cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 1 luglio 2015, n. 27806

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIANDANESE Franco – Presidente

Dott. MACCHIA Alberto – Consigliere

Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere

Dott. DAVIGO Piercamill – Consigliere

Dott. ALMA M. M. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma, nell’ambito del procedimento penale nei confronti di:

– (OMISSIS), nato ad (OMISSIS);

– (OMISSIS), nata a (OMISSIS);

– (OMISSIS), nato in (OMISSIS);

– (OMISSIS), nato in (OMISSIS);

– (OMISSIS), nato in (OMISSIS);

– (OMISSIS), nata a (OMISSIS);

– (OMISSIS), nato ad (OMISSIS);

avverso la ordinanza n. 1249+1255+1256+1257+27/2015 in data 27/1/2015 del Tribunale di Roma in funzione di giudice del riesame;

visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Marco Maria ALMA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. FODARONI Maria Giuseppina, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;

udito il difensore dell’indagato (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ o comunque rigettarsi il ricorso del Pubblico Ministero;

udito il difensore degli indagati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso del Pubblico Ministero;

udito il difensore dell’indagata (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso del Pubblico Ministero e la conferma dell’ordinanza impugnata;

uditi i difensori dell’indagato (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) ed Avv. (OMISSIS), che hanno concluso riportandosi al ricorso ed alla memoria depositata e chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso del Pubblico Ministero.

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza in data 27/1/2015, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di Roma ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale in data 15/12/2014 nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

Detto sequestro preventivo, anche per equivalente, risulta essere stato emesso Legge n. 356 del 1992, ex articolo 12-sexies in relazione a beni, titoli e danaro nella disponibilita’ dei soggetti sopra indicati sottoposti ad indagini oltre che per tre differenti ipotesi di associazione per delinquere a carattere transnazionale finalizzate all’espletamento di attivita’ di intermediazione finanziaria (mediante agenzie di money transfer) in violazione della specifica normativa di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2007 ed al riciclaggio del denaro cosi’ trasferito all’estero (segnatamente nella Repubblica Popolare di Cina), di altrettanti reati-fine ex articolo 648-bis cod. pen. trattandosi di denaro ritenuto provento dei reati di cui agli articoli 474, 515 e 517 cod. pen. e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4.

Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma, deducendo la violazione di legge con riferimento alla norma di cui all’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), (sic).

Rileva, al riguardo, il ricorrente che il Tribunale del riesame di Roma ha annullato il decreto di sequestro sopra indicato senza alcuna esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui e’ fondata la decisione sostanzialmente limitandosi a sostenere che, in base alle risultanze acquisite, non puo’ affermarsi che tra i reati-fine dell’ipotizzato programma criminoso fosse compreso anche il riciclaggio del denaro trasferito e che gli agenti fossero al corrente, per ogni singola transazione, che le somme trasferite all’estero dai loro clienti, solo perche’ cio’ avveniva in violazione della normativa antiriciclaggio, provenissero effettivamente di volta in volta dalla vendita di merci contraffatte, da altra frode commerciale o da una evasione fiscale penalmente rilevante. Nulla ha detto il Tribunale del riesame circa le ragioni per le quali ha ritenuto l’insussistenza dell’elemento psicologico in relazione ai reati di riciclaggio contestati, nulla ha detto altresi’ circa le ragioni di irrilevanza dell’enorme mole di conversazioni telefoniche ed ambientali intercettate, degli appostamenti di P.G., delle perquisizioni e del quadro indiziario che delinea in tutte le sue sfaccettature le associazioni per delinquere di cui alle contestazioni elevate agli indagati. Nulla ha detto il Tribunale del riesame in ordine alla ritenuta irrilevanza del trasferimento di oltre un miliardo di euro attraverso il compimento di ben 659.320 operazioni sistematicamente realizzate in violazione della normativa antiriciclaggio e, ancora, nulla ha detto il Tribunale del riesame sul perche’ dalla totale ed assoluta disapplicazione da parte degli indagati delle disposizioni in materia di normativa antiriciclaggio, non possa trarsi argomento logico ai fini dell’affermazione che tra i reati-fine dell’associazione non fosse ricompreso anche il riciclaggio ed in ordine alla consapevolezza di cio’ da parte degli indagati legati alle specifiche modalita’ di trasferimento del denaro realizzate attraverso il frazionamento delle somme, con costante ricorso a nominativi falsi e, piu’ in generale con modalita’ di trasferimento del denaro che possono logicamente spiegarsi solo in ragione della consapevolezza degli indagati circa la provenienza illecita del denaro da trasferire.

In data 28/5/2015 la difesa dell’imputato (OMISSIS) ha depositato nella Cancelleria di questa Corte Suprema una memoria difensiva nella quale ha eccepito:

a) l’inammissibilita’ del ricorso del Pubblico Ministero per carenza di interesse atteso che la societa’ (OMISSIS), indagata nel medesimo procedimento ha rinunciato all’impugnazione avverso il provvedimento cautelare reale, con la conseguenza che residua in sequestro la somma di euro 9.120.399 cosi’ garantendo la presenza in sequestro di somma per la quale in astratto sarebbe consentita la confisca;

b) l’inammissibilita’ dell’impugnazione per violazione dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, nonche’ dell’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), in quanto il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti cautelari reali sono consentiti esclusivamente per violazione di legge;

c) l’infondatezza del ricorso per correttezza della motivazione del provvedimento impugnato nonche’ per genericita’ e violazione del principio dell’autosufficienza.

In data 28/5/2015 anche la difesa dell’imputato (OMISSIS) ha depositato nella Cancelleria di questa Corte Suprema una memoria difensiva nella quale ha eccepito:

a) l’inammissibilita’ del ricorso del Pubblico Ministero anche in relazione al mancato rispetto dello stesso del principio dell'”autosufficienza” sopra menzionato;

b) la sostanziale assenza di elementi indiziari nei confronti del (OMISSIS) in ordine al reato ipotizzato in relazione al ruolo professionale dallo stesso rivestito come sarebbe stato evidenziato anche nell’ordinanza emessa nello stesso procedimento dal Tribunale in materia di misure cautelari personali.

Infine in data 29/5/2015 anche la difesa dell’imputata (OMISSIS) ha depositato nella Cancelleria di questa Corte Suprema una memoria difensiva con la quale anch’essa ha sostenuto l’inammissibilita’ del ricorso del Pubblico Ministero in quanto proposto al di fuori dei casi di “violazione di legge” unici per i quali il gravame sarebbe consentito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ fondato.

Va detto immediatamente che sono del tutto inconferenti in questa sede una serie di argomentazioni contenute nelle memorie difensive sopra citate e sulle quali si sono intrattenuti i difensori degli indagati anche nell’odierna fase di discussione, volte a spiegare il ruolo dei propri assistiti nella vicenda de qua, la “gravita’ indiziaria” nei confronti degli stessi (asseritamente insussistente sulla base di una citata ma non prodotta ordinanza in materia di misure cautelari personali) e, piu’ in generale, elementi collaterali alla vicenda che qui ci occupa. E’, infatti, appena il caso di ricordare che questa Corte Suprema e’ Giudice di legittimita’ e non certo di merito, che e’ Giudice del provvedimento e non certo del fatto e che il ricorso in esame verte in materia di misure cautelari reali che sono cosa ben diversa, per i loro presupposti di avviamento, rispetto alle misure cautelari personali ed ancor piu’ diversa rispetto ad una decisione di merito “piena” circa la responsabilita’ penale dei singoli indagati da adottarsi in fase diversa dall’incidente cautelare.

Del tutto inconferente e’ inoltre il fatto che ad altro soggetto (nella specie la societa’ (OMISSIS)) sia stata sottoposta a sequestro preventivo una ingente somma di denaro essendo detta vicenda cautelare non oggetto del ricorso che in questa sede ci occupa ed avendo la stessa una “vita” del tutto autonoma, con conseguente sussistenza dell’interesse del Pubblico Ministero ad impugnare il provvedimento che in questa sede ci occupa.

Il ricorso del Pubblico Ministero per il principio devolutivo dell’impugnazione innanzi a questa Corte Suprema riguarda doglianze afferenti ad uno specifico provvedimento e, in particolare, gli aspetti motivazionali dello stesso e questa e’ la “materia del contendere” che qui ci occupa.

Cosi’ delimitati gli ambiti della presente decisione, deve essere immediatamente evidenziato che il ricorso del Pubblico Ministero (al di la’ della norma impropriamente citata dell’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e) fa espresso richiamo alla “violazione di legge” il che rende infondate le doglianze difensive che lo tacciano di inammissibilita’ tout court.

Come e’ noto in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto puo’ essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali (cfr. anche Cass., Sez. Un., 28/5/2003 n. 12): quando essa manchi assolutamente o sia, altresi’, del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento. Il vizio appare in tal caso qualificabile come inosservanza della specifica norma processuale che impone, a pena di nullita’, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.

Cio’ e’ quanto e’ rilevabile ictu oculi nel caso in esame nel quale l’ordinanza oggetto di gravame, contiene una motivazione sostanzialmente apodittica e, quindi, del tutto apparente.

Detto vizio e’ a tal punto evidente dalla mera lettura del provvedi mento impugnato che non necessita di ulteriori dimostrazioni e che porta a ritenere del tutto infondate le doglianze difensive circa l’assenza di “autosufficienza” del ricorso del Pubblico Ministero.

Infatti, il Tribunale del riesame dopo avere descritto nelle prime due pagine dell’ordinanza i fatti posti a propria conoscenza richiamando gli esiti delle indagini del Nucleo di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza dalle quali e’ emerso che – mediante canali realizzati attraverso una serie di sub-agenzie della succursale italiana della (OMISSIS) Ltd (societa’ di diritto inglese dal 16/1/2012 denominata (OMISSIS) Ltd) che raccoglievano denaro in Italia da inviare all’estero – dal luglio 2010 al 7/1/2013 oltre un miliardo di euro risulta illecitamente trasferito nella Repubblica Popolare Cinese, senza lasciare traccia fiscale in Italia ed in violazione della normativa anti-riciclaggio, e dopo avere indicato che dette operazioni sono avvenute aggirando la soglia imposta dalla legge per il trasferimento di contante da parte del singolo cliente con l’artificioso frazionamento delle operazioni tra piu’ soggetti inesistenti e violando conseguentemente gli obblighi di corretta identificazione dei mittenti e registrazione delle correlate transazioni, ha motivato l’annullamento dell’originario decreto di sequestro limitandosi apoditticamente ad affermare che in base alle risultanze acquisite non puo’ affermarsi che tra i reati-fine dell’ipotizzato programma criminoso fosse compreso anche il riciclaggio del denaro trasferito e che gli agenti fossero al corrente, per ogni singola transazione, che le somme trasferite all’estero dai loro clienti, solo perche’ cio’ avveniva in violazione della normativa antiriciclaggio, provenissero effettivamente di volta in volta dalla vendita di merci contraffatte, da altra frode commerciale o da una evasione fiscale penalmente rilevante. Non v’e’ chi non veda come nel provvedimento impugnato vi sia una profonda discrasia tra la ricostruzione delle emergenze processuali e la laconica affermazione dell’assenza di prova circa la sussistenza in capo agli indagati dell’elemento psicologico dei reati di riciclaggio loro rispettivamente contestati. In materia di provvedimenti cautelari di natura reale questa Corte Suprema ha gia’ avuto di chiarire che “ai fini dell’emissione del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato, non occorre un compendio indiziario che si configuri come grave ai sensi dell’articolo 273 cod. proc. pen., ma e’ comunque necessario che il giudice valuti la sussistenza del “fumus delicti” in concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato astrattamente configurato, in quanto la “serieta’ degli indizi” costituisce presupposto per l’applicazione delle misure cautelari” (Cass. Sez. 3, sent. n. 37851 del 04/06/2014, dep. 16/09/2014, Rv. 260945) e, ancora, che “in tema di sequestro preventivo, ai fini dell’affermazione del “fumus commissi delicti” del reato proprio contestato anche a soggetti che non rivestono la qualifica tipica, e’ necessario che il giudice motivi anche sull’elemento psicologico dell’autore proprio, atteso che la sua mancanza impedisce la stessa astratta configurabilita’ del predetto reato” (Cass. Sez. 5, sent. n. 26596 del 21/05/2014, dep. 19/06/2014, Rv. 262638). Deve pero’ anche essere rimarcato che il potere correttamente conferito al Giudice della cautela reale di valutare anche l’elemento psicologico in capo all’autore del reato non lo esime dal motivare adeguatamente sul punto rapportando sistematicamente l’azione dello stesso compiuta ai fatti che risultano accertati sulla base delle emergenze investigative. Ed e’ appena il caso di evidenziare che l’azione del “motivare” non coincide certo con quella dell'”affermare” ma ne costituisce un imprescindibile complemento per la validita’ dei provvedimenti giudiziari.

Quanto detto deve, inoltre, essere contemperato con il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte Suprema, condiviso anche dall’odierno Collegio, (valevole sia per il reato di ricettazione che per quello di riciclaggio per il cui ultimo e’ peraltro sufficiente “il dolo generico”) secondo il quale “in tema di riciclaggio, la consapevolezza dell’agente in ordine alla provenienza dei beni da delitti puo’ essere desunta da qualsiasi elemento e sussiste quando gli indizi in proposito siano cosi’ gravi ed univoci da autorizzare la logica conclusione che i beni ricevuti per la sostituzione siano di derivazione delittuosa specifica, anche mediata” (Cass. Sez. 2, sent. n. 47375 del 06/11/2009, dep. 14/12/2009, Rv. 246433). Inoltre “in tema di riciclaggio, si configura il dolo nella forma eventuale quando l’agente si rappresenta la concreta possibilita’, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito” (Cass. Sez. 2, sent. n. 8330 del 26/11/2013, dep. 21/02/2014, Rv. 259010).

In materia di ricettazione – ma il principio puo’ ben essere esteso anche al riciclaggio – si e’ poi precisato che “per la configurabilita’ del delitto di ricettazione e’ necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, e la prova dell’elemento soggettivo del reato puo’ trarsi anche da fattori indiretti, qualora la loro coordinazione logica sia tale da consentire l’inequivoca dimostrazione della malafede” (Cass. Sez. 4, sent. n. 4170 del 12/12/2006, dep. 02/02/2007, Rv. 235897).

A cio’ si aggiunga non solo sotto il profilo soggettivo ma anche sotto quello materiale che “ai fini della configurabilita’ del reato di riciclaggio non si richiedono l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile” (Cass. Sez. 6, sent. n. 28715 del 15/02/2013, dep. 04/07/2013, Rv. 257206). Calando ora detti principi nel caso in esame, non puo’ non sorprendere la totale carenza motivazionale dell’ordinanza impugnata (relegata, come detto, a poche righe tali da portarla a considerare una motivazione del tutto “apparente”) in ordine all’analisi dei fatti complessivamente intesi nonche’ in ordine al ruolo rivestito da ciascuno degli indagati investito dal provvedimento cautelare reale e, piu’ in generale, in ordine al “fumus commissi delicti” alla luce di una nutritissima serie di violazioni delle regole poste a presidio delle operazioni antiriciclaggio senza che gli operatori delle societa’ coinvolte abbiano posto in essere (lo si ribadisce: in presenza di centinaia di migliaia di operazioni sospette) alcuna attivita’ finalizzata a prevenire od a frenare il fenomeno delittuoso quantomeno attraverso un’opportuna e tempestiva attivita’ informativa e di cooperazione con le Autorita’ chiamate ad indagare in materia.

Alla luce degli elementi emersi dalle indagini e dei principi sopra indicati appare doveroso l’annullamento dell’ordinanza impugnata affinche’ il Giudice del rinvio fornisca adeguata spiegazione del perche’ non puo’ affermarsi che tra i reati-fine dell’ipotizzato programma criminoso sia compreso anche il riciclaggio del denaro trasferito e quale incidenza per affermare od escludere l’elemento psicologico dei reati di riciclaggio in contestazione assumono le accertate modalita’ di azione (sistematica violazione della normativa finalizzata a prevenire tale reato, frammentazione delle somme di denaro spedite, elevatissimo numero ed ammontare delle operazioni compiute, utilizzo di nominativi di soggetti inesistenti o mancata corretta identificazione degli stessi, irregolarita’ nella registrazione delle operazioni) poste in essere dagli indagati, le posizioni dei quali, singolarmente intese anche al fine della cautela reale, non potranno non essere che analiticamente analizzate alla luce dell’intero compendio probatorio.

Per le considerazioni or ora esposte, l’ordinanza impugnata, affetta da nullita’ per violazione di legge, deve pertanto essere annullata con rinvio al Tribunale di Roma per un nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.

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