Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 22 luglio 2015, n. 15366
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FORTE Fabrizio – Presidente
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12214-2013 proposto da:
(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositato il 06/03/2013, n. 627/12 R.V.;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/06/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto del 18.10.2012, depositato il 3.12.2012, il Tribunale di Vicenza – in modifica, ai sensi della Legge n. 898 del 1970, articolo 9 delle condizioni di divorzio stabilite con sentenza del Tribunale di Torino n. 7999/2002, e gia’ modificate una prima volta con decreto del Tribunale di Vicenza in data 30.3.2006 – determinava l’assegno divorzile dovuto da (OMISSIS) a (OMISSIS) in euro 2.800,00 mensili, annualmente rivalutabili secondo gli indici Istat, a decorrere dal dicembre 2011.
2. Il reclamo ai sensi dell’articolo 739 c.p.c., proposto da (OMISSIS) avverso il suddetto provvedimento, veniva, peraltro, parzialmente accolto dalla Corte di Appello di Venezia, con decreto del 18.2.2013, depositato il 6.3.2013, con il quale il giudice del gravame riduceva l’assegno a carico del reclamante alla somma di euro 2.000,00, compensando tra le parti le spese di lite.
2.1. La Corte territoriale riteneva, infatti, che costituisse fatto notorio, ai sensi dell’articolo 115 c.p.c., la circostanza che un soggetto, gia’ positivamente avviato nella carriera bancaria, ed in possesso – all’epoca della separazione dei coniugi – di uno stipendio molto elevato, potesse conseguire ulteriori miglioramenti e progressioni nel tempo, e reputava che a tali avanzamenti in carriera avesse, di fatto, contribuito anche la moglie, allontanatasi da casa solo quando i figli della coppia erano cresciuti ed ormai in grado di badare a se’ stessi.
2.2. In ogni caso, la mancata produzione dell’ultima dichiarazione dei redditi, da parte del (OMISSIS), costituiva – per la Corte veneta – un comportamento processuale valutabile a suo sfavore, ai sensi dell’articolo 116 c.p.c., inducendo il giudice del gravame a ritenere che la situazione patrimoniale del ricorrente non fosse sostanzialmente mutata, rispetto a quella valutata dal giudice di prime cure.
3. Per la cassazione del decreto del 18.2.2013 ha proposto, quindi, ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’articolo 111 Cost., (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), affidato a due motivi. La resistente ha replicato con controricorso.
4. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con i due motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
1.1. Avrebbe, invero, errato la Corte di Appello nel ritenere che gli emolumenti percepiti dal (OMISSIS) all’apice della carriera costituissero un ragionevole e prevedibile sviluppo di una situazione venutasi a creare gia’ in costanza di matrimonio. In realta’, tali progressioni professionali ed economiche, ad avviso del ricorrente, sarebbero state la conseguenza di esperienze da lui acquisite e maturate solo dopo la separazione ed il divorzio dal coniuge, come tali del tutto indipendenti dalla qualifica in possesso del medesimo al momento della separazione.
1.2. Per il che, contrariamente all’assunto del giudice del gravame, siffatti avanzamenti stipendiali e di carriera – peraltro, neppure compiutamente allegati in giudizio dalla controparte – non varrebbero ad integrare quel fatto certo, poiche’ acquisito al patrimonio culturale di una determinata collettivita’ e, dunque, agevolmente conoscibile mediante i mezzi di informazioni, che rientra nel “fatto notorio” cui fa riferimento l’articolo 115 c.p.c..
2. Le censure suesposte sono inammissibili.
2.1. Va osservato, infatti, che, secondo il costante e tradizionale insegnamento di questa Corte, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento dei giudice, la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e’ apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, esclusivamente nei limiti del vizio di motivazione di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non gia’ dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimita’. Questa Corte ha, invero, piu’ volte chiarito, al riguardo, che la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione e’ rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito ed e’ censurabile, quindi, in sede di legittimita’, solo sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (cfr., ex plurimis, Cass. 14267/2006; 5644/2012; 21603/2013).
2.2. E tuttavia, tale tradizionale orientamento va ora riconsiderato alla luce del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – come riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 convertito in Legge n. 134 del 2012 – che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciarle per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne discende che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e a sua “decisivita’”, fermo restando che il mancato o insufficiente esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie in atti (cfr. Cass. S.U. 8053 e 8054/2014; Cass. 25216/2014; 2498/2015).
2.3. Nel caso di specie, la decisione emessa dalla Corte veneta si fonda sul notorio, costituito dalla progressione in carriera, cui avrebbe contribuito anche la moglie, allontanatasi da casa solo quando i figli della coppia erano cresciuti ed ormai in grado di badare a se’ stessi, nonche’ sulla mancata produzione dell’ultima dichiarazione dei redditi, da parte del (OMISSIS).
Ebbene, la scelta del materiale probatorio sul quale si e’ formato il convincimento del giudicante, ai sensi degli articoli 115 e 116 c.p.c., avrebbe potuto essere censurata da parte del (OMISSIS), non certo allegando – come ha fatto il ricorrente – la violazione dell’articolo 115 c.p.c., per avere il giudice di seconde cure utilizzato quale fonte di convincimento il notorio costituito dalla prevedibilita’ della progressione in carriera di un soggetto gia’ in posizione molto avanzata in costanza di matrimonio. La carenza della decisione di secondo grado, per le ragioni suesposte, avrebbe potuto – per il vero – essere fatta valere, nei limiti introdotti dalla riforma del 2012 alla censura del vizio motivazionale, unicamente allegando l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo della controversia, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2.4. I motivi in esame, poiche’ inammissibili, non possono, pertanto, trovare accoglimento.
3. Per tutte le ragioni esposte, l’intero ricorso proposto da (OMISSIS) va, di conseguenza, dichiarato inammissibile.
4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in euro 5.000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, debba essere omessa l’indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi delle parti, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. articolo 13, comma 1 bis.
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