Corte di  Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 19 settembre 2017, n. 42759.

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Anzi, a ben vedere, il motivo di ricorso sub n. 3), fondato sul presupposto che il (OMISSIS) abbia rivestito un ruolo meramente formale e residuale all’interno delle compagini societarie in premessa indicate, deve ritenersi inammissibile, in quanto mera reiterazione di doglianze gia’ rappresentate in sede di appello e disattese dalla corte territoriale, attraverso un’articolata motivazione, con cui il ricorrente non si confronta.
Ed invero i motivi che ripropongono acriticamente le stesse ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, devono considerarsi non specifici, ma meramente apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr. Cass., sez. 4, 18.9.1997 – 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Cass., sez. 5, 27.1.2005 – 25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Cass., sez. 5, 12.12.1996, n. 3608, rv. 207389).
Orbene, nel caso in esame, la corte territoriale, attraverso una puntale disamina delle risultanze processuali, ha evidenziato come il (OMISSIS) “non e’ stato un semplice prestanome, come invece si e’ cercato di sostenere nell’atto di appello, ma ha partecipato attivamente alla gestione di entrambe le societa’, tollerando e anche avallando le ingerenze del (OMISSIS), che, malgrado l’assenza di cariche formali, partecipava alla conduzione di entrambe le societa’ e non era un semplice socio di capitali ma piuttosto un coamministratore” (cfr. pp. 14-16 della sentenza impugnata).
Tale conclusione non appare ne’ contraddittoria, ne’ manifestamente illogica, essendo sorretta da una serie di elementi di fatto, valutati dalla corte territoriale, con logico argomentare, sintomatici della diretta e fattiva partecipazione del (OMISSIS) alla gestione di entrambe le societa’ (l’imputato, infatti, manteneva rapporti con agenti e fornitori; gestiva i rapporti di lavoro con i dipendenti insieme con il (OMISSIS); era l’unico soggetto legittimato ad operare sul conto corrente intestato alla ” (OMISSIS) s.r.l.”, acceso presso la Banca Popolare (OMISSIS), dal quale vennero distratte somme per complessivi Euro 28.353,94, attraverso tredici operazioni di prelievo, di cui undici direttamente effettuate dal (OMISSIS); fu sempre il (OMISSIS) a consegnare le scritture contabili di entrambe le societa’ fallite ai rispettivi curatori fallimentari).
Infondato e’ il rilievo sub n. 4), posto che, come chiarito dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimita’, in tema di reati fallimentari, il regime tributario di contabilita’ semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l’esonero dall’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili, previsto dall’articolo 2214 c.c., con la conseguenza che il suo inadempimento puo’ integrare – ove preordinato a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio dell’imprenditore – la fattispecie incriminatrice del reato di bancarotta fraudolenta documentale (cfr. Cass., sez. 5, 13.11.2013, n. 656, rv. 257958; Cass., sez. 5, 30.10.2014, n. 52219, rv. 262198), che nel caso in esame la corte territoriale ha escluso, con coerente argomentare, proprio perche’ ha ritenuto non dimostrata la preordinazione della condotta a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio dell’imprenditore, con conseguente riqualificazione di entrambi i fatti di bancarotta fraudolenta documentale in fatti di bancarotta documentale semplice (imposta dal difetto di prova dell’elemento soggettivo tipico della bancarotta fraudolenta documentale: cfr. Cass., sez. 5, 29.4.2014, n. 23251, rv. 262384), per i quali pronunciava sentenza di non doversi procedere nei confronti dei ricorrenti, per essere i reati estinti per prescrizione.
Sicche’ appare evidente che non si giustifica la pronuncia di una formula assolutoria piu’ favorevole per gli imputati.
Come chiarito, infatti, dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimita’, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice e’ legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui, a differenza di quanto riscontrato nella fattispecie in esame, proprio per la sua particolare complessita’, testimoniata indirettamente anche dal profluvio dei motivi di ricorso, le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi’ che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu’ al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita’ di accertamento o di approfondimento (cfr. Cass., Sez. Un., 28.5.2009, n. 35490, rv. 244274; Cass., sez. 6, 22.1.2014, n. 10284, rv. 259445),. Con riferimento alle diverse doglianze prospettate dal (OMISSIS) attraverso i motivi sintetizzati nelle pagine precedenti sub n. 5) e n. 6), ne va ribadita la natura generica e meramente fattuale, oltre alla manifesta infondatezza di alcuni rilievi ed, in particolare, delle argomentazioni sviluppate sul presupposto che, nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione il fallimento costituisca l’evento del reato e debba, pertanto, formare oggetto dell’elemento psicologico, fondando su tale specifico profilo, il ricorrente, la distinzione tra bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta semplice.

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