Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 23 ottobre 2017, n. 24990. Usucapione a favore del privato di una porzione di terreno in proprietà comunale e destinata a strada pubblica che tuttavia non è mai stata realizzata, non essendovi l’effettività della destinazione, la demanialità è da escludere.

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3.3. In ordine specificamente al secondo motivo, relativo alla classificazione dell’area come appartenente al patrimonio indisponibile, e’ sufficiente rilevare – anche in questo caso ancora una volta rispetto agli anzidetti precedenti – che il vincolo a verde pubblico imposto su un’area non vale ad attribuire all’area stessa il carattere di bene indisponibile in assenza del doppio requisito della manifestazione di volonta’ dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e percio’ di un atto amministrativo da cui risulti la specifica volonta’ dell’ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio) e dell’effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio (v. Cass. del 2014 e del 2017 citt.; nonche’ Cass., sez. U, n. 6019 del 25/03/2016 e n. 391 del 15/07/1999).
3.4. Giova rilevare al riguardo che anche da tale punto di vista, alla luce della medesima ricostruzione fattuale innanzi riepilogata (mancanza di una effettiva utilizzazione da parte dei cittadini) la corte locale sempre con apprezzamento di merito non censurabile in questa sede (per cui vanamente il comune chiede di rivalutare se per una destinazione a verde siano necessari specifici interventi) – ha negato anche la inclusione dell’area nel patrimonio indisponibile dell’ente territoriale.
3.5. Solo per completezza e’ il caso di rilevare che le conseguenze – ritenute paradossali dal ricorrente – del diverso regime delle zone “occupate” e di quelle “risparmiate dal desiderio di accaparramento dei privati” (v. p. 16 del ricorso) non colgono – come gia’ notato in precedente pronuncia di questa corte – un punto centrale, e cioe’ l’accompagnarsi dell’ultraventennale occupazione a una parimenti ultraventennale inerzia del titolare del diritto di proprieta’, nonostante l’esistenza dei mezzi predisposti dall’ordinamento per rientrare nel legittimo possesso dei beni in presenza di atti di occupazione (e non identificabili negli “atti di contestazione e diffida” cui solo allude l’ente sempre alla p. 16 del ricorso, come noto inidonei a interrompere l’usucapione – v. articolo 1165 cod. civ., il cui rinvio all’articolo 2943 cod. civ. non va riferito all’u.c. e cfr. ad es. Cass. n. 15927 del 29/07/2016 e n. 15199 del 11/07/2011).
4. In conclusione, il ricorso va respinto con addebito di spese a carico della parte soccombente.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater si deve dar atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13 cit., comma 1-bis.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione a favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 3.000 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater da’ atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13 cit., comma 1-bis.

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