri, ivi compresa la revisione legale dei conti, la nomina di un organo di controllo o di un revisore [si tratta di una nomina alternativa e non complementare]. Se lo statuto non dispone diversamente, l’organo di controllo è costituito da un solo membro effettivo [202].

[La nomina dell’organo di controllo o del revisore è obbligatoria se il capitale sociale non è inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni.] [203]

La nomina dell’organo di controllo o del revisore è [altresì] obbligatoria se la società:

a) è tenuta alla redazione del bilancio consolidato;

b) controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti;

c) per due esercizi consecutivi ha superato due dei limiti indicati dal primo comma dell’articolo 2435 –bis [204].

L’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore di cui alla lettera c) del terzo comma cessa se, per due esercizi consecutivi, i predetti limiti non vengono superati [205].

Nel caso di nomina di un organo di controllo, anche monocratico, si applicano le disposizioni sul collegio sindacale previste per le società per azioni [206].

L’assemblea che approva il bilancio in cui vengono superati i limiti indicati al [secondo e] terzo comma deve provvedere, entro trenta giorni, alla nomina dell’organo di controllo o del revisore [207].

Se l’assemblea non provvede, alla nomina provvede il tribunale su richiesta di qualsiasi soggetto interessato.

Prima dell’intervento legislativo del 2012 (l. 35/2012) non era ammesso nelle s.r.l. il controllo giudiziario, previsto nei confronti degli amministratori di società per azioni ex art. 2409.

Al legislatore del 2003 era sembrato che l’attribuzione ai singoli soci di un penetrante potere di controllo sulla gestione sociale, e della legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità e alla richiesta di un provvedimento di revoca degli amministratori, rendesse superfluo un simile controllo.

A tale previsione si erano uniformate alcune pronunce di merito e di legittimità.

La S.C. [208], infatti attenendosi anche alla pronuncia della Corte Costituzionale del 2005 (di cui appresso), con pronuncia del 2010 così affermava: il procedimento previsto dall’art. 2409 c.c. per il controllo giudiziario della società per azioni non è applicabile alla società a responsabilità limitata, in tal senso deponendo, oltre alla diversità dei connotati attribuiti a tale tipo di società dalla riforma organica di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la formulazione letterale dell’art. 2488 c.c. (nel testo introdotto dal d.lgs. n. 6 cit.) e dell’art. 92 disp. att. c.c., nonchè, per le ipotesi in cui sia obbligatoria la costituzione del collegio sindacale, la genericità del rinvio alla disciplina delle società per azioni contenuto nell’art. 2477 c.c., il quale va pertanto riferito ai soli requisiti professionali ed alle cause di ineleggibilità, incompatibilità e decadenza dei sindaci previste dagli artt. 2397 e ss. c.c., conformemente all’intento manifestato dal legislatore di privatizzare il controllo societario in favore dei singoli soci.

Mentre contrariamente a tale massima una pronuncia di merito [209] precedentemente stabilì: che l’art. 2477 c.c., sancendo «l’applicabilità alle società a responsabilità limitata, che abbiano capitale non inferiore a quello delle società per azioni, di tutte le norme previste per tali ultime società in tema di collegio sindacale», importa l’assoggettabilità delle prime anche alla procedura di controllo delineata dall’art. 2409 c.c., “articolo inserito, appunto, nel corpo del § 3 della Sez. VI bis del nuovo capo V del Codice civile”.

La previsione normativa appare del tutto compatibile con la chiara scelta di campo attuata dal legislatore della riforma societaria nella residua disciplina delle s.r.l. ove, in mancanza della generale previsione del controllo giudiziario, in precedenza prevista espressamente dall’art. 2488 c.c., l’azione di responsabilità verso gli amministratori viene attribuita ai singoli soci, senza alcuna limitazione collegata all’entità della loro partecipazione.

Ed invero, la sottolineata diversità degli strumenti di controllo delineati dall’art. 2409 c.c. e dall’art. 2499 c.c. e dei provvedimenti adottabili nelle rispettive sedi, “porta necessariamente a ritenere che il controllo giudiziario sulla gestione societaria, quale strumento ben più pregnante e invasivo e al contempo più duttile e veloce rispetto all’azione di responsabilità, debba applicarsi perlomeno a quelle società a responsabilità limitata che, per dimensioni di capitale, necessitino ancora della garanzia di osservanza delle norme imperative di diritto societario in tema di gestione che solo l’intervento giudiziario ex art. 2409 c.c. può offrire, a tutela anche di interessi pubblicistici e con riguardo ai soggetti estranei alla compagnia societaria.

L’interpretazione offerta – del resto – appare l’unica idonea ad evitare il palese contrasto delle esaminate previsioni novellistiche con le prescrizioni di cui agli artt. 76 e 77 Cost., non essendo prevista in alcuna parte delle legge delega n. 366/2001 per la riforma del diritto societario l’abolizione del controllo giudiziario sulle s.r.l.

Invece, con la previsione richiamata è stato introdotto il comma V che prevede espressamente l’applicazione del controllo giudiziario rinviando espressamente alle norme previste in tema di s.p.a.

Con provvedimento recente la Corte Costituzionale [210] ha ritenuto manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2409 e 2476 c.c., impugnati, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non consentono il ricorso alla procedura del controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. alle società a responsabilità limitata con finalità diverse dalle attività sportive o a esse correlate.

Contrariamente a quanto asserito dal rimettente, infatti, il rinvio alle disposizioni sulle società per azioni contenuto nell’art. 2477, quinto comma, c.c. non è venuto meno nella formulazione introdotta dall’art. 14, comma 13, della legge n. 183 del 2011, mentre con il d.l. n. 5 del 2012 (convertito dalla legge n. 35 del 2012) – entrato in vigore antecedentemente al deposito dell’ordinanza di rimessione ma da questa totalmente ignorato – il citato art. 2477 ha subìto una significativa modifica, essendo ora previsto al quinto comma, che «Nel caso di nomina di un organo di controllo, anche monocratico, si applicano le disposizioni sul collegio sindacale previste per le società per azioni». Tale erronea e insufficiente individuazione del contesto normativo incide in maniera decisiva sulla motivazione in ordine alla ritenuta impossibilità di una interpretazione secundum constitutionem della disciplina denunciata e alla rilevanza della questione proposta.

Prima delle modifiche attuate con il  D.L. 24.06.2014, n. 91 con decorrenza dal 25.06.2014, così come modificato dall’allegato alla legge di conversione, L. 11.08.2014, n. 116 con decorrenza dal 21.08.2014, il Codice civile prevedeva per questa tipologia societaria all’art. 2477, co. II, c.c. la nomina obbligatoria dell’organo di controllo o del revisorese il capitale sociale non è inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni“.

Ebbene, nel caso in cui non fosse intervenuto il legislatore, dal coordinamento di questa disposizione con i nuovi limiti sul capitale sociale, l’obbligo di cui all’art. 2477, co. II, c.c. previsto per tutte le S.r.l. sarebbe scattato solo in presenza di un capitale di almeno euro 50.000,00.

L’intervento del legislatore è avvenuto al fine di evitare che per le gran parte delle medio-piccole S.r.l., il cui capitale è fissato proprio nel range tra euro 50.000,00 ed euro 120.000,00, le quali, invece, attendevano e tutt’ora sperano da tempo un a diminuzione dei propri impegni finanziari, si venisse a creare un nuovo onere (il pagamento degli onorari dell’organo di controllo).

In particolare, il co. II dell’art. 2477 c.c., in tema di S.r.l., che prevedeva l’obbligo di nomina se il capitale sociale fosse non inferiore a quello minimo stabilito per le S.p.a., è stato abrogato.

Al riguardo, la relazione illustrativa chiarisce espressamente come siffatta modifica è sorretta da “motivi sistematici e (si pone) in un’ottica di semplificazione e di riduzione dei costi per le piccole e medie imprese“.

Conseguentemente, nell’ambito delle S.r.l. il capitale sociale non assume più alcuna rilevanza ai fini dell’obbligatorietà di nomina dell’organo di controllo.

Però, è obbligatorio, segnalare un grave risvolto pratico, ovvero che siffatta novità produce, tuttavia, alcuni effetti che sembrerebbero paradossali o a limite, in quanto si potrebbe avere, ad esempio, una S.p.a. con euro 50.000,00 di capitale sociale soggetta all’obbligo di nomina del collegio sindacale e, nel contempo, una S.r.l. con una capitale superiore – anche di milioni di euro – priva del relativo organo di controllo.

Restano, invece, invariate le precedenti previsioni che impongono alle S.r.l. la nomina dell’organo di controllo, ossia (art. 2477, co. III, c.c.):

  • obbligo alla redazione del bilancio consolidato [211]

In tale ipotesi, in forza dell’art. 25, D.lgs. 127/1991, si deve ritenere che la nomina di un revisore contabile o di una società di revisione sia obbligatoria, posto che l’art. 41 del citato decreto dispone che il bilancio consolidato deve essere assoggettato a un controllo che ne accerti la regolarità e la corrispondenza alle scritture contabili dell’impresa controllante.

  • controllo di una società obbligata alla revisione legale dei conti;
  • superamento, per 2 esercizi consecutivi, dei parametri di cui all’art. 2435-bis c.c. (che obbligano la S.r.l. alla redazione del bilancio in forma ordinaria, in luogo di quello in forma abbreviata).

Altro aspetto di ordine pratico che necessita particolare attenzione profili di diritto transitorio per la disciplina applicabile alle S.r.l. che in passato hanno provveduto alla nomina dell’organo di controllo a causa del superamento del limite del capitale sociale minimo previsto per le S.p.a.

Poiché tale obbligo di nomina, dalla data dell’entrata in vigore del D.L. 24.06.2014, n. 91,  non sussiste più, alcune società avrebbero potuto voler destituire detto organo societario.

In casi simili, l’orientamento prevalente in dottrina [212] – espressasi nella analoga vicenda che portò all’introduzione del cd. sindaco unico con la L. 12.11.2011, n. 183 – vuole che l’organo resti in carica fino alla scadenza del mandato rilasciato (art. 2401 c.c.), a meno che il revisore legale dei conti (o l’intero organo, se collegiale) rassegni le proprie dimissioni, in accordo – anche tacito – con la società.

In realtà, l’eliminazione dell’obbligo ex lege non dovrebbe poter essere considerata né causa di decadenza (in quanto non rientra tra quelle tassativamente elencate dal Legislatore nell’art. 2399 c.c.), né giusta causa di revoca (art. 2400 c.c.), non configurandosi nessun inadempimento da parte dell’organo di controllo stesso.

Comunque, ai fini anche di un orientamento costituzionale, è stato prevista la possibilità di revoca dell’organo di controllo nelle S.r.l. a causa della riduzione del capitale sociale minimo per le S.p.a. da euro 120.000,00 ad euro 50.000,00.

Anche le norme di comportamento del Collegio sindacale, prevedono che “la deliberazione che dispone la revoca del sindaco (…) deve essere approvata dal competente tribunale, sentito il soggetto interessato. La revoca del sindaco ha effetto dal momento in cui il decreto del tribunale di approvazione della deliberazione diviene definitivo“.

Che sia necessario l’intervento del Tribunale – il quale deve appurare l’effettiva sussistenza della giusta causa, già codificata dal Legislatore, e non già la riconducibilità dell’ipotesi di revoca alla nozione di giusta causa – pare rilevarsi dal dato normativo che, appunto, si riferisce a “giusta causa di revoca” e non, invece, di causa di decadenza ex lege.

In ordine alla responsabilità si riporta ultima massima estrapolata dalla sentenza di Cassazione
Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza 18 settembre 2017, n. 21566

i sindaci sono tenuti a rispondere anch’essi in solido con gli amministratori, per violazione dell’obbligo di vigilare, con professionalità e diligenza, sull’osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di correttezza amministrativa nella gestione della società, a nulla valendo contestare la propria responsabilità per gli atti di gestione posti in essere nel periodo successivo alla cessazione della carica quando avessero continuato ad operare per la società in qualità di consulenti esterni, limitandosi a negare di essere stati a conoscenza delle vicende interne della società ed estendendo tale ignoranza anche al periodo successivo al nuovo conferimento della predetta carica, senza considerare che il dovere di diligenza connesso alle funzioni esercitate avrebbe loro imposto di attivarsi per il ripristino della correttezza della gestione.

Da ultimo è stato chiarito che

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|26 gennaio 2021| n. 1601.

il dovere di vigilanza e di controllo imposto ai sindaci delle società per azioni ex art. 2403 cod. civ. non è circoscritto all’operato degli amministratori, ma si estende a tutta l’attività sociale, con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali, e ricomprende, pertanto, anche l’obbligo di segnalare tutte le situazioni che esigano, in applicazione degli artt. 2446 e 2447 cod. civ., la riduzione del capitale sociale.

Ancora di recente la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|14 ottobre 2021| n. 28097

ha avuto modo di affermare che non è sufficiente ad esonerare i sindaci della società da responsabilità, in presenza di una illecita condotta gestoria posta in essere dagli amministratori, la dedotta circostanza di esserne stati tenuti all’oscuro o di avere assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, qualora i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di opposizione avverso un provvedimento sanzionatorio emesso dalla Banca d’Italia per illeciti ascrivibili al ricorrente in qualità di Presidente del Collegio Sindacale di un istituto di credito, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso incidentale proposto dall’Organo di vigilanza, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, avendo erroneamente la corte distrettuale escluso la responsabilità del ricorrente per il deterioramento dei crediti erogati prima dell’assunzione della carica senza esaminare come il collegio sindacale avesse adempiuto ai propri doveri di vigilanza sulla funzionalità degli apparati di controllo interno e sulla correttezza dell’attività degli organi amministrativi in relazione al monitoraggio ed alle gestioni di tali crediti).

 

11) I libri obbligatori, il bilancio e la distribuzione degli utili

Libro V del lavoro – Titolo V delle società Capo VII – della società a responsabilità limitata – sez. III – Dell’amministrazione della società e dei controlli – 2475 – 2478 bis

Oltre ai libri e alle scritture contabili prescritti nell’art. 2214 c.c., e agli altri libri e documenti imposti dalle legislazioni di settore (quella fiscale e lavoristica), la società deve tenere altri libri, la cui funzione è quella di documentare gli aspetti più importanti dell’attività sociale.

art. 2478 c.c.  libri sociali obbligatori

Oltre i libri e le altre scritture contabili prescritti nell’articolo 2214, la società deve tenere:

[1) il libro dei soci, nel quale devono essere indicati il nome dei soci, la partecipazione di spettanza di ciascuno, i versamenti fatti sulle partecipazioni, nonché le variazioni nelle persone dei soci;][213]

2) il libro delle decisioni dei soci, nel quale sono trascritti senza indugio sia i verbali delle assemblee, anche se redatti per atto pubblico, sia le decisioni prese ai sensi del primo periodo del terzo comma dell’articolo 2479; la relativa documentazione è conservata dalla società;

3) il libro delle decisioni degli amministratori;

4) il libro delle decisioni del collegio sindacale nominato ai sensi dell’articolo 2477.[214]

I libri indicati nei numeri 2) e 3) del primo comma devono essere tenuti a cura degli amministratori; il libro indicato nel numero 4) del primo comma deve essere tenuto a cura dei sindaci.[215]

I contratti della società con l’unico socio o le operazioni a favore dell’unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro indicato nel numero 3 del primo comma o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.

Per la S.C. [216] le annotazioni nel libro dei soci hanno valore documentale in relazione alla posizione del socio all’interno della società, pertanto esse, essendo prive di ogni effetto dispositivo, possono e devono essere modificate ove si accerti la non rispondenza alla realtà dei dati e delle situazioni iscritte.

Sempre per la Corte di legittimità [217], in tema di reati tributari, tra i “documenti contabili” di cui è obbligatoria la conservazione, il cui occultamento o distruzione, totale o parziale, a fini di evasione delle imposte, integra il reato di cui all’art. 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, rientrano anche le scritture, aventi rilievo fiscale, richieste dalla natura dell’impresa, la cui individuazione dev’essere effettuata ai sensi dell’art. 22 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. (Fattispecie relativa all’occultamento, da parte del titolare di un’agenzia immobiliare, di tre contratti preliminari di compravendita riguardanti altrettante unità immobiliari in ordine alle quali il prezzo effettivamente corrisposto era stato poi ridotto nei successivi rogiti).

art. 2478 bis c.c.   bilancio e distribuzione degli utili ai soci

il bilancio deve essere redatto con l’osservanza degli articoli da 2423, 2423 bis, 2423 ter, 2424, 2424 bis, 2425, 2425 bis, 2426, 2427, 2428, 2429, 2430 e 2431, salvo quanto disposto dall’articolo 2435- bis. [Bilancio abbreviato]Esso è presentato ai soci entro il termine stabilito dall’atto costitutivo e comunque non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale, salva la possibilità di un maggior termine nei limiti ed alle condizioni previsti dal secondo comma dell’articolo 2364.

Entro trenta giorni dalla decisione dei soci di approvazione del bilancio deve essere depositata presso l’ufficio del registro delle imprese, a norma dell’articolo 2435, copia del bilancio approvato [218].

La decisione dei soci che approva il bilancio decide sulla distribuzione degli utili ai soci.

Possono essere distribuiti esclusivamente gli utili realmente conseguiti e risultanti da bilancio regolarmente approvato.

Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a distribuzione degli utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
Gli utili erogati in violazione delle disposizioni del presente articolo non sono ripetibili se i soci li hanno riscossi in buona fede in base a bilancio regolarmente approvato, da cui risultano utili netti corrispondenti

 

Per una pronuncia di merito [219] nelle società di capitali il legislatore ha previsto l’obbligo di redazione di un formale bilancio ex art. 2423 c.c., stabilendo in modo preciso anche i criteri di redazione ex art. 2423 bis c.c., il quale bilancio, proprio perché destinato, per sua natura, alla tutela di soggetti terzi che vengono in contatto con la società, deve essere non solo depositato presso la società prima dell’approvazione ex art. 2429 c.c. (a tutela evidentemente degli stessi soci), ma anche depositato presso l’Ufficio del Registro delle Imprese ex art. 2435 e 2478 bis c.c., a tutela evidentemente dei terzi; invece nelle società di persone è previsto solo un rendiconto annuale, del quale non è richiesto né il deposito né tantomeno la pubblicazione, proprio perché la sua redazione non risponde ad un’esigenza di tutela dei terzi e della collettività, bensì ad un’esigenza e a una tutela individuale del singolo socio. Sicché, ogni relativa questione è non solo transigibile, ma anche compromettibile in arbitri, non andando ad incidere su norme di carattere imperativo.

Inoltre, il tribunale Capitolino [220], ha statuito che il deposito del bilancio e degli allegati esaurisce il dovere di informazione dei soci con riguardo all’approvazione del bilancio, mentre gli eventuali impedimenti posti da parte degli amministratori all’esercizio del diritto di controllo, in senso stretto, spettante al socio ex art. 2476, 2° comma, c.c., consistente nella consultazione dei libri sociali e dei documenti relativi all’amministrazione, non si traducono in un vizio della delibera di bilancio, ma possono semmai configurare una responsabilità degli amministratori per inadempimento dei doveri gestori ad essi spettanti.

Bilancio abbreviato

Sono soggetti interessati alla redazione del bilancio in forma abbreviata, ex art. 2435-bis c.c., le società per azioni, le società a responsabilità limitata, le società in accomandita per azioni, le società cooperative, le mutue assicuratrici, i consorzi tra imprese con attività esterna, le società di persone nelle quali tutti i soci a responsabilità illimitata sono società per azioni e/o società in accomandita per azioni e/o società a responsabilità limitata.

Non sono attratte, sotto il profilo soggettivo, alla facoltà di redazione del bilancio in forma abbreviata:

– le società che hanno emesso titoli negoziati in mercati regolamentati, anche se, nei fatti, tali società superano, di solito, i limiti dimensionali previsti per l ‘accesso al bilancio in forma abbreviata;

– le società (non quotate) soggette alla disciplina dei bilanci IAS/IFRS secondo il D.Lgs. 38/2005;

– le imprese attratte nelle discipline speciali relative ai bilanci a schema obbligatorio imposti a particolari settori produttivi

– le imprese pubbliche per le quali non vale il rinvio alla disciplina del codice civile.

I limiti dimensionali da non superare affinché possa essere esercitata la facoltà concessa dall’art. 2435-bis c.c. si riferiscono ai ricavi delle vendite e delle prestazioni, al totale dell’attivo, ai dipendenti. Tali limiti sono soggetti a frequenti adeguamenti per tenere conto del mutato potere di acquisto della moneta e dell’evoluzione della struttura industriale del nostro Paese.

I limiti dimensionali assumono i seguenti significati.

Totale dell’Attivo dello Stato patrimoniale (limite = 4.400.000 euro)

Ricavi delle vendite e delle prestazioni (limite = 8.800.000 euro)

Dipendenti occupati in media durante l’esercizio (limite = 50 unità)

Ai sensi dell’art. 2435-bis c.c., l a facoltà di redigere il bilancio in forma abbreviata si applica a quelle società che, nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non hanno superato due dei tre limiti illustrati nel paragrafo precedente.

Le società che hanno optato, sussistendone le condizioni, per la redazione del bilancio in forma abbreviata, devono redigerlo in forma ordinaria quando, per il secondo esercizio consecutivo, abbiano superato due dei limiti previsti dall’art. 2435-bis, comma 1, c od. civ.

Inoltre, in virtù del richiamo specifico del I comma è possibile la redazione dei seguenti documenti:

  • Stato patrimoniale abbreviato

Lo stato patrimoniale del bilancio in forma abbreviata comprende solo le voci contrassegnate nell’art. 2424 c.c. con lettere maiuscole e con numeri romani

  • Conto economico abbreviato
  • Nota integrativa in forma abbreviata

Nella nota integrativa del bilancio in forma abbreviata sono omesse le indicazioni richieste dall’art. 2426, comma I, n. 10, c.c. e dai nn. 2), 3), 7), 9), 10), 12), 13), 14), 15), 16) e 17) dell’art. 2427 c.c.; le indicazioni richieste dall’art. 2427, comma I, n. 6, c.c. sono riferite all’importo globale dei debiti iscritti in bilancio.

Secondo la giurisprudenza di legittimità [221] anche nelle società a responsabilità limitata (nel vigore della disciplina dettata dal codice civile del 1942, anteriormente alla riforma di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) non è configurabile un diritto del socio agli utili senza una preventiva deliberazione assembleare in tal senso, rientrando nei poteri dell’assemblea — in sede approvativa del bilancio — la facoltà di disporne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società, sulla base di una decisione censurabile solo se propria di iniziative della maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione.

12) Le modificazioni dell’atto costitutivo

Libro V del lavoro – Titolo V delle società – Capo VII della società a responsabilità limitata – sez. V – Delle modificazioni dell’atto costitutivo – 2480 – 2483

Le modificazioni dell’atto costitutivo rappresentano decisioni importanti che incidono in misura rilevante sulla vita della società e per questo il legislatore ha previsto la necessità che esse siano riservate necessariamente ai soci (art. 2479, co2, n.4).

art. 2480 c.c. modificazioni dell’atto costitutivo

le modificazioni dell’atto costitutivo sono deliberate dall’assemblea dei soci a norma dell’articolo 2479 bis. Il verbale è redatto da notaio e si applica l’articolo 2436 .

A)   AUMENTO DI CAPITALE

[222]

Preliminarmente è opportuno ricordare che l’organo competente (assemblea dei soci od organo amministrativo delegato) può adottare la decisione di aumento del capitale anche se le quote già emesse non sono state completamente liberate, in quanto, ai sensi del comma II, art. 2481, c.c., la liberazione è condizione per l’esecuzione dell’aumento, ma non per l’assunzione della delibera.

Le condizioni

1 A – posta dalla legge –

art. 2481 II co c.c.

La decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti.

La ratio giuridica che è sottesa alla formulazione della disposizione è abbastanza evidente: si vuole sostanzialmente evitare che si gonfi il capitale nominale a fronte di un capitale reale formato prevalentemente o essenzialmente da crediti verso i soci.

La disciplina in tema di s.r.l. non ripete l’art. 2438, co II.

  • secondo una prima lettura [223] la disposizione si applicherebbe anche alla s.r.l. in quanto espressione di un principio di carattere generale, con la conseguenza che la collocazione del capitale sociale rimarrebbe valida, ferma restando la responsabilità degli amministratori per i danni arrecati ai soci e ai terzi;
  • in contrario [224], si è osservato che trattandosi di una norma a carattere sanzionatorio, l’art. 2438 co2, non si applicherebbe anche ai casi diversi da quelli per i quali è prevista. Pertanto, nel caso di violazione della disposizione, la collocazione dell’aumento di capitale sociale senza che i conferimenti precedentemente promessi siano interamente liberati, sarebbe inefficace.

 

2 Aposta dalla dominate dottrina e giurisprudenza – Assenza di perdite che rendano obbligatoria la riduzione del capitale –

non si può procedere ad un aumento di capitale sociale ove non si sia proceduto a ridurre il capitale in misura corrispondente alle perdite

Le fasi dell’aumento di capitale

1 Adelibera dell’assemblea

si tratta di un’ipotesi riservata dalla legge al metodo collegiale ed assembleare –

Tale delibera ha una natura di proposta contrattuale, poiché non è immediatamente ad effetti modificativi essendo necessari le sottoscrizioni delle nuove azioni.

In realtà per la Corte di Cassazione [225] l’obbligo di versamento per il socio deriva non dalla deliberazione, ma dalla distinta manifestazione di volontà negoziale, consistente nella sottoscrizione della quota del nuovo capitale offertagli in opzione, ciò indipendentemente dall’avere egli concorso o meno con il proprio voto alla deliberazione di aumento; conseguentemente, per fondare la relativa pretesa, la società ha l’onere di provare non soltanto l’esistenza della deliberazione assembleare, ma anche la successiva sottoscrizione della quota di spettanza dell’aumento ad opera del socio.

Inoltre, per la S.C.[226] la deliberazione assembleare di una s.r.l. con cui sia stato approvato un aumento di capitale anteriormente all’iscrizione della società nel registro delle imprese è inesistente, in quanto emanata da un’assemblea ancora priva della possibilità giuridica di deliberare, e, tuttavia, la manifestazione di volontà dei soci unanime e plenaria e risultante dalla sottoscrizione dell’atto da parte di ciascuno può essere apprezzata come espressione di un patto volto a modificare l’importo del capitale sociale e la conseguente attribuzione delle quote ai soci e, quindi, come una convenzione modificativa dell’atto costitutivo, a condizione che risultino osservati i requisiti di sostanza e di forma prescritti per tale atto, con la conseguenza che la non ancora avvenuta iscrizione della società nel registro delle imprese non condiziona la validità di detta convenzione modificativa, sia pure destinata ad assumere efficacia dopo l’iscrizione della società.

Ai fini processuali è stato chiarito, da ultimo

Corte di Cassazione, sezione sesta (prima) civile, Ordinanza 25 febbraio 2020, n. 4956.

che la controversia avente ad oggetto l’esecuzione della delibera di aumento del capitale sociale di una società è compromettibile in arbitri, ai sensi dell’art. 34, comma 1, del D.lgs. n. 5 del 2003, poiché relativa a diritti inerenti al rapporto sociale inscindibilmente correlati alla partecipazione del socio (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale il giudice adito, rigettando l’opposizione a decreto ingiuntivo, aveva affermato la propria competenza in merito alla controversia insorta allorché il giudice delegato al fallimento di una società a responsabilità limitata in liquidazione, dietro proposta del curatore, aveva emesso il provvedimento monitorio nei confronti del ricorrente quale socio obbligato al versamento delle somme ancora dovute in relazione ad una delibera di aumento del capitale sociale assunta dalla predetta società poi fallita)

2 Ala sottoscrizione da parte dei soci – equivalgono a tante dichiarazioni di accettazione –

3 Ail versamento dei decimi (25 %) – nelle casse sociali e non presso un istituto di credito

La decisione di aumento del capitale sociale e quella relativa all’inizio della fase di sottoscrizione devono essere comunicate a tutti i soci risultanti dall’elenco soci depositato presso il Registro delle imprese, con i modi stabiliti dall’atto costitutivo.

Una volta aperta la fase di sottoscrizione la società dovrà porre particolare attenzione alle rilevazioni contabili da effettuare, in quanto i versamenti effettuati dai soci o aspiranti soci non possono avere come contropartita direttamente il capitale sociale, fintantoché l’attestazione di avvenuta sottoscrizione non venga iscritta nel Registro delle imprese.

Una volta scaduto il termine di sottoscrizione ci si può trovare davanti alle seguenti situazioni:

  • il capitale è integralmente sottoscritto: in tal caso si procede come descritto più avanti;
  • il capitale è parzialmente sottoscritto: poiché l’aumento è scindibile, pur non essendo stato interamente sottoscritto, l’aumento è validamente concluso e si procede come descritto appresso.

In entrambi i casi, al termine della fase di sottoscrizione, gli amministratori provvedono a comunicare al Registro delle imprese, tramite apposita attestazione, l’avvenuta esecuzione della sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale ai sensi dell’art. 2444, c.c.

Infine, sotto un mero profilo fiscale, secondo la S.C. [227] dal reddito imponibile di una società commerciale, la quale abbia acquistato azioni non liberate di altra società, non è possibile dedurre l’importo dei relativi decimi non ancora versati dai soci cedenti (importo del quale, ai sensi dell’art. 2481 c.c., nel testo vigente ratione temporis, l’acquirente delle azioni risponde in solido col cedente), per due ragioni: sia perché nessuna norma consente tale deduzione dall’imponibile; sia perché sono deducibili dalla base imponibile solo le componenti negative del reddito certe nella loro esistenza e obiettivamente determinabili nel loro ammontare, e tale non è il costo in questione, la cui deducibilità è ammessa solo nell’esercizio e nella misura in cui sarà effettivamente sostenuto (fattispecie relativa a controversia anteriore all’introduzione dell’art. 54, comma II bis, del d.P.R. n. 917 del 1986, il quale ha dettato una disciplina ad hoc per l’incremento di valore delle immobilizzazioni finanziarie derivanti da partecipazioni di controllo).

L’aumento delegato

art. 2481 c.c.   aumento di capitale

l’atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale, determinandone i limiti e le modalità di esercizio; la decisione degli amministratori, che deve risultare da verbale redatto senza indugio da notaio, deve essere depositata ed iscritta a norma dell’articolo 2436.
La decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti.

  • ONEROSO O REALE

dovuto a nuovi conferimenti

art. 2481 bis c.c.   aumento di capitale mediante nuovi conferimenti

in caso di decisione di aumento del capitale sociale mediante nuovi conferimenti spetta ai soci il diritto di sottoscriverlo in proporzione delle partecipazioni da essi possedute DIRITTO DI OPZIONE. L’atto costitutivo può prevedere, salvo per il caso di cui all’articolo 2482 ter, che l’aumento di capitale possa essere attuato anche mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi [esclusione del diritto di sottoscrizione, mediante un’apposita previsione statutaria inserita al momento della costituzione o nel corso della sua vita a mezzo di una modifica successiva dello stesso statuto]; in tal caso spetta ai soci che non hanno consentito alla decisione il diritto di recesso a norma dell’articolo 2473.
La decisione di aumento di capitale prevede l’eventuale soprapprezzo e le modalità [228] ed i termini entro i quali può essere esercitato il diritto di sottoscrizione. Tali termini non possono essere inferiori a trenta
(30) giorni dal momento in cui viene comunicato ai soci che l’aumento di capitale può essere sottoscritto [a differenza di quanto accade nelle S.p.A., in cui il termine di 30 giorni decorre dalla data di pubblicazione dell’offerta nel Registro delle imprese – art. 2441, co II]. La decisione può anche consentire, disciplinandone le modalità, che la parte dell’aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi.
Se l’aumento di capitale non è integralmente sottoscritto nel termine stabilito dalla decisione, il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se la deliberazione medesima lo abbia espressamente consentito
[tale comma ribadisce la regola generale dell’inscindibilità dell’aumento del capitale sociale. In altri termini in mancanza di un’espressa previsione nella deliberazione di aumento del capitale, che renda efficace la delibera di aumento anche se lo stesso non sia stato interamente sottoscritto, la deliberazione stessa si caduca per intero, ove il capitale sociale non sia stato interamente sottoscritto].
Salvo quanto previsto dal secondo periodo del quarto comma e dal quinto comma dell’articolo 2464, i sottoscrittori dell’aumento di capitale devono, all’atto della sottoscrizione, versare alla società almeno il venticinque per cento della parte di capitale sottoscritta e, se previsto, l’intero soprapprezzo. Per i conferimenti di beni in natura o di crediti si applica quanto disposto dal quarto comma dell’articolo 2464.
[E’ da ritenersi, tuttavia, che nonostante il silenzio del legislatore, l’art. 2465 sia riferito non solo ai conferimenti in natura in sede di costituzione, ma anche ai conferimenti in sede di una delibera di aumento del capitale sociale]
Se l’aumento di capitale è sottoscritto dall’unico socio, il conferimento in danaro deve essere integralmente versato all’atto della sottoscrizione.
Nei trenta giorni dall’avvenuta sottoscrizione gli amministratori devono depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese un’attestazione che l’aumento di capitale è stato eseguito.

 

Laddove il legislatore utilizza l’espressione «offerta di quote di nuova emissione a terzi», ancorché nel citato articolo si faccia espresso riferimento solamente ai terzi, si ritiene che la compressione del diritto di opzione [229] possa operare sia a favore di soggetti terzi, sia nei confronti degli attuali soci.

Per altro verso, la lettera della norma consente l’esclusione del diritto di opzione senza alcun riferimento alla fattispecie della limitazione. Anche in tal caso è da ritenere che, se il legislatore ha consentito l’esclusione totale del diritto di sottoscrizione, certamente ha inteso riferirsi anche alle ipotesi di esclusione parziale o limitazione.

La delibera di aumento del capitale sociale richiede, anzitutto, il preventivo riconoscimento nello statuto della possibilità di escludere/limitare il diritto di opzione.

È quindi necessaria la presenza di una clausola statutaria ad hoc, se del caso anche introdotta successivamente con specifica decisione dei soci.

Secondo alcuni autori [230] l’esclusione del diritto di opzione non può però aversi, nemmeno in forza dell’atto costitutivo, quando l’aumento sia stato deliberato per reintegrare il capitale sociale che si sia ridotto per perdite al di sotto del minimo legale.

La Relazione al d.lgs. 17/1/2003 n.6, giustifica l’eccezione con l’esigenza di evitare che i soci di maggioranza utilizzino le perdite, in particolare nel caso in cui le perdite abbiano del tutto azzerato il capitale sociale, per deliberare aumenti di capitale senza diritto di opzione e eliminare le partecipazioni dei soci di minoranza, facendo sottoscrivere le quote di emissione soltanto a terzi o a soci di loro gradimento.

Inoltre, si ritiene che la delibera di aumento del capitale sociale con limitazione e/o esclusione del diritto di sottoscrizione, pur in presenza di una clausola statutaria ad hoc, non possa venire assunta in assenza di un’adeguata motivazione.

È quindi opportuno che la delibera fornisca idonea prova dell’interesse specifico che legittima il diritto di sottoscrizione preferenziale dei soci. Ed, infatti, analogamente a quanto riconosciuto dalla giurisprudenza per le s.p.a., la legittimità dell’esclusione del diritto di opzione nell’interesse della società non può basarsi su di una motivazione generica dovendo la delibera spiegare concretamente quale sia tale interesse al fine di consentire al giudice di valutarne la consistenza e la reale sussistenza.

L’art. 2481-bis non contiene alcuna previsione di obbligatorietà circa la fissazione del sovrapprezzo considerando quest’ultimo una fattispecie “eventuale ” degli aumenti di capitale in genere.

Per parte della dottrina [231] è necessaria l’imposizione soprattutto in ipotesi di aumenti di capitale c.d. riservati. La fissazione del sovrapprezzo ha infatti la «funzione perequativa di impedire il depauperamento delle partecipazioni dei soci già penalizzati dalla diminuzione della misura percentuale di partecipazione al capitale a vantaggio dei destinatari dell’aumento riservato»

 

Il mancato esercizio del diritto di sottoscrizione

La possibilità di collocare il capitale inoptato presso i soci o presso i terzi non discende naturalmente dalla deliberazione di aumento del capitale sociale, ma deve essere specificata esplicitamente da parte dei soci nella delibera, al fine di salvaguardare il rapporto personalistico tra i soci all’interno dell’organizzazione sociale.

Ove si prospetti la possibilità di collocare il capitale inoptato, si può, in particolare, stabilire che l’inoptato sia collocato presso i soci e, in tale caso, precisare a quali condizioni può essere sottoscritto, se alle medesime condizioni alle quali è stato collocato il capitale offerto in opzione, se i soci optanti debbano fare un riparto proporzionale del capitale sociale inoptato alla partecipazione di ciascuno di essi o se prevedere, invece, l’aggiudicazione dell’inoptato al socio optante migliore offerente; si possono fissare anche le modalità di esercizio temporali dell’inoptato.

La deliberazione, infine, può stabilire di collocare l’inoptato sia presso i soci che presso i terzi, applicando, secondo la dottrina più auterevole, per analogia l’art. 2441, co VII e VIII.

È fatta salva la possibilità di rinuncia a tale diritto.

Per il Tribunale capitolino [232] la rinuncia o il mancato esercizio del diritto di opzione relativo ad aumento di capitale di società a responsabilità limitata non è suscettibile di revoca, ai sensi dell’art. 2901 c.c., al fine di consentire al creditore di sostituirsi al debitore nell’esercizio dell’opzione medesima, perché effetto della sentenza che una siffatta domanda accoglie è la declaratoria di inefficacia dell’atto revocato e il conseguente assoggettamento del bene oggetto della rinuncia all’azione esecutiva (art.2902 c.c.). Dal momento che la revoca medesima è consentita solo quando l’opzione costituisce un bene in sé, dotato di autonomo valore di mercato – e in questo caso l’azione esecutiva dovrà svolgersi nel rispetto della disciplina dettata dall’art. art. 2471 c.c.– , la conseguenza è che, nell’ambito della disciplina legale delle società a responsabilità limitata la revoca è subordinata alla dimostrazione che il diritto di opzione sia suscettibile di alienazione secondo la legge di circolazione delle quote stabilita dallo statuto sociale. Questo anche perché la norma di cui all’art. 2901 c.c. è applicabile, specificamente, agli atti abdicativi aventi ad oggetto una posizione giuridica attiva già acquisita, nei relativi elementi costitutivi, al patrimonio del rinunciante (ad es. rinunzia all’eredità, rinunzia alla prescrizione), mentre altrettanto non è da dire per gli atti che si sostanziano nella rinunzia ad una facoltà per effetto della quale non resta comunque modificato, né attivamente, né passivamente, il patrimonio del debitore esistente al momento della rinunzia.

Il diritto di recesso [233]

Il socio, oltre alla tutele già sopra accennate, rappresentate dalla necessità della preventiva autorizzazione statutaria e dalla fissazione del sovrapprezzo, dispone di un ulteriore strumento di tutela, ex post, per il caso in cui non abbia consentito alla deliberazione di aumento di capitale riservato.

Il diritto di recesso trova la propria giustificazione nel fatto che il socio non può essere costretto a subire modifiche nella struttura societaria voluta e accettata al momento della costituzione o del suo successivo ingresso.

La simulazione [234]

Ci si chiede, dunque, se sia ammissibile la simulazione del conferimento eseguito in una società capitalistica in relazione a una deliberazione di aumento di capitale, regolarmente approvata dall’assemblea straordinaria della società e non impugnata.

Su tale tema la Cassazione [235], con una sentenza che si riporta integralmente di seguito (anche per gli ottimi spunti in tema di aumento di capitale) di recente ha stabilito che

  • il conferimento in una società capitalistica già costituita è un atto con il quale il socio o il terzo, sul presupposto di una deliberazione di aumento del capitale sociale, approvata dall’organo competente della società, realizza la sua volontà di partecipare o, se già socio, di aumentare il valore della sua partecipazione alla medesima società, e trova nel collegamento essenziale con quella deliberazione la sua causa negoziale, sicché le condizioni di validità del conferimento sotto il profilo della sussistenza della volontà non possono essere esaminate indipendentemente da quelle della deliberazione medesima;
  • in tema di aumento di capitale deliberato dall’assemblea di una società capitalistica, non e’ configurabile la simulazione del conferimento in forza di un accordo simulatorio concluso tra il conferente e l’amministratore della società, che, anche qualora sia delegato al compimento delle operazioni necessarie all’esecuzione della deliberazione, non avendo poteri legali di rappresentanza della società medesima negli atti di gestione attinenti all’organizzazione della società, non e’ legittimato a rappresentarla nella stipulazione di accordi diretti a simulare i conferimenti.

Si legge nella sentenza in commento che non sembra possibile, infatti, una semplice estensione al caso qui esaminato della simulazione dell’aumento di capitale, dei risultati raggiunti in tema di simulazione del contratto costitutivo di società dalla giurisprudenza che, già prima della Novella n. 6 del 2003, riteneva inammissibile la simulazione “della società” nelle società capitalistiche, e di recente ha affermato l’inammissibilità della simulazione dello stesso contratto costitutivo di società [236].

La differenza essenziale tra le due ipotesi è costituita dal fatto che nel secondo caso la società ancora non esiste, e l’accordo simulatorio interviene tra i costituenti, per i quali la società costituenda e i conferimenti destinati a formarne il capitale sono oggetto di contrattazione; nel primo caso, la società esiste ed è la controparte diretta del conferimento. Nel caso in esame, dunque, diversamente dall’altro, la simulazione non incide sull’esistenza della società; e, quanto alla tutela dei terzi e dei creditori rispetto alla simulazione, essa sarebbe pur sempre assicurata, seppure entro i limiti stabiliti in generale dagli articoli 1415 e 1417 c.c., nonché, per la pubblicità sul registro delle imprese, dall’articolo 2193 c.c.

Neppure offrono elementi utili alla decisione le sentenze [237] con le quali la stessa corte ha in passato ammesso la revocabilità del conferimento eseguito in pregiudizio dei creditori del socio conferente, tenuto conto del carattere meramente relativo degli effetti della revoca, di contro a quello reale e assoluto dell’accertamento della simulazione; né la più risalente Cassazione [238] che ha ammesso anche la rescissione per lesione [239], perché questo vizio non presenta le stesse difficoltà ricostruttive offerte dalla fattispecie dell’accordo simulatorio.

Per la Cassazione del 2013, la risposta al quesito suppone l’identificazione della fattispecie negoziale, in relazione alla quale si assume esservi stata simulazione.

Il conferimento in società costituisce, infatti, un elemento di un procedimento che realizza, con l’aumento del capitale sociale, al tempo stesso un’esigenza organizzativa della società e l’interesse del conferente a partecipare alla società o – se già socio – ad accrescere il valore della sua partecipazione.

In altre parole, sebbene nella fattispecie si discuta di un conferimento in natura, non pare corretta la considerazione isolata del conferimento, alla stregua di un negozio unilaterale, in relazione al quale si tratterebbe di verificare l’asserita simulazione della volontà di trasferire il bene alla società.

Vero è, sempre per i giudici di legittimità, invece che, solo nel suo essenziale collegamento con la precedente – almeno in senso logico e giuridico – deliberazione di aumento del capitale, il trasferimento rivela la sua funzione economico-sociale, dunque la sua causa negoziale; e conseguentemente è solo con riguardo alla complessa fattispecie costituita dalla deliberazione dell’assemblea della società e dall’atto del trasferimento che si coglie la causa del negozio, in relazione al quale è consentito far questione di volontào di simulazione. Sebbene la fattispecie in esame non si lasci ricondurre a un comune contratto di scambio, almeno nel senso che non troverebbero applicazione alcune regole comuni ai contratti sinallagmatici, come ad esempio quelle in tema di risoluzione per inadempimento, è indubbio che anche qui vi sia uno scambio tra reciproche prestazioni, e, precisamente, tra l’acquisto patrimoniale a favore della società e l’incremento del valore della partecipazione sociale a favore del socio conferente.

Su questo punto, che da solo non è sufficiente a dirimere la controversia, ma che a questo fine ha un valore logico pregiudiziale, si deve pertanto dissentire dall’impostazione che è stata data, dalla corte territoriale (Milanese), affrontando il tema della simulazione di un supposto autonomo negozio di conferimento, e interrogandosi sulla sussistenza della volontà in relazione a esso, isolatamente considerato.

L’errata impostazione ha condotto il giudice di merito, per superare i problemi che ne deriverebbero, all’inversione logica, censurata con il secondo motivo di ricorso, di supporre che la nullità dell’aumento di capitale sarebbe una conseguenza della simulazione del conferimento.

Occorre invece chiarire, secondo gli ermellini, che una simulazione potrebbe teoricamente ammettersi solo in relazione all’unica fattispecie complessa, che coinvolge necessariamente l’aumento del capitale sociale e l’aumento della partecipazione del socio; e dunque la deliberazione di aumentare il capitale con i previsti conferimenti, e il conferimento del socio che a quella si ricollega.

E’ sufficiente, a conferma di questa impostazione, richiamare la ricostruzione che del fenomeno era già stata offerta dalla medesima corte [240], sebbene ad altro proposito, affermando che i nuovi conferimenti, che possono essere effettuati dai vecchi, come – secondo i casi – da nuovi soci trovano la loro collocazione all’interno di un’operazione che richiede il concorso della volontà della società, manifestata attraverso la delibera di emissione delle nuove azioni o quote, e dei conferenti espressa con la sottoscrizione delle azioni o quote; un’operazione che si configura come “contratto consensuale”, il quale si perfeziona per effetto del consenso legittimamente manifestato dalle parti.

Come si è anticipato, peraltro, l’operazione presenta degli elementi specifici che non potrebbero essere ignorati.

Per ciò che attiene all’aumento di capitale, si tratta innanzi tutto di un atto di organizzazione interno alla società, per il quale il potere è di regola riservato all’assemblea dei soci, chiamata ad esprimere la volontà della società attraverso i quorum e le maggioranze previste dalla legge o dallo statuto.

Questa funzione organizzativa interna della deliberazione di aumento del capitale – che implica tra l’altro una modificazione statutaria – non esclude tuttavia una diversa concorrente funzione, assimilabile ad una vera e propria proposta negoziale, indirizzata ai soci o ai terzi secondo la diversa incidenza del diritto di opzione nei diversi casi che possono darsi, e avente ad oggetto una partecipazione, o una maggiore partecipazione al capitale della società; una funzione, dunque, che non si esaurisce all’interno della società, ma e’ diretta all’instaurazione di rapporti intersoggettivi (tali sono anche quelli con i soci, in quanto autori di nuovi conferimenti).

Né il fenomeno si presenta diversamente nel caso particolare, non infrequente, come quello oggetto della controversia, in cui la deliberazione di aumento del capitale, attraverso un previsto conferimento in natura, sia indirizzata ad un soggetto particolare, socio o terzo, per la ritenuta essenzialità del suo conferimento.

Quanto ai conferenti, la manifestazione di volontà di corrispondere all’opportunità offerta dalla deliberazione di aumento del capitale può aversi con la semplice sottoscrizione delle quote o azioni (rispetto alla quale il successivo pagamento costituirebbe mero adempimento), o, specificamente nel caso di conferimento in natura e come è avvenuto nella fattispecie di causa, anche direttamente con il conferimento.

Non rilevano, infatti, le diverse modalità offerte dalla casistica, attraverso le quali il conferente si obbliga alla prestazione o la esegue direttamente, così perfezionando l’operazione di aumento del capitale.

Ciò che rileva, invece, è che in ogni caso l’esame della possibilità di una simulazione del conferimento non può essere scisso dalla considerazione della volontà dell’altra parte, e cioè della società che ha deliberato l’aumento di capitale, e che al predetto aumento ha dato corso a seguito dell’esecuzione del conferimento.

Non vale a spezzare l’essenzialità di questa connessione la circostanza – valorizzata nella discussione dalla difesa dei resistenti, per argomentarne la parziale sopravvivenza dell’aumento di capitale all’invalidità di uno dei conferimenti – il fatto che al conferimento in natura si accompagni il conferimento in denaro degli altri soci (in questo caso: dell’unico altro socio), in funzione del mantenimento della proporzione di partecipazione al capitale.

La regola (anche prima della riforma), infatti, è quella dell’inscindibilità dell’aumento in mancanza di espressa previsione diversa nella stessa deliberazione (articolo 2439 c.c., richiamato dall’articolo 2495 c.c., nel testo applicabile ratione temporis; oggi articolo 2481 bis c.c.), che coinvolge nella questione di validità anche l’altro conferimento.

Ma, in ogni caso, l’eventuale deliberazione di scindibilità dell’aumento di capitale attiene all’autonomia reciproca dei conferimenti, e non al rapporto tra il singolo conferimento e il corrispondente aumento di capitate sociale.

Questo rapporto si realizza per entrambe le parti (con il conferimento da un lato e con l’iscrizione dell’aumento di capitale dall’altro), o per nessuna di esse, e non è riconducibile al caso di un aumento di capitale deliberato e poi non eseguito.

Non si da simulazione del conferimento, dunque,

  • senza simulazione dell’aumento di capitale, e
  • senza accordo simulatorio, richiesto, del resto, persino nel caso della simulazione degli atti unilaterali (anche nell’ipotesi, qui respinta, che il conferimento fosse qualificabile come atto unilaterale, dovrebbe trovare applicazione la previsione dell’articolo 1414 c.c., comma III).
  • E l’accordo simulatorio non può che investire, al tempo stesso, il conferimento e l’aumento di capitale sociale, nella quota attribuita al conferente.

Il problema della configurabilità di una simulazione nel caso in esame si tradurrebbe allora in quello dell’identificazione delle parti dell’accordo simulatorio. In questi termini, l’interrogativo parrebbe retorico (sostiene la S.C.), essendo indubitabile che l’accordo simulatorio non possa intervenire se non tra stesse parti del negozio simulato.

Esso è tuttavia giustificato dall’esigenza di considerare innanzi tutto un’ipotesi che appare molto realistica: quella, cioè, che l’accordo simulatorio circa il conferimento sia concluso tra i soci, o dal conferente con i soci, vale a dire tra o con i soggetti che, in assemblea, sono chiamati a decidere sull’aumento di capitale sulla base di scelte di convenienza individuale. In tal caso l’accordo potrebbe anzi coinvolgere anche tutti i soci, specialmente nelle società con ristretta base sociale: nella fattispecie di causa, in cui i soci erano soltanto due, e conferente era il socio di maggioranza, sarebbe stato agevole per questi concordare con il socio di minoranza la simulazione del suo conferimento.

E’ certo, allora, che l’eventuale accordo simulatorio dovrebbe intervenire tra il conferente e la società, ma il vero problema, per la configurabilità della simulazione del conferimento, è l’identificazione dell’organo sociale che, in tale accordo, dovrebbe rappresentare la società.

L’osservazione, paradossale (la controdichiarazione dovrebbe essere consacrata da un verbale assembleare redatto in presenza di un notaio), tocca un punto decisivo della questione.

Nel giudizio di merito i resistenti hanno fatto valere una controdichiarazione sottoscritta dall’amministratore unico della società, e la corte territoriale ha ritenuto la scrittura idonea a provare la simulazione, sul tacito presupposto che l’amministratore unico di una società a responsabilità limitata ha la rappresentanza generale della società.

Questo potere di rappresentanza, tuttavia, non può eccedere quello conferito dalla legge all’amministratore nella gestione della società. Deve essere richiamata in proposito la distinzione tradizionale – che del resto neppure la riforma della Legge n. 6 del 2003, ha sostanzialmente fatto venir meno, nonostante l’ampliamento dei poteri conferiti agli amministratori – tra atti di gestione attinenti all’organizzazione della società e atti di gestione attinenti all’esercizio dell’impresa sociale.

Nella formulazione anteriore alla riforma, l’articolo 2384 c.c., conferiva agli amministratori che hanno la rappresentanza della società il potere di compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale (dopo la riforma, la limitazione della competenza generale degli amministratori agli atti di gestione dell’impresa sociale è stata espressamente precisata, per le società per azioni, nell’articolo 2380 bis c.c.).

Per la Cassazione è principio tradizionale e consolidato che agli amministratori della società capitalistica non spetti il potere di gestione della società, e dunque neppure quello di disporre l’aumento del capitale sociale.

L’amministratore non ha alcun potere originario di concludere in nome della società un accordo, con soci o con terzi, in ordine all’aumento o alla riduzione del capitale sociale, e perciò neppure di simulare tali operazioni.

Dunque, se non v’è difficoltà ad ammettere che un contratto di scambio con una società possa essere simulato, attraverso un accordo simulatorio concluso con la società rappresentata dal suo amministratore, il quale agisce in tal caso nell’esercizio della sua ordinaria attività gestoria, lo stesso non può dirsi quando il negozio simulato attenga all’organizzazione della società, per la quale la titolarità del potere spetta di regola all’assemblea.

Vero è che, oggi, il potere di decidere l’aumento del capitale sociale, pur rimanendo riservato all’assemblea della società a responsabilità limitata, può essere attribuito dall’atto costitutivo agli amministratori (AUMENTO DELEGATO – possibilità controversa prima della riforma del 2003) “determinandone i limiti e le modalità di esercizio” (articolo 2481 c.c.); e che, anche prima della riforma, con la deliberazione di aumento del capitale sociale l’amministratore poteva essere delegato alla sua esecuzione, e, secondo una prassi diffusa e ritenuta legittima, anche ad apportare all’atto, da solo, tutte le modifiche necessarie per la sua esecuzione.

La questione dei limiti della delega statutaria all’aumento di capitale non è stata esaminata dalla Cassazione, non rilevando per la decisione.

Quanto alla delega assembleare, si tratta in ogni caso di poteri conferiti dall’assemblea per l’esecuzione dell’aumento di capitale deliberato; e in tale delega non può ritenersi compresa quella al compimento di azioni (e alla stipulazione di negozi) tendenti non già ad eseguire, ma al contrario a privare di contenuto la deliberazione adottata, simulandone l’esecuzione.

V’è qui un’impossibilità logica, prima che giuridica, di leggere, nella delega all’amministratore di eseguire la deliberazione di aumento di capitale, un’autorizzazione tacita, o addirittura implicita, a simularla, e ciò indipendentemente dalla questione dell’ammissibilità[241] di deliberazioni assembleari tacite o implicite [242].

A conclusione di questo ampio ragionamento la Cassazione ha affermato i principi in precedenza richiamati.

Interessante risulta questa vicenda trattata dal Tribunale Capitolino (Tribunale di Roma – Sezione III – Ordinanza 19 agosto 2016 n. 29207 –  http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com), riprendendo gli spunti della succitata Cassazione del 2013, secondo  cui non è configurabile la simulazione del conferimento di capitale effettuato in base a una delibera assembleare di aumento delle partecipazioni sociali.

Il provvedimento conclude un giudizio cautelare. La ricorrente, nell’interesse del figlio minorenne, aveva esposto che i nonni del bambino, soci al 50% di una Srl, avevano deliberato l’aumento di capitale della società e poi ceduto la nuda proprietà di tutte le partecipazioni societarie alla convenuta. Quest’ultima era quindi diventata piena proprietaria delle quote dopo il decesso dei due soci. Secondo la ricorrente, la delibera di aumento di capitale e la successiva cessione erano nulle, sicché le quote della Srl, non essendo mai uscite dal patrimonio del nonno del ragazzo, erano entrate a far parte dell’asse ereditario del “de cuius”. Di tali quote la ricorrente aveva quindi chiesto il sequestro giudiziario previsto dall’articolo 670 del Codice di procedura civile; quello, cioè, ammesso quando è controversa la proprietà di beni ed è opportuno provvedere alla loro custodia o gestione temporanea.

Nel respingere la domanda, il Tribunale ha precisato che, per mettere in discussione la validità dell’aumento di capitale, sarebbe stato necessario contestare la relativa delibera assembleare davanti al tribunale. E poiché – si legge nell’ordinanza – è pacifico che tale delibera non era stata impugnata nel termine di tre anni previsto dall’articolo 2479-ter del Codice civile, la stessa era ormai definitivamente produttiva di effetti. Né, comunque, è causa di invalidità – prosegue il Tribunale – la cessione di partecipazioni sociali senza il pagamento del corrispettivo da parte del cessionario.

  • GRATUITO O NOMINALE

dovuto a passaggio di riserve a capitale

art. 2481 ter c.c.  passaggio di riserve a capitale

la società può aumentare il capitale imputando ad esso le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili.
In questo caso la quota di partecipazione di ciascun socio resta immutata.

B)   Riduzione di capitale

ONEROSA O REALE: è rimessa alla discrezionalità dei soci, che potranno deciderla senza dover motivare;

 

art. 2482 c.c.   riduzione del capitale sociale

la riduzione del capitale sociale può avere luogo, nei limiti previsti dal numero 4) dell’articolo 2463 (ammontare non inferiroe a 10.000,00 euro), mediante rimborso ai soci delle quote pagate o mediante liberazione di essi dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti.
La decisione dei soci di ridurre il capitale sociale può essere eseguita soltanto dopo tre mesi dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese della decisione medesima, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.
Il tribunale, quando ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori oppure la società abbia prestato un’idonea garanzia, dispone che l’esecuzione abbia luogo nonostante l’opposizione.

A differenza di quanto disposto al I co dell’art. 2445, dettato in tema di S.p.A., per il quale la presenza di obbligazioni limita la riduzione del capitale (art. 2413 c.c.), non è disposto alcun vincolo nella s.r.l., in presenza di emissione dei titoli di debito da parte della società.

Si applica anche alla s.r.l., la regola secondo la quale < l’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare le ragioni e le modalità di riduzione > di cui al co II dell’art. 2445 c.c.

Sotto un profilo processuale, per una pronuncia di merito[243] l’opposizione all’operazione di riduzione del capitale sociale di una società a responsabilità limitata ai sensi dell’art. 2482, c. 2 c.c. va necessariamente proposta con atto di citazione in quanto è diretta ad ottenere una pronuncia che dichiari l’inefficacia della delibera di riduzione del capitale sociale, con la precisazione che il presupposto per il suo accoglimento, ossia il “pericolo di pregiudizio per i creditori opponenti”, è tipico di un procedimento cautelare.

  • FACOLTATIVA

art. 2482 bis c.c.   (riserva di metodo assembleare) riduzione del capitale per perdite

quando risulta che il capitale è diminuito di oltre ? in conseguenza di perdite, gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea dei soci per gli opportuni provvedimenti.
All’assemblea deve essere sottoposta una relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni nei casi previsti dall’articolo 2477 del collegio sindacale o del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti. Se l’atto costitutivo non prevede diversamente, copia della relazione e delle osservazioni deve essere depositata nella sede della società almeno otto giorni prima dell’assemblea, perché i soci possano prenderne visione [244].
Nell’assemblea gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione prevista nel precedente comma.
Se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza gli amministratori e i sindaci o il revisore nominati ai sensi dell’articolo 2477 devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti dal bilancio.
Il tribunale, anche su istanza di qualsiasi interessato, provvede con decreto soggetto a reclamo, che deve essere iscritto nel registro delle imprese a cura degli amministratori.
Si applica, in quanto compatibile, l’ultimo comma dell’articolo 2446.

 

Per la Corte dei Conti LOMBARDIA [245] il significato del termine “ricapitalizzazione” è diverso da quello attribuibile all’espressione “ripiano delle perdite”. Mentre ripianare le perdite indica qualsiasi modalità utile per colmare un disavanzo di gestione, cui può provvedersi con contrazione di mutui, con assunzione di prestiti obbligazionari, con riduzione di costi e così via, il verbo ricapitalizzare identifica l’azione di ricostituire il capitale originariamente deliberato dai soci per la costituzione della società. Ciò si rende necessario allorché, per fatti connessi alla gestione e a seguito del conseguimento di perdite, il patrimonio sociale si attesta al di sotto del capitale minimo normativamente necessario. Nel caso di specie, trova applicazione l’art. 2482-ter c.c., che sotto la rubrica “Riduzione del capitale al di sotto del limite legale” recita: “Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo stabilito dal num. 4) dell’art. 2463, gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo. È fatta salva la possibilità di deliberare la trasformazione della società”, con i conseguenti oneri in capo ai soci. In proposito, si richiamano le possibili conseguenze in termini di responsabilità già evidenziate dalla giurisprudenza della Corte dei conti in occasione di gestioni in perdita di società partecipate da enti locali che richiedano interventi da parte dei soci pubblici.

Per una recente sentenza della S.C.

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 21 gennaio 2020, n. 1187

La riduzione facoltativa del capitale sociale per perdite inferiori al terzo è un’operazione destinata per sua stessa natura ad incidere sull’assetto sociale, e quindi ad interferire nella sfera soggettiva dei soci, in particolare sul loro diritto alla distribuzione degli utili, nonché a spiegare influenza sui diritti dei terzi, e segnatamente dei creditori sociali, le cui ragioni sono garantite proprio dal capitale sociale; essa non è contemplata specificamente né dall’art. 2445 cod. civ., che si riferisce alla diversa ipotesi di esuberanza del capitale, né dagli artt. 2446 e 2447, che prevedono la riduzione obbligatoria per perdite, ma deve ugualmente attuarsi secondo un modello predefinito che offra adeguate garanzie di protezione ad entrambe le predette categorie di soggetti; nel silenzio del legislatore, la sua disciplina dev’essere ricavata, ai sensi dell’art. 12, secondo comma, disp. prel. cod. civ., dai principi generali desumibili dall’art. 2446, con gli adattamenti resi necessari dalla discrezionalità dell’operazione, connessa alla minore entità della perdita: ne consegue che l’amministratore, mentre non è tenuto a convocare senza indugio l’assemblea, deve rendere edotti i soci dell’effettivo stato patrimoniale della società, mediante una situazione patrimoniale riferita ad una data prossima a quella dell’adunanza; tale situazione patrimoniale può essere surrogata anche dall’ultimo bilancio di esercizio, purché sia rispettata quell’esigenza di continuità temporale, rispetto alla data di convocazione dell’assemblea, che garantisce un’idonea informazione dei soci, e non siano nel frattempo sopravvenuti fatti significativi.

art. 2482 ter c.c. (riserva di metodo assembleare) riduzione del capitale al disotto del minimo legale

se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo stabilito dal numero 4) dell’articolo 2463, gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo.
É fatta salva la possibilità di deliberare la trasformazione della società.

 

Per il Tribunale Scaligero [247] dopo la riforma della disciplina delle società di capitali di cui al D.Lgs. 6/2003, ogni limitazione od esclusione del diritto di opzione attraverso operazioni che siano conseguenza della riduzione del capitale sociale al di sotto dei minimi di legge va esclusa alla luce della espressa salvezza dell’art. 2482 ter c.c. fatta dall’art. 2481-bis, co I, c.c.. Questa interpretazione trova conferma nella ratio della norma che è stata individuata, dalla relazione ministeriale al predetto testo di legge, nell’intenzione di impedire “prassi non commendevoli che la pratica ha a volte elaborato per ridurre sostanzialmente, o addirittura eliminare, la partecipazione delle minoranze”.

In tema è intervenuto uno studio del Notariato [248] secondo il quale in presenza dei presupposti di cui all’art. 2482-ter c.c. (perdite superiori al terzo del capitale sociale in grado di farlo scendere al disotto di euro 10.000,00) resta comunque fermo l’obbligo, per le società con capitale superiore a euro 10.000,00, di adottare una delibera di riduzione, di trasformazione o di scioglimento della stessa.

Anche se la soglia di euro 10.000,00 non rappresenta più l’ammontare minimo del capitale, questa comunque rimane una soglia rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 2482-ter c.c., giacché il suo superamento determina l’applicazione di regole differenti in tema di conferimenti e accantonamento della riserva legale.

La società, in seguito alla riduzione di capitale finalizzata all’assorbimento delle perdite, potrà adottare, quindi, un capitale inferiore a euro 10.000,00, purché almeno pari a euro 1, il quale costituisce, quindi, il nuovo importo minimo legale del capitale sociale, valido per tutte le S.r.l.

Peraltro, il passaggio, per effetto delle perdite subite, al diverso regime delle società con capitale inferiore a euro 10.000,00, impone la necessità di intervenire mediante l’adozione dei provvedimenti elencati nell’art. 2482-ter c.c. di riduzione, trasformazione o scioglimento della società.

Occorre, però, valutare se la S.r.l. con capitale eroso dalle perdite, in seguito alla delibera di riduzione, sia poi obbligata a riportare il capitale ad una soglia pari a euro 10.000,00 o meno, potendo, invece, adottare un capitale almeno pari al nuovo minimo legale (art. 2463, co. IV, c.c.), che è stabilito in euro 1.

Ebbene su tale punto, il Notariato sostiene che in caso di perdite rilevanti ai sensi dell’art. 2482-ter c.c., la società, in seguito alla riduzione di capitale finalizzata all’assorbimento delle perdite, possa adottare un capitale inferiore a euro 10.000,00, purché almeno pari a euro 1, il quale risulta pertanto essere il nuovo importo minimo legale del capitale sociale.

Secondo tale interpretazione, ad esempio, una società con capitale di euro 10.000,00 che abbia subito perdite pari a euro 8.000, potrebbe limitarsi a ridurre il capitale a euro 2.000,00, senza essere obbligata a riportarlo a euro 10.000,00.

art. 2482 quater c.c.   riduzione del capitale per perdite e diritti dei soci

in tutti i casi di riduzione del capitale per perdite è esclusa ogni modificazione delle quote di partecipazione e dei diritti spettanti ai soci.

Ciò significa che la riduzione del capitale deve incidere su tutti i soci in maniera assolutamente proporzionale, in quanto deve essere salvaguardato il diritto del socio a non subire modificazioni delle quote di partecipazione e dei diritti ad esso spettanti.

Potrebbe sostenersi che nell’ipotesi in cui l’atto costitutivo disponga la postergazione nelle perditre come < particolare diritto > ai sensi e per gli effetti dell’art. 2468, co 3, con ciò si sia inteso derogare all’art. 2482 quarter.

 

 C) L’emissione di titoli di debito

Prima della riforma non era consentito emettere nemmeno titoli simili alle obbligazioni, inoltre non era possibile nemmeno emettere obbligazioni da S.p.A. e poi trasformarsi in s.r.l, bisognava prima estinguere le obbligazioni.

Per una maggiore competitività la riforma ha consentito alle piccole e medie imprese l’emissione di titoli di debito.

 

art. 2483 c.c.   emissione di titoli di debito

se l’atto costitutivo lo prevede, la società può emettere titoli di debito. In tal caso l’atto costitutivo attribuisce la relativa competenza ai soci o agli amministratori determinando gli eventuali limiti, le modalità e le maggioranze necessarie per la decisione.
I titoli emessi ai sensi del precedente comma possono essere sottoscritti soltanto da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. In caso di successiva circolazione dei titoli di debito, chi li trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali ovvero soci della società medesima.
La decisione di emissione dei titoli prevede le condizioni del prestito e le modalità del rimborso ed è iscritta a cura degli amministratori presso il registro delle imprese. Può altresì prevedere che, previo consenso della maggioranza dei possessori dei titoli, la società possa modificare tali condizioni e modalità.
Restano salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di società e alle riserve di attività.

 

Contenuto [249]

Il c.c. non dà grandi spiegazioni in materia, a differenza dell’art. 2414 c.c. in tema di obbligazioni, in quanto conosce i titoli di credito, ma non già i titoli di debito, nozione che si ritrova nel T.U.F.: in particolare,

art. 1 co, II lett. b)

Per “strumenti finanziari” si intendono:
a) le azioni e gli altri titoli rappresentativi di capitale di rischio negoziabili sul mercato dei capitali;
b) le obbligazioni, i titoli di Stato e gli altri titoli di debito negoziabili sul mercato dei capitali;

e co 1 lett. u) “prodotti finanziari”: gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria

 

art. 100- bis    Circolazione dei prodotti finanziari

  1. La successiva rivendita di prodotti finanziari che hanno costituito oggetto di un’offerta al pubblico esente dall’obbligo di pubblicare un prospetto costituisce ad ogni effetto una distinta e autonoma offerta al pubblico nel caso in cui ricorrano le condizioni indicate nella definizione prevista all’articolo 1, comma 1, lettera t), e non ricorra alcuno dei casi di inapplicabilità previsti dall’articolo 100.
  2. Si realizza una offerta al pubblico anche qualora i prodotti finanziari che abbiano costituito oggetto in Italia o all’estero di un collocamento riservato a investitori qualificati siano, nei dodici mesi successivi, sistematicamente rivenduti a soggetti diversi da investitori qualificati e tale rivendita non ricada in alcuno dei casi di inapplicabilità previsti dall’articolo 100.
  3. Nell’ipotesi di cui al comma 2, qualora non sia stato pubblicato un prospetto, l’acquirente, che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale, può far valere la nullità del contratto e i soggetti abilitati presso i quali è avvenuta la rivendita dei prodotti finanziari rispondono del danno arrecato. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 191 e quanto stabilito dagli articoli 2412, secondo comma, 2483, secondo comma, e 2526, quarto comma, del codice civile.
  4. Il comma 2 non si applica alla rivendita di titoli di debito emessi da Stati membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) con classamento credi-tizio di qualità bancaria (rating investment grade) assegnato da almeno due primarie agenzie internazionali di classamento creditizio (rating), fermo restando l’esercizio delle altre azioni civili, penali e amministrative previste a tutela del risparmiatore

Ciò detto, non si deve assolutamente pensare che i titoli di debito debbano essere assoggettati ai complessi adempimenti informativi previsti dalla disciplina del T.U.F. in materia di appello al pubblico risparmio (art. 94 ss.).

Quanto alla TIPOLOGIA dei titoli di debito, si ritiene, che in mancanza di qualsiasi indicazione legislativa sul punto, che la s.r.l. possano emettere sia strumenti già tipicizzati dall’ordinamento (obbligazioni, cambiali finanzierie), che strumenti atipici.

Diritti Amministrativi

I titolari possono eleggere un amministratore comune, poiché la legge né espressamente lo vieta né lo prevede.

Però vi sono alcuni indizi che ci fanno propendere per l’esclusione:

  1. 2526 IV co : ….La cooperativa cui si applicano le norme sulla società a responsabilità limitata può offrire in sottoscrizione strumenti privi di diritti di amministrazione solo a investitori qualificati.
  2. 2479: amministratori nominati dai soci – non è possibile nominare amministratori quando non si è soci.

Emissione

il legislatore non ha assoggettato l’emissione dei titoli di debito a condizioni e a limiti legali (come accade per la emissione delle obbligazioni nelle S.p.A.), ma ha rimesso la regolamentazione all’autonomia privata, subordinando in primo luogo, la stessa possibilità di emissione ad una:

  1. Previsione statutaria: è posta a tutela anche dei terzi, soprattutto attraverso il controllo notarile, per le caratteristiche di questi titoli.
  2. Deliberazione dell’organo competente: previsto dallo statuto:
    • se si tratta di un organo amministrativo a composizione pluripersonale: può essere assunta, a seconda dei casi, o collegialmente, o mediante consultazione scritta o sulla base del consenso scritto;
    • se si tratta di decisione dei soci: questi decidono collegialmente, a meno che l’atto costitutivo non preveda che le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto.
  3. Iscrizione presso il registro delle imprese: da chiunque è adottata la decisione di emissione deve essere successivamente, da parte degli amministratori, iscritta presso il Registro delle imprese.
  4. Sottoscrizione : Investitori professionali: banche – società di

assicurazione – società finanziarie iscritte all’albo della Banca d’Italia, soggetti sottoposti a vigilanza prudenziale, i quali rispondono in caso di successiva circolazione, rispondono per legge della solvenza della società emittente.

Ciò significa che qualora il titolo sottoscritto dall’investitore professionale venga messo in circolazione e venga acquistato da coloro che non rientrano nella categoria degli i.p. né nella categoria dei soci della società medesima, il primo sottoscrittore deve rispondere verso l’acquirente del titolo, che può essere sia il primo acquirente che un successivo avente causa, se la società emittente i titoli di debito, alla scadenza del prestito, si renda inadempiente rispetto all’obbligo di restituzione del prestito.

Questi investitori, invece, del solito finanziamento, si avvalgono di 2 vantaggi :

  • tassi d’interessi – sull’immissione dei titoli;
  • si procura un prodotto finanziario facilmente collocabile sul mercato, poiché è potenzialmente garantito.

 

Responsabilità

a carico degli investitori professionali è prevista una responsabilità analoga a quella prevista in materia di cessione del credito, in cui, in forza dell’art. 1267, il trasferente risponde nei limiti di quanto ricevuto (contro, la tesi che più che parlare di garanzia nei limiti di quanto ricevuto, osserva che si tratta di una fideiussione dell’intero importo versato).Proprio in forza di tale regime di responsabilità che la legge prevede a tutela dei risparmiatori, si ritiene che debba trattarsi necessariamente di titoli nominativi, posto che il nome del sottoscrittore deve essere applicato sul titolo.

art. 1267 c.c. garanzia della solvenza del debitore

il cedente non risponde della solvenza del debitore, salvo che ne abbia assunto la garanzia (2255). In questo caso egli risponde nei limiti di quanto ha ricevuto, deve inoltre corrispondere gli interessi, rimborsare le spese della cessione e quelle che il cessionario abbia sopportate per escutere il debitore, è risarcire il danno. Ogni patto diretto ad aggravare la responsabilità del cedente è senza effetto (1421 e seguente).

Quando il cedente ha garantito la solvenza del debitore, la garanzia cessa, se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del debitore è dipesa da negligenza del cessionario nell`iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore stesso (1198).

 

13) NOTE

[1] Corte d’Appello Venezia, sentenza 5 marzo 2013, n. 3

[2] Corte dei Conti MOLISE, sentenza 22 dicembre 2010, n. 168

[3] Il presente numero è stato così modificato dall’art. 1 D.Lgs 17.01.2003, n. 6, come modificato dall’art. 5, lett. ii), D.Lgs. 06.02.2004 n. 37 (G.U. 14.02.2004 n. 37, S.O. n. 24), con decorrenza dal 29.02.2004. Si riporta, di seguito, il testo previgente:

“1) il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o di costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza di ciascun socio;”.

Il presente numero è stato così modificato dall’art. 37 D.Lgs. 27.01.2010, n. 39 con decorrenza dal 07.04.2010. Si riporta di seguito il testo previgente:

“8) le persone cui è affidata l’amministrazione e gli eventuali soggetti incaricati del controllo contabile;”

[4] Il presente comma è stato aggiunto dall’art. 9, comma 15-ter, D.L. 28.06.2013, n. 76 così come modificato dall’allegato alla legge di conversione L. 09.08.2013, n. 99 con decorrenza dal 23.08.2013

[5] Il presente comma è stato aggiunto dall’art. 9, comma 15-ter, D.L. 28.06.2013, n. 76 così come modificato dall’allegato alla legge di conversione L. 09.08.2013, n. 99 con decorrenza dal 23.08.2013

[6] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. n.12712 del 20-7-2012

[7] Per un ulteriore approfondimento sul contratto preliminare aprire il seguente link Le trattative ed il contratto preliminare

[8] Cass. 28-4-97, n. 3666

[9] Sul punto, cfr. par.fo 12) Le modificazioni dell’atto costitutivo, lettera A) Aumento reale, pag. 166. Per un ulteriore approfondimento sulla simulazione aprire il seguente link La simulazione

[10] Corte di Cassazione, sentenza Sez. L, sent. 19139 del 13-9-2007

[11] Cfr. par.fo 8) Il recesso del socio, pag. 75

[12] Le parole del presente comma riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 9, D.L. 28.06.2013, n. 76, con decorrenza dal 28.06.2013.

[13] Le parole del presente punto riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 9, D.L. 28.06.2013, n. 76, con decorrenza dal 28.06.2013.

[14] Il presente comma è stato inserito dall’art. 9, comma 13, D.L. 28.06.2013, n. 76 così come modificato dall’allegato alla legge di conversione L. 09.08.2013, n. 99 con decorrenza dal 23.08.2013

[15] Il presente comma è stato soppresso dall’art. 9, D.L. 28.06.2013, n. 76, con decorrenza dal 28.06.2013.

[16] Cfr par.fo 12) Le modificazioni dell’atto costitutivo, Lettera B) Riduzione di capitale, punto 2) Obbligatoria, pag. 176

[17] Cfr par.fo 12) Le modificazioni dell’atto costitutivo, Lettera B) Riduzione di capitale, punto 2) Obbligatoria, pag. 176

[18] Da SISTEMA SOCIETÀ ON LINE 8.3.2013

[19] Massima n. 127 –05.03.2013

[20] Massima n. 128 – 05.03.2013

[21] Massima n. 130 – 05.03.2013

[22] Di Pace

[23] Il presente comma è stato così modificato dall’art. 9, comma 15-bis, D.L. 28.06.2013, n. 76 così come modificato dall’allegato alla legge di conversione L. 09.08.2013, n. 99 con decorrenza dal 23.08.2013.

Alla sottoscrizione dell’atto costitutivo deve essere versato presso una banca almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro e l’intero soprapprezzo o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare. Il versamento può essere sostituito dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fidejussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; in tal caso il socio può in ogni momento sostituire la polizza o la fidejussione con il versamento del corrispondente importo in danaro“.

[24] Corte di Cassazione, sentenza n. 4532/1998; Corte di Cassazione, sentenza n. 6310/1988; Corte di Cassazione, sentenza n. 6413/1983

[25] Il presente comma è stato così modificato dall’art. 9, comma 15-bis, D.L. 28.06.2013, n. 76 così come modificato dall’allegato alla legge di conversione L. 09.08.2013, n. 99 con decorrenza dal 23.08.2013.

Alla sottoscrizione dell’atto costitutivo deve essere versato presso una banca almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro e l’intero soprapprezzo o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare. Il versamento può essere sostituito dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fidejussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; in tal caso il socio può in ogni momento sostituire la polizza o la fidejussione con il versamento del corrispondente importo in danaro“.

[26]

art. 2254 c.c. garanzia e rischi dei conferimenti

Per le cose conferite in proprietà la garanzia dovuta dal socio e il passaggio dei rischi sono regolati dalle norme sulla vendita.

Il rischio delle cose conferite in godimento resta a carico del socio che le ha conferite. La garanzia per il godimento è regolata dalle norme sulla locazione

 

art. 2255 c.c. conferimento di crediti

Il socio che ha conferito un credito risponde della insolvenza del debitore, nei limiti indicati dall’articolo 1267 per il caso di assunzione convenzionale della garanzia.

 

[27] Cfr. Par.fo 9) L’esclusione del socio, pag. 86

[28] Cfr. Par.fo 7) Le quote di partecipazione, lettera J) Responsabilità dell’alienante, pag. 71

[29] Il presente numero è stato così modificato dall’art. 37 D.Lgs. 27.01.2010, n. 39 con decorrenza dal 07.04.2010. Si riporta di seguito il testo previgente:

Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un esperto o di una società di revisione iscritti nel registro dei revisori contabili o di una società di revisione iscritta nell’albo speciale. La relazione, che deve contenere la descrizione dei beni o crediti conferiti, l’indicazione dei criteri di valutazione adottati e l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale soprapprezzo, deve essere allegata all’atto costitutivo“.

[30] Salaria – Benazzo – Masturzi

[31] Il presente comma è stato così modificato dall’art. 1 D.Lgs 17.01.2003, n. 6, come modificato dall’art. 5, lett. ll), D.Lgs. 06.02.2004 n. 37 (G.U. 14.02.2004 n. 37, S.O. n. 24), con decorrenza dal 29.02.2004. Si riporta, di seguito, il testo previgente:

Decorso inutilmente questo termine gli amministratori, qualora non ritengano utile promuovere azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti, possono vendere agli altri soci in proporzione della loro partecipazione la quota del socio moroso. La vendita è effettuata a rischio e pericolo del medesimo per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato. In mancanza di offerte per l’acquisto, se l’atto costitutivo lo consente, la quota è venduta all’incanto.”

[32] Tribunale Venezia, civile, sentenza 10 febbraio 2011

[33] Tribunale Milano, Sezione VIII civile, sentenza 17 maggio 2006, n. 5724

[34] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 23 febbraio 2012, n. 2758. Nella specie, la C.S. ha cassato la sentenza impugnata, la quale, dopo avere riferito la circostanza secondo cui l’accordo di finanziamento, intervenuto fra i soci, prevedeva il rimborso solo dopo il ripianamento dei debiti e la messa in liquidazione della società, aveva poi qualificato i versamenti come erogazione di capitale di credito, anziché di rischio, senza considerare inoltre come fosse del tutto irrilevante l’eventuale preferenza di un socio rispetto al rimborso di altri analoghi versamenti operati da altri soci

[35] Tribunale Venezia, civile, sentenza 14 aprile 2011

[36] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 24 luglio 2007, n. 16393

[37] Tribunale Milano, sezione VI, sentenza 14 giugno 2011, n. 8048

[38] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n.12003 del 13-7-2012

[39] Tribunale Verona, civile, sentenza 22 novembre 2013

[40] Tribunale Padova, civile, sentenza 16 maggio 2011

[41] Tribunale Firenze, civile, sentenza 6 giugno 2012

[42] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 4 febbraio 2009, n. 2706

[43] Tribunale Perugia, civile, sentenza 16 luglio 2012

[44] Tribunale Monza, civile, sentenza 5 agosto 2010

[45] Tribunale Terni, civile, sentenza 26 aprile 2012

[46] Tribunale Napoli, ordinanza 31 ottobre 2010

[47] Il presente comma è stato così modificato dall’art. 5 D.Lgs. 28.03.2007, n. 51, con decorrenza dal 24.04.2007. Si riporta di seguito il testo previgente:

Le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni ne’ costituire oggetto di sollecitazione all’investimento“.

[48] Capozzi

[49] Per un ulteriore approfondimento sulla cessione del contratto aprire il seguente link La cessione del contratto

[50] Capozzi

[51] Corte di Cassazione, Sezione III civile, Sentenza 12 dicembre 1986, n. 7409

[52] Cfr par.fo, 10) il governo della società, lettera A) Assemblea dei soci, pag. 94

[53] Cfr par.fo, 12) Le modificazioni dell’atto costitutivo, lettera A) L’aumento di capitale, pag. 157

[54] Per un ulteriore approfondimento sulla comunione aprire il seguente link La comunione

[55] Tribunale Milano, sezione VIII, sentenza 18 dicembre 2007, n. 13825

[56] Cfr par.fo, 10) il governo della società, lettera A) Assemblea dei soci, pag. 95

[57] Santuosso – Salvatore

[58] Capozzi

[59] Per un ulteriore approfondimento sulla compravendita aprire il seguente link La compravendita

[60] Per un ulteriore approfondimento sulla permuta aprire il seguente link Il contratto di permuta

[61] Per un ulteriore approfondimento sulla vendita con patto di riscatto aprire il seguente link La vendita con patto di riscatto

[62] Tribunale Roma, sezione III civile, sentenza 26 ottobre 2012, n. 20356. Affinché ricorra l’intestazione fiduciaria di un bene – frutto della combinazione di effetti reali in capo al fiduciario e di effetti obbligatori a vantaggio del fiduciante – occorre che il trasferimento vero e proprio in favore del fiduciario sia limitato dall’obbligo, inter partes, del ritrasferimento al fiduciante o al beneficiario da lui indicato, in ciò esplicandosi il contenuto del pactum fiduciae. (Nel caso di specie, trasferimento di quote sociali di S.R.L. dal padre al figlio, la sussistenza del negozio fiduciario è stata derivata dal riscontro, sul libro dei soci, del patto con il quale il beneficiario si obbligava ad effettuare in qualsiasi momento a semplice richiesta del beneficiante il trasferimento del capitale al vero proprietario).

[63] Tribunale Lucca, civile, sentenza 24 aprile 2012. Anche ammettendo che l’atto di segregazione della quota sociale in trust possa essere sussunto nel concetto di trasferimento della quota sociale (art. 2469 c.c.), certo sarebbe che esso, per essere efficace, dovrebbe comunque essere iscritto nel registro delle imprese (art. 2470 c.c.).

Per un ulteriore approfondimento sul Trust aprire il seguente link I contratti fiduciari ed il trust

[64] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 21 giugno 1996, n. 5773

[65] Per un ulteriore approfondimento sulla risoluzione dei contratti aprire il seguente link La risoluzione

[66] Tribunale Roma, Sezione III civile, sentenza 21 maggio 2012, n. 10335

[67] Tribunale Roma, Sezione III civile, sentenza 25 ottobre 2012, n. 20267.

[68] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. n.19161 del 13-9-2007. Nella fattispecie la S.C., confermando la sentenza del giudice d’appello, ha negato che la società potesse distinguere la legittimazione, quale discendente dall’iscrizione nel libro soci, dalla reale titolarità della partecipazione, non potendosi in materia fare applicazione, al fine di disconoscere i diritti sociali, della disciplina del pagamento al creditore apparente (art. 1189 cod. civ.) o al possessore di un titolo di credito legittimato nei modi previsti in base al regime di circolazione del titolo (art. 1992 cod. civ.), poiché essendo la partecipazione nella predetta società diversa dall’azione non ricorre la regola sull’adempimento della prestazione nei confronti del possessore di un titolo di credito, così che la società non può rifiutare al socio iscritto il diritto di intervento e di voto in assemblea

[69] Il presente articolo ha così sostituito l’originario art. 2470, in virtù dell’art. 3 D.Lgs 17.01.2003, n. 6, con decorrenza dal 01.01.2004. Si riporta di seguito il testo previgente:

Le modificazioni dell’atto costitutivo devono essere approvate dall’assemblea con le maggioranze prescritte per l’assemblea straordinaria della società per azioni, e devono inoltre essere approvate da tutti i soci accomandatari.”

[70] Il presente comma è stato così modificato dall’art. 16, c. 12-quater, D.L. 29.11.2008, n. 185 convertito in legge, con modifiche, dalla L. 28.01.2009, n. 2 (G.U. 28.01.2009, n. 22 – S.O. 14) con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata legge di conversione. Si riporta di seguito il testo previgente:

Il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal momento dell’iscrizione nel libro dei soci secondo quanto previsto nel successivo comma.

[71] Il presente comma è stato così modificato dall’art. 16, c. 12-quater, D.L. 29.11.2008, n. 185 convertito in legge, con modifiche, dalla L. 28.01.2009, n. 2 (G.U. 28.01.2009, n. 22 – S.O. 14) con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata legge di conversione. Si riporta di seguito il testo previgente:

L’atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. L’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell’alienante o dell’acquirente, verso esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l’avvenuto deposito. In caso di trasferimento a causa di morte il deposito e l’iscrizione sono effettuati a richiesta dell’erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l’annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni.

[72] Per un ulteriore approfondimento sul possesso e la buona fede aprire il seguente link Il possesso, l’usucapione e le azioni a tutela del possesso

[73] Il presente comma è stato così modificato dall’art. 1 D.Lgs 17.01.2003, n. 6, come modificato dall’art. 5, lett. oo), D.Lgs. 06.02.2004 n. 37 (G.U. 14.02.2004 n. 37, S.O. n. 24), con decorrenza dal 29.02.2004. Si riporta, di seguito, il testo previgente:

Quando l’intera partecipazione appartiene ad un solo socio o muta la persona dell’unico socio, gli amministratori devono depositare per l’iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente l’indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell’unico socio.

[74] Il presente comma è stato così sostituito dall’art. 16, c. 12-quater, D.L. 29.11.2008, n. 185 convertito in legge, con modifiche, dalla L. 28.01.2009, n. 2 (G.U. 28.01.2009, n. 22 – S.O. 14) con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata legge di conversione. Si riporta di seguito il testo previgente

Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti quarto e quinto comma devono essere depositate entro trenta giorni dall’iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di tale iscrizione.”

[75] Tribunale di Vicenza, ordinanza 23 novembre 2009, n. 3817

[76] Tribunale Pavia, civile, Decreto 16 luglio 2012. Conforme precedente sentenza del Tribunale di Napoli Tribunale Napoli, sentenza 20 gennaio 2009. La sentenza che accerti la proprietà delle quote sociali trasferite, di una s.r.l., deve essere iscritta nel libro soci da parte dei suoi amministratori, qualora lo domandino gli interessati e nel ricorrere delle condizioni di cui all’art. 2470, comma 2, c.c.

[77] Tribunale Milano, civile, sentenza 22 dicembre 2010

[78] Per un ulteriore approfondimento sull’azione di rivendica aprire il seguente link Le azioni a difesa della proprietà; rivendicazione, negatoria, regolamento di confini ed apposizione dei termini

[79] Tribunale Trento, civile, sentenza 1 febbraio 2010

[80] Per un ulteriore approfondimento sulla simulazione aprire il seguente link La simulazione

[81] Tribunale Belluno, sentenza 29 aprile 2010

[82] Tribunale Verona, decreto 7 settembre 2009

[83] Tribunale Varese, civile, sentenza 29 luglio 2011

[84] Per un ulteriore approfondimento sulla prelazione in senso generale aprire il seguente link La prelazione volontaria e legale

[85] Corte di Cassazione, sentenza 26-10-73, n. 2763

[86] Corte di Cassazione, sentenza 18-6-87, n. 5360

[87] Corte di Cassazione, sentenza 12-1-89, n. 93

[88] Tribunale Roma, Sezione III civile, sentenza 7 giugno 2012, n. 11816

[89] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 2 maggio 2007, n. 10121

[90] Per un ulteriore approfondimento sul trasferimento della posizione sociale a seguito del decesso aprire il seguente link Gli effetti in virtù della morte del socio nelle società semplici e le clausole di continuazione

[91] Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 23 aprile 2013, n. 9801

[92] Capozzi

[93] Capozzi

[94] Corte di Cassazione, sentenza 30-3-77, n. 1225

[95] Per un ulteriore approfondimento sull’usufrutto in senso generale aprire il seguente link L’usufrutto – par.fo A) punto 3) L’oggetto

[96] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 26 maggio 2000, n. 6957

[97] Cassazione civ., Sez. I, 10 marzo 1999, n. 2053. Ai fini del raggiungimento del quorum costitutivo dell’assemblea di una società per azioni, sono legittimamente computabili le azioni del socio datore di pegno, quand’anche questi risulti titolare di gran parte del capitale sociale, considerato che, a differenza di quanto sancito in tema di esercizio del diritto di voto da parte del socio in conflitto di interessi con la società, l’ art. 2352 c.c. prevede espressamente la possibilità di stabilire, con apposita convenzione, che il diritto di voto sia esercitato dal socio datore di pegno, anziché dal creditore pignoratizio. La partecipazione all’assemblea di una società di capitali da parte di soci titolari della maggioranza del capitale sociale, ma privi del diritto di voto per aver costituito in pegno le proprie azioni, non inficia la validità della costituzione dell’organo societario, e non impedisce che la delibera adottata sia, pur sempre, imputabile all’ente tutte le volte in cui alla stessa assemblea abbiano, altresì, partecipato soci legittimati, benché detentori della minoranza del capitale sociale, con la conseguenza che la delibera adottata con il voto (eventualmente) determinante dei soci non legittimati è annullabile, ma non inesistente, diversamente dalla ipotesi in cui, all’assemblea, abbiano partecipato, esercitando il diritto di voto, esclusivamente i soci non legittimati; il vizio derivante dall’esercizio del diritto di voto da parte del socio datore di pegno attiene, difatti, al rapporto tra il socio stesso ed il creditore pignoratizio, e non riguarda, per converso, l’organo assembleare, essendo in facoltà del creditore pignoratizio di azioni manifestare tacitamente la volontà di ratificare quel voto astenendosi dall’impugnare la delibera adottata con il voto del titolare delle azioni date in pegno.

[98] Cfr. par.fo 8) Il recesso del socio, pag. 74

[99] Corte di Cassazione, sentenza III, sent. 22361 del 21-10-2009

[100] Il presente articolo ha così sostituito l’originario art. 2471, in virtù dell’art. 3 D.Lgs 17.01.2003, n. 6, con decorrenza dal 01.01.2004. Si riporta di seguito il testo previgente:

La responsabilità dei soci accomandatari verso i terzi è regolata dall’art. 2304.

Il socio accomandatario che cessa dall’ufficio di amministratore non risponde per le obbligazioni della società sorte posteriormente all’ iscrizione nel registro delle imprese della cessazione dall’ufficio.

[101] Il presente comma è stato così modificato dall’art. 16, c. 12-quinques, D.L. 29.11.2008, n. 185, convertito in legge, con modifiche, dalla L. 28.01.2009, n. 2 (G.U. 28.01.2009, n. 22 – S.O. 14) con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata legge di conversione. Si riporta di seguito il testo previgente:

La partecipazione può formare oggetto di espropriazione. Il pignoramento si esegue mediante notificazione al debitore e alla società e successiva iscrizione nel registro delle imprese. Gli amministratori procedono senza indugio all’annotazione nel libro dei soci.

[102] Tribunale Parma, civile, sentenza 24 maggio 2013

[103] Tribunale Udine, civile, sentenza 18 febbraio 2013

[104] Corte di Cassazione, sentenza III, sentenza 5493 del 29-2-2008

[105] Cfr. Par.fo 6) I conferimenti, pag. 32

[106] Il presente articolo ha così sostituito l’originario art. 2472, in virtù dell’art. 3 D.Lgs 17.01.2003, n. 6, con decorrenza dal 01.01.2004. Si riporta di seguito il testo previgente:

Nella società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio.

Le quote di partecipazione dei soci non possono essere rappresentate da azioni.

[107] Le parole “libro dei soci”  sono state così sostituite dall’art. 16, c. 12-sexies, D.L. 29.11.2008, n. 185, convertito in legge, con modifiche, dalla L. 28.01.2009, n. 2 (G.U. 28.01.2009, n. 22 – S.O. 14) con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata legge di conversione.

[108] Corte di Cassazione, sentenza 4-10-84, n. 4916

[109] Corte di Cassazione, sentenza 25-1-2000, n. 796

[110] Per un ulteriore approfondimento sulla vendita di cosa altrui aprire il seguente link

La vendita di cosa altrui e di cosa parzialmente altrui

[111] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. n.21804 del 11-10-2006

[112] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. n.17936 del 4-8-2009

[113] Bellezza

[114] Bellezza

[115] Maltoni

[116] Cfr. par.fo 2) La costituzione, pag. 7

[117] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 22 aprile 2013, n. 9662

[118] Bellezza

[119] cfr. par.fo 12) Le modificazioni dell’atto costitutivo, lettera A) Aumento reale, pag. 165

[120] Busani

[121] Maltoni

[122] Capozzi

[123] Maltoni – Di Liza – Busani – in senso contrario – Carestia

[124] Tribunale Cagliari, 20/04/2007

[125] Appello Trento, 22/12/2006

[126] Corte di Cassazione, Sez. I, 19/03/2004, n. 5548

[127] Tribunale Arezzo, 16/11/2004

[128] Capozzi

[129] Zanarone – Maltoni – Morano

[130] Busani

[131] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 19/03/2004, n. 5548

[132] Tribunale Lanusei, 25/05/2007

[133] Tribunale Nocera Inferiore, 23/02/2007

[134] Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza 12/06/2009, n. 13760

[135] Tribunale Lanusei, 25/05/2007

[136] Tuir – Testo Unico delle imposte sui redditi – D.P.R. del 22 Dicembre 1986 n. 917 aggiornato al 31 Luglio 2010

[137] Cfr. Par.fo 6) I conferimenti, pag. 31

[138] Tribunale Lucca, 11/01/2005

[139] Tribunale Modena, Sez. I, 12/12/2007

[140] Tribunale Milano 5/2/2009

[141] Tribunale Treviso, 17/06/2005

[142] Tribunale Milano 31/6/2006

[143] cfr. par.fo 12) Le modificazioni dell’atto costitutivo, lettera A) Aumento reale, pag. 172.

[144] Il presente numero è stato così modificato dall’art. 37 D.Lgs. 27.01.2010, n. 39 con decorrenza dal 07.04.2010. Si riporta di seguito il testo previgente:

3) la nomina nei casi previsti dall’articolo 2477 dei sindaci e del presidente del collegio sindacale o del revisore;“.

[145] Notari – Nuzzo

[146] Rascio

[147] Cfr par.fo, 7) La quota, pag. 46

[148] Cfr par.fo, 7) La quota, lettera A) L’attribuzione di quote in misura non proporzionale ai conferimenti, pag. 47

[149] Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 24 ottobre 1996, n. 9267, l’impossibilità di funzionamento dell’assemblea ricorre solo quando l’organo assembleare appaia stabilmente e irreversibilmente incapace di assolvere le sue funzioni essenziali, mentre il mancato raggiungimento del quorum deliberativo necessario al fine di porre volontariamente la società in liquidazione non implica che l’assemblea sia divenuta incapace di funzionare, bensì soltanto che essa non ha inteso aderire alla proposta di scioglimento dell’impresa.

[150] Per la lettura integrale del testo normativo aprire il seguente link DECRETO-LEGGE 12 settembre 2014, n. 132 Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile

[151] Tribunale di Milano 8 gennaio 2009. Nel caso in cui due soci paritetici di una srl intestino fiduciariamente una quota di minoranza a un terzo affinché questi eserciti il diritto di voto nell’interesse della società al fine di prevenire situazioni di stallo decisionale, non è inadempiente il fiduciario che voti a favore di un aumento di capitale con sovrapprezzo finalizzato alla ricostituzione del capitale sociale, ancorché simile deliberazione possa consentire a uno solo dei fiducianti (già creditore della società) di sottoscrivere l’aumento di capitale senza alcun esborso di denaro procedendo a compensazione tra il debito per la sottoscrizione e i precedenti crediti verso l’ente.

[152] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 14 ottobre 2013, n. 23218

[153] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. n.15672 del 13-7-2007

[154] Per un ulteriore approfondimento sulla patologia delle deliberazioni assembleari nella S.p.a. aprire il seguente link

L’invalidità delle deliberazioni assembleari nella s.p.a. inesistenza, nullità, irregolarità, annullabilità

[155] Sentenza Trib. ord. Milano, Sez. spec. in materia di impresa B, 8.08.2014, n. 10077

[156] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. n.16496 del 4-11-2003

[157] Per un ulteriore approfondimento sul consiglio di amministrazione aprire il seguente link

Le funzioni degli amministratori nella s.p.a.

[158] Tribunale Milano, Sezione 8 civile, sentenza 13 marzo 2007, n. 3121. Conforme, Tribunale di Milano, Sentenza 25 ottobre 2006, n. 11632 a i fini della individuazione della disciplina applicabile alla revoca di amministratore di società a responsabilità limitata nominato a tempo indeterminato, trova applicazione analogica la disciplina di cui all’art. 1725 secondo comma, c.c., norma che, nel disciplinare la revoca del mandato a titolo oneroso a tempo indeterminato, attribuisce al mandatario il diritto al risarcimento del danno solo in difetto di congruo preavviso, salvo che ricorra una giusta causa. Secondo il collegio la tutela patrimoniale prevista dall’ordinamento per la cessazione del rapporto gestorio comporta la commisurazione del risarcimento non già alle aspettative di durata dell’incarico fino al termine della vita lavorativa dell’amministratore, ma alle aspettative di prosecuzione dell’incarico – e della sua retribuzione – per un periodo di congruo preavviso: fatta salva comunque la dimostrazione da parte della compagine sociale della sussistenza di una giusta causa. Nel caso in esame (amministratore di s.r.l. nominato a tempo indeterminato) – non trova invece applicazione la norma di cui all’art. 2383 comma 3, c.c. (“Gli amministratori sono rieleggibili, salvo diversa disposizione dello statuto, e sono revocabili dall’assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell’atto costitutivo, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa”) dettata in tema di s.p.a., in quanto tale norma non richiamata dall’art. 2475 c.c., che oggi invero la richiama quanto ai soli commi quarto e quinto del citato art. 2383 c.c. Tale disposizione infatti resta dettata per l’ipotesi, tipica della s.p.a. ex art. 2383 secondo comma, c.c. di amministratore nominato a tempo determinato, non potendo al contrario trovare applicazione e regolare l’ipotesi di nomina a tempo indeterminato, ricorrente solo nelle s.r.l., poiché, diversamente, la suddetta regola comporterebbe l’impossibilità, per tutta la durata della vita dell’amministratore, di una revoca in assenza di una giusta causa senza obbligo di risarcimento del danno, in contrasto con il carattere fiduciario dell’incarico.

[159] Per un ulteriore approfondimento sul contratto di mandato aprire il seguente link Il mandato

[160] Corte di Cassazione, sentenza 21-3-2000, n. 3312

[161] cfr. SraffaBonfante, nello stesso senso tra gli altri Amatucci; contra invece ex multis Graziani, Ferri. La tesi negativa prevalse anche in giurisprudenza, cfr. Cass. 17 ottobre 1988

[162] Per un ulteriore approfondimento sul consiglio di amministrazione aprire il seguente link

Le funzioni degli amministratori nella s.p.a.

[163] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 25 marzo 2005, n. 6468

[164] Tribunale Milano, Sezione 8 civile, sentenza 22 maggio 2007, n. 6248

[165] Corte di Cassazione Sezione I civile, sentenza 03 marzo 2010, n. 5152. In applicazione di tale principio, e con riferimento ad una fattispecie anteriore al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che, nell’interpretare una clausola statutaria che limitava i poteri degli amministratori al compimento degli atti di ordinaria amministrazione, aveva ritenuto che essa si riferisse esclusivamente agli atti estranei all’oggetto sociale, in quanto essa sarebbe risultata priva di senso logico e giuridico ove riferita agli atti ricompresi nell’oggetto sociale, che coincidono già con tutti quelli che l’amministratore ha il potere di compiere quali atti di ordinaria amministrazione

[166] Tribunale Roma, Sezione 3 civile, sentenza 3 gennaio 2012, n. 126

[167] Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 18 maggio 2005, n. 10375

[168] Tribunale Potenza, civile, sentenza 3 marzo 2010, n. 236

[169] Per un ulteriore approfondimento sul consiglio di amministrazione aprire il seguente link

Le funzioni degli amministratori nella s.p.a.

[170] Tribunale Lodi, sentenza 13 marzo 2009

[171] Tribunale Bologna, Sezione IV civile, sentenza 20 ottobre 2006, n. 2412

[172] Per un ulteriore approfondimento sulle responsabilità degli amministratori nella s.p.a. aprire il seguente link

La responsabilità degli amministratori nella s.p.a.

[173] Tribunale Pinerolo 2 novembre 2004,

[174] Tribunale S.Maria Capua Vetere, 15 novembre 2004, in Società, 2005, 477

[175] Secondo la giurisprudenza, poi, perché possa ritenersi integrata la responsabilità risarcitoria prevista dall’attuale art. 2476 comma 1 c.c. è necessaria, oltre alla prova di concreti inadempimenti dall’organo gestorio ai doveri su di esso incombenti per legge e statuto, l’allegazione e prova del danno in tal modo concretamente cagionato al patrimonio sociale (e quindi, nel caso di azione esercitata dal curatore fallimentare, alla garanzia patrimoniale offerta al ceto creditorio) nonché il nesso di causa che lega i primi al secondo (Tribunale Milano Sez. VIII, 24.10.2008, n. 12568).

[176] Per un ulteriore approfondimento sulle responsabilità degli amministratori nella s.p.a. aprire il seguente link

La responsabilità degli amministratori nella s.p.a.

[177] Corte Costituzionale 29 dicembre 2005, n. 481

La misura cautelare prevista dall’art. 2476 c.c., il quale nella società a responsabilità limitata consente a ciascun socio l’accesso ai documenti sociali, è strumentale non solo rispetto alle controversie tra soci, ma anche rispetto alle azioni di revoca e di responsabilità nei confronti degli amministratori; essa, pertanto, costituisce una forma di tutela adeguata dai soci, anche tenuto conto delle peculiarità delle società a responsabilità limitata, con la conseguenza che la suddetta norma non viola l’art. 3 Cost., rispetto al tertium comparationis rappresentato dalle norme che disciplinano i poteri dei soci nelle società per azioni.

[178] Tribunale di Bologna 6 dicembre 2006

[179] Tribunale di Ivrea 2 luglio 2005

[180] Tribunale di Milano 30 novembre 2004

[181] Tribunale Santa Maria Capua Vetere, Sezione FAL civile, ordinanza 30 aprile 2004

[182] Cottino

[183] Rescigno

[184] Per un ulteriore approfondimento sulle responsabilità degli amministratori nella s.p.a. aprire il seguente link

La responsabilità degli amministratori nella s.p.a.

[185] Tribunale Vicenza, ordinanza 26.07.2010

[186] Trib. Novara 12 gennaio 2010; Trib. Bari, Sez. IV 7 aprile 2009; Trib. Verona, 27 febbraio 2008; Trib. Mantova 20 dicembre 2007; Trib. Napoli 11 novembre 2004, inoltre, conformi sono le seguenti pronunce: Trib. Milano 18 gennaio 2011, n. 501. In senso conforme, ex multis, trib. Padova 24 giugno 2009, trib. Nola 18 giugno 2009, trib. Roma 17 dicembre 2008. Contr a, ex plurimis, App. Napoli 28 giugno 2008, in Giur. merito, 2008, pag. 2740, trib. Milano 25 gennaio 2006, in Società , 2007, pag. 320, trib. S.M. Capua Vetere 18 marzo 2005.

[187] in questo senso si è espressa C.D.A. Milano, 14 gennaio 1992

[188] Corte di Cassazione, sentenza 20.09.2012, n. 15955

[189] Tribunale Lecce, sentenza 9.12.2011

[190] quali Tribunale di Milano, sentenza 18.01.2011, Tribunale di Lecce, sentenza 9.12.2011 e Tribunale di Napoli, sentenza 16.04.2004

[191] Corte di Cassazione, sentenza n. 17121/2010

[192] Cfr. par. 10) Il governo della società, lettera B) Amministratore unico o Consiglio di amministrazione, punto 13) La Responsabilità estendibile all’amministratore di fatto, pag. 141

[193] Corte di Cassazione, sentenza 27 febbraio 2002, n. 2906

[194] Cfr. par. 10) Il governo della società, lettera B) Amministratore unico o Consiglio di amministrazione, punto 10) La responsabilità del socio, pag. 138

[195] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza n. 33385 del 29 agosto 2012

[196] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 18 ottobre 2012 n. 40929

[197] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 8 marzo 2013 n. 10963

[198] Corte di Cassazione, sentenza n. 23425 del 28/04/2011

[199] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza n. 25809 del 12 giugno 2013

[200] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 6 marzo 2014, n. 10893, Corte di Cassazione, Sezione V, sentenza n. 19049 del 19/02/2010

[201] Il presente articolo ha così sostituito l’originario art. 2477, in virtù dell’art. 3 D.Lgs 17.01.2003, n. 6 con decorrenza dal 01.01.2004. Successivamente è stato prima modificato dall’art. 1 D.Lgs 17.01.2003, n. 6 così come modificato dall’art. 5, lett. qq), D.Lgs. 06.02.2004 n. 37 con decorrenza dal 29.02.2004 e poi così sostituito dall’art. 37 D.Lgs. 27.01.2010, n. 39 con decorrenza dal 07.04.2010. Infine il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 14, L. 12.11.2011, n. 183 (Legge di stabilità) con decorrenza dal 01.01.2012. Si riporta, di seguito, il testo previgente:

“(Collegio sindacale e revisione legale dei conti). L’atto costitutivo può prevedere, determinandone le competenze e poteri, la nomina di un collegio sindacale o di un revisore. La nomina del collegio sindacale e’ obbligatoria se il capitale sociale non e’ inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni. La nomina del collegio sindacale e’ altresì obbligatoria se la società:

  1. a) e’ tenuta alla redazione del bilancio consolidato;
  2. b) controlla una societa’ obbligata alla revisione legale dei conti;
  3. c) per due esercizi consecutivi ha superato due dei limiti indicati dal primo comma dell’articolo 2435-bis.

L’obbligo di nomina del collegio sindacale di cui alla lettera c) del terzo comma cessa se, per due esercizi consecutivi, i predetti limiti non vengono superati.

Nei casi previsti dal secondo e terzo comma si applicano le disposizioni in tema di societa’ per azioni; se l’atto costitutivo non dispone diversamente, la revisione legale dei conti e’ esercitata dal collegio sindacale.

L’assemblea che approva il bilancio in cui vengono superati i limiti indicati al secondo e terzo comma deve provvedere, entro trenta giorni, alla nomina del collegio sindacale. Se l’assemblea non provvede, alla nomina provvede il tribunale su richiesta di qualsiasi soggetto interessato.

La rubrica del presente articolo è stata così sostituita dall’art. 14, L. 12.11.2011, n. 183 (Legge di stabilità) con decorrenza dal 01.01.2012.  Si riporta, di seguito, il testo della rubrica previgente: “Collegio sindacale e revisione legale dei conti”

[202] Il presente comma è stato sostituito dall’art. 35 D.L. 09.02.2012, n. 5 con decorrenza dal 10.02.2012 così come modificato dall’allegato alla legge di conversione L. 04.04.2012, n. 35 con decorrenza dal 07.04.2012. Si riporta di seguito il testo previgente:

L’atto costitutivo può prevedere, determinandone le competenze e poteri, la nomina di un sindaco o di un revisore.”

[203] Il presente comma prima modificato dall’art. 35, D.L. 09.02.2012, n. 5, con decorrenza dal 10.02.2012, è stato poi abrogato dall’art. 20, D.L. 24.06.2014, n. 91 con decorrenza dal 25.06.2014, così come modificato dall’allegato alla legge di conversione, L. 11.08.2014, n. 116 con decorrenza dal 21.08.2014. Le parole del presente comma riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 20, D.L. 24.06.2014, n. 91 con decorrenza dal 25.06.2014, così come modificato dall’allegato alla legge di conversione, L. 11.08.2014, n. 116 con decorrenza dal 21.08.2014.

[204] Le parole “del sindaco” sono state sostituite dalle parole “dell’organo di controllo o del revisore” dall’art. 35, D.L. 09.02.2012, n. 5, con decorrenza dal 10.02.2012. Le parole del presente comma riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 20, D.L. 24.06.2014, n. 91 con decorrenza dal 25.06.2014, così come modificato dall’allegato alla legge di conversione, L. 11.08.2014, n. 116 con decorrenza dal 21.08.2014.

[205] Le parole “del sindaco” sono state sostituite dalle parole “dell’organo di controllo o del revisore” dall’art. 35, D.L. 09.02.2012, n. 5, con decorrenza dal 10.02.2012.

[206] Il presente comma è stato sostituito dall’art. 35, D.L. 09.02.2012, n. 5, con decorrenza dal 10.02.2012. Si riporta di seguito il testo previgente: “Nei casi previsti dal secondo e terzo comma si applicano le disposizioni in tema di società per azioni; se l’atto costitutivo non dispone diversamente, la revisione legale dei conti è esercitata dal sindaco. “

[207] Le parole “del sindaco” sono state sostituite dalle parole “dell’organo di controllo o del revisore” dall’art. 35, D.L. 09.02.2012, n. 5, con decorrenza dal 10.02.2012. Le parole del presente comma riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 20, D.L. 24.06.2014, n. 91 con decorrenza dal 25.06.2014, così come modificato dall’allegato alla legge di conversione, L. 11.08.2014, n. 116 con decorrenza dal 21.08.2014.

[208] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n.403 del 13-1-2010

[209] Tribunale Treviso, Sezione 2 civile, decreto 28 settembre 2004

[210] Corte Costituzionale, ordinanza 7 maggio 2014, n. 116. In precedenza, però la medesima Corte (Corte Costituzionale, sentenza 29 dicembre 2005, n. 481) in tema stabilì che ugualmente non erano fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2409, 2476, comma terzo, e 2477, comma quarto, del codice civile, censurati, in riferimento agli artt. 76 e 3 della Costituzione, laddove escludono ovvero limitano l’ammissibilità del ricorso alla procedura del controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. sulla gestione delle società a responsabilità limitata. Nessun eccesso di delega è, infatti, rinvenibile, dal momento che la legge di delega 3/10/2001, n. 366 fa esplicito riferimento al controllo giudiziario esclusivamente nelle norme dedicate alle società per azioni ed alle cooperative e non può essere condivisa la tesi dei rimettenti secondo i quali il silenzio serbato in tema di società a responsabilità limitata dovrebbe essere inteso come volontà di ribadire l’applicabilità ad esse dell’art. 2409 c.c.: tale tesi, infatti, trascura l’art. 2, lettera f), che fissa il principio generale per cui le società a responsabilità limitata e le società per azioni devono costituire due modelli distinti, principio cui fa da corollario la previsione, per le prime, di un autonomo ed organico complesso di norme ed una impostazione della disciplina radicalmente divergente da quella adottata dal codice civile. La mancata previsione dell’applicabilità dell’art. 2409 c.c. alle società a responsabilità limitata non viola l’art. 76 Cost., poiché i principi della legge di delegazione debbono essere letti sia tenendo conto delle finalità ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte operate dal legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge-delega. In tal senso, è priva di fondamento anche la censura rivolta nei confronti dell’art. 2476 c.c. che, secondo i rimettenti, ampliando i poteri di indagine e reazione del socio nei confronti di chi gestisce la società, avrebbe conseguito per altra via la stessa intensità di tutela garantita dall’art. 2409 c.c., dal momento che, sempre alla luce delle finalità che la legge di delegazione si prefigge, la norma censurata si presta ad un’interpretazione meno riduttiva di quella prospettata. Infondata è, altresì, la censura di illegittimità per contrasto con l’art. 3 Cost., dal momento che la lamentata disparità di trattamento fra i soci di una società a responsabilità limitata e i soci di una società per azioni non sussiste, essendo diverse le situazioni soggettive degli uni e degli altri. Infine, infondata è anche la censura rivolta, per contrasto con l’art. 3 Cost., nei confronti dell’art. 2477 comma quarto, c.c., nella parte in cui discrimina fra sindaci e soci quanto alla legittimazione alla denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c., dal momento che la fondatezza presupporrebbe la sostanziale assimilabilità di soci e sindaci.

[211] Il bilancio consolidato è un documento consuntivo di esercizio che vuol rappresentare la situazione economica, patrimoniale e finanziaria di un gruppo di imprese, elaborato dalla società posta al vertice (capogruppo).

È un documento pubblico, ma non avente forza legale; infatti, sebbene questo strumento riesca a stabilire i risultati economici del gruppo, non è ancora possibile utilizzare questo mezzo per poter attribuire gli utili complessivi del gruppo, permettendo dunque di distribuire i dividendi anche a quei soci delle società del gruppo in perdita.

[212] Massima del Consiglio Notarile di Roma, pubblicata il 23.7.2014

[213] Il presente numero è stato abrogato dall’art. 16, c. 12-septies, D.L. 29.11.2008, n. 185 convertito in legge, con modifiche, dalla L. 28.01.2009, n. 2 (G.U. 28.01.2009, n. 22 – S.O. 14) con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata legge di conversione.

[214] Il presente numero è stato così modificato dall’art. 37 D.Lgs. 27.01.2010, n. 39 con decorrenza dal 07.04.2010. Si riporta di seguito il testo previgente:

4) il libro delle decisioni del collegio sindacale o del revisore nominati ai sensi dell’articolo 2477.”

[215] Il presente comma è stato così prima modificato dall’art. 16, c. 12-septies, D.L. 29.11.2008, n. 185 convertito in legge, con modifiche, dalla L. 28.01.2009, n. 2 con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata legge di conversione e poi dall’art. 37 D.Lgs. 27.01.2010, n. 39 con decorrenza dal 07.04.2010. Si riporta di seguito il testo previgente:

I libri indicati nei numeri 2) e 3) del primo comma devono essere tenuti a cura degli amministratori; il libro indicato nel numero 4) del primo comma deve essere tenuto a cura dei sindaci o del revisore.

[216] Corte di Cassazione, sentenza 17-12-97, n. 12752

[217] Corte di Cassazione, Sezione III penale, sentenza 17 gennaio 2012, n. 1377

[218] Il presente comma è stato così modificato dall’art. 16, c. 12-octies, D.L. 29.11.2008, n. 185 convertito in legge, con modifiche, dalla L. 28.01.2009, n. 2 (G.U. 28.01.2009, n. 22 – S.O. 14) con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata legge di conversione. Si riporta di seguito il testo previgente:

Entro trenta giorni dalla decisione dei soci di approvazione del bilancio devono essere depositati presso l’ufficio del registro delle imprese, a norma dell’articolo 2435, copia del bilancio approvato e l’elenco dei soci e degli altri titolari di diritti sulle partecipazioni sociali.”

[219] Tribunale Bari, Sezione 4 civile, sentenza 7 febbraio 2007, n. 327

[220] Tribunale Roma, Sezione III civile, sentenza 13 ottobre 2010, n. 20202

[221] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. 2020 del 29-1-2008. Conforme, Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n.10271 del 28-5-2004. Nelle società a responsabilità limitata (nel vigore della disciplina dettata dal codice civile del 1942, anteriormente alla riforma organica di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), posto che gli utili sono parte del patrimonio sociale fin quando l’assemblea eventualmente non ne disponga la distribuzione in favore dei soci, la sottrazione indebita di tali utili ad opera dell’amministratore lede il patrimonio sociale, e solo indirettamente si ripercuote sulla posizione giuridica e sull’interesse economico del singolo socio, compromettendo la sua aspettativa di reddito e comprimendo il valore della sua quota. Pertanto è da escludere che al singolo socio competa, in tal caso, l’azione di responsabilità contemplata dall’art. 2395 cod. civ., la quale presuppone invece l’esistenza di un danno subito dal medesimo socio direttamente, non cioè come mero riflesso del danno sociale di cui solo la società, tramite gli organi a ciò abilitati e con il procedimento a tal fine prescritto dal precedente art. 2393 cod. civ., può chiedere il risarcimento all’amministratore. Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. n.10271 del 28-5-2004

[222] Cfr par.fo, 7) La quota, pag. 46

[223] Racugno

[224] Benazzo

[225] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. n.22016 del 19-10-2007

[226] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 1 dicembre 2011, n. 25703

[227] Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile, sentenza 11 giugno 2007, n. 13595

[228] Per il Tribunale di Milano, Sezione I1 civile, sentenza 17 maggio 2010, n. 6428, in sede di aumento del capitale sociale mediante nuovi conferimenti, giusta art. 2481 bis c.c. l’esercizio del diritto di opzione, anche del socio presente in assemblea, va opportunamente garantito con formalità operative e termini idonei.

[229] Per un ulteriore approfondimento sull’Opzione in senso generale aprire il seguente link

L’opzione

[230] Capozzi

[231] Cerrato

[232] Tribunale Roma, Sezione 3 civile, sentenza 25 giugno 2012, n. 13001

[233] cfr. par.fo 8) Il recesso del socio, pag. 78

[234] Per un ulteriore approfondimento sulla simulazione aprire il seguente link La simulazione

[235] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 17 luglio 2013, n. 17467

[236] cfr. par.fo 2) La costituzione, pag. 6. Corte di Cassazione, sentenza 28 aprile 1997 n. 3666, Corte di Cassazione, sentenza 17 novembre 1992 n. 12302, Corte di Cassazione, sentenza 29 dicembre 2011 n. 30020

[237] Corte di Cassazione, sentenza 18 febbraio 2000, n. 1804, Corte di Cassazione, sentenza novembre 1999, n. 12317 e Corte di Cassazione, sentenza 22 novembre 1996, n. 10359

[238] Corte di Cassazione, sentenza 27 febbraio 1976, n. 639

[239] Per un ulteriore approfondimento sulla rescissione aprire il seguente link La rescissione

[240] Corte di Cassazione, sentenza 19 aprile 2000 n. 5190, e già Corte di Cassazione, sentenza 26 gennaio 1996 n. 611; afferma il carattere commutativo del conferimento in natura in sede di aumento di capitale la stessa Corte di Cassazione, sentenza 27 febbraio 1976, n. 639, sopra citata

[241] negata da Corte di Cassazione, sentenza Sez. un. 29 agosto 2008 n. 21933

[242] cfr. par.fo 10) Il governo della società, lettera A) Assemblea dei soci, pag. 90

[243] Tribunale Verona, civile, sentenza 28 marzo 2013, conforme Tribunale Milano, sentenza 18 luglio 2011, n. 9773, si applica il rito ordinario e occorre l’atto di citazione, per incardinare il procedimento di opposizione dei creditori alla delibera di riduzione del capitale sociale ai sensi dell’art. 2482, comma 2, c.c.

[244] Il presente comma è stato così modificato dall’art. 37 D.Lgs. 27.01.2010, n. 39 con decorrenza dal 07.04.2010. Si riporta di seguito il testo previgente:

All’assemblea deve essere sottoposta una relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni nei casi previsti dall’articolo 2477 del collegio sindacale o del revisore. Se l’atto costitutivo non prevede diversamente, copia della relazione e delle osservazioni deve essere depositata nella sede della società almeno otto giorni prima dell’assemblea, perché i soci possano prenderne visione.”

[245] Corte dei Conti LOMBARDIA, sentenza 5 novembre 2010, n. 982. Pertanto, prima di assumere la decisione, il Consiglio comunale deve valutare accuratamente le ragioni delle costanti perdite societarie e, soprattutto, accertare se esistano le condizioni per ripianare il passivo e renderla realmente operativa

[246] Cfr. par.fo 3) S.r.l. semplificata, pag. 10 e pag. 12

[247] Tribunale Verona, civile, sentenza 21 marzo 2012. Nel caso di specie, con la delibera impugnata è stato imposto al socio di minoranza di esercitare il predetto diritto per intero, ossia in misura corrispondente alla quota di partecipazione del medesimo al capitale sociale e così, inevitabilmente, lo si è limitato

[248] Studio 892-2013/I

[249] Cfr. art. 32, DECRETO-LEGGE 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 7.8.2012, n. 134

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