Corte di  Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 19 settembre 2017, n. 42759.

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La corte territoriale, infatti, ha individuato una pluralita’ di indici di assoluto valore sintomatico della qualifica di “amministratore di fatto” rivestita dal (OMISSIS), esplicitati dalle fonti probatorie, evidenziando, tra l’altro, come il (OMISSIS): 1) curasse, unitamente al (OMISSIS), i rapporti con gli agenti ed i fornitori, tanto che alcuni di questi ultimi avevano ritenuto che fosse proprio il (OMISSIS) il rappresentante della societa’, nel cui nome agiva; 2) operasse nei rapporti coni terzi, come punto di riferimento delle societa’ fallite; 3) gestisse, al pari del (OMISSIS), i rapporti con i dipendenti; 4) fosse abilitato ad operare su tutti conti correnti della s.a.s. e sul conto intestato alla s.r.l. presso la (OMISSIS) Banca, “per la quale era, anzi, indicato come “secondo legale rappresentante”, conto su cui il suddetto (OMISSIS) aveva tratto undici assegni, emessi in favore di fornitori, pur se non contabilizzati o contabilizzati in maniera impropria” (cfr. pp. 14-16).
Appare, dunque, evidente, come affermato dalla corte territoriale, che, contrariamente a quanto preteso dalla difesa, il (OMISSIS) non puo’ essere relegato in un ruolo irrilevante, partecipando, in realta’, egli alle scelte decisive per la vita della societa’ fallita, di cui era di fatto il vero gestore, in uno con il (OMISSIS).
Cio’ posto, l’affermazione di responsabilita’ di entrambi gli imputati per i fatti di distrazione, si giustifica proprio alla luce dei consolidati principi, affermati dalla giurisprudenza di legittimita’, ai quali la corte di appello si e’ scrupolosamente attenuta.
Con particolare riferimento al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, si e’, infatti, affermato, che affinche’ l’amministratore di fatto di una societa’ possa esserne ritenuto responsabile, occorre che egli abbia posto in essere atti tipici di gestione, offrendo cosi’ un contributo obiettivo alle decisioni adottate da chi e’ formalmente investito della qualifica di amministratore, nella consapevolezza delle implicazioni della condotta tipica del soggetto qualificato (cfr. Cass., sez. 1, 11/01/2012, n. 5063, G.M.).
Quanto all’elemento soggettivo, consistente anche per l’amministratore “di fatto” nella consapevole volonta’ dei singoli atti di distrazione e della idoneita’ dei medesimi a cagionare danno ai creditori, in quanto privi di sinallagma rispondente al fine istituzionale dell’impresa, in considerazione, ad esempio della natura fittizia o della entita’ dell’operazione che incide negativamente sul patrimonio della societa’ (cfr. ex plurimis, Cass., sez. 5., 24.3.2010, n. 16579, Fiume, rv. 246879), esso si evince dalla diretta e continuativa partecipazione dell’imputato all’attivita’ di gestione dell’impresa in cui si sono consumati i singoli episodi illeciti a lui contestati.
L’amministratore “di fatto” della societa’ fallita, infatti, e’ da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui e’ soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilita’ per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 5, 20.5.2011, n. 39593, rv. 250844).
Egli, inoltre, essendo tenuto ad impedire ex articolo 40 c.p., comma 2, le condotte illecite riguardanti l’amministrazione della societa’ o a pretendere l’esecuzione degli adempimenti previsti dalla legge, e’ responsabile di tutti i comportamenti, sia omissivi che commissivi, posti in essere dall’amministratore di diritto, al quale e’ sostanzialmente equiparato (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 5, 5.7.2012, n. 33385, rv. 253269).
D’altro canto di bancarotta fraudolenta risponde l’amministratore di diritto, unitamente all’amministratore di fatto, anche per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire, essendo sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distragga, occulti, dissimuli, distrugga o dissipi i beni sociali, la quale non puo’ dedursi dal solo fatto che il soggetto abbia accettato di ricoprire formalmente la carica di amministrato, occorrendo anche la dimostrazione di una sua diretta ed effettiva ingerenza nella gestione dell’impresa (cfr. Cass., sez. V, 7.1.2015, n. 7332, rv. 262767).
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, si e’ gia’ detto come per la bancarotta fraudolenta patrimoniale esso si presenti nella forma del dolo generico, la cui prova puo’ essere desunta dalla concreta ingerenza dell’amministratore di fatto nella gestione dell’impresa, non richiedendosi, contrariamente all’assunto difensivo, che il reo abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori.
In ogni caso, a prescindere da ogni ulteriore considerazione sull’elemento psicologico del reato, va rilevato che nel caso in esame la possibilita’ di configurare il diverso e meno grave delitto di bancarotta semplice, e’ esclusa in radice dalla circostanza oggettiva che nessuna delle condotte in addebito e’ riconducibile alle singole ipotesi di bancarotta patrimoniale semplice previste dai da 1) a 5) della L. Fall., articolo 217, comma 1.
6. Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi di cui in premessa vanno, dunque, rigettati, con condanna di ciascun ricorrente, ai sensi dell’articolo 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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