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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 23 gennaio 2015, n. 1262

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente
Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere
Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere
Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7441-2012 proposto da:
(OMISSIS), C.F. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta mandato in calce al ricorso;
– ricorrente –
(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS), C.F. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta mandato in calce al ricorso per cassazione;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 461/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA emessa il 14/06/2011, depositata il 05/10/2011 RG 716/10;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO MANNA;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega avvocato (OMISSIS) difensore della controricorrente e ricorrente incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 5.10.11 la Corte d’appello di Venezia – per quel che rileva nella presente sede – respingeva il gravame proposto da (OMISSIS) contro il rigetto, pronunciato dal Tribunale della stessa sede il 20.10.09, dell’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli il 29.9.03 da (OMISSIS) S.p.A. (d’ora innanzi, piu’ semplicemente, (OMISSIS)), mentre accoglieva la domanda di risarcimento del danno da dequalificazione sofferto dal lavoratore nel periodo 1. 11.02 – 29.9.03. Confermava, invece, il rigetto della domanda di risarcimento dei danni da mobbing.
Per la cassazione della sentenza ricorre (OMISSIS) affidandosi ad un solo articolato motivo.
(OMISSIS) resiste con controricorso e a sua volta spiega ricorso incidentale basato su un solo motivo, cui resiste con controricorso (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 – Preliminarmente ex articolo 335 c.p.c. si riuniscono i ricorsi in quanto aventi ad oggetto la medesima sentenza.
2 – Con unico articolato mezzo il ricorso principale lamenta vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza, pur riconoscendo il demansionamento patito da (OMISSIS) (inquadrato nel 7 livello CCNL metalmeccanici), non ne ha pero’ tenuto conto ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni da mobbing e dell’impugnativa di licenziamento; in tal modo la Corte di merito – si sostiene in ricorso – ha trascurato che la dequalificazione professionale inferta al lavoratore e le trattenute retributive (la cui illegittimita’ era stata accertata gia’ in prime cure) di per se’ dimostravano il comportamento persecutorio posto in essere ai suoi danni da (OMISSIS) e il carattere strumentale della soppressione del posto di lavoro (responsabile del nuovo Ufficio Marketing) cui il ricorrente era stato assegnato nel luglio 2003 (vale a dire appena due mesi prima del licenziamento): infatti – prosegue il ricorso – (OMISSIS) non aveva ricevuto le necessarie dotazioni di strumenti di lavoro informatici, il che lo aveva costretto a quella sostanziale inattivita’ poi sanzionata dalla stessa Corte territoriale in termini di riconoscimento del danno da dequalificazione professionale.
3- Con unico mezzo il ricorso incidentale lamenta vizio di motivazione della gravata pronuncia nella parte in cui, pur riconoscendo che le nuove mansioni assegnate a (OMISSIS) come responsabile del nuovo Ufficio Marketing erano consone alla professionalita’ posseduta dal lavoratore, contraddittoriamente ha poi ravvisato una sostanziale riduzione quantitativa delle mansioni affidategli sol perche’ non gli era stato assegnato un computer. Deve quindi escludersi – conclude la ricorrente incidentale – che vi sia stato demansionamento alcuno.
4- Il ricorso principale e’ fondato nei sensi qui di seguito chiariti, mentre va disatteso quello incidentale perche’ risulta provato il demansionamento sofferto dal ricorrente principale, del che l’impugnata sentenza da’ atto con motivazione immune da vizi logici o giuridici.
Infatti, per costante insegnamento giurisprudenziale di questa Corte Suprema, il divieto ex articolo 2103 c.c. di variazioni in peius delle mansioni opera anche quando al lavoratore, pur nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori quanto a contenuto professionale.
Pertanto, nell’indagine circa l’esistenza o meno di un’equivalenza tra le vecchie e le nuove mansioni non basta il riferimento in astratto al livello di categoria, ma e’ necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza tecnico professionale del dipendente e siano tali da salvaguardarne il livello professionale, in una prospettiva dinamica di valorizzazione della capacita’ di arricchimento del bagaglio di conoscenze ed esperienze (cfr., ex aliis, Cass. n. 5798/13; Cass. n. 16190/07; Cass. n. 17351/05; Cass. n. 14666/04; Cass. n. 14150/02; Cass. n. 8577/99; Cass. n. 19775/97).
Cio’ e’ coerente con la statuizione di Cass. S.U. n. 25033/06, secondo cui, in sintesi, il baricentro dell’articolo 2103 c.c. e’ dato dalla protezione della professionalita’ acquisita dal prestatore di lavoro.
L’impugnata sentenza si e’ attenuta, sul punto, a tali consolidati principi giurisprudenziali, evidenziando che il ricorrente addirittura non e’ stato neppure messo in condizioni di espletare le nuove mansioni, che consistevano nella ricerca di potenziali clienti mediante navigazione in INTERNET, mansioni necessariamente da svolgersi disponendo almeno d’un computer.
La sentenza impugnata e’, ancora, immune da vizi logico-giuridici nella parte in cui ha dato atto della mancanza di prova di situazioni di mobbing (o di “costrittivita’ organizzative'”, secondo la dizione contenuta nella circolare n. 71/2003 dell’INAIL).
Tale affermazione non e’ logicamente contraddittoria rispetto al demansionamento accertato dai giudici di merito, noto essendo che potersi parlare di mobbing e’ necessaria una pluralita’ di condotte ostili, protrattesi nel tempo, tese ad emarginare il singolo lavoratore. Per l’esattezza, secondo la giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. n. 17698/14; Cass. n. 3785/09), affinche’ sia configurabile un mobbing devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalita’ e/o della dignita’ del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrita’ psico-fisica e/o nella propria dignita’; d) l’elemento soggettivo, cioe’ l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.
Non bastano, dunque, un demansionamento e delle – seppur illegittime – trattenute retributi ve modeste (come tali giudicate in sede di merito).
E’, invece, fondato il ricorso principale nella parte in cui lamenta vizio di motivazione in ordine all’effettiva sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
Si muova dal rilievo che, sebbene non sia sindacabile nei suoi profili di congruita’ e opportunita’ la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, nondimeno spetta al giudice il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore, nel senso che ne risulti l’effettivita’ e la non pretestuosita’ (cfr., ex aliis, Cass. n. 7474/12; Cass. n. 24235/10; Cass. n. 21282/06; Cass. n. 21121/04).
Invece l’impugnata sentenza, lungi dall’accertare in concreto la genuinita’ della scelta aziendale, si e’ limitata a rilevarne l’insindacabilita’ nel merito, che e’ cosa ben diversa.
La Corte territoriale ha erroneamente ritenuto di doversi limitare ad una verifica meramente formale dell’avvenuta soppressione del nuovo Ufficio Marketing ed ha omesso di sottoporre al doveroso vaglio giurisdizionale la mancanza di idonei mezzi di lavoro a disposizione dell’odierno ricorrente principale, unitamente al rilievo che il nuovo ufficio era stato costituito nel luglio 2003, cioe’ appena due mesi prima di essere soppresso e che (OMISSIS) aveva patito una dequalificazione professionale gia’ a partire dal 1.11.02 (circostanze che si leggono nella sentenza impugnata): si trattava di elementi presuntivi potenzialmente sintomatici del fatto che il nuovo ufficio fosse stato creato non affinche’ funzionasse, ma solo per poterlo chiudere poco dopo avervi adibito il lavoratore.
Sul punto e’ mancato qualunque apprezzamento che confermasse od escludesse il lamentato carattere strumentale della creazione e della successiva soppressione di tale nuovo ufficio e della mancata predisposizione in esso dei relativi mezzi di lavoro.
5- In conclusione, il ricorso principale e’ da accogliersi nei sensi sopra chiariti, mentre quello incidentale va interamente rigettato. Per l’effetto, si cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, che dovra’ accertare se, nel caso in oggetto, la creazione e la di poco successiva soppressione del nuovo Ufficio Marketing – cui era stato adibito (OMISSIS) – rispondesse ad un’effettiva e genuina esigenza aziendale oppure costituisse un’artificiosa modalita’ organizzativa finalizzata solo a collocare il dipendente in una posizione lavorativa ab origine destinata ad essere eliminata.
P.Q.M.
La Corte,
riuniti i ricorsi, rigetta quello incidentale, accoglie quello principale nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione

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