Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 21 novembre 2017, n. 52974. In tema di tentativo, l’univocità degli atti va accertata ricostruendo, in base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell’agente

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A questo punto, l’imputato si metteva all’inseguimento dei due soggetti, li raggiungeva e li aggrediva con un coltello che si era portato appresso; in un primo momento, pertanto, il ricorrente accoltellava (OMISSIS), al quale provocava varie ferite al cuoio capelluto, all’area toracica e alle braccia; quindi, lasciato tramortito a terra (OMISSIS), (OMISSIS) si rivolgeva alla propria consorte, accoltellando anch’essa e ferendola nella zona toracica e all’addome; infine, dopo avere colpito la moglie, (OMISSIS) tornava a infierire su (OMISSIS) che si trovava, ferito, a terra.
Dopo l’aggressione, venivano allertate telefonicamente le forze dell’ordine, che provvedevano a soccorrere i due feriti e a traportarli presso il nosocomio cittadino; gli agenti operanti, quindi, si mettevano alla ricerca dell’autore del duplice accoltellamento, che veniva immediatamente individuato nel ricorrente grazie alle dichiarazioni rese dalle persone offese dal reato che indicavano (OMISSIS) come l’autore del loro ferimento; infine, l’imputato veniva individuato grazie alla telefonata effettuata dal gestore di una tabaccheria, ubicata nello stesso centro romagnolo, dove (OMISSIS) si era recato dopo l’aggressione della moglie e del compagno, al quale il ricorrente aveva chiesto di allertare telefonicamente le forze dell’ordine, dicendo “chiami la polizia perche’ ho accoltellato due persone”.
A seguito del suo arresto, l’imputato ammetteva le sue responsabilita’, precisando di essere giunto a (OMISSIS) la mattina del (OMISSIS) provenendo da (OMISSIS); precisava, inoltre, di avere accoltellato la moglie e il suo nuovo compagno con un coltello a serramanico che, dopo avere attentato alla loro vita, aveva buttato ad alcune centinaia di metri dal luogo in cui aveva aggredito le vittime.
Dopo la confessione dell’imputato, venivano riesaminati (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali ribadivano le dichiarazioni rese nell’immediatezza degli accadimenti criminosi oggetto di vaglio e confermavano la ricostruzione dei fatti delittuosi fornita dall’imputato.
Il compendio probatorio veniva ulteriormente corroborato dalle deposizioni rese dai testimoni oculari (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che risultavano perfettamente sovrapponibili alle dichiarazioni rese dall’imputato e dalle persone offese dal reato.
Sulla scorta di tale ricostruzione degli accadimenti criminosi – e con le precisazioni di cui si e’ detto in ordine alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio effettuato dalla Corte di appello di Bologna – l’imputato veniva condannato alla pena di cui in premessa.
4. Avverso tale sentenza l’imputato ricorreva per cassazione, a mezzo dell’avv. (OMISSIS), deducendo due motivi di ricorso.
Con il primo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse adeguatamente conto degli elementi probatori acquisiti nei confronti di (OMISSIS), in relazione al tentato omicidio aggravato in contestazione, sui quali la Corte di appello di Bologna si era espressa si esprimeva in termini assertivi e svincolati dalle risultanze processuali.
Si deduceva, in proposito, l’incongruita’ del giudizio espresso dalla Corte di appello di Bologna, con cui si era ritenuto dimostrato il tentato omicidio premeditato contestato al ricorrente, che risultava smentito dalle acquisizioni probatorie e contraddetto dalla ricostruzione della dinamica dell’accoltellamento di (OMISSIS) e (OMISSIS), cosi’ come recepita nelle decisioni di merito, che non consentivano di ritenere l’azione armata dell’imputato ne’ premeditata ne’ finalizzata a uccidere le vittime.
Secondo la difesa di (OMISSIS), le emergenze probatorie imponevano di escludere l’esistenza di una preordinazione omicida nell’azione criminosa dell’imputato, il cui intento era unicamente quello di sorprendere la moglie in compagnia dell’amante e non certamente quello affermato in termini assertivi nella decisione in esame – di attentare alla vita dei due compagni.
A supporto di tali affermazioni, si evidenziava che le circostanze di tempo e di luogo nella quali si concretizzava l’aggressione della coppia e la dinamica delle coltellate inferte alle persone offese dal reato, sferrate senza mirare a un preciso obiettivo vitale – come attestava la stessa consulenza tecnica del pubblico ministero, svolta nel corso delle indagini preliminari e richiamata nella sentenza di primo grado – non consentivano di ricondurre la condotta dell’imputato all’ipotesi del tentato omicidio premeditato, cosi’ come ascrittagli, dovendosi escludere nell’atteggiamento del ricorrente l’animus necandi indispensabile per la configurazione di tale fattispecie. L’aggressione delle vittime, al contrario, costituiva l’espressione di un’azione estemporanea e non predeterminata nel suo sviluppo criminoso, finalizzata ad aggredire indistintamente la consorte e il compagno, non preordinato e privo di alcun intento omicida, che doveva ritenersi smentito dalle emergenze probatorie.
Peraltro, anche il comportamento disordinato e confuso assunto dall’imputato dopo l’accoltellamento della moglie e del compagno, conclusosi con l’ingresso in un esercizio pubblico, lasciava propendere per un’azione criminosa estemporanea e priva di preordinazione; connotazioni, queste, rese evidenti dal fatto che, all’arrivo delle forze dell’ordine, (OMISSIS) si mostrava in uno stato confusionale scarsamente partecipativo rispetto all’accertamento dei fatti illeciti, rendendo poco plausibile l’ipotesi accusatoria secondo cui aveva preordinato un piano criminoso finalizzato a uccidere le vittime.

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