Corte di Cassazione, sezione sesta penale, ordinanza 3 gennaio 2018, n. 48. Ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 4 per integrare l’elemento soggettivo dell’illecito e’ sufficiente la semplice colpa

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A tal fine e’ necessario rintracciare un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della suddetta liceita’, oltre alla condizione che da parte dell’autore sia stato fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, cosi’ che l’errore non sia suscettibile di essere impedito dall’interessato con l’ordinaria diligenza (v. Cass., 19759/2015, 16320/10, 13610/07, 11012/06, 9862/06, 5426/06 e 11253/04).
L’onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l’esistenza della buona fede e’ a carico dell’opponente e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimita’ se non sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 23019/09).
In tale prospettiva, la valutazione compiuta dal Tribunale di Latina va esente da censure. Il Giudice a quo ha correttamente ritenuto, con motivazione completa e congrua, che l’inconsapevolezza dell’antigiuridicita’ della condotta fosse da ascrivere alla mancata conoscenza di norme di agevole interpretabilita’, specie tenuto conto del grado di diligenza richiesto ad un operatore professionale in rapporto al livello di affidamento rilevante a norma della L. n. 689 del 1981, articolo 3.
Infatti, in tema di illecito amministrativo, l’inevitabilita’ dell’ignoranza del precetto violato va apprezzata anche alla luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull’agente in relazione alle sue qualita’ professionali e al suo dovere di informazione sulle norme e sulla relativa interpretazione (Cass. 18471/2014).
3.3) Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, articolo 3 in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, in quanto emergerebbe una discrasia tra la motivazione testuale dell’ordinanza-ingiunzione e gli argomenti successivamente utilizzati dall’Amministrazione per resistere in giudizio contro la pretesa di annullamento del ricorrente.
Anche tale doglianza va disattesa.
E’ condivisibile il rilievo del Tribunale in punto di sufficienza, ai fini dell’osservanza del precetto di cui alla L. n. 241 del 1990, articolo 3 dell’indicazione della violazione addebitata attraverso il riferimento alle norme ed alla condotta contestata, che consente l’instaurazione di un valido contraddittorio sull’obbligo sanzionatorio (Cass. n. 17104/2009; n. 20189/2008); a nulla rileva, invece, il successivo atteggiarsi della strategia difensiva adottata dall’Amministrazione in giudizio.
Inoltre, la tesi di parte ricorrente circa la contraddizione tra la motivazione dell’ordinanza-ingiunzione e la linea difensiva adottata dall’Amministrazione poggia su un presupposto erroneo, ovverosia sull’incompatibilita’ tra il riferimento alle ordinanze n. 55 e n. 148/2007 e il decreto 376/2006, presupposto che e’ smentito dal coordinamento esistente tra le disposizioni prescrittive di tali atti, che disciplinano la materia.
Discende da quanto sopra il rigetto del ricorso.
Le spese si liquidano in dispositivo a carico della ricorrente.
Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di questo grado di giudizio, liquidate in euro mille per compensi oltre spese prenotate a debito.
Da’ atto della sussistenza delle condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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