CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 18 maggio 2015, n. 20440

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIOTTO Maria Cristina – Presidente

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere

Dott. CASA Filippo – Consigliere

Dott. BONI Monica – rel. Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 4292/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del 05/10/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/03/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D’AMBROSIO Vito che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv.to (OMISSIS) in sostituzione dell’Avv.to (OMISSIS) che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e, in subordine, l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 6 luglio 2011, confermava la sentenza del Tribunale di Milano in data 7 maggio 2009, che aveva condannato l’imputato (OMISSIS) alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, in quanto ritenuto responsabile del delitto aggravato di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale, nonche’ di bancarotta semplice in relazione al fallimento, dichiarato con sentenza del 22 aprile 2004, della s.r.l. (OMISSIS).

2.Proposto ricorso avverso detta sentenza, la Corte di Cassazione con sentenza del 17 maggio 2013 nr. 26215 l’annullava senza rinvio quanto al delitto di bancarotta semplice perche’ estinto per prescrizione e con rinvio in riferimento agli altri addebiti per la celebrazione di un nuovo giudizio. Rilevava in particolare che, quanto ai fatti di bancarotta fraudolenta, non era logica, ne’ sufficiente la motivazione con la quale i giudici di merito avevano ritenuto che, sebbene l’imputato avesse rassegnato le dimissioni dalla carica di amministratore unico il 21 luglio 2003, prima del fallimento, egli non era rimasto estraneo alle condotte distrattive e riguardanti la documentazione della societa’, poste in essere in epoca successiva, in quanto le di lui figlie erano dipendenti dell’impresa e potevano avere agito di loro iniziativa e che sulla tenuta della contabilita’ vi erano acquisizioni probatorie circa il suo mancato coinvolgimento.

3. Nel successivo giudizio di rinvio la Corte di Appello di Milano con sentenza del 15 ottobre 2013 riformava parzialmente la sentenza del Tribunale ed assolveva il (OMISSIS) per non aver commesso il fatto dai reati di bancarotta patrimoniale limitatamente al capo 1) punti c) e d) e di bancarotta documentale, e, ferme restando le gia’ concesse circostanze attenuanti generiche, dichiarate prevalenti sull’aggravante contestata, rideterminava in anni due di reclusione la pena, condizionalmente sospesa, per il reato di cui al capo 1) punti a) e b).

3.1 A fondamento della decisione la Corte territoriale rilevava che, pur nell’assenza di prove circa il ruolo svolto dall’imputato quale amministratore di fatto della fallita dopo le sue dimissioni, cio’ nonostante, l’aver omesso di comunicare agli istituti di credito la cessazione dalla carica aveva consentito alle di lui figlie, che pure erano a conoscenza di tale circostanza e conoscevano anche la firma del padre, di effettuare i prelievi contestati dai conti societari; in tal modo egli aveva operato quale “extraneus” in concorso con il legale rappresentante della societa’ nel realizzare le distrazioni senza apparire formalmente.

4. Avverso tale pronuncia l’imputato a mezzo del suo difensore ha nuovamente proposto ricorso, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi: a) violazione dell’articolo 627 cod. proc. pen., comma 3, per non essersi la Corte di Appello uniformata alla decisione della Corte di Cassazione ed avere nuovamente valorizzato l’omessa comunicazione alle banche della cessazione dalla carica di amministratore unico, elemento gia’ considerato irrilevante dalla Cassazione, in quanto comportamento omissivo che non si traduce in un atto concreto di appropriazione. Inoltre, deve ritenersi irrilevante anche la circostanza, indicata dalla Corte d’Appello per dedurne la responsabilita’ dell’imputato, che un assegno dell’importo di euro 3.000,00 era stato tratto in data 2/4/2003 quando egli era ancora amministratore unico, perche’ trattasi di condotta non inclusa nell’ambito della contestazione.

b) Violazione dei principi giuridici che regolano la materia del concorso nel reato proprio: una mera omissione e’ stata trasformata in attivita’ positiva, sostenuta da volonta’ distrattiva, ma la sola volonta’, peraltro non accertata, non puo’ divenire azione penalmente rilevante e rappresentare il positivo contributo causale al fatto commesso dal titolare della posizione di garanzia. Inoltre, pur volendo ammettere che non vi sia violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza, se pero’ la condanna come amministratore di fatto si fondava su una omissione, la stessa non puo’ essere riqualificata come condotta integrante un concorso attivo nel reato commesso da altri: con il venire meno della qualifica, viene meno la posizione di garanzia e, cosi’, difetta la possibilita’ di applicare l’articolo 40 cpv. c.p.. Inoltre, anche le locuzioni impiegate dalla Corte d’Appello, laddove ha affermato che “il prevenuto ha in un certo senso agito con volonta’ di rendere possibili le distrazioni”, sono improprie e non consentono ai sensi dell’articolo 43 cod. pen. di formulare giudizio di responsabilita’ anche alla luce del principio per cui la colpevolezza deve risultare oltre ogni ragionevole dubbio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ fondato e merita dunque accoglimento.

1. In primo luogo deve escludersi che, diversamente da quanto denunciato dal ricorrente, la sentenza impugnata abbia operato l’indebita e non consentita riqualificazione giuridica del fatto laddove ha ritenuto di ravvisare la responsabilita’ del ricorrente, non gia’ in quanto amministratore di fatto della societa’ fallita per avere continuato a gestirla anche nel periodo successivo alle dimissioni dalla carica formale di amministratore unico, ma per essere stato coinvolto nelle condotte distrattive, poste in essere in epoca successiva, quale “extraneus” in concorso col legale rappresentante della societa’. Invero, poiche’ la condotta materiale distrattiva, addebitata nell’imputazione e quella ritenuta in sentenza coincidono nelle caratteristiche fattuali quanto a soggetto coinvolto, oggetto, modalita’ concrete ed effetti, non si riscontra la violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato considerato nella pronuncia di condanna, sanzionata dall’articolo 521 cod. proc. pen., poiche’ non viene modificato il titolo di responsabilita’. In tal senso, in casi similari si e’ gia’ espressa la giurisprudenza di questa Corte con orientamento, cui si ritiene di dover dar seguito (Cass.sez. 5, n. 4117 del 09/12/2009, Prosperi e altro, rv. 246100; sez. 5, n. 39329 del 20/09/2007, Gili, rv. 238210; Sez. 5, n. 13595 del 19/02/2003, Leoni, rv. 224842), che ammette l’operazione compiuta dalla Corte di merito perche’, ferma restando l’azione materiale ascritta e ritenuta commessa, non si ravvisa la colpevolezza per un fatto eterogeneo o incompatibile con quello contestato, ossia non si verifica “una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto cosi’, a sorpresa, di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilita’ di effettiva difesa” (Cass., sez. 5, n. 1842 del 25/11/1998, Pagani, rv. 212351).

2. Quanto alle restanti doglianze, il ricorrente si duole fondatamente del giudizio di responsabilita’ espresso a suo carico. Osserva questa Corte che il confermato verdetto di colpevolezza e’ effetto di una rivalutazione del materiale probatorio condotto in modo approssimativo e con scarni rilievi, che in realta’ investono gli stessi elementi valorizzati nella sentenza di appello, gia’ annullata dalla quinta sezione penale di questa Corte per la loro inconducenza e scarsa significativita’ probatoria.

La sentenza in verifica ha posto a carico del (OMISSIS) la circostanza dell’omessa comunicazione agli istituti di credito delle rassegnate dimissioni dalla carica di legale rappresentante della societa’, nonche’ le operazioni materialmente compiute dalle di lui figlie e dipendenti della societa’ fallita mediante documentazione asseritamente non genuina, perche’ riproducente la sua sottoscrizione, in realta’ contraffatta, ma sotto entrambi i profili l’accertamento della riconducibilita’ al ricorrente delle operazioni distrattive risulta carente e non logicamente giustificato.

2.1 In primo luogo, stante le dimissioni presentate e la cessazione del potere di rappresentanza organica dell’impresa, sul (OMISSIS) non incombeva alcun obbligo di comunicazione ai terzi, compresi gli istituti di credito, di tale mutamento soggettivo nell’organo amministrativo della societa’, che avrebbe dovuto essere assolto dal nuovo amministratore e coimputato. Ne’ la sentenza indica alcun elemento probatorio, dal quale desumere un qualche accordo fra i due, oppure la sollecitazione a tale omissione, proveniente dal dimissionario stesso o comunque per poter ritenere l’esistenza di un qualche apporto materiale o morale, offerto dall’imputato, al compimento della manovra fraudolenta di distrazione anche in riferimento alla posizione, se effettiva o meramente apparente, del nuovo amministratore.

2.2 Non e’ dato poi comprendere, per mancata esposizione delle informazioni probatorie basilari, in base a quali elementi sia stata affermata la falsita’ delle deleghe al compimento delle operazioni bancarie, all’apparenza conferite dall’imputato alle figlie, se tale circostanza emerga da un accertamento oggettivo sulla grafia, oppure sia frutto di indicazioni dichiarative, fornite dall’imputato, da altri soggetti informati sui fatti, oppure dalla curatela. Ne’ si evince in alcun modo che il (OMISSIS) sia stato consapevole dell’avvenuta contraffazione, l’abbia avallata o l’abbia ispirata quale comodo espediente per trarre in inganno l’istituto di credito sulla corretta legittimazione di chi aveva operato sui conti della societa’, sottraendone i fondi, ed al contempo sottrarsi ad ogni responsabilita’ per effetto della compiuta falsificazione da parte di terzi.

In conclusione, il ragionamento probatorio esposto in sentenza e che ha condotto a ravvisare la responsabilita’ del ricorrente in quanto “extraneus”, concorrente con il legale rappresentante della societa’ fallita, presenta tale approssimazione da non poter essere confermato come logico, compiuto ed esauriente a fronte di elementi di reita’, richiedenti una disamina piu’ approfondita, che deve necessariamente essere condotta dal giudice di merito. Per tali considerazioni la sentenza impugnata, che e’ incorsa nei vizi gia’ riscontrati nella precedente pronuncia di questa Corte Suprema, va annullata con rinvio per il rinnovato giudizio da parte di altra sezione della Corte di Appello di Milano.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.

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