Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 25 novembre 2015, n. 24099

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19256/2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura in atti;

– resistente –

sulle conclusioni scritte del P.G. in persona del Dott. LUCIO CAPASSO che ha chiesto respingersi il ricorso confermando la declaratoria di competenza per territorio del Tribunale di Prato;

avverso l’ordinanza n R.G. 2385/2013 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 27/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/06/2015 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE CHIARA.

PREMESSO IN FATTO

Il Tribunale di Firenze, accogliendo l’eccezione sollevata dal convenuto, ha dichiarato la propria incompetenza territoriale, in favore del Tribunale di Prato, sulla domanda di divorzio proposta dalla sig.ra (OMISSIS) nei confronti del sig. (OMISSIS), sul rilievo che quest’ultimo risiede in (OMISSIS) e non conta che in Firenze risieda il figlio minore della coppia. La Legge 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 4, infatti, radica la competenza sulla domanda di divorzio nel luogo di residenza del convenuto; ne’, atteso il chiaro disposto della norma, sarebbe consentita una diversa lettura della stessa, che valorizzi invece il luogo di residenza del figlio minore interessato dai provvedimenti accessori riguardanti la prole dei divorziandi; ne’ infine si giustificano, manifestamente, sospetti di incostituzionalita’ di tale disciplina.

La sig.ra (OMISSIS) ha proposto ricorso per regolamento di competenza articolando quattro motivi di censura. L’intimato ha presentato memoria e il P.M. ha concluso, ai sensi dell’articolo 380 ter c.p.c., per la conferma della declaratoria di competenza del Tribunale di Prato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con il primo motivo di ricorso si lamenta che il Tribunale, nell’interpretare la disposizione della Legge n. 898 del 1970, articolo 4, relativa alla competenza territoriale, abbia violato il dovere di interpretazione conforme alla normativa Europea, e in particolare al quinto, dodicesimo e trentatreesimo “considerando”, nonche’ articolo 12, del regolamento CE del Consiglio n. 2201/2003 del 27 novembre 2003.

La tesi della ricorrente e’ che, tenuto conto del potere del giudice del divorzio di dare anche disposizioni in ordine alla prole, al richiamato articolo 4 va attribuito “il significato secondo cui, qualora vi siano figli minori, il foro territorialmente competente e’ quello della residenza del minore”, alla stregua del principio generale di salvaguardia del preminente interesse del minore posto dagli strumenti internazionali e comunitari e recepito nell’ordinamento nazionale dall’articolo 709 ter c.p.c., introdotto con la Legge 8 febbraio 2006, n. 54, e dalla consolidata giurisprudenza, che attribuisce al giudice del luogo di abituale residenza del minore l’adozione dei provvedimenti di cui agli articoli 330 e 333 c.p.c..

In tal senso dispone, ad avviso della ricorrente, il regolamento Europeo sopra menzionato, al quale dunque il Tribunale doveva conformare l’interpretazione della norma nazionale, anche in applicazione dei principi del giusto processo che, nella materia in esame, comportano l’attribuzione della competenza al giudice di prossimita’ – e dunque al giudice della residenza del minore – al fine di assicurare l’accesso effettivo alla giustizia, ai sensi dell’articolo 81, par. 2, lettera e) del trattato di Lisbona e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

2. – Con il secondo motivo si chiede, in subordine, disporsi il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, “al fine di chiarire l’esatto contenuto di quell’articolo 8 R. CE 2201/2003 che individua la competenza generale per le cause in materia di responsabilita’ genitoriale nel luogo di residenza del minore: per poi delibare sulla base del chiarimento della Corte Europea, la conformita’ della Legge n. 898 del 1970, articolo 4 – che contempla invece una diversa competenza territoriale – al diritto Europeo”.

3. – Con il terzo motivo si deduce, in ulteriore subordine, l’illegittimita’ costituzionale della Legge n. 898 del 1970, articolo 4, cit., in parte qua, per violazione dell’articolo 117 Cost., in relazione agli articoli 6 e 13 della Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, quali norme interposte.

4. – Con il quarto motivo si estende la censura di illegittimita’ costituzionale della medesima norma alla violazione del principio di cui all’articolo 3 Cost., “anche in combinato disposto con gli articoli 30 e 31, nonche’ articoli 25 e 111”.

5 – Tali censure, da esaminare congiuntamente, vanno disattese.

5.1. – A mente della Legge n. 898 del 1970, articolo 4, comma 1, “La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio” (seguono disposizioni riferite a ipotesi particolari che qui non ricorrono). Non occorre dilungarsi per dimostrare cio’ che risulta evidente gia’ dalla prima esegesi della disposizione, ossia che la lettera della stessa e’ assolutamente insuperabile e non consente interpretazioni alternative, che valorizzino la residenza di eventuali figli minori delle parti.

Sarebbe, poi, altrettanto manifestamente arbitrario far leva sulla giurisprudenza che radica davanti al giudice (per l’esattezza il tribunale per i minorenni, ai sensi dell’articolo 38 disp. att. c.c.) del luogo di residenza del minore la competenza all’adozione dei provvedimenti de potestate di cui agli articoli 330 e 333 c.c.. Tali provvedimenti, invero, sono cosa del tutto diversa dalla decisione sulla domanda di divorzio dei genitori e anche dai provvedimenti accessori che il giudice deve assumere in ordine alla prole (non gia’ – si badi – alla responsabilita’ dei genitori).

Tanto basta per escludere in radice qualsiasi ipotesi di interpretazione conforme a vincolanti disposizioni Europee.

5.2. – Ne’ si impone il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, invocato in subordine, perche’ nessuna disposizione comunitaria autorizza il dubbio che la Legge n. 898 del 1970, articolo 4, nella parte in cui attribuisce la competenza al giudice della residenza o domicilio del convenuto, anziche’ del figlio minore delle parti (ove queste ne abbiano), contrasti con la preminente disciplina Europea.

Non lo autorizza, in particolare, il richiamato regolamento CE n. 2201/2003, il quale manifestamente si riferisce (e anche a questo proposito si ribadisce che non occorre argomentare cio’ che e’ evidente e risulta dalla piana lettura del testo normativo di cui si tratta) non gia’ al riparto di competenza tra i giudici nazionali, bensi’ al riparto di competenza tra gli stati membri dell’Unione. L’assoluta chiarezza dell’atto normativo Europeo e la irrilevanza dello stesso riguardo alla questione di diritto interno in esame escludono la sussistenza di un obbligo di rimessione alla Corte del Lussemburgo.

5.3. – Neppure sono plausibilmente prospettabili i dubbi di legittimita’ costituzionale sollevati dalla ricorrente.

Non quello di violazione dell’articolo 117 Cost., perche’ le norme interposte invocate – gli articoli 6 e 13 CEDU sul giusto processo e l’effettivita’ della tutela giurisdizionale – non possono ritenersi in alcuna misura vulnerate dalla previsione di un criterio di riparto della competenza sulla domanda di divorzio basato sulla residenza del convenuto, anziche’ dell’eventuale figlio minore delle parti: criterio che e’ arbitrario assumere che comprometta detta effettivita’.

Non quello di violazione dell’articolo 3 Cost., sollevato dalla ricorrente sul parallelo con l’articolo 709 ter c.p.c., il quale ha riguardo alle “controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potesta’ ora responsabilita’ genitoriale o delle modalita’ dell’affidamento”, per le quali peraltro prevede la competenza del “giudice del procedimento in corso”, mentre prevede la competenza del tribunale del luogo di residenza del minore soltanto per “i procedimenti di cui all’articolo 710”, relativi alla “modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti alla separazione”: procedimenti, questi, del tutto diversi da quello di divorzio e nei quali l’interesse della parte convenuta non e’ centrale alla stessa maniera che in quello. Ne’ puo’ in contrario valorizzarsi oltre misura il principio di tutela del preminente interesse del minore, che – per come declinato nell’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e nello stesso articolo 3 della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989 – attiene al contenuto della decisione da assumere, piuttosto che al riparto di competenza (Cass. 2171/2006, richiamata dalla ricorrente, valorizza, si’, l’interesse preminente del minore quale ratio dell’attribuzione della competenza al giudice del luogo di residenza del minore, ma in ordine ai procedimenti de potestate, non certo a quello di divorzio).

Ne’, infine, e’ giustificabile alcun sospetto di violazione dei principi del giusto processo proclamati dall’articolo 111 Cost., comma 2, dato che non e’ qui in questione, manifestamente, ne’ il contraddittorio, ne’ la parita’ delle parti, ne’ l’imparzialita’ del giudice o la ragionevole durata del processo.

6. – In conclusione, va confermata la declaratoria di competenza del Tribunale di Prato, davanti al quale le parti vanno rimesse anche per i provvedimenti sulle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Prato, davanti al quale rimette le parti anche per le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

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