Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 21 novembre 2017, n. 52974. In tema di tentativo, l’univocità degli atti va accertata ricostruendo, in base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell’agente

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2.1. La difesa del ricorrente censurava ulteriormente la sentenza di appello impugnata sotto il profilo dell’assenza di prova dell’univocita’ degli atti offensivi attraverso i quali si concretizzava l’ipotesi delittuosa contestata a (OMISSIS) al capo A, a sua volta incidente sull’assenza di prova della volonta’ omicida del ricorrente.
Osserva, in proposito, il Collegio che l’univocita’ degli atti costituisce il presupposto indispensabile per ritenere una condotta delittuosa riconducibile all’alveo applicativo dell’articolo 56 c.p..
Tutto questo risponde all’esigenza di ricostruire la volonta’ dell’agente rispetto all’aggressione del bene giuridico protetto della norma, conformemente a quanto statuito da questa Corte, secondo cui: “In tema di tentativo, il requisito dell’univocita’ degli atti va accertato ricostruendo, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volonta’ dell’agente quale emerge dalle modalita’ di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira, si’ da pervenire con il massimo grado di precisione possibile alla individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e concretamente posto in pericolo” (Sez. 4, n. 7702 del 29/01/2007, Alasia, Rv. 236110; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 7938 del 03/02/1992, Lamari, Rv. 191241).
Ne discende che il requisito dell’univocita’ degli atti, cosi’ come prefigurato dall’articolo 56 c.p., comma 1, incidendo sulla valutazione dell’elemento soggettivo del reato di volta in volta contestato, deve essere accertato sulla base delle connotazioni materiali della condotta illecita, con la conseguenza che gli atti posti in essere da (OMISSIS) devono possedere, tenuto conto del contesto in cui sono inseriti, l’attitudine a rendere manifesto il proposito criminoso perseguito, desumibile sia dagli atti esecutivi sia da quelli preparatori dell’azione (Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, D’Angelo, Rv. 254106; Sez. 2, n. 40912 del 24/09/2015, Amatista, Rv. 264589).
In questa cornice, non puo’ non rilevarsi che la dinamica dell’aggressione di (OMISSIS) e (OMISSIS) deve ritenersi dimostrativa del fatto che l’azione armata di (OMISSIS) conseguisse a una volonta’ omicida persistente e univocamente orientata nella direzione prefigurata dalla sentenza impugnata, consentendo di affermare che il ricorrente avesse voluto colpire le persone offesa noncurante del rischio di causarne la morte. Esemplare, da questo punto di vista, e’ il passaggio motivazionale della sentenza impugnata, esplicitato a pagina 12, in cui si evidenziava correttamente che “nella condotta di sferrare ripetuti fendenti all’altezza del torace ricorrano tutti quegli elementi, oggettivi e soggettivi, della fattispecie delittuosa in questione (…)”.
2.2. Quanto alla residua doglianza, relativa all’insussistenza della premeditazione, deve rilevarsi che la ricostruzione degli accadimenti criminosi compiuta dalla Corte di appello di Bologna, sotto il profilo della valutazione degli elementi costitutivi dell’aggravante della premeditazione, risulta congrua e conforme alle emergenze processuali.
La Corte territoriale, infatti, si soffermava in termini ineccepibili sulla fase genetica dell’aggressione armata posta in essere in danno della moglie dell’imputato e del suo compagno, inserendo tale episodio in un piu’ ampio contesto persecutorio, conseguente all’allontanamento della consorte del ricorrente dalla dimora coniugale torinese, protrattosi per diversi mesi e conclusosi con l’epilogo criminoso di cui ci si sta occupando.
Secondo la ricostruzione del Giudice di appello, il risentimento di (OMISSIS) nei confronti della moglie era risalente nel tempo e si era acuito dopo che aveva scoperto che la consorte, nel frattempo trasferitasi a (OMISSIS), aveva trovato un’occupazione lavorativa e aveva intrapreso una relazione sentimentale con (OMISSIS).
L’esistenza di una situazione di tensione personale tra i due coniugi e le ragioni sentimentali che l’avevano determinata, dunque, possono ritenersi incontroverse e risultano decisive ai fini della valutazione degli elementi costitutivi dell’aggravante della premeditazione contestata in relazione al reato di cui al capo A.
L’atteggiamento di risentimento di (OMISSIS), del resto, risulta confermato dall’episodio avvenuto nel (OMISSIS), che si verificava quando l’imputato, recatosi sul luogo di lavoro riminese della moglie, aveva iniziato a minacciarla, imponendo, in quella occasione, l’intervento delle forze dell’ordine, accorse su segnalazione del datore di lavoro di (OMISSIS). Tale episodio rende evidente che l’intenzione di vendicarsi del coniuge traeva origine dalle risalenti tensioni esistenti tra l’imputato e la consorte e, prima di concretizzarsi, si era sedimentata per diversi mesi, mantenendosi costante fino alla mattina del (OMISSIS).

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