Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 10 maggio 2017, n. 22927

Non può essere considerata pena illegale in origine la sanzione complessivamente legittima, ma determinata secondo un percorso argomentativo viziato, come nel caso di un erroneo aumento di pena per le circostanze aggravanti, pur muovendo da una pena base corretta

Suprema Corte di Cassazione

sezione I penale

sentenza 10 maggio 2017, n. 22927

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARCANO Domenico – Presidente

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. ROCCHI Giacomo – rel. Consigliere

Dott. APRILE Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 25/05/2016 del TRIBUNALE di CUNEO;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ROCCHI Giacomo;

lette le conclusioni del PG Dr. ORSI Luigi, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Cuneo, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva l’istanza di (OMISSIS) di alla rideterminazione della pena inflitta dallo stesso Tribunale con sentenza del 7/7/2008.

L’istanza si fondava sull’applicazione da parte del giudice della cognizione di tre aggravanti ad effetto speciale (articolo 219, comma 1, L. Fall.; articolo 219, comma 2 n. 1 L. Fall., recidiva) in contrasto con la sottoposizione della recidiva al regime di cui all’articolo 63 c.p., comma 4, affermata con la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 20798 del 2011.

Il Tribunale osservava che gli aumenti per la seconda e terza aggravante erano stati inferiori ad un terzo, cosi’ da ritenere la decisione conforme al successivo dettato delle Sezioni Unite; riteneva, inoltre, che il mutamento di giurisprudenza anche da parte delle Sezioni Unite della Cassazione non consenta la rideterminazione del trattamento sanzionatorio da parte del giudice dell’esecuzione.

2. Ricorre per cassazione il difensore di (OMISSIS), deducendo violazione dell’articolo 63 c.p., comma 4 e articoli 673 c.p.p..

Contrariamente a quanto sostenuto nel provvedimento, la recidiva contestata era stata considerata dal giudice della cognizione aggravante ad effetto speciale; nonostante l’aumento di pena fosse stato calcolato in misura inferiore ad un terzo, la natura dell’aggravante era rimasta la medesima. Il giudice della cognizione avrebbe dovuto tenere conto del limite posto dall’articolo 63 c.p., comma 4 e non avrebbe dovuto applicare tre distinti aumenti per le tre aggravanti, potendo, al massimo, prevederne due. Peraltro, poiche’ il secondo aumento era facoltativo, avrebbe dovuto essere supportato da idonea motivazione.

Secondo il ricorrente, la possibilita’ di rideterminazione della pena in sede esecutiva scaturisce sia dall’errore di calcolo da parte del giudice della cognizione che dall’intervenuto mutamento giurisprudenziale sulla questione, fermo restando che l’errore sussisteva gia’ all’epoca della decisione.

Il giudice della cognizione aveva irrogato una pena illegale, ossia comminata al di fuori dei limiti legali, cosicche’ il giudice dell’esecuzione poteva ripristinare la legittimita’ della pena, come affermato dal dettato delle Sezioni Unite di questa Corte.

Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso per manifesta infondatezza.

4. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria con motivi nuovi.

Con essa chiede di rilevare l’illegalita’ della pena e di rideterminare la pena irrogata al (OMISSIS) e si sottolinea che, nel caso in esame, non e’ necessario un nuovo accertamento di merito, ma e’ sufficiente un’operazione ricognitiva; si sollecita la rivisitazione della giurisprudenza di legittimita’ che nega la possibilita’ di un intervento del giudice dell’esecuzione sulla scorta di un mutamento giurisprudenziale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato e deve essere rigettato.

La giurisprudenza di questa Corte afferma costantemente che il giudice dell’esecuzione deve intervenire per rimuovere o rettificare la pena principale ove la stessa sia stata inflitta in violazione dei parametri normativamente fissati (Sez. 1, n. 1436 del 25/06/1982, Carbone, Rv 156173; Sez. 3, 24/06/1980, Sanseverino, non mass.; Sez. 5, n. 809 del 29/04/85, Lattanzio, Rv 169333; Sez. 1, n. 4869 del 06/07/2000, Colucci, Rv 216746; Sez. 1, n. 12453 del 03/03/2009, Alfieri, Rv 243742; Sez. 1, n. 38712 del 23/01/2013, Villirillo, Rv 256879; Sez. 4, n. 26117 del 16/05/2012, Toma, Rv 253562; Sez. 1, n. 14677 del 20/01/2014, Medulla, Rv 259733).

Tuttavia, si e’ ribadito che in sede esecutiva l’illegittimita’ della pena puo’ essere rilevata solo quando la sanzione inflitta non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantita’, risulti eccedente il limite legale, ma non quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa e’ stata determinata – salvo che sia frutto di errore macroscopico – trattandosi in questo caso di errore censurabile solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione della sentenza.

In buona sostanza, la condanna a pena illegittima, contenuta in una sentenza non ritualmente impugnata, non puo’ essere rettificata in sede esecutiva, salvo che sia configurabile un’ipotesi di assoluta abnormita’ della sanzione, la pena sia frutto di un errore macroscopico non giustificabile e non di una argomentata, pur discutibile, valutazione, la sanzione sia oggetto di palese errore di calcolo, in grado di comportarne la sostanziale illegalita’.

E cio’ in quanto il principio di legalita’ della pena, enunciato dall’articolo c.p. ed implicitamente dall’articolo 25 Cost., comma 2, informa di se’ tutto il sistema penale e non puo’ ritenersi operante solo in sede di cognizione. Tale principio, che vale sia per le pene detentive sia per le pene pecuniarie, vieta che una pena che non trovi fondamento in una norma di legge, anche se inflitta con sentenza non piu’ soggetta ad impugnazione ordinaria, possa avere esecuzione, essendo avulsa da una pretesa punitiva dello Stato. Si richiama anche l’articolo 7 CEDU, che esclude la possibilita’ d’infliggere una pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato e’ stato commesso (Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015 – dep. 03/12/2015, Butera e altro, Rv. 26510801).

L’intervento del giudice dell’esecuzione, pertanto, e’ possibile solo in presenza di pena illegale.

Non configura un’ipotesi di pena illegale ab origine la sanzione che sia complessivamente legittimama determinata secondo un percorso argomentativo viziato, come nel caso di erroneo aumento della pena per le circostanze aggravanti, pur muovendo da una pena base corretta (Sez. 5, n. 8639 del 20/01/2016 – dep. 02/03/2016, De Paola e altri, Rv. 266080); rientra nella nozione di pena illegale ab origine quella che si risolve in una pena diversa, per specie, da quella stabilita dalla legge, ovvero quantificata in misura inferiore o superiore ai relativi limiti edittali (Sez. 6, n. 32243 del 15/07/2014 – dep. 21/07/2014, P.G. in proc. Tanzi, Rv. 2603260; Sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013 – dep. 21/03/2013, Stagno e altri, Rv. 255197).

Il provvedimento impugnato ha applicato correttamente questi principi: sottolineando che la pena, aumentata in forza della prima aggravante ad effetto speciale, era stata ancora aumentata complessivamente di un terzo in forza delle ulteriori due aggravanti, ha dimostrato che la pena complessivamente inflitta non superava i limiti edittali, rispettando il dettato dell’articolo 63 c.p., comma 4.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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