Acquisto ed accettazione dell’eredità

Acquisto ed accettazione dell’eredità; Espressa, tacita o con beneficio d’inventario

Articolo aggiornato al 17 dicembre 2022

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L’acquisto dell’eredità – l’accettazione dell’eredità

A) INTRODUZIONE

 

ACQUISTO DELL’EREDITÀ

Nel diritto romano solo gli eredi necessari acquistavano automaticamente l’eredità, mentre per gli altri eredi (heredes voluntarii), occorreva un formale atto di accettazione (aditio).

Nel nostro ordinamento, a differenza che in quello francese dove vige il principio c.d. della saisine , per il quale il chiamato all’eredità all’apertura della successione è erede ipso iure (gli eredi sont saisis de plein droit des biens, droits, et actions du défunt , art. 724 c.c. francese), l’accettazione dell’eredità avviene attraverso una specifica manifestazione di volontà del chiamato che dà luogo a due distinte fattispecie, a seconda che la stessa volontà si manifesti esplicitamente o implicitamente.

Nel primo caso avremo accettazione espressa di eredità (art. 475 c.c.) caratterizzata da una esplicita dichiarazione di accettazione del chiamato; nel secondo, ci troveremo di fronte alla fattispecie dell’accettazione tacita di eredità (art. 476 c.c.).

Secondo l’art 459 (acquisto dell’eredità), la qualità di erede si acquista di regola volontariamente mediante l’accettazione, i cui effetti retroagiscono, per una finzione giuridica (finctio iuris) al momento nel quale si è aperta la successione.

L’art. 459 c.c. dispone che l’eredità si acquista con l’accettazione, requisito imprescindibile perché il chiamato all’eredità (tale è il soggetto titolare del diritto di accettare l’eredità, al quale spettano poteri di amministrazione conservativi del patrimonio ereditario ex art. 460 c.c.) consegua lo status di erede.

Al momento dell’apertura della successione, quindi, il soggetto chiamato a succedere (per legge o per testamento) acquisisce il diritto di accettarla, ma non è immediatamente erede. L’art. 474 c.c. specifica che l’accettazione dell’eredità può essere espressa o tacita.

E’ stato anche precisato[1], poi, che il vigente ordinamento non contempla due distinti ed autonomi diritti di accettazione dell’eredità, derivanti l’uno dalla devoluzione testamentaria e l’altro dalla legittima, ma prevede (con riguardo al patrimonio relitto dal defunto, quale che ne sia il titolo della chiamata) un unico diritto di accettazione che, se non viene fatto valere, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal giorno dell’apertura della successione.

Inoltre[2], l’accettazione dell’eredità devoluta per legge costituisce una manifestazione unilaterale di volontà del successibile, non del suo dante causa, che produce l’effetto dell’acquisto dell’eredità ex lege a norma dell’art. 459 c.c. e non in forza di disposizioni del de cuius.

Essa, pertanto, non essendo riconducibile nello schermo negoziale dell’atto traslativo della proprietà, non concreta il requisito del titolo proveniente a non domino, idoneo in astratto al trasferimento della proprietà che deve concorrere con gli altri requisiti previsti dall’art. 1159 c.c. per il compimento dell’usucapione abbreviata[3].

Inoltre, l’accettazione dell’eredità facendo subentrare il successore nell’intero ed indistinto patrimonio del de cuius o in una quota ideale di esso non consente l’accertamento dell’esatta corrispondenza allo specifico immobile posseduto di quello dedotto nel titolo richiesto dall’art. 1159 cit.

art. 459 c.c. acquisto dell’eredità

l’eredità si acquista con l’accettazione (c.c.470 e seguenti). L’effetto dell’accettazione risale al momento nel quale si è aperta la successione (c.c.456, 1146).

 

Il dettato normativo si limita a questa generica elencazione di requisiti, non descrivendo le fattispecie concrete idonee a rappresentare casi di accettazione tacita di eredità (fatte salve le particolari situazioni descritte ai successivi artt. 478 e 479 c.c.) con il risultato di lasciare ampio spazio all’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, nonché all’analisi della casistica pratica.

B) ACQUISTO ED ACCETTAZIONE EX LEGE – ACCETTAZIONE SENZA DICHIARAZIONE

 

Vi sono però ipotesi in cui l’acquisto avviene ex lege anche contro la volontà del chiamato, per sanzionare un suo comportamento lesivo dell’aspettativa dei creditori ovvero pericoloso dal punto di vista dell’individuazione dei beni facenti parte dell’asse ereditario.

 

1) SOTTRAZIONE DI BENI EREDITARI

 

art. 527 c.c.   sottrazione di beni ereditari

i chiamati all’eredità, che hanno sottratto o nascosto beni spettanti all’eredità stessa, decadono dalla facoltà di rinunziarvi e si considerano eredi puri e semplici, nonostante la loro rinunzia.

Si discute in dottrina

  1. se la restituzione spontanea prima della scoperta escluda l’operatività della norma;
  2. se l’appropriazione debba intervenire tra il momento dell’apertura della successione e la eventuale rinunzia, perché solo in questo periodo di tempo il soggetto è chiamato all’eredità

Di certo è che secondo la S.C.[4] nelle ipotesi disciplinate dagli artt. 485, II comma, e 527 c.c. la legge attribuisce direttamente al chiamato la qualità di erede, prescindendo in tutto dalla sua volontà, ritenendola irrilevante pur se esplicitamente difforme.

Inoltre, sempre per la Giurisprudenza di legittimità[5] l’art. 527 c.c., secondo cui i chiamati all’eredità che hanno sottratto o nascosto i beni a questa spettanti, decadono dalla facoltà di rinunziarvi e si considerano eredi puri e semplici, nonostante la loro rinunzia, è applicabile non soltanto nei confronti del chiamato, il quale abbia commesso gli atti di sottrazione o di nascondimento prima della rinunzia all’eredità, ma anche nei confronti del chiamato il quale abbia posto in essere tali atti in un momento successivo, purché il diritto di accettare l’eredità non sia prescritto e questa non sia stata accettata da altri chiamati.

2) MANCATA FORMAZIONE DELL’INVENTARIO

[6]

art. 485 c.c.   chiamato all’eredità che è nel possesso di beni

il chiamato all’eredità, quando a qualsiasi titolo e nel possesso di beni ereditari, deve fare l’inventario entro 3 mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità.

Se entro questo termine lo ha cominciato ma non e stato in grado di completarlo, può ottenere dal pretore del luogo in cui si e aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i 3 m.

Trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice

Compiuto l’inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell’art. 484 ha un termine di quaranta giorni   da quello del compimento dell’inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice

Sul punto ultima giurisprudenza di merito [7] ha affermato che nella successione mortis causa, la delazione ereditaria ed il possesso dei beni ereditari da parte del chiamato, rappresentano circostanze valutabili ai fini dell’accertamento di una eventuale accettazione ex lege, unitamente alla mancata redazione dell’inventario, da sole, tuttavia, non sufficienti ai fini dell’acquisto della qualità di erede, poiché la prima ne costituisce soltanto il presupposto, mentre il secondo non presuppone, di per sé, la volontà di accettare l’eredità. Dunque, l’apertura della successione, la delazione ereditaria, il possesso dei beni ereditari e la mancata tempestiva redazione dell’inventario, rappresentano elementi costitutivi di una eventuale accettazione dell’eredità ex lege, la cui esistenza deve essere provata dal soggetto che deduce detta accettazione tacita come fatto costitutivo della domanda diretta a far valere un credito nei confronti del chiamato, in quanto erede del de cuius. Il possesso dei beni ereditari, in particolare, non deve necessariamente manifestarsi in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà dei beni ereditari, ma si esaurisce in una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato all’eredità, con la conseguenza che la previsione legale si estende ad ogni specie di possesso, quale che ne sia il titolo giustificativo, includendo anche la detenzione a titolo di custodia o di affidamento temporaneo. (Nella specie l’accettazione ex lege consegue all’accertata permanenza dell’erede nel possesso dei beni ereditari senza compilazione dell’inventario entro il termine di tre mesi dal giorno dell’apertura della successione, con conseguente realizzazione della fattispecie ex art. 485, comma 3, c.c.).

 

3) ACQUISTO DA PARTE DELLO STATO

 

Si ha quando è stato accertato, in modo definitivo, che non vi siano più chiamati, non solo testamentari, ma neppure legittimi.

Ciò può avvenire o perché essi mancano in modo assoluto, o perché hanno perduto il diritto di accettare (per rinunzia, prescrizione, decadenza) e in questo caso l’acquisto dell’eredità da parte dello stato avviene in un secondo momento e non alla morte del de cuius.

Verificatasi la vacanza, poiché non è ammissibile nell’interesse dei terzi (creditori e legatari) che il patrimonio del de cuius resti senza titolare, succede lo Stato (art. 586).

art. 586 c.c.   acquisto dei beni da parte dello Stato

in mancanza di altri successibili (c.c.459, 572) l’eredità è devoluta allo Stato (c.c.473). L’acquisto si opera di diritto senza bisogno di accettazione e non può farsi luogo a rinunzia.

Lo Stato non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquistati.

Si può affermare che la ragione della successione (intra vires hereditatis) dello stato è nella sua funzione pubblica, e questa funzione viene realizzata utilizzando un mezzo tecnico apprestato dal diritto privato, qual è la successione a titolo di erede.

 

C) ACCETTAZIONE

 

Libro II delle successioni – Titolo I delle disposizioni generali sulle successioni – Capo V dell’accettazione dell’eredità – sezione I disposizioni generali – 470 – 483

 

art. 474 c.c.   modi di accettazione

l‘accettazione può essere espressa o tacita.

 

Soggetti legittimati all’accettazione (logicamente oltre al chiamato)

  • Rappresentante legale o volontario

A differenza del testamento (che atto personalissimo) è possibile l’accettazione mediante rappresentante.

È perciò consentita anche la rappresentanza volontaria (quella legale è prevista per i nascituri e per gli interdetti a favore, rispettivamente, dei genitori e del tutore);

non è sufficiente una procura generale, ma occorre una procura speciale o anche generica.

È anche, coerentemente, valida l’accettazione compiuta dal falsus procurator la quale, sarà, naturalmente, efficace solo quando verrà ratificata dal chiamato.

  • Curatore fallimentare[8]

La sua legittimazione è espressamente prevista dall’art. 35 della legge fallimentare.

Questa norma trova la sua giustificazione nella natura stessa del fallimento che toglie al fallito la disponibilità del suo patrimonio.

  • Gestore d’affari

È preferibile la tesi positiva[9], perché deve ammettersi la c.d. utile gestione rappresentativa anche in ordine al negozio di disposizione.

Non occorrerà, coerentemente, la ratifica dell’interessato qualora l’accettazione si possa considerare rispondente al requisito dell’utiliter coeptum.

 

  • Creditore del chiamato

La dottrina prevalente[10] lo esclude che l’accettazione possa essere compiuta mediante l’azione surrogatoria (art. 2900 c.c.) da parte dei creditori personali dell’erede, questo perché la ragione, comunemente addotta,

  • per cui il chiamato debitore perderebbe il diritto di rinunziare,
  • ma anche perché nella formula dell’art. 2900 non rientra il diritto di accettare l’eredità (non esercitatile nei confronti di un soggetto passivo);
  • e infine perché esso ha natura di diritto potestativo che presuppone un obbligo e non una mera soggezione.

 1) ACCETTAZIONE ESPRESSA

art. 475 c.c.     accettazione espressa

l’accettazione e espressa quando, in un atto pubblico (c.c.2699) o in una scrittura privata (c.c.2702), il chiamato all’eredità ha dichiarato di accettarla oppure ha assunto il titolo di erede.

E’ nulla la dichiarazione di accettare sotto condizione o a termine.

Parimenti è nulla la dichiarazione di accettazione parziale di eredità.

 

Natura giuridica

è un NEGOZIO GIURIDICO[11] che rientra nell’ampia categoria dei negozi per adesione, detti anche complementari, i quali presuppongono l’esistenza di una determinata situazione giuridica intesa come offerta in senso generale, la quale ha bisogno, per divenire attuale e concreta, di un atto di accettazione.

E poiché nella successione mortis causa l’offerta è costituita dalla delazione, l’accettazione dell’eredità è un negozio conclusivo di una fattispecie a formazione progressiva che appunto inizia con la delazione.

Per la S.C.[12] la qualità di erede può conseguire esclusivamente all’accettazione espressa, che si configura come un negozio unilaterale non recettizio, o tacita, che si configura come un comportamento concludente del chiamato all’eredità. Ne consegue che tale qualità, per gli effetti che si determinano nella sfera del chiamato, deve necessariamente essere ricondotta alla volontà di quest’ultimo, non potendo scaturire da dichiarazioni di terzi.

Irrecettizio

La dichiarazione infatti è efficace a prescindere dalla conoscenza che i terzi ne abbiano e non deve essere indirizzata o notificata nemmeno agli eventuali controinteressati (in specie ai successibili di grado inferiore).

L’accettazione peraltro può essere inserita in uno speciale registro, detto delle successioni, che è tenuto presso cancelleria del luogo ove si è aperta la successione: si tratta tuttavia di un tipico caso di pubblicità notizia, che non incide minimamente sulla validità dell’atto.

 Negozio puro (actus legitimus)

La dichiarazione non può essere condizionata o a termine, a pena di nullità a differenza di quanto è statuito in materia di disposizione testamentaria, là dove il termine si ha per non apposto e le condizioni sia sospensive che risolutive sono ammesse.

Questo perché ciò che è permesso al de cuis per il principio del favor testamenti, non è dunque permesso al chiamato all’eredità, per quella esigenza di certezza e celerità nella successione che si è già visto essere alla base del disposto dell’art 485 ed è anche alla base dell’art. 481.

 Formale

Atto pubblico o scrittura privata

Sul punto si riporta recente sentenza della S.C.

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 21 settembre 2020, n. 19711.

che ha avuto modo di sottolineare quanto segue:

ai sensi dell’articolo 934 c.c. 1865, come ai sensi dell’articolo 475 c.c., vigente, si ha accettazione espressa dell’eredita’ ogni qualvolta il chiamato assuma il titolo di erede in una scrittura privata; trattasi di autonomo negozio giuridico unilaterale e non ricettizio, che conserva appieno la sua validita’, ancorche’, per effetto della mancata registrazione ai sensi del R.Decreto Legge 27 settembre 1941, n. 1015, sia stata colpita da nullita’ la distinta convenzione, eventualmente contenuta nello stesso documento (Sez. 2, n. 3021, 25/08/1969, Rv. 342923; si veda pure, Sez. 2, n. 4426, 24/02/2009);
fermo restando che l’accertamento se il chiamato all’eredita’ abbia assunto il titolo di erede in un atto pubblico o in una scrittura privata, al fine di ritenere che il medesimo abbia accettato espressamente l’eredita, e’ rimesso al giudice del merito (Sez. 2, n. 1486, 14/07/1965, Rv. 312828), non consta che la sentenza impugnata abbia proceduto a verificare se i riportati atti, che si e’ limitata prendere in esame al solo fine di verificare se si fosse in presenza di accettazione tacita, riportino alla diversa fattispecie dell’accettazione espressa;

Irrevocabilità

Nel nostro ordinamento vige il principio secondo cui semel eres, sempre eres.

Pertanto, non solo non può apporsi un termine finale all’accettazione, ma essa è irrevocabile in coerenza con il principio della certezza, a tutela

  • dei creditori e, più in generale,
  • degli stessi traffici commerciali.

 

Nullità dell’accettazione parziale

questa disposizione, così come quella contenuta all’art. 533 c.c., dimostra al di là di ogni dubbio quanto a suo tempo detto con riguardo alla qualità di erede: con l’accettazione non si acquista questo o quel bene ma piuttosto la qualità di erede come tale, qualità che è ovviamente unitaria ed indivisibile[13].

La normativa in esame ha fatto sorgere, in dottrina e in giurisprudenza, la questione se sia possibile accettare la quota di eredità devoluta per legge, rifiutando quella devoluta per testamento, e viceversa.

Qualche autore[14] sostiene la tesi positiva, basandosi soprattutto sul dettato dell’art.457 c.c. che prevedrebbe una duplicità di delazioni alla quale dovrebbe corrispondere una duplicità di accettazioni.
È preferibile la tesi negativa[15], seguita dalla dottrina prevalente e da dalla Cassazione[16], secondo la quale non esistono più delazioni, ma un’unica delazione complessa, come è confermato dall’art. 483 c.c., che prevede l’ipotesi di colui il quale, avendo accettato quale erede legittimo, resti erede (sia pure con responsabilità limitata) anche se si scopre che egli, invece, è erede testamentario in base ad un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’apertura della successione

2) ACCETTAZIONE TACITA

 

In generale, come già scritto ampiamente, la giurisprudenza di legittimità[17], ritiene che la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sè sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, perchè a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c.

Per una non recente sentenza della Cassazione[18] l’accettazione tacita dell’eredità può desumersi dall’esplicazione di una attività personale del chiamato, con la quale venga posto in essere un atto di gestione incompatibile con la volontà di rinunziare e non altrimenti giustificabile se non in veste di erede; deve, quindi, trattarsi di un comportamento del successibile tale da presupporre necessariamente la volontà di accettare.

Principio ripreso anche da altra recente Cassazione.

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 22 gennaio 2020, n. 1438.

l’accettazione tacita di eredita’, che si ha quando il chiamato all’eredita’ compie un atto che presuppone la sua volonta’ di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualita’ di erede, puo’ essere desunta anche dal comportamento del chiamato, che abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volonta’ di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volonta’ di accettare.

L’indagine relativa alla esistenza o meno di un comportamento qualificabile in termini di accettazione tacita, risolvendosi in un accertamento di fatto, va condotta dal giudice di merito caso per caso (in considerazione delle peculiarita’ di ogni singola fattispecie, e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura e dell’importanza, oltreche’ della finalita’, degli atti di gestione), e non e’ censurabile in sede di legittimita’, purche’ la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o da errori di diritto.

 

art. 476 c.c.  accettazione tacita

l’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede

La volontà di accettare va valutata ad una stregua soggettiva e non oggettiva: non si deve cioè aver riguardo alla natura dell’atto compiuto ma all’animus del chiamato che lo compie.

In ogni caso poi il chiamato deve essere capace di intendere e volere, a conoscenza dell’avvenuta delazione in suo favore e non aver subito violenza.

Per altra pronuncia della S.C.[19] non solo gli atti dispositivi, ma anche gli atti di gestione possono dar luogo all’accettazione tacita dell’eredità, secondo l’accertamento compiuto caso per caso dal giudice di merito, in considerazione della peculiarità di ogni singola fattispecie e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura ed importanza nonché della finalità degli atti di gestione compiuti dal chiamato.

In ogni caso occorre che si tratti di atti incompatibili con la volontà di rinunziare e non altrimenti giustificabili se non con la veste di erede, mentre invece sono privi di rilevanza tutti quegli atti che, ammettendo come possibili altre interpretazioni, non denotano in maniera univoca un’effettiva assunzione della qualità di erede, come avviene, ad esempio, col pagamento delle imposte di successione, che ha natura e finalità meramente fiscali.

In altri termini ci sono:

1)   Atti che determinano l’acquisto dell’eredità

Il primo di questi è rappresentato dall'”atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare“; deve quindi trattarsi di un atto che, secondo la valutazione obiettiva e per sua intrinseca natura postula necessariamente l’acquisto dell’eredità

2)   Atti di straordinaria gestione del patrimonio

Il secondo requisito, sempre oggettivo, è dato dall’atto che il chiamato “non avrebbe il diritto di fare se non nella sua qualità di erede“.

In altre parole bisogna accertare se il chiamato si sia mantenuto o meno nei limiti della conservazione e dell’ordinaria amministrazione del patrimonio ereditario; in caso positivo non si avrà accettazione tacita e il soggetto rimarrà mero chiamato all’eredità mentre in caso negativo, ossia se abbia sorpassato tali limiti, avrà compiuto un atto che gli farà acquistare lo status di erede.

Visti i requisiti che la legge pone perché si abbia accettazione tacita di eredità, in linea generale si può affermare che tutti gli atti previsti dall’art. 460 c.c. (disciplinante i poteri del chiamato prima dell’accettazione, e cioè: compimento di azioni possessorie a tutela dei beni ereditari; compimento di atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea) non provochino la mutazione delle status da chiamato a erede.

Casistica

l’accettazione tacita può risultare:

1)   da una dichiarazione:

a)      vendita[20],

b)      promessa di vendita[21],

c)      donazione o proposta contrattuale[22] in ordine ad un bene ereditario;

d)      l’accettazione di somme di pertinenza dell’asse ereditario[23];

e)      la concessione di ipoteca su beni ereditari[24];

2)   da un comportamento:

a)   pagamento, anche in proprio favore, di un debito ereditario con denaro prelevato dall’asse [25];

b)  il conferimento di un mandato[26] a compiere tutti gli atti relativi all’amministrazione dei beni ereditari[27];

c)   da istanza per la voltura catastale dei beni immobili del defunto[28];

d)  la riscossione di un assegno rilasciato al de cuius in pagamento di un suo credito[29];

e)   l’istanza, avanzata dal chiamato, di voltura di una concessione edilizia già richiesta dal de cuius[30];

f)    Gestione di affari; infatti per la S.C.[31] l’accettazione tacita di eredita può avvenire anche per mezzo di negotiorum gestio concernente i relativi beni, ove intervenga la ratifica del chiamato a norma dell’art. 2032 c.c., in quanto tutte le ragioni che si oppongono alla configurabilità di un’accettazione tacita di eredità per effetto della gestione di affari compiuta nell’interesse del chiamato e relativa ad atti di amministrazione tra cui, in particolare, la necessità che essa sia desumibile da un comportamento del successibile, che potrebbe rifiutare l’eredità oltre che per ragioni economiche anche per motivi di ordine morale sono superate dalla successiva ratifica del medesimo, cosicché gli effetti del negozio posto in essere dal gestore si esplicano nella sfera del dominus con efficacia retroattiva.

Sul punto, la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 novembre 2021| n. 33516

di recente ha avuto modo di precisare che l’accettazione tacita di eredità – pur potendo avvenire attraverso negotiorum gestio, cui segua la successiva ratifica del chiamato, o per mezzo del conferimento di una delega o dello svolgimento di attività procuratoria – può tuttavia desumersi soltanto da un comportamento del successibile e non di altri, sicché non ricorre ove solo l’altro chiamato all’eredità, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la successiva ratifica del suo operato, abbia fatto richiesta di voltura catastale di un immobile del de cuius.

 

3)   dall’inizio di un’azione giudiziaria:

  1. l’azione di riduzione [32];
  2. la domanda per la pronuncia d’indegnità;
  3. azione di petizione [33];
  4. simulazione[34],
  5. impugnativa di disposizioni testamentarie [35];
  6. divisione ereditaria[36];
  7. l’esercizio di un’azione di risoluzione[37] di un contratto stipulato dal de cuius
  8. la mancata opposizione a decreto ingiuntivo determina l’accettazione tacita dell’eredità[38];
  9. l’accettazione tacita dell’eredità il ricorso alla commissione tributaria contro l’avviso di accertamento del maggior valore notificato dall’amministrazione finanziaria e la successiva stipulazione di un concordato per la definizione della controversia perché questi atti, indipendentemente dalla specifiche intenzioni del chiamato alla eredità, non sono meramente conservativi ma tendono alla definitiva soluzione della questione fiscale[39], come confermato anche da ultima Cassazione
    Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 31 ottobre 2016, n. 22017
  10. l’esperimento da parte del chiamato dell’azione di regolamento di confini[40] è atto idoneo per l’accettazione tacita dell’eredità, perché, a differenza della denunzia di successione e del pagamento della relativa imposta, eccede la mera gestione conservativa dei beni dell’asse ereditario[41].

Viceversa non comportano accettazione

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 22 gennaio 2020, n. 1438.

  • la vendita di cose mobili di poco valore per pagare il funerale;
  • l’impossessamento d’indumenti personali del defunto;
  • lasciare cose personali nell’immobile ereditario posseduto dagli altri chiamati che hanno poi accettato;
  • la consegna dei beni ereditari da parte del chiamato all’esecutore testamentario;
  • la registrazione e la trascrizione del testamento del de cuius;
  • il pagamento di un debito del de cuius effettuato dal chiamato con denaro proprio[43]
  • la vendita di alcuni beni mobili del compendio ereditario effettuata dal chiamato per fare fronte ad una propria esposizione debitoria[44];
  • l’immissione nel possesso dei beni ereditari[45].

La dichiarazione (o denuncia) di successione ed assolvimento della relativa imposta

Per quanto riguarda in particolare l’ipotesi, frequentemente ricorrente nella prassi (e foriera di discussioni tra parenti), della dichiarazione di successione e dell’assolvimento della relativa imposta, la dottrina e la giurisprudenza assolutamente prevalenti sono concordi nel ritenere che tale adempimento (presentazione della domanda e assolvimento della relativa imposta) non costituisca normalmente atto comportante accettazione, avendo natura e rilevanza essenzialmente fiscale, con la funzione di portare a conoscenza dell’amministrazione tributaria i dati necessari per la riscossione del tributo.

Pertanto, con riferimento alla sola presentazione della dichiarazione di successione, la giurisprudenza prevalente[46], come accennato, risolve la questione in modo deciso e sicuro nel senso di ritenere che la mera presentazione non comporti accettazione per i motivi già sinteticamente esposti.

Fanno eccezione isolate pronunce a mente delle quali la denuncia di successione, pur costituendo un atto preordinato a fini essenzialmente fiscali e non comportante, quindi, ex se , l’accettazione tacita dell’eredità, può costituire un elemento indiziario liberamente valutabile dal giudice di merito.

Per quel che concerne, invece, la seconda fattispecie (assolvimento dell’imposta di successione), andrebbe distinto il caso in cui il tributo venga pagato o meno attingendo dai beni ereditari.

Nel primo caso esso comporterebbe l’accettazione tacita dell’eredità in quanto in tale ipotesi si starebbe disponendo di beni ereditari per cui l’atto conterrebbe in modo univoco anche la connessa volontà di divenire erede.

Nella seconda ipotesi (pagamento effettuato con denaro proprio) si dovrebbe invece indagare, volta per volta, sull’effettiva volontà del solvens.

In conclusione, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti sono concordi nel ritenere che entrambe le descritte fattispecie (presentazione e pagamento dell’imposta) possano essere effettuate senza che ciò comporti ipso facto, l’acquisto in capo al soggetto dello status di erede, potendone al massimo costituire elementi indiziari, che andranno quindi valutati in un più ampio contesto.

La disciplina relativa all’imposta di successione art. 5, D.P.R. n. 637/1972 rilevava la mera chiamata all’eredità ai fini della individuazione del soggetto passivo, eccezione che è stata, tuttavia, superata con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 346/1990.

Nella nuova disciplina, infatti, nonostante nell’art. 5, sia stata ripetuta la formula dell’art, 5, D.P.R. n. 637/1972 e nonostante l’art. 7, comma 4, esplicitamente equipari i chiamati agli eredi stabilendo che “fino a quando l’eredità non è stata accettata, o non è stata accettata da tutti i chiamati, l’imposta è determinata considerando come eredi i chiamati che non vi hanno rinunziato”, è chiarito dall’art. 36, comma 3, che “fino a quando l’eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all’eredità, o quelli che non hanno ancora accettato, e gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione della successione, esclusi i legatari, rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti”.

La riforma supera le conseguenze ritenute inique della precedente legislazione, vigente la quale il chiamato all’eredità per questo solo fatto assumeva ai fini dell’imposta di successione la qualità di soggetto passivo: ma anche nella vigenza del D.P.R. n. 637/1972 solo l’erede (cioè il chiamato all’eredità che abbia poi accettato) è l’obbligato in via definitiva al pagamento dell’imposta di successione, mentre il chiamato all’eredità può considerarsi responsabile dell’imposta solo in via provvisoria, come è possibile argomentare anche dalla disposizione di cui all’art. 47, comma 3, d.p.r. n. 637/1972, la quale prevede che nell’ipotesi in cui sia mutata la devoluzione dell’eredità l’imposta pagata debba essere rimborsata.

Ma se con riferimento all’applicazione dell’imposta di successione il sistema normativo sembra dare prevalenza, sia pur provvisoria, alla delazione sull’accettazione, è più difficile pensare che tale prevalenza valga anche quando non dell’imposta di successione si tratti, ma, come nel caso di specie, di debiti del de cuius, sia pure di natura tributaria: in questo caso l’accettazione dell’eredità deve tornare ad essere una condizione imprescindibile affinchè possa affermarsi l’obbligazione del chiamato all’eredità a rispondere dei debiti ereditari.

É certo comunque che non può ritenersi obbligato a rispondere nè dei debiti del de cuius nè dell’imposta di successione (nemmeno a titolo provvisorio) il chiamato che abbia rinunciato all’eredità ai sensi dall’art. 519 c.c., alla inserzione dell’atto di rinuncia all’eredità nel registro delle successioni.

Sul punto è intervenuta altra recente sentenza della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 17 luglio 2018, n. 19030.

secondo la quale fino all’accettazione dell’eredità chi non è in possesso di beni ereditari, non deve rispondere dell’imposta di successione e chi ne è possessore non deve risponderne oltre il limite del valore dei beni posseduti.

Natura giuridica

Teoria negoziale

Alcuni autori[47] ritengono che, nell’accettazione c.d. tacita, è richiesta la volontà effettiva di accettare l’eredità, implicitamente manifestata tramite quell’atto che può compiere soltanto l’erede.

Si tratterebbe, precisamente, secondo un’autorevole dottrina[48], di un negozio giuridico d’attuazione, categoria contrapposta ai negozi di dichiarazione, perché la volontà non è manifesta, ma attuata attraverso un comportamento.

Teoria dell’atto non negoziale

Prevale in dottrina[49] la teoria secondo la quale l’accettazione tacita non è un negozio giuridico, ma un semplice atto cui la legge attribuisce l’effetto dell’acquisto dell’eredità senza che abbia rilievo la concreta volontà di accettare da parte del chiamato.

È sufficiente, in altri termini, il compimento di un atto da parte del chiamato che obiettivamente presupponga la volontà di accettare e che egli non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.

È stato osservato che in presenza dei requisiti legislativamente richiesti la stessa riserva espressa (protestatio contra factum) non avrebbe alcuna rilevanza, non farebbe venir meno il valore di accettazione ereditaria che l’atto obiettivamente presenta.

Se Tizio, consapevole di essere chiamato all’eredità, distrugge un bene, dichiarando che in tal modo non intende compiere un atto di accettazione, diventerà ugualmente erede.

Secondo tale filone giurisprudenziale[50] l’avverbio “necessariamente” contenuto nella formulazione della norma di cui all’art. 476 c.c. escluderebbe che l’accettazione tacita dell’eredità si fondi su una reale ed effettiva volontà di accettare da parte del chiamato, valorizzando il solo aspetto dell’obiettivo comportamento tenuto dal chiamato stesso.

In altri termini, l’accettazione tacita dell’eredità sarebbe atto giuridico in senso stretto, vale a dire un atto dove rileverebbe solo la consapevolezza dell’autore di incidere sull’eredità mediante comportamenti oggettivi, senza che rilevi l’aspetto soggettivo-volontaristico, cioè la considerazione e programmazione degli effetti del medesimo atto.

Inammissibilità della prova contraria

La natura giuridica dell’accettazione tacita non ha valore puramente teorico, perché incide sul problema relativo all’ammissibilità o non della prova contraria.

È, infatti, consentita solo l’indagine volta ad accertare se il soggetto abbia voluto porre in essere quel determinato comportamento, giuridicamente rilevante ai sensi degli artt. 476 e 477, e che sia consapevole di essere chiamato all’eredità.

Non è, invece, richiesta una prova diretta a ricercare se il chiamato, nel compiere atti da erede, abbia realmente voluto l’effetto che la legge ricollega al suo comportamento, vale a dire l’acquisto dell’eredità.

3) ACCETTAZIONE PRESUNTA

Per la Giurisprudenza ci troviamo di fronte a 2 casi di accettazione presunta, ma è pacifico che pur qualificandosi come ipotesi di accettazione tacita, il giudice non deve compiere alcuna indagine soggettiva circa l’animus del chiamato che tiene il comportamento tipizzato dalla norma.

La Donazione dei diritti di successione in favore di tutti i chiamati

art. 477 c.c.     donazione, vendita e cessione dei diritti di successione

la donazione, la vendita (c.c.1542) o la cessione, che il chiamato all’eredità faccia dei suoi diritti di successione a un estraneo o a tutti gli altri chiamati o ad alcuno di questi, importa accettazione dell’eredità.

 

Il chiamato

  • da un lato è il successore a tutti gli effetti;
  • dall’altro è donante cosicché il rapporto con i terzi chiamati donatari sarà regolato dalle norme sulla donazione

 

Per le sezioni unite[51] la cessione dei diritti ereditari importa per il cedente accettazione dell’eredità, sia che si faccia riferimento alla disciplina dettata dall’art. 477 c.c. vigente, sia che si abbia riguardo all’art. 936 del codice abrogato.

Trattasi di una figura di accettazione presunta, che si affianca all’accettazione tacita, dalla quale si discosta in quanto non impone al giudice l’indagine richiesta dall’art. 476 c.c. ciascuno dei contratti menzionati nell’art. 477 c.c., se in rapporto all’efficacia traslativa dei diritti di successione viene in rilievo in quanto atto negoziale, considerato invece per il valore sintomatico (qual è presunto iuris et de iure) che esso presenta, in relazione all’acquisto dell’eredità, si colloca sul terreno dei fatti; con la conseguenza che la prova dell’accettazione presunta, al pari di quella dell’accettazione tacita, non soggiace ai limiti che concernono la prova del contratto, anche sotto il profilo della sua collocazione nel tempo, per cui, ai fini della certezza, nei confronti dei terzi, della data dell’atto da cui deriva l’accettazione presunta, non è necessaria la trascrizione o registrazione dell’atto stesso.

La rinunzia

art. 478 c.c.    rinunzia che importa accettazione

la rinunzia ai diritti di successione, qualora sia fatta verso corrispettivo o a favore di alcuni soltanto dei chiamati, importa accettazione.

Secondo un autore[52] questa non è una rinunzia in senso tecnico: la rinunzia infatti è un negozio abdicativo, mentre nel caso di specie si è in presenza di un negozio traslativo di carattere dispositivo, regolato, per la sua bilateralità o comunque per la sua struttura a rilievo bilaterale, dalle norme sul contratto e non dall’art. 526. Lo stesso è a dirsi per le fattispecie di cui all’art. 477, che sono tutte contrattuali.

Per la S.C.[53] la rinunzia ai diritti di successione, fatta dal chiamato verso un corrispettivo o a favore di alcuni degli altri chiamati, importa, a differenza dalla rinunzia pura e semplice, l’accettazione dell’eredità con conseguente acquisto della qualità di erede.

Per l’atto di rinunzia occorre solo la qualità di chiamato all’eredità e non quella di erede, la quale può derivare al chiamato soltanto dall’accettazione.

 

4) ESERCIZIO DEL DIRITTO

art. 480 c.c.   prescrizione

il diritto di accettare l’eredità si prescrive in 10 anni (c.c.2946).

Il termine decorre dal giorno dell’apertura della successione (c.c.456) e, in caso d’istituzione condizionale (633 e s.s.), dal giorno in cui si verifica la condizione (c.c.2935).

Il termine non corre per i chiamati ulteriori, se vi è stata accettazione da parte di precedenti chiamati e successivamente il loro acquisto ereditario e venuto meno.

Un così lungo termine mal si accompagna a quella celerità della vicenda successoria voluta dall’ordinamento a tutela dei traffici; è ben vero che, specialmente i creditori e i legatari, possono ricorrere alla nomina di un curatore dell’eredità giacente, ma è anche vero che se questo istituto tutela i terzi non tutela i potenziali chiamati all’eredità che hanno un’aspettativa ereditaria di grado ulteriore rispetto al chiamato che non sciogli il dubbio.

art. 481 c.c.   fissazione di un termine per l’accettazione (ACTIO INTERROGATORIA)

chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine (C.p.c. 749) entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare (c.c.488).

Accettazione da parte del curatore dello scomparso – l’accettazione in suo nome e conto di eredità o di legati gravati da pesi o condizioni sempreché risulti la necessarietà dell’atto, potendo l’acquisto, non procrastinabile – ad es. alla scadenza del termine fatto fissare con l’apposita actio interrogatoria – evitare la vendita di beni dello scomparso.

Per recente Cassazione[54] la perdita del diritto di accettare l’eredità ex art. 481 c.c. comporta anche la perdita della qualità di chiamato all’eredità e di conseguenza l’inefficacia della chiamata all’eredità per testamento con l’ulteriore conseguenza che non si verifica la coesistenza di una successione testamentaria e di una successione legittima, ma si apre esclusivamente la successione legittima e, in conseguenza dell’inefficacia della devoluzione testamentaria, l’eredità, ai sensi dell’art. 457 c.c. si devolve per legge; infatti nel nostro sistema, il fenomeno devolutivo dei beni e l’individuazione degli eredi e dei legatali possono trovare indistintamente fondamento sia nella legge che nella volontà del testatore; proprio il richiamato articolo stabilisce che occorre farsi luogo alla successione legittima, quando manca in tutto o in parte quella testamentaria; il concorso tra le due vocazioni è riconducibile ad un rapporto di reciproca integrazione.

Inoltre, è opportuno precisare, come ha avuto modo di fare la Cassazione[55], che la fissazione di un termine per l’accettazione (o la rinuncia) dell’eredità è possibile anche quando il chiamato sia incapace[56].

Decorrenza del termine

Il termine per l’accettazione decorre dal giorno dell’apertura della successione.

Si discute se il termine possa essere interrotto o sospeso.

Per autorevole dottrina[57] la risposta dovrebbe essere negativa.

Quello di accettare è un potere più che un diritto, comunque non di credito, ma potestativo, cosicché non sarebbe configurabile un rapporto giuridico da sospendere, né un debitore cui notificare l’atto interruttivo. Tale non è infatti il chiamato di grado successivo.

La Giurisprudenza

  • ritiene, invece, per es. se l’accettazione è fatta da un falsus procurator, la prescrizione è interrotta e, iniziando a decorrere un nuovo termine prescrizionale, la ratifica può intervenire entro i successivi 10 anni;
  • inoltre, trattandosi di prescrizione, se ci sono più chiamati ad accettare l’eredità, potrebbe rinunziarvi, anche tacitamente, cosicché, non operando la prescrizione ipso iure, detto diritto, non più indebolito nella sua tutela della possibilità dell’eccezione, riacquisterebbe il proprio vigore come se il termine decennale ex 480 non fosse decorso. Il riconoscimento del diritto da parte di chi ne beneficerebbe del suo mancato esercizio sarebbe invece irrilevante.

Secondo ultima Cassazione[58] l’art. 480, I comma c.c. prevede che il diritto di accettare l’eredita si prescrive in dieci anni; il termine decorre dall’apertura della successione, e in caso di istituzione condizionale dal giorno in cui si verifica la condizione; il II comma stabilisce che il termine non corre per i chiamati ulteriori se vi sia stata accettazione da parte dei precedenti chiamati dell’eredità e successivamente il loro acquisto è venuto meno.

Orbene, da un canto, va osservato che in tema di accettazione della eredità non operano gli atti interruttivi della prescrizione, attesa la natura potestativa del diritto, che si realizza con il compimento dell’atto in cui si concreta l’accettazione; d’altro lato, il termine – definito dalla legge di prescrizione – è soggetto alle cause ordinarie di sospensione e agli impedimenti legali, non ricorrendo altri fatti impeditivi del suo decorso.

Precedentemente la medesima Corte di Cassazione[59] stabiliva che è necessario, ai fini della soluzione della questione oggetto di esame, muovere dalla premessa che l’articolo 459 c.c., nel prescrivere che l’eredità si acquista con l’accettazione, si riferisce all’eredità in sè considerata, a prescindere dai titolo della chiamata, legittima o testamentaria, presupponendo quindi un concetto unitario di acquisto dell’eredità stessa.

In tale contesto deve essere letto l’articolo 480 c.c. che stabilisce il termine di decorrenza della prescrizione decennale del diritto di accettare l’eredità in ogni caso dal giorno dell’apertura della successione, e, in caso di istituzione condizionale, dal giorno in cui si verifica la condizione, senza porre quindi alcuna distinzione con riferimento al tipo di devoluzione; ai sensi del comma III della suddetta norma, poi, quando i primi chiamati abbiano accettato l’eredità, ma successivamente vengono rimossi gli effetti dell’accettazione, il suddetto termine non corre per gli ulteriori chiamati, decorrendo quindi dal giorno in cui costoro hanno la possibilità giuridica di accettare.

La conferma della scelta del legislatore di stabilire un termine decennale di prescrizione del diritto di accettazione dell’eredità decorrente dal giorno dell’apertura della successione sia in caso di successione legittima che testamentaria (fatte salve le espresse eccezioni previste dallo stesso articolo 480 c.c.) è offerta dall’articolo 483 c.c. che, dopo aver disposto al comma I che l’accettazione dell’eredità non si può impugnare se viziata da errore, prevede al II comma che se si scopre un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione, l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell’eredità, o con pregiudizio della porzione legittima che gli è dovuta.

Invero tale disposizione – dalla quale si evince che, una volta accettata l’eredità, non si pone più un problema di prescrizione del diritto di accettazione della stessa in base ad un testamento scoperto successivamente – attribuisce rilievo ad un testamento che sia stato rinvenuto a distanza di tempo dall’apertura della successione in quanto, temperando il rigore di quanto sancito al I comma, ne prevede l’efficacia senza che esso debba essere accettato, sia nell’ipotesi che detto testamento sia più favorevole per il chiamato (qualora gli attribuisca una quota maggiore di eredità o altri beni) sia nell’ipotesi opposta, stabilendo il principio del limite dell’obbligo di soddisfare i legati entro il valore della dell’eredità; pertanto, la norma in esame esclude due autonomi diritti di accettazione dell’eredità, in quanto, se così fosse, l’erede sarebbe tenuto a soddisfare i legati previsti nel testamento scoperto successivamente soltanto a seguito dell’accettazione di tale testamento; invece l’obbligo per l’erede di soddisfare i legati, sia pure nei limiti sopra enunciati, a seguito della scoperta di un testamento di cui non si aveva conoscenza al tempo dell’accettazione dell’eredità – e quindi il dettato legislativo secondo il quale l’accettazione sulla base della originaria delazione resta valida, ma alla prima successione si sovrappone quella testamentaria nei termini suddetti – inducono logicamente alla conclusione che l’accettazione è unica indipendentemente dal titolo della chiamata, conformemente all’orientamento consolidato di questa Corte[60] – secondo cui il vigente ordinamento non contempla due distinti ed autonomi diritti di accettazione dell’eredità, derivanti l’uno dalla devoluzione testamentaria e l’altro dalla legittima, ma prevede (con riguardo al patrimonio relitto dal defunto, quale che ne sia il titolo della chiamata) un unico diritto di accettazione che, se non viene fatto valere, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal giorno dell’apertura della successione.

In merito, poi, alla rinuncia (tacita) secondo la Cassazione[61] la rinuncia tacita ad avvalersi della prescrizione, ai sensi dell’art. 2937, III comma, c.c., deve risultare da un comportamento del tutto incompatibile con la volontà di opporre la causa estintiva, non altrimenti interpretabile se non nel senso di ritenere non estinto il diritto altrui. Non integra tali requisiti il comportamento processuale che in sé rappresenta una necessaria difesa dei propri diritti, anche a fronte di altrettante pretese o eccezioni avanzate dalla controparte. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso di poter ravvisare una rinuncia tacita alla prescrizione del diritto del chiamato ad accettare l’eredità nella proposizione dell’eccezione di usucapione di un bene ereditario da parte dell’acquirente del medesimo bene.

I chiamati ulteriori

Prima di tutto bisogna chiedersi se essi abbiano, fin dal momento dell’apertura della successione, il diritto di accettare l’eredità e se siano abilitati a compiere gli atti di amministrazione previsti dall’art. 460 c.c.

Teoria positiva (delazione simultanea)

Una parte della dottrina[62] e della giurisprudenza[63] ritiene che la delazione si verifica immediatamente anche a favore dei chiamati ulteriori, i quali, pertanto acquisterebbero il diritto di accettare l’eredità al momento dell’apertura della successione

L’acquisto dei chiamati in subordine è, infatti, sottoposto alla condicio iuris (per rinunzia o prescrizione) del mancato acquisto da parte dei primi chiamati.

Questa teoria si basa sulle seguenti argomentazioni

  • sull’art. 480 2 co “Il termine non corre per i chiamati ulteriori se vi è stata accettazione da parte di precedenti chiamati e successivamente il loro acquisto ereditario è venuto meno”, da ciò si deduce che fuori da questa ipotesi, la prescrizione per i chiamati ulteriori decorre dall’apertura della successione, poiché a norma dell’art. 2935, la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui può essere fatta valere.
  • sull’art. 479, il quale stabilendo che se il chiamato all’eredità muore senza averla accettata il diritto di accettare si trasmette agli eredi, non distingue tra i primi chiamati e i chiamati ulteriori

Per altro autore[64] il termine (di prescrizione) non decorre per i chiamati ulteriori ma solo se vi è stata accettazione da parte dei chiamati precedenti e il loro acquisto ereditario sia poi venuto meno, ad es. per invalidità del testamento o per dichiarazione d’indegnità , per rinunzia.

La ratio di queste norme non è chiara: così in caso di istituzione condizionata sospensivamente: poiché la delazione non può considerarsi sospesa ma solo subordinata nei suoi effetti finali all’avveramento della condizione, essendo essa un effetto legale ed automatico derivante dall’apertura della successione, che a sua volta dipende da un fatto storico non condizionabile quale è la morte, è possibile ipotizzare un’accettazione in pendenza dell’avveramento della condizione, onde la mancata decorrenza del termine, non potendosi far risalire al disposto di cui all’art. 2935, secondo cui la prescrizione decorre solo dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, risponde solo a motivi di opportunità.

È singolare, invece, che l’ordinamento giuridico faccia decorrere anche per il chiamato il termine di prescrizione per l’accettazione (salvo che il primo chiamato abbia già accettato) nonostante che egli sia solo un destinatario potenziale della delazione.

Oltre tutto egli rischia di veder prescritto il diritto di accettare se il primo chiamato non in possesso di beni lasci trascorrere invano il primo decennio, salvo ricorrere all’actio interrogatoria (naturalmente più breve del termine decennale di prescrizione – con tale sistema essi potranno far divenire attuale nei loro confronti la delazione e quindi procedere all’accettazione entro il termine), che è pur sempre un fastidioso onere.

 

Teoria negativa  

La dottrina[65] preferibile e la recente Cassazione[66], sostiene che al momento dell’apertura della successione non vi è ancora delazione a favore dei chiamati ulteriori, come è confermato dallo stesso diritto positivo e, precisamente, dagli artt. 522 e 523, dai quali si evince che l’eredità “si devolve” al chiamato ulteriore solo quando venga a mancare la delazione del chiamato precedente.

art. 522 c.c.   devoluzione nelle successioni legittime

nelle successioni legittime la parte di colui che rinunzia si accresce a coloro che avrebbero concorso col rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione (c.c.467 e segg.) e salvo il disposto dell’ultimo comma dell’art. 571. Se il rinunziante e solo, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse.

 

art. 523 c.c.   devoluzione nelle successioni testamentarie

nelle successioni testamentarie, se il testatore non ha disposto una sostituzione (688) e se non ha luogo il diritto di rappresentazione, la parte del rinunziante si accresce ai coeredi a norma dell’art. 674, ovvero si devolve agli eredi legittimi a norma dell’art. 677.

Quanto poi al disposto dell’art. 480, III comma, non si dubita che si tratti di una norma di difficile inquadramento, ma, al fine di chiarirne il significato, è possibile ricorrere all’art. 481 (actio interrogatoria), secondo il quale chiunque vi ha interesse, e fra questi rientra, certamente il chiamato ulteriore, può chiedere all’autorità giudiziaria di fissare un termine entro cui il precedente chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità, con la sanzione di perdere la delazione a suo favore.

Orbene, questa facoltà strumentale al diritto di accettare l’eredità giustifica l’eccezionale deroga alla regola generale per cui il decorso della prescrizione ha inizio non dal momento dell’insorgere del diritto (art. 2935), ma dall’insorgere della predetta situazione preliminare.

Da ultimo la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|6 ottobre 2022| n. 29146

ha affermato che la formale revoca della rinuncia sopraggiunta in pendenza del termine per l’accettazione dell’eredità fissato, ai sensi dell’art. 481 c.c., all’erede in rappresentazione, senza che questi abbia accettato, impedisce che possa aver luogo l’accrescimento a favore dei chiamati congiuntamente con il rinunziante; una volta concesso il termine, infatti, l’accrescimento può realizzarsi solo dopo lo spirare di esso e sempre che, nel frattempo, non sia intervenuta la revoca della rinunzia da parte del rinunziante o l’accettazione da parte del chiamato per rappresentazione.

Necessità dell’eccezione

Tuttavia, secondo i principi generali in tema di prescrizione, questa, per operare, deve essere eccepita da chi vi ha interesse.

Pertanto se nessuno dei soggetti interessati eccepisce l’avvenuta prescrizione è possibile, da parte del chiamato ulteriore, effettuare un’accettazione tardiva, anche tacita, attraverso la vendita di un immobile.

5) IMPUGNAZIONE PER VIOLENZA E DOLO

art. 482 c.c.   impugnazione per violenza o dolo

l’accettazione dell’eredità si può impugnare quando e effetto   di violenza o di dolo (c.c.1434 e seguenti).

L’azione si prescrive in 5 anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo (c.c.1442).

 

Ci si può chiedere che cosa avvenga in caso d’impugnativa da parte dell’accettante

  1. se egli debba essere considerato come rinunziante, con possibilità di applicazione dell’art 525 (revoca della rinunzia)?
  2. Ovvero torni alla condizione giuridica di semplice chiamato, ex 521 precludendo così l’accettazione da parte dei chiamati ulteriori?

Per autorevole dottrina[67] la prima soluzione appare la più equa sul piano della coerenza dei comportamenti, ma la seconda sembra doversi preferire almeno nei limiti in cui non sia configurabile una rinunzia per comportamento concludente pienamente opponibile.

 

6) IMPUGNAZIONE PER ERRORE

 

art. 483 c.c.    impugnazione per errore

l’accettazione dell’eredità non si può impugnare se è viziata da errore.

Tuttavia, se si scopre un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione, l’erede (662 e seguente) non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell’eredità, o con pregiudizio della porzione legittima che gli e dovuta (536 e seguenti). Se i beni ereditari non bastano a soddisfare tali legati, si riducono proporzionalmente anche i legati scritti in altri testamenti. Se alcuni legegatari sono stati già soddisfattiatti per intero, contro di loro è data azione di regresso.

L’onere di provare il valore dell’eredità incombe all’erede

 

Non è ammessa

Per la dottrina si ritiene che la norma riguardi l’errore vizio e non quello ostativo (errore nella dichiarazione) – Tizio accetta, per errore nella dichiarazione, l’eredità di Caio invece dell’eredità di Sempronio – di cui all’art. 1433, mancando in tal caso la stessa volontà di accettare.

 

La ratio

Normalmente la ratio, dell’irrilevanza dell’errore nell’accettazione è ravvisata nel fatto che, ad evitare sorprese, il chiamato può sempre accettare con beneficio d’inventario, ma in tal modo si sottovaluta il profilo personale dell’errore.

Per un autore[68] vi sono problemi interpretativi riguardo

  1. Errore sulla persona: non sembra così logico escludere l’impugnativa per errore sulla persona del de cuius non già sotto il profilo dell’avvenuta morte (è evidente che l’accettazione di un’eredità di persona solo creduta defunta ed invece ancora in vita è del tutto irrilevante per assenza di delazione) quanto sotto il profilo delle qualità personali e morali del defunto che spesso hanno un peso decisivo nell’indurre il chiamato all’accettazione o alla rinunzia (si pensi a chi è chiamato a succedere a persona di cui ignorava le attività truffaldine o l’appartenenza a cosche mafiose).
  2. Errore di diritto: parimenti potrebbe porsi un problema in caso di errore sulla portata giuridica della delazione: si accetta ritenendo di essere chiamati come legatari mentre in realtà la chiamata era a titolo di erede.

 

 

Scoperta di un testamento posteriore

La pecularietà della norma (art. 1483 2 co) sta non tanto nella ribadita intangibilità della quota di riserva (ma in tal caso l’erede legittimario pretermesso dal legato non deve esperire come di regola l’azione di riduzione, potendo opporre la lesione in via d’eccezione, al fine di non eseguire il legato) quanto nella previsione di una limitazione di responsabilità patrimoniale analoga a quella discendente dalla accettazione con beneficio d’inventario. In altri termini la norma, pur riconfermando la non impugnabilità dell’accettazione per errore vizio, concede all’erede che ha accettato, ignorando il testamento, vantaggi analoghi a quelli dell’accettazione beneficiata, i quali però sono circoscritti nell’ambito dei legati, restando esclusa ogni limitazione per debiti ereditari.

Per la Cassazione[69] – come già ampiamente letto (repetita iuvant) premesso che il vigente ordinamento giuridico non contempla due distinti ed autonomi diritti di accettazione dell’eredità, derivanti l’uno dalla devoluzione testamentaria e l’altro da quella legittima, ciascuno soggetto ad un proprio termine di prescrizione, ma prevede (con riguardo al patrimonio relitto dal defunto, quale che ne sia il titolo della chiamata) un unico diritto d’accettazione, che, se non viene fatto valere, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal giorno dell’apertura della successione, e che se è, invece, esercitato, mediante l’accettazione dell’eredità devoluta per legge consente al chiamato ed ai terzi – nel caso di testamento successivamente scoperto, qualunque sia il tempo trascorso dalla apertura della successione, di chiederne l’esecuzione, sia nella ipotesi in cui il testamento sia più favorevole al chiamato (perché ad esempio gli attribuisce una quota maggiore rispetto a quella devoluta per legge ovvero beni ulteriori) sia nell’ipotesi opposta, nel qual caso però vige il principio secondo cui l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti nel testamento oltre il valore dell’eredità o con pregiudizio della porzione di legittima che gli è dovuta.

 

7) LA TRASMISSIONE DEL DIRITTO DI ACCETTARE (VOCAZIONE INDIRETTA)

 

In generale, quando il chiamato sia premorto al de cuius, opera la rappresentazione, ma che cosa succede se il chiamato muore dopo l’apertura della successione, ma prima di aver accettato o rinunziato ?

In questo caso la delazione successiva non opera perché al posto del chiamato defunto subentrano, a prescindere dal doppio grado di parentela previsto per la rappresentazione, i suoi eredi legittimi o testamentari, i quali troveranno nel patrimonio, tra i vari diritti quello di accettare (anche tacitamente l’eredità del primo de cuius).

Si trasferisce la delazione poiché oltre all’accettazione si trasmettano tutti i poteri previsti dall’art. 460 c.c.

Presupposti della trasmissione

a differenza di quanto avviene nella rappresentazione, il trasmissario deve essere capace e degno di succedere nei confronti del trasmittente (il suo vero dante causa) e non nei confronti dell’originario de cuius.

art. 479 c.c.   trasmissione del diritto di accettazione

se il chiamato all’eredità muore senza averla accettata, il diritto di accettarla si trasmette agli eredi.

(l’ipotesi di pluralità di trasmissari) Se questi non sono d’accordo per accettare o rinunziare, colui che accetta l’eredità acquista tutti i diritti e soggiace a tutti i pesi ereditari, mentre vi rimane estraneo chi ha rinunziato.

La rinunzia all’eredità propria del trasmittente include rinunzia all’eredità che al medesimo è devoluta.

 

Inoltre, per la S.C.[70], la facoltà di accettazione tacita dell’eredità a norma dello art. 476 c.c., spetta anche agli eredi del chiamato alla eredità il quale sia deceduto prima di averla accettata, in quanto, secondo l’art. 479, la delazione resta identica nel passaggio dal chiamato al suo erede, con la conseguenza che quest’ultimo oltre ad accettare l’eredità così come poteva accettarla il suo autore, può compiere, rispetto all’eredità, il cui diritto di accettare gli viene trasmesso, tutti gli atti spettanti al chiamato che prima della sua morte non abbia accettato la eredità.

È stata considerata[71] anche un’ipotesi non regolata dal legislatore, vale a dire quella in cui chi muore senza aver accettato non sia il primo chiamato, ma un chiamato in subordine e, successivamente alla sua morte, il primo chiamato rinunzi all’eredità.

Si fa l’esempio del de cuius che lascia, morendo ab intestato, come primo chiamato il figlio e, come secondo chiamato, il fratello. Se quest’ultimo muore e, dopo la sua morte il figlio del de cuius rinunzia all’eredità (e nei confronti di quest’ultimo non ricorre il fenomeno della rappresentanza), si discute se il diritto di accettare si trasmetta o no agli eredi del fratello suddetto.

La risposta al quesito è affermativa sulla base del principio stabilito dall’art. 521, secondo il quale chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato; pertanto il secondo viene considerato, a tutti gli effetti, come primo chiamato.

art. 521 c.c.    retroattività della rinunzia

chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato

Il rinunziante può tuttavia ritenere la donazione o domandare il legato a lui fatto sino alla concorrenza della porzione disponibile (556), salve le disposizioni degli artt. 551 e 552.

In merito alla rinunzia, come da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 4 luglio 2016, n.13599

Nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 c.c. in tema di rinunzia all’eredità – la quale determina la perdita del diritto all’eredità ove ne sopraggiunga l’acquisto da parte degli altri chiamati – l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni, o anche a mezzo di scrittura privata autenticata), senza possibilità di equipollenti.

La rinunzia all’eredità non fa venir meno la delazione del chiamato, stante il disposto dell’art. 525 c.c. e non è, pertanto, ostativa alla successiva accettazione, che può essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante (che, nella specie, si era costituito in giudizio, allegando la sua qualità di crede e riportandosi alle difese già svolte dal “de cuius”) sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria

 

8) LA PUBBLICITÀ DELL’ATTO DI ACCETTAZIONE

 

art. 2648 c.c.  accettazione di eredità e acquisto di legato

si devono trascrivere l’accettazione della eredità (c.c.470 e seguenti) che importi acquisto dei diritti enunciati nei nn. 1, 2 e 4 dell’art. 2643 o liberazione dai medesimi e l’acquisto del legato (c.c.649) che abbia lo stesso oggetto

La trascrizione dell’accettazione dell’eredità si opera in base alla dichiarazione del chiamato all’eredità, contenuta in un atto pubblico ovvero in una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (C.P.C. 220).

Se il chiamato ha compiuto uno degli atti che importano accettazione tacita dell’eredità (c.c.476 e seguenti), si può richiedere la trascrizione sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sott.one autenticata o accertata giudizialmente.

La trascrizione dell’acquisto del legato si opera sulla base di un estratto autentico (c.c.2703) del testamento.

 

Il codice vigente, a differenza di quello del 1865, all’art. 2648, prevede la trascrizione dell’accettazione dell’eredità che importi acquisto dei diritti enunciati nei nn. 1 – 2 – 4 dell’art. 2643 c.c.

Di regola la trascrizione degli acquisti mortis causa è disposta ai fini della continuità delle trascrizioni relative ai singoli trasferimenti.

Quindi, l’effetto sostanziale della trascrizione degli acquisti mortis causa consiste non nell’opponibilità dei medesimi ai terzi, ma nell’efficacia delle successive trascrizioni o iscrizioni eseguite a carico dell’erede e relative a beni dell’eredità.

Per quanto riguarda il legato si deve trascrivere, non essendo prevista un’accettazione, l’estratto autenticato del testamento.

Come stabilito da ultima Cassazione[72] l’acquisto della qualità di erede prescinde dalla trascrizione ex articolo 2648 c.c., così come da questa prescinde l’individuazione del vero erede, in quanto la trascrizione dell’acquisto mortis causa non vale a dirimere il conflitto tra più aventi causa dallo stesso autore ai sensi dell’articolo 2644 c.c., non potendosi configurare alcun conflitto tra due acquirenti mortis causa dal medesimo de cuius, dato che almeno uno sarà privo di titolo valido ed efficace.

La trascrizione dell’accettazione dell’eredità assicura però il rispetto del principio della continuità delle trascrizioni di cui all’articolo 2650 c.c., attribuendo efficacia alle successive trascrizioni o iscrizioni eseguite a carico dell’erede e relative a beni dell’eredità (.

Se la trascrizione dell’acquisto mortis causa non é effettuata, le trascrizioni ed iscrizioni successive, compresa la trascrizione del pignoramento, non producono effetto a carico dell’acquirente successivo, ai sensi dell’articolo 2650, comma I; ma se, ai sensi dell’articolo 2650, comma II, la continuità viene ripristinata, le successive trascrizioni ed iscrizioni producono effetto secondo il loro ordine rispettivo (salvo il disposto dell’articolo 2644 c.c.).

Perciò, una volta trascritta l’accettazione di eredità e ripristinata la continuità delle trascrizioni (nel presupposto che non vi siano trascrizioni o iscrizioni intermedie e quindi non operi l’articolo 2644 c.c.), pur dopo la trascrizione del pignoramento, questo mantiene i suoi effetti e la trascrizione del successivo decreto di trasferimento avrà, a sua volta, effetto contro coloro che abbiano iscritto o trascritto diritti in epoca successiva alla trascrizione del pignoramento.

Sempre per la medesima sentenza la norma ex art. 2648 c.c. consente che, in mancanza di trascrizione dell’accettazione proveniente dall’erede, se il chiamato ha compiuto uno degli atti che importano accettazione tacita dell’eredità, chiunque possa richiedere la trascrizione di quell’atto, qualora risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.

Non vi sono dubbi, si continua a leggere nella sentenza, che la richiesta di trascrizione possa provenire anche dal creditore di colui che abbia assunto la qualità di erede accettando tacitamente mediante atto che rivesta le forme anzidette. Ed, invero, mentre si deve escludere che i creditori personali dell’erede possano compiere essi stessi atti di accettazione dell’eredità mediante l’esercizio dell’azione surrogatoria ex articolo 2900 c.c., diversa é l’ipotesi in cui l’atto di accettazione esista e ne manchi la trascrizione, da effettuarsi ai sensi dell’articolo 2648 c.c., comma III.

art. 2643 c.c.   atti soggetti a trascrizione

si devono rendere pubblici (disp.di att. al c.c. 26 c.c.1403 ) col mezzo della trascrizione (c.c. 2652,2915):

1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili (c.812)

2) i contratti (c.1350, 2651) che costituiscono, trasferiscono o modificano il diritto di usufrutto (c.c.978 e seguenti) su beni immobili, il diritto di superficie (c.c.952 e seguenti), i diritti del concedente e dell’enfiteuta (c.c.957 e seguenti);

3) i contratti che costi.ono o modificano servitù prediali (c.1027 e ss), il diritto di uso sopra beni imm., il diritto di abi.ne (c.c.1021 e ss);

Inoltre, è opportuno ricordare, come statuito nella sentenza già citata[73], che in materia di espropriazione immobiliare, qualora sia sottoposto a pignoramento un diritto reale su un bene immobile di provenienza ereditaria e l’accettazione dell’eredità non sia stata trascritta a cura dell’erede – debitore esecutato, il creditore procedente, se il chiamato all’eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita dell’eredità, può richiedere, a sua cura e spese, la trascrizione sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata od accertata giudizialmente, anche dopo la trascrizione del pignoramento, ripristinando cosi la continuità delle trascrizioni ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2650 c.c., comma II, purché prima dell’autorizzazione alla vendita ai sensi dell’articolo 569 c.p.c.

Se, invece, il chiamato all’eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita dell’eredità ma questo non sia trascrivibile, perché non risulta da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, ovvero se si assume che l’acquisto della qualità di erede sia seguito ex lege ai fatti di cui agli articoli 485 o 527 c.c., non risultando questo acquisto dai pubblici registri, la vendita coattiva del bene pignorato ai danni del chiamato presuppone che la qualità di erede del debitore esecutato sia accertata con sentenza.

9) LA LEGITTIMAZIONE IN GIUDIZIO E L’ONERE PROBATORIO

 

Secondo il costante orientamento della Corte[74], confermato anche da recente sentenza[75], nella ipotesi di morte di una delle parti in corso di giudizio, la relativa legitimatio ad causam si trasmette (salvo i casi di cui agli artt. 460 e 486 c.c.) non al semplice chiamato all’eredità, bensì (in via esclusiva) all’erede, tale per effetto di accettazione, espressa o tacita, del compendio ereditario, non essendo la semplice delazione (conseguente alla successione) presupposto sufficiente per l’acquisto di tale qualità, nemmeno nella ipotesi in cui il destinatario della riassunzione del procedimento rivesta la qualifica di erede necessario del de cuius, occorrendone, pur sempre, la materiale accettazione.

Al riguardo, è stato precisato[76] che il ricorso per riassunzione ad opera della parte non colpita dall’evento interruttivo, notificato individualmente nei confronti dei chiamati all’eredità, è idoneo ad instaurare validamente il rapporto processuale tra notificante e destinatario della notifica, se questi riveste la qualità di successore universale della parte deceduta ex art. 110 c.p.c.

In tal caso, la parte che procede alla riassunzione ha l’onere di individuare i chiamati all’eredità rispetto ai quali sussistono, in tesi se non dispone di precisi riscontri documentali, le condizioni legittimanti l’accettazione dell’eredità. I chiamati all’eredità, per il solo fatto di aver ricevuto ed accettato la predetta notifica, non assumono la qualità di erede, ma hanno l’onere di contestare, costituendosi in giudizio, l’effettiva assunzione di tale qualità ed il conseguente difetto di legitimatio ad causam, così da escludere la condizione di fatto che ha giustificato la predetta riassunzione.

Tale eccezione, tuttavia, in ragione della sua natura sostanziale, introduce una questione che va risolta nel merito e, quindi, non può essere denunciata per la prima volta con il ricorso per cassazione.

Più nello specifico, è stato puntualizzato che, in caso di riassunzione del processo dopo la morte della parte, la legittimazione passiva può essere individuata allo stato degli atti, cioè nei confronti dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta – o conoscibile con l’ordinaria diligenza – alcuna circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto a mancare (rinuncia, indegnità, premorienza, ecc).

La funzione dell’atto di riassunzione è, infatti, quella di proseguire il giudizio, mettendo i controinteressati in condizione di venire a conoscenza della lite e di svolgervi le proprie difese, ivi inclusa quella avente ad oggetto l’eventuale sopravvenuta carenza della loro legittimazione o del loro interesse a contraddire.

Allorché, pertanto, il venir meno del titolo non risulti da atti o fatti agevolmente conoscibili dai terzi (registro delle successioni, trascrizioni nei registri immobiliari, ecc), ma da cause o da eventi non ancora verificatisi alla data della notificazione dell’atto, la riassunzione è da ritenere regolare, qualora la legittimazione passiva sussista con riferimento a quanto legalmente risulta allo stato degli atti.

In tal caso, viene a gravare sui convenuti in riassunzione l’onere di dimostrare il contrario e se del caso di chiarire la loro posizione in tempo utile.

Ciò vale in particolar modo nei casi simili a quello in esame, in cui la causa debba essere riassunta nei confronti degli eredi della parte defunta, ed il venir meno della qualità di erede dipenda da una libera scelta dell’interessato, qual è la rinuncia all’eredità, non ancora esternata alla data della notificazione dell’atto di riassunzione[77].

Mentre, come da ultima pronuncia delle sezioni unite[78], l’incidenza sul processo degli eventi previsti dall’articolo 299 c.p.c., (morte o perdita di capacità della parte) é disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell’ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’articolo 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione. Tale posizione giuridica é suscettibile di modificazione nell’ipotesi in cui, nella successiva fase d’impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale della parte divenuta incapace, oppure se il procuratore di tale parte, originariamente munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza o notifichi alle altri parti l’evento verificatosi, o se, rimasta la medesima parte contumace, l’evento sia documentato dall’altra parte (come previsto dalla novella di cui alla Legge n. 69 del 2009, articolo 46), o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ai sensi dell’articolo 300 c.p.c., comma 4. Ne deriva che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, a norma dell’articolo 285 c.p.c., é idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale della parte divenuta incapace; b) detto procuratore, qualora gli sia originariamente conferita procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, é legittimato a proporre impugnazione (ad eccezione del ricorso per cassazione, per la proposizione del quale é richiesta la procura speciale) in rappresentanza della parte che, pur deceduta o divenuta incapace, va considerata nell’ambito del processo ancora in vita e capace; c) é ammissibile l’atto di impugnazione notificato, ai sensi dell’articolo 330 c.p.c., comma 1, presso il procuratore, alla parte deceduta o divenuta incapace, pur se la parte notificante abbia avuto diversamente conoscenza dell’evento.

 

Inoltre, per giurisprudenza consolidata di Cassazione[79], avallata da altro recente arresto [80], è noto, che nelle successioni mortis causa la delazione, che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sè sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione: mediante adizione oppure per effetto di gestione dei beni ereditari oppure per la ricorrenza delle condizioni stabilite dall’art. 485 c.c.

Sicchè, in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede, incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale posto dall’art. 2697 c.c., l’onere di provare l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, che non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma conseguendo solo all’accettazione di eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta, quindi, un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità.

Quest’ultimo principio è stato confermato da altra sentenza[81] a mente della quale la parte che abbia un titolo legale che le conferisca il diritto di successione ereditaria – come la vedova del de cuius, che è erede legittima e legittimaria – non è tenuta a dimostrare di avere accettato l’eredità, qualora proponga in giudizio domande che di per sé manifestino la volontà di accettare, qual è la domanda diretta a ricostituire l’integrità del patrimonio ereditario, tramite azioni di rendiconto e di restituzione di somme riscosse da terzi per conto del de cuius, gravando, in questi casi, su chi contesti la qualità di erede l’onere di eccepire la mancata accettazione dell’eredità ed eventualmente i fatti idonei ad escludere l’accettazione tacita, che appare implicita nel comportamento dell’erede.

Infine, secondo altra Cassazione[82] l’onere di provare la qualità di erede, gravante sul soggetto che agisce in giudizio in tale qualità, viene meno quando la controparte abbia tardivamente sollevato eccezioni in proposito (nella specie con la comparsa conclusionale di primo grado), dopo avere accettato il contraddittorio senza alcuna contestazione al riguardo.

D) ACCETTAZIONE CON BENEFICIO D’INVENTARIO

Libro II delle successioni – Titolo I – delle disposizioni generali sulle successioni – Capo V – dell’accettazione dell’eredità – sez. II – del beneficio d’inventario – 484 – 511

Il chiamato all’eredità può evitare ogni pericolo in ordine alle conseguenze patrimoniali dell’acquisto della qualità di erede operando un’accettazione con beneficio d’inventario, la quale ha l’effetto di limitare la responsabilità dell’erede entro i limiti di valore del patrimonio relitto dal de cuius opponibile ai terzi in via di eccezione.

L’accettazione con beneficio d’inventario può essere inquadrata tra i modi di una diligente e oculata cura degli interessi del chiamato, in quanto istituto posto a presidio della sfera patrimoniale dello stesso.

In forza di un meccanismo di separazione patrimoniale, l’erede che accetta con beneficio d’inventario risulta responsabile dei debiti ereditari e dei legati solo intra vires hereditatis, ovvero non oltre il valore dei beni ereditari, e cum viribus hereditatis, cioè con i beni ereditari e non con i propri, fino a concorrenza del valore dei beni ereditari

Tale istituto del beneficium inventarii fu introdotto in epoca giustinianea e successivamente approdato nel Codice civile del con un’unica innovazione: la previsione della liquidazione concorsuale del compendio ereditario nell’interesse di tutti i creditori del de cuius, in deroga alla regola del prior in tempore.

Natura giuridica dell’atto di accettazione

 

Teoria del negozio condizionato

La dottrina meno recente[83] sosteneva nient’altro che il beneficio d’inventario fosse se non una condizione apposta all’accettazione dell’eredità, l’unica condizione consentita, per l’accettazione dalla legge: il chiamato, cioè, accetterebbe a condizione di rispondere dei debiti ereditari soltanto intra vires.

In contrario [84] è stato osservato, che

  • se la volontà di accettazione fosse condizionata al conseguimento del beneficio, l’acquisto dell’eredità dovrebbe venir meno sempre che venga meno il beneficio; il che non è, perché esistono casi di decadenza dal solo beneficio.
  • Manca, inoltre, il requisito principale della condizione: l’incertezza obiettiva dell’evento.

Teoria DEL DOPPIO NEGOZIO

Altri autori[85] hanno ritenuto di dissociare l’accettazione beneficiata in 2 negozi distinti:

  • l’uno costituito dalla dichiarazione di accettare l’eredità,
  • l’altro dall’intento di modificare la situazione giuridica normale che conseguirebbe all’accettazione, ossi dall’intento di limitare la responsabilità patrimoniale.

Teoria del NEGOZIO COMPLESSO

Altra teoria dottrinaria[86] rilevante ravvisa un unico atto giuridico complesso, il cui contenuto è determinato dalla fusione dell’intento pratico di adire l’eredità con quello di far derivare dall’addizione gli effetti particolari previsti nella disciplina legale dell’istituto, e, specificamente, l’effetto della responsabilità limitata.

Teoria della fattispecie a formazione progressiva

Teoria rimarcata dalla giurisprudenza di legittimità[87] secondo la quale in tema di successioni mortis causa, l’art. 484 c.c., nel prevedere che l’accettazione con beneficio d’inventario si fa con dichiarazione, preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario, delinea una fattispecie a formazione progressiva di cui sono elementi costitutivi entrambi gli adempimenti ivi previsti; infatti, sia la prevista indifferenza della loro successione cronologica, sia la comune configurazione in termini di adempimenti necessari, sia la mancata di una distinta disciplina dei loro effetti, fanno apparire ingiustificata l’attribuzione all’uno dell’autonoma idoneità a dare luogo al beneficio, salvo il successivo suo venir meno, in caso di difetto dell’altro. Ne consegue che, se da un lato la dichiarazione di accettazione con beneficio d’inventario ha una propria immediata efficacia, determinando il definitivo acquisto della qualità di erede da parte del chiamato che subentra perciò in universum ius defuncti, compresi i debiti del de cuius, d’altro canto essa non incide sulla limitazione della responsabilità intra vires, che è condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell’inventario, in mancanza del quale l’accettante è considerato erede puro e semplice (artt. 485, 487, 488 c.c.) non perché abbia perduto ex post il beneficio, ma per non averlo mai conseguito.

Infatti, le norme che impongono il compimento dell’inventario in determinati termini non ricollegano mai all’inutile decorso del termine stesso un effetto di decadenza ma sanciscono sempre come conseguenza che l’erede viene considerato accettante puro e semplice, mentre la decadenza è chiaramente ricollegata solo ed esclusivamente ad alcune altre condotte, che attengono alla fase della liquidazione e sono quindi necessariamente successive alla redazione dell’inventario. Poiché l’omessa redazione dell’inventario comporta il mancato acquisto del beneficio e non la decadenza dal medesimo, ne consegue che all’erede, il quale agisce contro i terzi non chiamati alla successione, è precluso l’esperimento dell’azione di riduzione, non sussistendo il presupposto al riguardo richiesto dall’art. 564 I comma ultima parte c.c., cioè l’accettazione con beneficio d’inventario.

 

Natura giuridica del beneficio d’inventario

Teoria (superata) della persona giuridica

Una vecchia opinione risalente alla Glossa, vedeva nel beneficio d’inventario un impedimento all’assunzione del titolo d’erede, sia pure soltanto nei rapporti con i creditori ereditari, e, conseguentemente, riconosceva all’eredità beneficiata una personalità giuridica.

Ma la dottrina e la giurisprudenza all’unanimità riconoscono all’erede, ancorché beneficiato, la qualifica di successore a titolo universale.

Teoria dell’intrasmissibilità dei debiti ereditari

Altri autori [88] hanno negato che il beneficiato, pur essendo erede, succeda nei debiti del defunto e ne risulti, pertanto, responsabile personalmente, sia pure in modo limitato. Quei debiti si estingueranno per essere sostituiti dal diritto, che i creditori acquisterebbero esclusivamente sui beni ereditari

Questa teoria è stata variamente criticata[89]

  • sul piano logico: si è osservato che è incompatibile le qualifica di erede con la mancanza di successione in tutti i rapporti non solo attivi, ma anche passivi.
  • Sul piano normativo: si è osservato, fra l’altro, che la permanenza di preesistenti garanzie reali o privilegi non avrebbe senso se non sopravvivesse anche il debito garantito.

Teoria dei patrimoni separati

Sembra preferibile la teoria di chi[90] confortato anche dal diritto positivo (art. 490 1 co) ravvisa nel beneficio d’inventario un’ipotesi di patrimoni separati:

  • quello ereditario;
  • quello dell’erede.

La dottrina riconosce questo fenomeno, in quanto non si può negare che vi siano casi in cui la legge, nella complessa sfera patrimoniale dello stesso soggetto, distingue più o meno nettamente delle sfere minori, che assoggetta a discipline diverse, in considerazione dei particolari fini che esse sono destinate a raggiungere.

In concreto i beni del patrimonio separato sfuggono alla regola generale, secondo la quale il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni e rappresentano un’eccezione che, peraltro la stessa legge prevede al II comma dell’art. 2740 c.c..

art. 2740 c.c.   responsabilità patrimoniale

il debitore risponde delladempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge.

 

1) PRESUPPOSTI – PROCEDIMENTO – ATTIVITÀ

La Dichiarazione

 

per atto pubblico si tratta di un unico negozio (natura) e non di una fattispecie complessa (accettazione ed inventario), onde la limitazione della responsabilità è immediata

 

art. 484 c.c.   accettazione col beneficio d’inventario

l’accettazione col beneficio d’inventario (c.c.490 e seguenti, 2830) si fa mediante dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere della pretura del mandamento in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni conservato nella stessa pretura (disp.di att.al c.c 52, 53).

Entro 1 mese dall’inserzione, la dichiarazione deve essere trascritta, a cura del cancelliere, presso l’ufficio dei registri imm.ri del luogo in cui si è aperta la successione.

La dichiarazione deve essere preceduta o seguita dall’inventario, nelle forme prescritte dal codice di procedura civile (C.p.c. 769 e seguenti).

Se l’inventario è fatto prima della dichiarazione, nel registro deve pure menzionarsi la data in cui esso e stato compiuto.

Se l’inventario è fatto dopo la dichiarazione, l’ufficiale pubblico che lo ha redatto deve, nel termine di un mese, far inserire nel registro l’annotazione della data in cui esso è stato compiuto.

Le norme che impongono il compimento dell’inventario in determinati termini non ricollegano mai all’inutile decorso del termine stesso un effetto di decadenza, ma sanciscono sempre come conseguenza che l’erede viene considerato accettante “puro e semplice”, mentre la decadenza é chiaramente ricollegata solo ed esclusivamente ad alcune altre condotte, che attengono alla fase della liquidazione e sono quindi necessariamente successive alla redazione dell’inventario.

Infine, la Cassazione[91] ha anche precisato che dell’accettazione con beneficio d’inventario, di cui agli artt. 484 e segg. c.c., in quanto diretta ad evitare che il patrimonio del de cuius si confonda con quello del chiamato alla successione ereditaria, e che questi debba rispondere dei debiti ultra vires hereditatis, possono avvalersi esclusivamente gli eredi, e, cioè, i soggetti che subirebbero detti effetti in caso di accettazione pura e semplice.

La legittimazione ad accettare con beneficio di inventario, pertanto, deve essere negata ai successori a titolo particolare, ivi compreso il coniuge superstite che subentri in una quota d’usufrutto, quale legatario ex lege, ai sensi delle disposizioni del codice civile vigenti prima della riforma del diritto di famiglia di cui alla legge 19 maggio 1975 n. 151, giacché anche per le obbligazioni a suo carico a termini dell’art. 1010 c.c. non è esposto al pericolo di dover rispondere con il patrimonio personale.

 
La Trascrizione

Questa trascrizione non ha nulla a che vedere con quella prevista dall’art. 2648 già analizzata in precedenza, si tratta di una pubblicità – notizia ed ha lo scopo di rendere edotti i creditori i quali potranno tutelare i propri interessi, richiedendo il pagamento, e, eventualmente, proponendo opposizione;

  • essa si deve eseguire pur se nell’eredità non sono presenti beni immobili;
  • può essere unica pur in presenza di una pluralità di immobili;
  • va eseguita nell’ufficio del luogo ove si è aperta la successione e non in quello del luogo ove sono situati gli immobili;
  • produce solo gli effetti previsti dall’art. 495 c.c. (modalità di pagamento dei creditori).

 

L’inventario

 

La dichiarazione deve essere preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario.

È un’operazione giuridica, che tende all’individuazione ed alla descrizione dei beni e quindi ad accertare la reale consistenza del patrimonio per i fini della liquidazione.

 

I termini sono fissati dalla legge in relazione alle varie ipotesi:

  • il termine è di 3 mesi dalla dichiarazione di accettazione, se il chiamato non è nel possesso dell’eredità;
  • esso deve essere compiuto nel termine fissato dal giudice ai sensi dell’art. 481 c.c., ma può essere concessa una dilazione;
  • il termine è ancora di 3 mesi dall’apertura della successione o dalla notifica della dilazione se il chiamato è nel possesso dei beni ereditari, anche se abbia fatto la dichiarazione di accettazione.

Il procedimento della proroga del termine è regolato dall’art. 769 c.p.c.

Il provvedimento è dato con ordinanza reclamabile al tribunale in composizione collegiale, che provvede in camera di consiglio, sentiti gli interessati, con ordinanza non impugnabile.

L’istanza alla quale è legittimato il chiamato che abbia o meno accettato l’eredità, deve essere presentata nella cancelleria del tribunale in composizione monocratico prima della scadenza del termine ordinario.

Alla formazione dell’inventario si procede secondo le norme dettate dagli art. 769 e seg. c.p.c.

 

art. 769 c.p.c.   istanza

l’inventario può essere chiesto al tribunale dalle persone che hanno diritto di ottenere la rimozione dei sigilli ed è eseguito dal cancelliere del tribunale o da un notaio designato dal defunto con testamento o nominato dal tribunale.
L’istanza si propone con ricorso, nel quale il richiedente deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale.
Il tribunale provvede con decreto.

Il provvedimento è dato con decreto non soggetto ad impugnazione, con il quale viene nominato il cancelliere dell’apertura o un notaio per procedere all’inventario, salvo che quest’ultimo sia stato designato dal testatore.

Quando non sono stati apposti i sigilli, l’inventario può essere chiesto dalla parte che ne assume l’iniziativa direttamente al notaio designato dal defunto nel testamento ovvero, in assenza di designazione, al notaio scelto dalla stessa parte[92].

 

La legittimazione a richiedere l’inventario dei beni del defunto ex art. 769 c.p.c., conseguente all’accettazione beneficiata dell’eredità, spetta alle persone che hanno diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell’art. 763 c.p.c. anche quando l’apposizione dei sigilli, misura di natura tipicamente cautelare e che può quindi anche mancare, non sia stata in concreto disposta[93].

Inoltre, secondo la sezione tributaria[94] in tema di imposta sulle successioni, il chiamato all’eredità che abbia dichiarato di accettarla con il beneficio di inventario deve completare l’inventario stesso nei tre mesi successivi (sei nel caso di proroga) alla pronuncia del decreto con il quale il giudice, ex art. 769 c.p.c., nomina il soggetto (cancelliere o notaio) deputato alla redazione dell’inventario, e non alla data della dichiarazione, perché, altrimenti, il decorso del periodo necessario per l’adozione del provvedimento renderebbe obiettivamente incerta l’idoneità del lasso di tempo residuo ad assicurare l’espletamento delle operazioni. Ne consegue che, in caso di accettazione dell’eredità ex art. 484 c.c., il termine per la presentazione della dichiarazione di successione decorre dalla scadenza di quello fissato nel decreto del giudice per la formazione dell’inventario.

Per ultima Cassazione[95], poi, il decreto con il quale il competente giudice ordinario ordina la formazione dell’inventario, designando a tal fine un cancelliere o un notaio, ai sensi dell’articolo 769 c.p.c., e quello che concede la proroga del termine per la redazione del medesimo sono provvedimenti emessi all’esito di un procedimento di cui é parte il solo istante e nel quale il giudice si limita ad accertare la riconducibilità del medesimo alle categorie di persone aventi diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell’articolo 763 c.p.c.; ne consegue che tali provvedimenti, non contenendo alcuna decisione in merito alla capacità a succedere del soggetto richiedente, sono, riconducibili alla giurisdizione volontaria, e quindi privi del carattere di decisorietà e inidonei a passare in giudicato, con la: conseguenza che non sono stati ritenuti impugnabili col ricorso straordinario per cassazione al sensi dell’articolo 111 Cost.

art. 770 c.p.c.   inventario da eseguirsi dal notaio

quando all’inventario deve procedere un notaio, il cancelliere gli consegna, ritirandone ricevuta:

1) le chiavi da lui custodite a norma dell’articolo 756;

2) copia del processo verbale di apposizione dei sigilli dell’istanza e del decreto di rimozione;

3) una nota delle opposizioni che sono state proposte con indicazione del nome, cognome degli opponenti e della loro residenza o del domicilio da essi eletto.

La copia indicata nel numero 2) e la nota indicata nel numero 3) sono unite all’inventario. L’inventario consiste nella descrizione degli immobili, nonché nella discrezione e nella stima dei beni mobili, a quel fine può essere nominato uno stimatore, nonché nell’indicazione delle somme di denaro e delle monete che si rinvengono e delle altre attività e passività e nella discrezione di carte e registri.

 

Il notaio, nell’assolvimento dei compiti inerenti a un’accettazione di eredità con beneficio d’inventario, opera quale ausiliario del giudice che lo ha nominato, sicché la sua eventuale designazione da parte dell’erede accettante con beneficio si configura come semplice indicazione e non come vero e proprio conferimento di incarico professionale[96].

art. 771 c.p.c.   persone che hanno diritto di assistere all’inventario

hanno diritto di assistere alla formazione dell’inventario:

1) il coniuge superstite;

2) gli eredi legittimi presunti;

3) l’esecutore testamentario, gli eredi istituiti e i legatari;

4) i creditori che hanno fatto opposizione alla rimozione dei sigilli.

art. 772 c.p.c.        avviso dell’inizio dell’inventario

l’ufficiale che procede all’inventario deve dare avviso, almeno tre giorni prima, alle persone indicate nell’articolo precedente del luogo, giorno e ora in cui darà inizio alle operazioni.
L’avviso non è necessario per le persone che non hanno residenza o non hanno eletto domicilio nella circoscrizione del tribunale, nella quale si procede all’inventario; ma in loro vece deve essere avvertito il notaio che, su istanza di chi ha chiesto l’inventario, è nominato con decreto dal giudice per rappresentarli.

art. 773 c.p.c.       nomina di stimatore

l’ufficiale che procede all’inventario nomina, quando occorre, uno o più stimatori per la valutazione degli oggetti mobili.

art. 774 c.p.c.    rinvio delle operazioni

quando l’inventario non può essere ultimato nel giorno del suo inizio, l’ufficiale che vi procede ne rinvia la continuazione a un giorno prossimo, avvertendone verbalmente le parti presenti.

art. 775 c.p.c.   processo verbale d’inventario

il processo verbale d’inventario contiene:

1) la descrizione degli immobili, mediante l’indicazione della loro natura, della loro situazione, dei loro confini, e dei numeri del catasto e delle mappe censuarie;

2) la descrizione e la stima dei mobili, con la specificazione del peso e del marchio per gli oggetti d’oro e d’argento;

3) l’indicazione della quantità e specie delle monete per il danaro contante;

4) l’indicazione delle altre attività e passività;

5) la descrizione delle carte, scritture e note relative allo stato attivo e passivo, le quali debbono essere firmate in principio e in fine dall’ufficiale procedente. Lo stesso ufficiale deve accertare sommariamente lo stato dei libri e dei registri di commercio, firmarne i fogli, e lineare gli intervalli.

Se alcuno degli interessati contesta l’opportunità d’inventariare qualche oggetto, l’ufficiale lo descrive nel processo verbale, facendo menzione delle osservazioni e istanze delle parti.

 

art. 776 c.p.c.   consegna delle cose mobili inventariate

le cose mobili e le carte inventariate sono consegnate alla persona indicata dalle parti interessate, o, in mancanza, nominata con decreto del giudice, su istanza di una delle parti, sentite le altre.

La Garanzia

art. 492 c.c.   garanzia

se i creditori o altri aventi interesse lo richiedono, l’erede deve dare idonea garanzia (c.c.1179; C.p.c. 750) per il valore dei beni mobili compresi nell’inventario, per i frutti degli immobili e per il prezzo dei medesimi che sopravanzi al pagamento dei creditori ipotecari.

 

La competenza ed il procedimento per l’imposizione della garanzia sono regolati dagli artt. 750 e seg. c.p.c.

art. 750 c.p.c.   provvedimenti del presidente del tribunale relativi alle cauzioni e agli esecutori testamentari

L’istanza per l’imposizione di una cauzione a carico dell’erede o del legatario, nei casi previsti dalla legge, è proposta, quando non vi è giudizio pendente, con ricorso al presidente del tribunale del luogo in cui si è aperta la successione.

Il presidente fissa con decreto l’udienza di comparizione del ricorrente e dell’erede o legatario davanti a sé e stabilisce il termine entro il quale il ricorso e il decreto debbono essere loro notificati.

Il presidente stabilisce le modalità e l’ammontare della cauzione con ordinanza, contro la quale è ammesso reclamo al presidente della corte d’appello a norma dell’articolo 739. Il presidente della corte d’appello provvede con ordinanza non impugnabile, previa audizione degli interessati a norma del comma precedente.

Le stesse forme si osservano nei casi previsti negli articoli 708 e 710 del codice civile relativamente agli esecutori testamentari.

 È competente il Presidente del tribunale del luogo dove si è aperta la successione, il quale provvede con ordinanza reclamabile al Presidente della Corte d’appello. Si deve osservare che l’autorità giudiziaria non ha al riguardo un potere discrezionale, ma la garanzia deve essere disposta se uno dei creditori o dei legatari ne faccia richiesta.

Il Termine

3 mesi, rinnovabili dal giudice per non più di un ulteriore trimestre.

Tale termine dunque, specialmente in presenza di un asse cospicuo, può anche risultare troppo breve.

La norma va dunque interpretata nel senso che il termine si riferisce alla formazione dell’attivo e non necessariamente del passivo, potendosi, a tal fine, lasciare il verbale dell’inventario aperto.

Per il termine bisogna fare una distinzione necessaria

  • Chiamato che é nel possesso[97]

art. 485 c.c. chiamato all’eredità che è nel possesso di beni

il chiamato all’eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l’inventario entro 3 mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Se entro questo termine lo ha cominciato ma non e stato in grado di completarlo, può ottenere dal pretore del luogo in cui si e aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i 3 mesi (C.p.c. 749).

Trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice.

Compiuto l’inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell’art. 484 ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell’inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice.

Per una parte della dottrina[98] il chiamato legittimato è da identificare soltanto nel destinatario (o tra i destinatari) attuale (o attuali) della delazione ereditaria, cioè in colui che diviene erede accettando l’eredità.

Anche se, in realtà, la cassazione[99] di recente ha puntualizzato che in tema di successioni legittime, il chiamato all’eredità nel possesso dei beni ereditari ha l’onere di redigere l’inventario entro il termine di tre mesi dal giorno dell’apertura della successione, anche se sia di grado successivo rispetto ad altri chiamati, poiché, quando l’eredità si devolve per legge, si realizza una delazione simultanea in favore di tutti i chiamati, indipendentemente dall’ordine di designazione alla successione, come si evince dalle disposizioni di cui all’art. 480, comma III, e 479 c.c., che, con riferimento al decorso del termine per l’accettazione dell’eredità e alla trasmissione del diritto di accettazione, non distinguono tra i primi chiamati ed i chiamati ulteriori, conseguendone, per tutti, contestualmente, la nascita di facoltà ed oneri e, quindi, l’integrazione dell’ambito applicativo della fattispecie astratta di cui all’art. 485 c.c. Né a diversa conclusione può indurre la previsione, nel I comma di questa disposizione, della notizia della devoluta eredità come fattispecie alternativa all’apertura della successione ai fini della decorrenza del termine per la redazione dell’inventario, in quanto l’espressione “devoluzione” deve intendersi come sinonimo di “delazione”, ed il chiamato nella disponibilità dei beni ereditari è a conoscenza sia dell’apertura della successione sia della circostanza che i beni sui quali esercita la signoria di fatto sono proprio quelli caduti in successione.

Logicamente, come anche evidenziato da una lontana sentenza della Cassazione[100], la disposizione dell’art. 485 c.c., non riguarda il donatario, chiamato per legge, che abbia ricevuto beni dal de cuius quando questi era in vita, con atto di liberalità in tale caso, infatti, vi è un titolo (la donazione) che giustifica il trasferimento del bene, che, quindi, non entra a far parte dell’asse ereditario, salvo che non sia vittoriosamente esperita l’azione di riduzione o, nelle ipotesi di collazione, il donatario non scelga di conferire il bene stesso in natura. Può dunque parlarsi di possesso, da parte del legittimario, di beni ereditari, solo in quanto il medesimo non possa vantare alcun titolo di trasferimento sui beni stessi il legittimario perciò non può essere considerato erede, ex art. 485 c.c., solo perché in possesso di beni già di proprietà del de cuius, da questi donatigli quando era in vita.

Per recente giurisprudenza di merito[101] in base all’art. 485 c.c., il chiamato all’eredità che è nel possesso dei beni ereditari, indipendentemente dal compimento della dichiarazione di accettazione, è tenuto ad effettuare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione. Tale norma prosegue statuendo che, trascorso il termine dei tre mesi, senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità si considera erede puro e semplice. Orbene, nel caso di specie, si è evidenziato come l’attrice aveva promosso il giudizio affinché venisse accertata la qualità di erede del convenuto rispetto al padre di quest’ultimo, essendo essa creditrice nei confronti del convenuto, a causa del mancato pagamento da parte del medesimo di quanto dovuto per il mantenimento del figlio minore.

Non è necessario il possesso dell’intero asse ereditario o dell’intera quota[102], o anche il compossesso[103], così come neppure è necessario che in capo al chiamato sussista il possesso in senso proprio[104], costituito da quegli elementi, sia soggettivi, che oggettivi, che caratterizzano e distinguono tale figura (art. 1140 c.c.) dalla mera detenzione.

Infatti, per una pronuncia di merito[105] e di legittimità[106] il possesso di cui all’art. 485 c.c. non deve necessariamente manifestarsi in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà dei beni ereditari, ma si esaurisce in una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato all’eredità, e cioè in una situazione di fatto che consenta l’esercizio dei concreti poteri sui beni, sia pure per mezzo di terzi detentori, con la consapevolezza della loro appartenenza al compendio ereditario; ne consegue che la previsione si estende ad ogni specie di possesso, quale che ne sia il titolo giustificativo, ed include anche la detenzione a titolo di custodia o di detenzione temporanea.

Formato l’inventario entro il termine di legge, il chiamato, se non ha già manifestato la propria intenzione di accettare con beneficio, deve decidere entro i successivi 40 giorni.

A questo punto egli è libero di:

  • accettare con o senza beneficio d’inventario
  • ovvero di rinunziare[107].
  • Se tace si considera erede puro e semplice.

La proroga del termine per il compimento dell’inventario, prevista dall’art. 485, I comma, c.c., e richiamata nel successivo art. 487, può essere concessa una sola volta, onde è perentorio il termine fissato con il provvedimento di proroga[108].

Il decreto con il quale il tribunale rigetta l’istanza di proroga del termine per la redazione dell’inventario non è impugnabile con ricorso per cassazione a norma dell’art. 111 Cost. [109], in quanto, pur riguardando posizioni di diritto soggettivo, esso chiude un procedimento di tipo non contenzioso privo di un vero e proprio contraddittorio e non statuisce in via decisoria e definitiva su dette posizioni, stante la sua revocabilità e modificabilità alla stregua dell’art. 742 c.p.c.

Sempre ai fini processuali, come da ultimo arresto della Cassazione[110], il creditore che, agendo contro l’erede accettante con beneficio d’inventario, intenda farne valere la responsabilità ultra vires per il mancato compimento dell’inventario stesso nei termini previsti dagli articoli 485 e 487 c.c., non ha alcun onere di provare la dedotta omissione o ritardo, dovendo per converso, l’erede in accettazione beneficiata provare, in positivo, la circostanza de qua, rappresentando la tempestiva formazione dell’inventario un elemento costitutivo del relato beneficio.

Nel caso in cui sia stato istituito un esecutore testamentario con poteri di amministrazione – eccezionalmente il termine di riferimento, per poter accettare con il beneficio, non è più quello previsto dall’art. 485, ma dall’art. 487, poiché il chiamato possessore è ritenuto non possessore.

I POTERI

É amministratore – curatore di diritto

Pertanto il chiamato si deve ritenere investito, ope legis, dell’amministrazione, e non può sottrarsi, né può essere esonerato dalla responsabilità ad essa inerente.

art. 486 c.c.    poteri

durante i termini stabiliti dall’articolo precedente per fare l’inventario e per deliberare, il chiamato, oltre che esercitare i poteri indicati nell’art. 460, può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l’eredità (potere in più rispetto al chiamato che non è nel possesso).

Se non compare, l’autorità giudiziaria nomina un curatore all’eredità affinché la rappresenti in giudizio (C.p.c. 78-80).

 

In questo caso ci troviamo di fronte ad un soggetto che ha il possesso effettivo e materiale.

Infatti per la Cassazione[111] la dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario – mediante la quale si realizza la separazione del patrimonio del defunto e la restrizione della responsabilità dell’erede intra vires hereditatis – è pur sempre dichiarazione di volere accettare l’eredità, sicché l’erede beneficiato acquista i diritti caduti nella successione e diventa soggetto passivo delle relative obbligazioni.

Come tale, a differenza del chiamato che non abbia ancora accettato, il quale a norma dell’art. 486 c.c. sta in giudizio in rappresentanza dell’eredità, l’erede beneficiato è legittimato in proprio a resistere e a contraddire, tant’è che l’eventuale pronuncia di condanna al pagamento dell’intero debito ereditario va emessa nei suoi confronti, salvo che, in concreto, la responsabilità andrà contenuta intra vires hereditatis nel caso in cui egli abbia fatto valere il beneficio, proponendo la relativa eccezione.

Antecedentemente la Cassazione[112] ha avuto modo di precisare che la norma dell’art. 486 comma I c.c. si applica anche nell’ipotesi in cui il chiamato all’eredità sia un incapace, in quanto pure il minore, l’interdetto o l’inabilitato, mediante le persone che li rappresentano o li assistono, possono stare in giudizio come longa manus dell’eredità, nella veste di convenuti, qualora siano nel possesso dei beni ereditari. Nel solo caso in cui il chiamato, quantunque regolarmente citato, non compare, l’autorità giudiziaria provvede alla nomina di un curatore speciale, affinché l’eredità sia presente in giudizio.

È stato, poi, ulteriormente, specificato dalla Corte di Legittimità[113] che in tema di debiti ereditari, il soggetto chiamato all’eredità e che non l’abbia accettata, se si trova nel possesso di beni ereditari (art. 486 c.c.), può stare in giudizio per rappresentare l’eredità, ma, siccome non è ancora succeduto all’ereditando, non è soggetto passivo delle obbligazioni già pertinenti al suo dante causa e dunque contro di lui non può essere rivolta una domanda di condanna al pagamento di un debito ereditario. Quando, però, detta domanda sia stata proposta nei suoi confronti, egli ha l’onere di resistere sostenendo l’insussistenza della sua qualità di erede, al fine di conseguire il risultato di non essere condannato al pagamento del debito, in quanto, una volta che attraverso il giudicato sia stato accertato un diritto di una parte nei confronti di un’altra, tutte le questioni che avrebbero potuto essere fatte valere nel giudizio e che, se lo fossero state, avrebbero potuto condurre a negare quel diritto, non possono esserlo più e non possono, perciò, costituire oggetto di opposizione all’esecuzione, anche ai fini dell’allegazione della sopravvenuta rinuncia all’eredità (fattispecie in cui il chiamato all’eredità, nei cui confronti era stato emesso decreto ingiuntivo per il pagamento di quota di un debito ereditario, non aveva proposto opposizione e solo dopo la scadenza del termine dell’opposizione stessa, aveva rinunziato all’eredità proponendo opposizione a precetto).

  • Chiamato che non é nel possesso

art. 487 c.c.  chiamato all’eredità che non è nel possesso di beni

il chiamato all’eredità, che non è nel possesso di beni ereditari, può fare la dichiarazione di accettare col beneficio d’inventario, fino a che il diritto di accettare non e prescritto.

Quando ha fatto la dichiarazione, deve compiere l’inventario nel termine di 3 mesi dalla dichiarazione, salva la proroga accordata dall’autorità giudiziaria a norma dell’art. 485; in mancanza, e considerato erede puro e semplice.

Quando ha fatto l’inventario non preceduto da dichiarazione d’accettazione, questa deve essere fatta nei quaranta giorni successivi al compimento dell’inventario; in mancanza, il chiamato perde il diritto di accettare l’eredità.

Per parte della dottrina [114] il chiamato non possessore è la prima persona che può assumere le funzioni di amministratore dell’eredità, ma non gli è imposto l’obbligo dalla legge: v’è una designazione ex lege, ma non attribuzione ipso iure della qualità di amministratore; quindi non è un amministratore – curatore di diritto.

POTERI: cfr art. 460 c.c. – L’amministrazione del chiamato non possessore è espressamente definita < temporanea >, nel senso di provvisoria; l’elencazione dei poteri a lui attribuiti rivela, che egli è abilitato a compiere solo gli atti urgenti, quali le azioni cautelari e l’alienazione dei beni che non si possono conservare o la cui conservazione importerebbe grave dispendio.

La provvisorietà e l’urgenza sono, quindi le caratteristiche di questa amministrazione e costituiscono, nel contempo, i limiti dell’attività del chiamato non possessore; la temporaneità, invece, deve essere intesa come limitazione nel tempo, in quanto l’amministrazione può durare fino a quando non si provveda la nomina del curatore dell’eredità ai sensi dell’art. 528 c.c.

L’amministrazione del chiamato non possessore può avere una durata molto più lunga di quella del chiamato possessore, questo perché, in mancanza dell’actio interrogatoria, l’amministrazione può durare fino al decorso del termine di prescrizione, mentre l’amministrazione del chiamato possessore ha una durata massima di 4 mesi e 10 giorni (3 mesi per fare l’inventario e 40 giorni per la dichiarazione di accettazione o rinuncia), eventualmente 7 mesi e 10 giorni in caso di deroga.

Per la S.C.[115] l’art. 487, II comma, c.c. secondo cui il chiamato all’eredità non in possesso di beni ereditari, che abbia dichiarato di accettare l’eredità con beneficio d’inventario, si considera erede puro e semplice ove non abbia compiuto l’inventario nel termine di tre mesi da detta dichiarazione è applicabile anche se il chiamato all’eredità abbia chiesto ed ottenuto l’apposizione dei sigilli, sebbene questi non possano essere rimossi e l’inventario non possa essere iniziato se non dopo tre giorni dall’apposizione (salva diversa disposizione del pretore ex art. 762 c.p.c.), ciò sia in base al tenore letterale dell’art. 487, II comma, citato, sia perché il chiamato all’eredità ha la facoltà, e non l’onere, di rendere la dichiarazione di accettazione beneficiata contemporaneamente alla richiesta di apposizione dei sigilli, ben potendo farla contemporaneamente o dopo la rimozione dei sigilli stessi.

Mentre, in merito all’ultimo comma della citata norma, secondo la Cassazione[116], il chiamato all’eredità il quale non sia nel possesso dei beni ereditari, qualora abbia iniziato le operazioni d’inventario non precedute dall’accettazione con il beneficio d’inventario a norma dell’art. 487 c.c., può accettare l’eredità in modo puro e semplice durante lo svolgimento di tali operazioni con la conseguenza che in tale ipotesi non può trovare applicazione l’ultimo comma di detta disposizione che prevede la perdita del diritto di accettare l’eredità quando questa non sia stata ancora accettata.

Dichiarazione in caso di termine fissato dal giudice

per il chiamato non possessore

inseguito all’esperimento di un’actio interrogatoria

art. 488 c.c.   dichiarazione in caso di termine fissato dall’autorità giudiziaria

 

il chiamato all’eredità che non è nel possesso di beni ereditari, qualora gli sia stato assegnato un termine a norma dell’art. 481, deve, entro detto termine, compiere anche l’inventario; se fa la dichiarazione e non l’in.rio, è considerato erede puro e semplice.

L’autorità giudiziaria può accordare una dilazione (C.p.c. 749-4)

  • Nel caso di più chiamati

 

Accettazione e inventario fatto da uno dei chiamati per il favor legislativo dell’istituto dell’eredità beneficiata (giusto contemperamento alle gravi conseguenze, nel caso di successione in universum ius)

art. 510 c.c.  accettazione o inventario fatti da uno dei chiamati

l’accettazione con beneficio d’inventario fatta da uno dei chiamati giova a tutti gli altri, anche se l’inventario è compiuto da un chiamato diverso da quello che ha fatto la dichiarazione.

 

I poteri in oggetto potranno essere esercitati, oltreché da tutti anche da alcuni, o da uno soltanto di loro, con riguardo all’intera o a parte dell’eredità delata, e questo pure nel caso di successione testamentaria, in cui tutte o talune quote siano state determinate dal testatore, attraverso l’attribuzione di beni determinati – in specie in caso di divisione fatta dal testatore.

Secondo parte della dottrina[117] nel caso in cui tra più chiamati taluno abbia accettato e quindi vi siano anche uno o più eredi, la presenza di quest’ultimi lascia impregiudicati i poteri dei primi, i quali possono anche impedire che gli eredi compiano gli atti per loro pregiudizievoli.

Ove tra eredi e chiamati vi sia contrasto sul compimento di un atto avente ad oggetto un bene dell’eredità occorre distinguere:

  1. se il rifiuto è opposto dal chiamato:
  • occorrerà esercitare contro di lui un’actio interrogatoria, sicché egli, ove accetti, potrà chiedere la divisione del bene;
  • nel caso in cui non accetti, avrà luogo l’accrescimento in favore dell’erede che in tal modo diviene esclusivo proprietario, oppure, ove vi siano chiamati in subordine, dovrà essere esperita l’actio interrogatoria ora detta nei loro confronti, sino a definire la vicenda.
  1. se il rifiuto è opposto dall’erede:

il chiamato può chiedere l’autorizzazione al compimento di quanto necessario alla conservazione ex art. 460, come può anche chiedere preventivamente la divisione a stralcio – avendosi altrimenti accettazione – di quanto spettante all’erede.

Il chiamato, che trovasi in stato d’indegnità, è escluso dalla successione solo a seguito di sentenza che ne accerti la sussistenza; sicché solo dopo il passaggio in giudicato di tale sentenza, e non prima il chiamato è escluso anche dai poteri di cui all’art. 460 c.c.[118]

Rendicontazione

 

art. 496 c.c. rendimento del conto

l’erede ha l’obbligo di rendere conto della sua amministrazione ai creditori e ai legatari, i quali possono fare assegnare un termine all’erede.

 

L’obbligazione di rendiconto è un’obbligazione di fare, il cui valore può sempre valutarsi pecuniariamente, perché riconducibile, in definitiva, ad una somma di danaro. Pertanto, le controversie aventi ad oggetto l’obbligo di rendere il conto debbono farsi rientrare tra quelle regolate dall’art. 14 c.p.c., il quale fa riferimento, ai fini della competenza per valore, alla somma indicata o al valore dichiarato dall’attore, salve le contestazioni che, al riguardo, il convenuto faccia nella sua prima difesa[119].

Ai fini processuali é opportuno segnalare anche gli articoli del codice di procedura civile in merito alla rendicontazione ovvero:

art. 263 c.p.c.  presentazione e accettazione del conto

se il giudice ordina la presentazione di un conto, questo deve essere depositato in cancelleria con i documenti giustificativi, almeno cinque giorni prima dell’udienza fissata per la discussione di esso.

Se il conto viene accettato, il giudice istruttore ne dà atto nel processo verbale e ordina il pagamento delle somme che risultano dovute. L’ordinanza non é impugnabile e costituisce titolo esecutivo. 

art. 264 c.p.c.  impugnazione e discussione

la parte che impugna il conto deve specificare le partite che intende contestare. Se chiede un termine per la specificazione, il giudice istruttore fissa un’udienza per tale scopo.

Se le parti, in seguito alla discussione, concordano nel risultato del conto, il giudice provvede a norma del secondo comma dell’articolo precedente.

In ogni caso il giudice può disporre, con ordinanza non impugnabile, il pagamento del sopravanzo che risulta dal conto o dalla discussione dello stesso. 

art. 265 c.p.c.  giuramento

il collegio può ammettere il creditore a determinare con giuramento le somme a lui dovute, se la parte tenuta al rendiconto non lo presenta o rimane contumace. Si applica in tal caso la disposizione dell’articolo 241.

Il collegio può altresì ordinare a chi rende il conto di asseverare con giuramento le partite per le quali non si può o non si suole richiedere ricevuta; ma può anche ammetterle senza giuramento, quando sono verosimili e ragionevoli. 

art. 266 c.p.c.  revisione del conto approvato

la revisione del conto che la parte ha approvato può essere chiesta, anche in separato processo, soltanto in caso di errore materiale, omissione, falsità o duplicazione di partite.

art. 497 c.c. mora nel rendimento del conto

L’erede non può essere costretto al pagamento con i propri beni, se non quando è stato costituito in mora a presentare il conto e non ha ancora soddisfatto a quest’obbligo.

Dopo la liquidazione del conto, non può essere costretto al pagamento con i propri beni se non fino alla concorrenza delle somme di cui è debitore.

 

2) EFFETTI

 

art. 490 c.c.  effetti del beneficio d’inventario

l’effetto del beneficio d’inventario consiste nel tener distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede (c.c.2941, n. 5).

 

Conseguentemente

  • l’erede conserva verso l’eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte (c.448);
  • l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti (c.564, 1203);
  • i creditori dell’eredità e i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede. Essi però non sono dispensati dal domandare la separazione dei beni, secondo le disposizioni del capo seguente, se vogliono conservare questa preferenza anche nel caso che l’erede decada dal beneficio d’inventario o vi rinunzia

In generale, secondo ultimo insegnamento della S.C.
Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 13 settembre 2017, n. 21212
Colui che accetta l’eredita’ con beneficio d’inventario e’ erede, come stabilito dall’articolo 490 c.c., comma 1, con l’unica rilevante differenza, rispetto all’accettazione pura e semplice (articolo 470 c.c., comma 1), che il patrimonio del defunto e’ tenuto distinto da quello dell’erede, producendosi gli effetti conseguenti indicati dall’articolo 490 c.c., comma 2, e, in particolare, la limitazione della sua responsabilita’ per i debiti ereditari entro il valore dei beni relitti. In sostanza, l’accettazione dell’eredita’ con beneficio d’inventario, non determina, di per se’ sola, il venir meno della responsabilita’ patrimoniale dell’erede per i debiti, ma fa solo sorgere il diritto di questo a non rispondere ultra vires hereditatis, ovverossia al di la’ dei beni lasciati dal de cuius.

Per la Cassazione[120], posto dunque che l’erede beneficiato è, comunque, erede e che, come tale, succede anche nei debiti, l’affermazione secondo cui la disposizione dell’art. 490, II comma, n. 2, c.c. ne limita la responsabilità per il pagamento dei debiti ereditari e dei legati intra vires e cum viribus, va posta in relazione alle cautele che nel sistema circondano l’aggressione dei beni propri dell’erede beneficiato, atteso che, a norma dell’art. 497 c.c., questi non può essere costretto al pagamento con i propri beni, se non quando è stato costituito in mora a presentare il conto e non ha ancora soddisfatto a quest’obbligo (I comma) ovvero, dopo la liquidazione del conto, fino alla concorrenza delle somme di cui sia debitore (II comma).

In tale contesto è stato quindi dalla Corte[121] affermato che il beneficio d’inventario limita, normalmente, la responsabilità dell’erede non solo al valore, ma anche ai beni allo stesso pervenuti, assoggettando, in via di principio, questi e non quelli personali all’esecuzione forzata (anche se antecedentemente dalla medesima Corte[122] – vedi infra – è stato affermato il contrario).

Il che tuttavia non vuol dire che la vendita di un bene ereditario e il reinvestimento del denaro ricavato, rispettati gli oneri procedurali imposti dagli artt. 747 e segg. c.p.c., valga a purgare definitivamente l’acquisto. È sufficiente al riguardo considerare che il nodo della disciplina che limita la responsabilità dell’erede beneficiato è pur sempre il valore dei beni (art. 490, II comma, n. 2 c.c., e proprio al fine di evitarne la dispersione il legislatore ha previsto non solo che gli atti dispositivi degli stessi debbano essere autorizzati, pena la decadenza dal beneficio d’inventario, dal tribunale, ma ha altresì stabilito che il giudice, quando occorre, fissi le modalità per la conservazione e il reimpiego del prezzo ricavato (art. 748, II comma, c.p.c.).

A ben vedere, infatti, in relazione all’eredità accettata con beneficio d’inventario, la trasparente ratio di tale norma è proprio quella di bloccare il valore del bene in modo che, se non cum viribus, i creditori possano comunque soddisfarsi intra vires.

 A) MANCATA CONFUSIONE

  • Rapporto unisoggettivo[123] si verifica in tal caso una situazione alquanto anomala perché l’erede è nel contempo, soggetto attivo e passivo dei rapporti obbligatori, ma non si determina l’estinzione per confusione: si parla al riguardo di rapporto uni soggettivo, ma dal punto di vista oggettivo e patrimoniale la situazione è del tutto identica a quella ordinaria quando parti del rapporto sono soggetti del tutto diversi;
  • Rapporto autonomo[124] ricollegare la norma in esame al fenomeno della separazione dei patrimoni.

B) LIMITAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ

L’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari, anche degli oneri modali e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti (intra vires hereditatis).

Nel caso in cui l’erede beneficiato dovesse pagare i debiti ereditari avrà il diritto di surroga previsto espressamente dall’art. 1203.

Questa surroga, assicurando all’erede benefeciato il recupero della somma versata, lo induce a liquidare con propri mezzi il patrimonio ereditario, evitando così tempi lunghi e spese che graverebbero sull’eredità.

Tale limitazione non approda nelle spese giudiziali[125] dovute dal principio generale della soccombenza, conseguenti al comportamento litigioso dell’erede. Anche se con altra pronuncia[126] per regola (come può desumersi dall’art. 94 c.p.c.), il beneficio si estende anche alle spese del giudizio.

L’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario limita al valore dei beni ricevuti la responsabilità dell’erede per i debiti ereditari, ma di per sé non impedisce che entro i limiti del valore dell’eredità i creditori ereditari agiscano direttamente contro di lui e sui suoi beni[127].

Ma con altro provvedimento[128] è stato affermato che la responsabilità intra vires dell’erede beneficiario per i debiti ereditari costituisce una qualità del relativo rapporto che assume rilievo già in fase antecedente l’esecuzione forzata, precludendo ogni misura anche cautelare sui beni personali dell’erede, onde l’interesse di quest’ultimo al relativo accertamento già nel giudizio di cognizione del credito ereditario.

Per ultima Cassazzione

Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 15 luglio 2015, n. 14847

la limitazione della responsabilità dell’erede per i debiti ereditari, derivante dall’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, è opponibile a qualsiasi creditore, ivi compreso l’Erario. Quest’ultimo, di conseguenza, pur potendo procedere alla notifica dell’avviso di liquidazione nei confronti dell’erede, non può liquidare od esigere nei confronti dell’erede l’imposta ipotecaria, catastale o di successione sino a quando non sia chiusa la procedura di liquidazione dei debiti ereditari, e sempre che sussista un residuo attivo in favore dell’erede

C) PREFERENZA CREDITORI EREDITARI E LEGATARI

I creditori dell’eredità, i legatari e i beneficiari del modus hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede.

Questo effetto può venir meno in caso di decadenza dal beneficio o di rinunzia ad esso.

I creditori e i legatari possono dunque cautelarsi ed ottenere egualmente l’effetto giuridico della preferenza domandando la separazione dei beni.

 

D) RESPONSABILITÀ DELL’EREDE NELL’AMMINISTRAZIONE

art. 491 c.c. Responsabilità dell’erede nell’amministrazione

L’erede con beneficio d’inventario non risponde dell’amministrazione dei beni ereditari se non per colpa grave.

Per la Cassazione[129] nel caso di comunione incidentale di azienda[130], ove il godimento di questa si realizzi mediante il diretto sfruttamento della medesima da parte di uno o più partecipanti alla comunione, è configurabile l’esercizio di un’impresa individuale o collettiva (nella forma della società regolare oppure della società irregolare di fatto), non ostandovi l’art. 2248 c.c., che assoggetta alle norme degli artt. 1100 e ss. dello stesso codice la comunione costituita o mantenuta al solo scopo di godimento. Pertanto, nel caso in cui più eredi esercitino, congiuntamente ed in via di fatto, lo sfruttamento diretto dell’azienda già appartenuta al de cuius, deve escludersi la configurabilità di una mera amministrazione di beni ereditari in regime di comunione incidentale di godimento e si è, invece, in presenza dell’esercizio di attività imprenditoriale da parte di una società di fatto, con l’ulteriore conseguenza che, in ordine alla responsabilità per i debiti contratti nell’esercizio di tale attività, restano prive di rilievo la qualità successoria delle persone anzidette e le eventuali limitazioni di responsabilità ad essa correlate.

 

E) INOPPONIBILITÀ DELLE ISCRIZIONI DI IPOTECA GIUDIZIALI

Ulteriore effetto che non è menzionato nell’art. 490 risulta dall’art. 2830 c.c., secondo il quale se l’eredità è accettata con beneficio d’inventario, non possono essere iscritte (pena la nullità – secondo la dottrina prevalente (contra giurisprudenza) – dell’iscrizione) ipoteche giudiziali sui beni ereditari, nemmeno in base a sentenza pronunciate anteriormente alla morte del debitore. La norma ha l’evidente scopo di tutelare la parcondicium creditorum fra tutti i creditori ereditari.

art. 2830 c.c. ipoteca giudiziale sui beni dell’eredità beneficiata e dell’eredità giacente

Se l’eredità è accettata con beneficio d’inventario o se si tratta di eredità giacente, non possono essere iscritte ipoteche giudiziali sui beni ereditari, neppure in base a sentenze pronunziate anteriormente alla morte del debitore.

La ratio della norma dell’art. 2830 c.c. — la quale dispone che, se l’eredità è accettata con beneficio d’inventario, o se si tratta di eredità giacente, non possono essere iscritte ipoteche giudiziali neppure in base a sentenze pronunciate anteriormente alla morte del debitore — risiede nell’intento legislativo di mantenere la par condicio creditorum, in quanto, risultando la garanzia patrimoniale limitata al compendio dei beni ereditari, il quale costituisce un patrimonio separato, ed essendo tale patrimonio destinato alla liquidazione, non sarebbe giustificato che singoli creditori, mediante l’iscrizione di ipoteche giudiziali, possano costituire a loro vantaggio diritti di prelazione.

Tale essendo la ratio della norma, questa non può concernere che esclusivamente i beni su cui i creditori dell’eredità debbono realizzare i loro diritti, rimanendone esclusi quelli che non hanno tale funzione strumentale.

Pertanto, nell’ipotesi di un’ipoteca giudiziale iscritta anteriormente, la successiva accettazione con il beneficio d’inventario ne farà venir meno l’efficacia ex tunc limitatamente ai beni che costituiscono ancora l’asse ereditario, ma non anche rispetto a quelli che pure in precedenza figuravano nel patrimonio del de cuius, ma rispetto ai quali è stato riconosciuto il diritto di proprietà di un terzo. In siffatta ipotesi si rende applicabile la disciplina generale in tema di trascrizione, e perciò, in particolare, l’ipoteca non è pregiudicata dalla successiva trascrizione di atti da cui risulta il diritto del terzo, al quale, conseguentemente, l’ipoteca risulta opponibile[131].

In altri termini, è valida l’ipoteca iscritta dal creditore dell’erede sulla eredità beneficiata, nonostante il disposto dell’art. 2830 c.c., ma il creditore ipotecario dell’erede non può soddisfarsi sul ricavato della aggiudicazione del bene ereditario a preferenza dei creditori anche chirografari dell’eredità. Ove, però, il credito verso l’eredità consista nel diritto a una prestazione, il cui oggetto sia ad esempio il trasferimento di immobili in esecuzione di una promessa di vendita da parte del de cuius, il creditore promissario, ottenute la sentenza costitutiva di trasferimento ex art. 2932 c.c., può pretendere la cancellazione dell’ipoteca che inciderebbe sulla disponibilità del bene e sul suo valore economico rendendo priva di contenuto la prelazione riconosciuta dall’art. 490 c.c.[132]

Con successiva pronuncia[133] è stato ribadito che l’ipoteca giudiziale iscritta sui beni di un’eredità accettata con beneficio d’inventario non è affetta da nullità assoluta, ma soltanto inopponibile ai creditori che concorrono al soddisfacimento dei loro diritti sui beni ereditari, con la conseguenza che, se l’erede decade dal beneficio, riprende vigore ed operatività l’ipoteca validamente iscritta.

3) DECADENZA DAL BENEFICIO

 

Preliminarmente è opportuno rappresentare che, comunque, vi è la possibilità d’impugnare la rinunzia da parte dei creditori sia dell’eredità che dell’erede (se fatta in frode alle loro ragioni ex art. 2901 c.c.) per inosservanza dei termini d’inventario, come previsto dall’art. 490 c.c.

art. 490 c.c.  effetti del beneficio d’inventario

l’effetto del beneficio d’inventario consiste nel tener distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede (c.c.2941, n. 5).

[—————————–]

i creditori dell’eredità e i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede. Essi però non sono dispensati dal domandare la separazione dei beni, secondo le disposizioni del capo seguente, se vogliono conservare questa preferenza anche nel caso che l’erede decada dal beneficio d’inventario o vi rinunzia

 
Alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione

 

art. 493 c.c.   alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione

l‘erede decade dal beneficio d’inventario, se aliena o sottopone a pegno o ipoteca beni ereditari, o transige relativamente a questi beni senza l’autorizzazione scritte dal codice di procedura civile (C.p.c. 747 e seguenti).

Per i beni mobili l’autorizzazione non è necessaria trascorsi cinque anni dalla dichiarazione di accettare con beneficio d’inventario.

 

Il termine aliena è dunque da intendere in senso ampio è comprensivo di ogni atto di disposizione quali, ad esempio

  • la donazione,
  • la permuta[134],
  • la costituzione di usufrutto[135] o di altro diritto di reale di godimento l’enfiteusi la datio in solutum, la rimessione di debiti, le rinunzie traslative in genere),
  • ogni atto che possa importare la diminuzione del patrimonio sul quale possono contare i creditori ed i legatari per la soddisfazione dei loro diritti.

Anche nel caso di divisione effettuata dagli eredi, nel caso in cui una quota sia maggiore rispetto ad un’altra, è necessaria l’autorizzazione del giudice, per la tutela dei creditori (che non hanno agito in separazione), in quanto vedrebbero diminuire l’entità del patrimonio dal quale soddisfare i propri crediti ereditari.

Ad esempio, poi, per la Cassazione[136] la riassunzione dei giudizi promossi dal de cuius e la gestione dell’impresa commerciale relativa all’azienda commerciale caduta nell’eredità, se contenuta nei limiti del normale esercizio, effettuate dall’erede che abbia accettato l’eredità con beneficio di inventario costituiscono atti di ordinaria amministrazione e, conseguentemente, non cagionano la decadenza dell’erede da detto beneficio.

É stato, anche, sottolineato dalla S.C.[137] che in tema di liquidazione dell’eredità accettata con beneficio d’inventario, poiché l’autorizzazione per la vendita di beni al fine di liquidare il patrimonio ereditario, è preordinata al solo scopo di valutare la necessità o l’utilità e convenienza della vendita, nessuna rilevanza può avere sulla validità di detta vendita la circostanza che la stessa sia stata o meno effettuata in favore delle persone indicate nel provvedimento autorizzativo.

Il II comma della norma trova giustificazione nella minore importanza economica che solitamente hanno tali beni, e quindi nel minore interesse dei creditori e dei legatari dopo il decorso del termine predetto

Omissioni o infedeltà nell’inventario

art. 494 c.c.   omissioni o infedeltà nell’inventario

dal beneficio d’inventario decade l’erede che ha omesso in mala fede di denunziare nell’inventario beni appartenenti all’eredità, o che ha denunziato in mala fede, nell’inventario stesso, passività non esistenti (c.c.527).

 

La Cassazione[138] ha stabilito che la omissione nell’inventario di beni appartenenti all’eredità, non soltanto totale, ma anche parziale, è sanzionata con la decadenza dal beneficio d’inventario ai sensi dell’articolo 494 c.c., e tanto non solo risulta dall’interpretazione letterale della disposizione in esame, che fa riferimento all’omissione di “beni appartenenti all’eredità” e non quindi all’integrale patrimonio costituito dall’asse ereditario, ma è pure conforme alle finalità della redazione dell’inventario, per le quali una qualsiasi omissione parziale nell’indicazione di beni ereditari è idonea a ledere i diritti dei creditori del defunto.

Ai fini processuali è stato anche chiarito che l’onere della prova dell’occultamento doloso, nell’inventario, di un bene appartenente all’eredita incombe a colui che invoca la decadenza dell’erede dal beneficio dell’inventario, dovendo la buona fede dell’erede essere presunta fino a prova contraria[139].

art. 505 c.c.  decadenza dal beneficio

l’erede che, in caso di opposizione, 1) non osserva le norme stabilite dall’art. 498 o 2) non compie la liquidazione o lo stato di graduazione nel termine stabilito dall’art. 500, decade dal b. d’i.

Parimenti decade dal beneficio d’inventario l’erede che, nel caso previsto dall’art. 503 dopo l’invito ai creditori di presentare le dichiarazioni di credito, 1) esegue pagamenti prima che sia definita la procedura di liquidazione o 2) non osserva il termine che gli è stato prefisso a norma dell’art. 500.

La decadenza non si verifica quando si tratta di pagamenti a favore di creditori privilegiati o ipotecari.In ogni caso la decadenza dal beneficio d’inventario può essere fatta valere solo dai creditori del defunto e dai legatari.

4) LIQUIDAZIONE

Il momento culminante della procedura d’inventario è il soddisfacimento di creditori e legatari.

Sia nella forma della liquidazione individuale (art. 495 c.c.) sia più ancora nella forma della liquidazione concorsuale (art. 498 e segg. c.c.) i poteri di amministrazione nonché di disposizione con le cautele prescritte dalla legge, che l’erede beneficiario, quale titolare dell’ufficio di liquidazione, ha rispetto all’eredità in generale si estendono anche alla cosa legata, la quale è e rimane soggetta al potere e quindi all’ingerenza dell’erede, potendosi solo, per alcuni riflessi, ammettere una coamministrazione dato che anche il legatario ha interessi da tutelare. In ogni caso, però, i poteri di amministrazione e disposizione del legatario non possono sovrapporsi a quelli dell’erede rendendo inefficienti gli atti di gestione e disposizione, che a quest’ultimo appaiono migliori per raggiungere i fini della liquidazione[140].

Individuale

Presupposti

  1. trascorso 1 mese dall’avvenuta pubblicità ex art 484, II comma (entro 1 mese dall’inserzione, la dichiarazione di accettazione deve essere trascritta, a cura del cancelliere)
  2. senza che i creditori e i legatari si oppongano,
  3. ed egli non intenda promuovere la liquidazione concorsuale

l’erede può procedere al pagamento a misura che creditori e legatari si presentano, fatti però salvi i loro diritti di poziorità.

art. 495 c.c.   pagamento dei creditori e legatari

trascorso 1 mese dalla trascrizione prevista nell’art. 484 [trascrizione della dichiarazione di accettazione] o dall’annotazione disposta nello stesso articolo per il caso che l’inventario sia posteriore alla dichiarazione, l’erede, 1) quando creditori o legatari non si oppongono (c.c.2906) ed   2)   egli non intende promuovere la liquidazione a norma dell’art. 503 [la liquidazione concorsuale], paga i creditori e i legatari a misura che si presentano, salvi i loro diritti di poziorità (c.c.2741).

Esaurito l’asse ereditario, i creditori rimasti insoddisfatti hanno soltanto diritto di regresso contro i legatari, ancorché di cosa determinata appartenente al testatore (c.c.649), nei limiti del valore del legato.

Tale diritto si prescrive in tre anni dal giorno dell’ultimo pagamento, salvo che il credito sia anteriormente prescritto (c.c.2934 e seguenti).

Altra limitazione alla libera attività dell’erede è data dalle prescrizioni che il giudice, nell’autorizzare la vendita dei beni ereditari, ha, se del caso, dettato in ordine al reimpiego del prezzo (art.748 c.p.c.).

art. 747 c.p.c.      autorizzazione alla vendita dei beni ereditari

l’autorizzazione a vendere beni ereditari si chiede con ricorso diretto [per i mobili al pretore e per gli immobili] al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione.
Nel caso in cui i beni appartengano a incapaci deve essere sentito il giudice tutelare.

Il giudice provvede sul ricorso con decreto, contro il quale è ammesso reclamo a norma dell’articolo 739.

Se l’istanza di autorizzazione a vendere riguarda l’oggetto d’un legato di specie, il ricorso deve essere notificato al legatario

 

art. 748 c.p.c.    forma della vendita

la vendita dei beni ereditari deve compiersi nelle forme previste per la vendita dei beni dei minori.

Il giudice, quando occorre, fissa le modalità per la conservazione e il reimpiego del prezzo ricavato.

Il giudice nell’autorizzazione della vendita, può anche disporre che il prezzo ricavato sia depositato.

Per recente Cassazione[141] in caso di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, la vendita di un bene ereditario, ai sensi dell’art. 747 c.p.c., ed il reinvestimento del denaro così ricavato, non rendono il bene stesso impignorabile da parte dei creditori del de cuius, i quali ben potranno, pertanto, sottoporlo ad esecuzione e rivalersi sul ricavato, nei limiti del valore del bene, ove l’erede, proponendo la relativa eccezione, faccia valere il beneficio.

Processualmente, poi, è stato dichiarato[142] che anche se assoggettati alla disciplina dell’art. 534 e segg. c.p.c., espressamente richiamata dall’art. 733, al quale rinvia l’art. 748 c.p.c., gli atti relativi alla vendita dei beni ereditari, avendo solo funzione attuativa del provvedimento di autorizzazione del giudice e di liquidazione, quindi, del patrimonio ereditario, non possono essere considerati (atti) esecutivi, perché in alcun modo possono ricondursi ad una azione esecutiva, caratterizzata dalla funzione di realizzazione della pretesa del creditore procedente, e pertanto non possono essere oggetto della opposizione di cui all’art. 617 c.p.c. Possono peraltro essere proposte azioni autonome di nullità degli atti in questione.

Inesistenza di un termine finale per la liquidazione individuale

La legge non stabilisce, per l’esaurimento di questa procedura, un termine che segni la fine della separazione dei patrimoni. Pertanto alla perdita della qualifica di bene separato è collegata alla prescrizione dei crediti ereditari.

Ma anche quando siano decorsi 10 anni dalla morte del de cuius (termine della prescrizione ordinaria), non si potrà dire con certezza che la fase ereditaria sia chiusa, perché potrebbe, in ipotesi, veni fuori uno sconosciuto creditore a termine iniziale o a condizione sospensiva per il quale la prescrizione non si è ancora compiuta

Concorsuale

 

qualora i creditori si oppongono o lo stesso erede lo preferisce

La liquidazione concorsuale impedisce quella singolare, anzi l’inosservanza delle norme all’uopo predisposte importa la decadenza dal beneficio d’inventario (art. 505 c.c.).

 

  • Liquidazione concorsuale in caso di opposizione dei creditori

art. 498 c.c.   liquidazione dell’eredità in caso di opposizione

qualora entro il termine indicato nell’art. 495 [trascorso 1 mese dalla trascrizione prevista nell’art. 484 (trascrizione della dichiarazione di accettazione)] gli sia stata notificata opposizione da parte di creditori o di legatari, l’erede non può eseguire pagamenti, ma deve provvedere alla liquidazione dell’eredità nell’interesse di tutti i creditori e legatari.

A tal fine egli, non oltre 1 mese dalla notificazione dell’opposizione, deve, a mezzo di un notaio del luogo dell’aperta successione (c.c.456), invitare i creditori e i legatari a presentare, entro un termine stabilito dal notaio stesso e non inferiore a giorni 30, le dichiarazioni di credito.

L’invito è spedito per raccomandata ai creditori e ai legatari dei quali è noto il domicilio o la residenza ed e pubblicato nel foglio degli annunzi legali della provincia

Il Notaio esercita una funzione di controllo nell’interesse dei creditori e dei legatari e può, inoltre, rappresentare i coeredi assenti.

Il tribunale interviene, in composizione collegiale, per fissare eventualmente un termine per la liquidazione.

È stato anche precisato dalla S.C.[143] che in pendenza della procedura concorsuale di liquidazione dell’eredità beneficiata, i creditori del de cuius possono proporre contro l’erede (sia in sede ordinaria che monitoria) azioni di condanna od anche di mero accertamento dell’esistenza ed entità del loro credito, ancorché abbiano presentato la dichiarazione di credito di cui all’art. 498 c.c., stante l’autonomia e quindi la possibilità di coesistenza dei due procedimenti, poiché detta procedura di liquidazione vieta soltanto l’inizio di procedure esecutive individuali e la distribuzione del ricavato delle procedure in corso; nè osta all’accertamento delle obbligazioni dei terzi la costituzione in fondo patrimoniale dei beni personali dell’erede.

Infine, per la Cassazione[144], la domanda che il creditore proponga in un procedimento di liquidazione di eredità beneficiata per ottenere la soddisfazione del proprio credito non interrompe (né sospende) il decorso della prescrizione in quanto il suddetto procedimento, avendo natura di procedimento di giurisdizione volontaria e non costituendo la sede esclusiva di accertamento dei crediti nei confronti dell’eredità, non è, come tale, neanche astrattamente riconducibile — a differenza della domanda di insinuazione nello stato passivo del fallimento — alla tassativa elencazione di atti processuali contenuta nell’art. 2943 c.c.

  • Liquidazione promossa dall’erede o da più eredi

art. 503 c.c.     liquidazione promossa dall’erede

anche quando non vi e opposizione di creditori o di legatari, l’erede può valersi della procedura di liquidazione prevista dagli articoli precedenti (disp. di att. al c.c. 132).

Il pagamento fatto a creditori privilegiati ipotecari non impedisce all’erede di valersi di questa procedura.

 

La liquidazione concorsuale è impedita qualora sia stata già iniziata la liquidazione singolare, salvo che si tratti di pagamenti ai creditori privilegiati o ipotecari.

art. 504 c.c.   liquidazione nel caso di più eredi

se vi sono più eredi con beneficio d’inventario, ciascuno può promuovere la liquidazione; ma deve convocare i propri coeredi al notaio nel termine che questi ha stabilito per la dichiarazione dei crediti. I coeredi che non si presentano sono rappresentati nella liquidazione al notaio.

  • Liquidazione proseguita su istanza dei creditori e dei legatari

 

art. 509 c.c.   liquidazione proseguita su istanza dei creditori o legatari

se, dopo la scadenza del termine stabilito per presentare le dichiarazioni di credito, l’erede incorre nella decadenza dal beneficio d’inventario, ma nessuno dei creditori o legatari la fa valere, il pretore del luogo dell’aperta successione, su istanza di uno dei creditori o legatari, sentiti l’erede e coloro che hanno presentato le dichiarazioni di credito, può nominare un curatore con l’incarico di provvedere alla liquidazione dell’eredità secondo le norme degli artt. 499 e seguenti. Dopo la nomina del curatore, la decadenza dal beneficio non può più essere fatta valere.

Il decreto di nomina del curatore è iscritto nel registro delle successioni (disp. di att. al c.c. 52, 53), annotato a margine della trascrizione prescritta dal secondo comma dell’art. 484, e trascritto negli uffici dei registri immobiliari dei luoghi dove si trovano gli immobili ereditari e negli uffici dove sono registrati i beni mobili (c.c.2663).

L’erede perde l’amministrazione dei beni ed è tenuto a consegnarli al curatore. Gli atti di disposizione che l’erede compie dopo trascritto il decreto di nomina del curatore sono senza effetto rispetto ai creditori e ai legatari (c.c.2649).

  • L’espletamento della liquidazione concorsuale

art. 499 c.c.    procedura di liquidazione

scaduto il termine entro il quale devono presentarsi le dichiarazioni di credito [“non oltre 1 mese dalla notificazione dell’opposizione” ed “entro un termine stabilito dal notaio stesso e non inferiore a giorni 30”] , l’erede provvede, con l’assistenza del notaio, a liquidare le attività ereditarie facendosi autorizzare alle alienazioni necessarie. Se l’alienazione ha per oggetto beni sottoposti a privilegio o a ipoteca, i privilegi non si estinguono, e le ipoteche non possono essere cancellate sino a che l’acquirente non depositi il prezzo nel modo stabilito dal giudice o non provveda al pagamento dei creditori collocati nello stato di graduazione previsto dal comma seguente.

L’erede forma, sempre con l’assistenza del notaio, lo stato di graduazione. I creditori sono collocati secondo i rispettivi diritti di prelazione (c.c.2741 e seguenti). Essi sono preferiti ai legatari. Tra i creditori non aventi diritto di prelazione l’attivo ereditario è ripartito in proporzione dei rispettivi crediti.

Qualora, per soddisfare i creditori, sia necessario comprendere nella liquidazione anche l’oggetto di un legato di specie (c.c.649), sulla somma che residua dopo il pagamento dei creditori il legatario di specie è preferito agli altri legatari.

art. 500 c.c.   termine per la liquidazione

l‘autorità giudiziaria, su istanza di alcuno dei creditori o legatari, può assegnare un termine all’erede per liquidare le attività ereditarie e per formare lo stato di graduazione (C.p.c. 749).

 

art. 749 c.p.c.     procedimento per la fissazione dei termini

L’istanza per fissazione di un termine entro il quale una persona deve emettere una dichiarazione o compiere un determinato atto , se non è proposta nel corso di un giudizio, si propone con ricorso al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione .

Il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione del ricorrente e della persona alla quale il termine deve essere imposto e stabilisce il termine entro il quale il ricorso e il decreto debbono essere notificati, a cura del ricorrente, alla persona stessa.

Il giudice provvede con ordinanza, contro la quale è ammesso reclamo al tribunale in composizione collegiale a norma dell’ articolo 739 . Il collegio, del quale non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato, provvede con ordinanza non impugnabile in camera di consiglio , previa audizione degli interessati a norma del comma precedente.

Le stesse forme si osservano per chiedere la proroga di un termine stabilito dalla legge.

La proroga del termine stabilito dal giudice si chiede al giudice stesso.

 

l provvedimento di fissazione del termine per la liquidazione dell’eredità beneficiata previsto dall’art. 500 c.c. ha natura volontaria e non contenziosa e va assunto con ordinanza, impugnabile con reclamo, ove si limiti a concedere o negare le previste disposizioni sull’incontestato presupposto della ricorrenza o meno delle condizioni di legge per la sua adozione; quando, invece, vi siano contestazioni tra le parti in ordine al diritto dell’istante di chiedere la fissazione del termine o all’obbligo dell’erede di procedere alla liquidazione, la decisione del giudice sul punto viene ad incidere sui diritti soggettivi delle parti, onde il relativo provvedimento, quale che sia la forma adottata, finisce per assumere contenuto sostanziale di sentenza[145].

In caso di proroga del termine assegnato agli eredi per la liquidazione delle attività ereditarie ex art. 500 c.c. — proroga che, in assenza di espressa disposizione contraria, ben può essere dall’A.G. disposta in virtù della regola generale di cui agli artt. 742 e 742 bis c.p.c., nonché della natura non perentoria del termine, desumentesi anche dall’ultimo comma dell’art. 505 c.c. secondo cui la decadenza dal beneficio d’inventario può essere fatta valere soltanto dai creditori del defunto e dai legatari — la mancata partecipazione al procedimento concernente la proroga di soggetti che avevano preso parte al procedimento di assegnazione del termine non dà luogo a nullità per violazione del contraddittorio, ben potendo la parte pretermessa adire il giudice per la revoca o modifica della proroga concessa in sua assenza, stante la non definitività dei provvedimenti concernenti i termini, mentre le altre parti, non verificandosi incapienza, non ne ricevono concreto pregiudizio e non hanno pertanto interesse a dolersene. All’erede accettante con beneficio d’inventario non può pertanto riconoscersi alcuna posizione di diritto soggettivo, sia in ordine alla mancata osservanza da parte degli altri coeredi del termine in questione originariamente assegnato dal giudice che relativamente alla proroga del medesimo[146].

È ammissibile, inoltre, per le Sezioni Unite[147] il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso il provvedimento con il quale il tribunale, pronunciando in sede di reclamo ex art. 749 c.p.c., disponga la revoca della proroga del termine assegnato ex art. 500 c.c. all’erede accettante con beneficio di inventario per liquidare le attività ereditarie e formare lo stato di graduazione, trattandosi di provvedimento idoneo ad incidere su posizioni sostanziali di diritto soggettivo dell’erede medesimo (per la previsione, in particolare, della decadenza dal beneficio di inventario conseguente al mancato compimento, nel termine stabilito, delle menzionate operazioni), in contrapposizione a creditori del defunto e legatari.

 

Le Fasi

1A correlativamente

Verificazione dello stato passivo art. 498 2 e 3 co

Predisposizione dei mezzi di pagamento

2A Liquidazione dell’attivo ex art. 499 1 co

All’uopo l’erede, sempre con l’assistenza del notaio, deve provvedere alla conversione dei beni ereditari in denaro, richiedendo le prescritte autorizzazioni a norma degli artt. 493 c.c. e 747 c.p.c.

3A Formazione dello stato di graduazione

nel quale i creditori sono collocati secondo i rispettivi diritti di prelazione ed in mancanza nello stesso grado, con diritto alla ripartizione proporzionale ai loro crediti; i creditori sono preferiti ai legatari.

art. 501 c.c.    reclami

compiuto lo stato di graduazione, il notaio ne dà avviso con raccomandata ai creditori e legatari di cui è noto il domicilio o la residenza, e provvede alla pubblicazione di un estratto dello stato nel foglio degli annunzi legali della provincia. Trascorsi senza reclami 30 giorni dalla data di questa pubblicazione, lo stato di graduazione diviene definitivo.

 

 

art. 778 c.p.c. reclami contro lo stato di graduazione

i reclami contro lo stato di graduazione previsti nell’articolo 501 del c.c. sono proposti al giudice competente per valore del luogo dell’aperta successione.
Il valore della causa è dettato da quello dell’attivo ereditario calcolato sulla stima di inventario dei mobili e a norma dell’art. 15 per gli immobili.
I reclami si propongono con citazione
(con il rito contenzioso) da notificarsi all’erede e a coloro i cui diritti sono contestati, e sono decisi in unico giudizio.

 

art. 779 c.p.c.  istanza di liquidazione proposta dai creditori e legatari

L’istanza dei creditori e legatari prevista nell’articolo 509 del codice civile si propone con ricorso.

Il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione dell’erede e di coloro che hanno presentato le dichiarazioni di credito. Il decreto è comunicato alle parti dal cancelliere.

[Il pretore provvede sull’istanza con ordinanza, contro la quale è ammesso reclamo a norma dell’articolo 739][148].

Il tribunale provvede con ordinanza non impugnabile in camera di consiglio, previa audizione degli interessati a norma del comma precedente.

L’istanza di nomina non può essere accolta e la nomina avvenuta deve essere revocata in sede di reclamo, se alcuno dei creditori si oppone e dichiara di voler far valere la decadenza dell’erede dal beneficio d’inventario.

Se l’erede contesta l’esistenza delle condizioni previste nell’articolo 509 del codice civile il giudice provvede all’istruzione della causa, a norma del libro secondo, disponendo gli opportuni mezzi conservativi, compresa eventualmente la nomina del curatore.

 

art. 780 c.c. domanda dell’erede contro l’eredità

Le domande dell’erede con beneficio d’inventario contro l’eredità sono proposte contro gli altri eredi. Se non vi sono eredi o se tutti propongono la stessa domanda, il giudice nomina un curatore in rappresentanza dell’eredità.

4A Pagamento dei creditori

art. 502 c.c.     pagamento dei creditori e dei legatari

divenuto definitivo lo stato di graduazione (c.c.501) o passata in giudicato la sentenza che pronunzia sui reclami, l’erede deve soddisfare i creditori e i legatari in conformità dello stato medesimo. Questo costituisce titolo esecutivo contro l’erede (C.p.c. 474)

La collocazione dei crediti condizionali non impedisce il pagamento dei creditori posteriori, sempre che questi diano cauzione (c.c.1179).

I creditori e i legatari che non si sono presentati hanno azione contro l’erede solo nei limiti della somma che residua dopo il pagamento dei creditori e dei legatari collocati nello stato di graduazione. Questa azione si prescrive in 3 anni dal giorno in cui lo stato e divenuto definitivo o è passata in giudicato la sentenza che ha pronunziato sui reclami, salvo che il credito sia anteriormente prescritto.

 

  • Procedure Individuali

 

art. 506 c.c.   procedure individuali

eseguita la pubblicazione prescritta dal terzo comma dell’art. 498, non possono essere promosse procedure esecutive a istanza dei creditori. Possono tuttavia essere continuate quelle in corso, ma la parte di prezzo che residua dopo il pagamento dei creditori privilegiati e ipotecari deve essere distribuita in base allo stato di graduazione previsto dall’art. 499.

I crediti a termine diventano esigibili. Resta tuttavia il beneficio del termine, quando il credito e munito di garanzia reale (c.c.2747, 2796, 2808) su beni la cui alienazione non si renda necessaria ai fini della liquidazione, e la garanzia stessa è idonea ad assicurare il soddisfacimento integrale del credito.

Dalla data di pubblicazione dell’invito ai creditori previsto dal terzo comma dell’art. 498 e sospeso il decorso degl’interessi dei crediti chirografari. I creditori tuttavia hanno diritto, compiuta la liquidazione, al collocamento degli interessi sugli eventuali residui.

In tema di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, il divieto di promuovere procedure esecutive, posto a carico dei creditori dall’art. 506, I comma, c.c. (una volta eseguita la pubblicazione di cui all’art. 498 c.c.), non esclude che i creditori stessi possano procurarsi un titolo giudiziale di accertamento o esecutivo e dunque procedano verso l’erede con le opportune azioni, valendo tale titolo nella procedura di liquidazione predetta, ove il relativo credito può trovare soddisfazione nell’eventuale residuo; l’erede contro il quale sia stato formato un titolo esecutivo che lo condanni in qualità di erede beneficiato, pur se tenuto al pagamento non oltre il valore dei beni a lui pervenuti (ex art. 490, II comma, n. 2, c.c.), per potersi esonerare dal pagamento deve dimostrare non che l’asse ereditario sia stato originariamente insufficiente a coprire la passività, bensì che lo stesso è rimasto esaurito nel pagamento di creditori presentatisi in precedenza.

Principio[149] reso con riguardo ad una pretesa fiscale, ritenuta non azionabile dalla sentenza impugnata in cui la commissione tributaria aveva erroneamente negato che l’ufficio creditore potesse domandare alcunché per non aver fatto opposizione allo stato di liquidazione ed ivi ottenuto una riforma dello stesso.

In pendenza della procedura concorsuale di liquidazione dell’eredità beneficiata i creditori del de cuius possono proporre contro l’erede (sia in sede ordinaria che monitoria) azioni di condanna od anche di mero accertamento dell’esistenza ed entità del loro credito, ancorché abbiano presentato la dichiarazione di credito di cui all’art. 498 c.c., stante l’autonomia e quindi la possibilità di coesistenza dei due procedimenti, poiché detta procedura di liquidazione vieta soltanto l’inizio di procedure esecutive individuali e la distribuzione del ricavato delle procedure in corso. In tal caso la sentenza di condanna emessa nel giudizio ordinario nei confronti dell’erede beneficiato dell’autore di un atto illecito, può legittimamente comprendere nella liquidazione del danno gli interessi compensativi maturati anche successivamente alla pubblicazione nel foglio degli annunzi legali della provincia dell’invito ai creditori previsto dall’art. 498 c.c., data alla quale l’art. 506 c.c. arresta il decorso degli interessi dei crediti chirografari, trovando tale titolo soddisfazione sul residuo solo in caso di incapienza dei beni ereditari[150].

5) RILASCIO DEI BENI

 

Purché non abbia proceduto ad alcun atto di liquidazione, neanche al pagamento dei creditori ipotecari o privilegiati

art. 507 c.c.   rilascio dei beni ai creditori e ai legatari

l’erede, (1A condizione) non oltre   1 mese dalla scadenza del termine stabilito per presentare le dichiarazioni di credito, (2A condizione) se non ha provveduto ad alcun atto di liquidazione, può rilasciare (3A condizione) tutti i beni ereditari a (4A condizione) favore (di tutti) dei creditori e dei legatari.

A tal fine l’erede deve, nelle forme indicate dall’art. 498, dare avviso ai creditori e ai legatari dei quali è noto il domicilio o la residenza (c.c.43); deve iscrivere la dichiarazione di rilascio nel registro delle successioni (disp. di att. al c.c. 52, 53), annotarla in margine alla trascrizione prescritta dal secondo comma dell’art. 484, e trascriverla presso gli uffici dei registri immobiliari dei luoghi in cui si trovano gli immobili ereditari e presso gli uffici dove sono registrati i beni mobili [a differenza di quanto disposto dall’art.484 2 CO “ Entro 1 mese dall’inserzione, la dichiarazione deve essere trascritta, a cura del cancelliere, presso l’ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione.”] (c.c.2663).

Dal momento in cui è trascritta la dichiarazione di rilascio, gli atti di disposizione dei beni ereditari compiuti dall’erede sono senza effetto rispetto ai creditori e ai legatari (c.c.2649).

L’erede deve consegnare i beni al curatore nominato secondo le norme dell’articolo seguente. Eseguita la consegna, egli resta liberato da ogni responsabilità per i debiti ereditari (c.c.1177, 2930).

 

Natura giuridica dell’istituto

  • alcuni[151] lo qualificano come rinunzia dell’erede al potere di amministrazione e liquidazione; ma in contrario [152] è stato osservato che non si può configurare una rinunzia a ciò che costituisce un obbligo a carico dell’erede;
  • secondo un’altra opinione[153], si tratterebbe di una rinunzia ai beni ereditari a scopo liberatorio, analoga all’abbandono del fondo servente (art. 1070).

Ma è facile replicare che non si può parlare di abbandono liberatorio della proprietà, in quanto l’art. 508 al co 3 dispone espressamente che il residuo dei beni spetta all’erede;

  • altri[154] ancora configurano il rilascio dei beni come un mutamento del soggetto titolare dell’ufficio. In contrario si è osservato che l’erede non trasferisce ad altri l’ufficio (del quale, per altro, in quanto ufficio, non potrebbe privarsi), ma non lo assume affatto, in quanto il rilascio presuppone che non sia stato compiuto alcun atto di liquidazione.
  • È preferibile la teoria[155] che trova l’appoggio della relazione al codice, per cui il rilascio dei beni non è un atto traslativo della proprietà, ma un semplice abbandono dell’amministrazione, che passa ad un curatore dell’eredità, nominato dal tribunale.

Nella specie si è in presenza di

  • un negozio unilaterale, perché proviene da una sola parte, non essendo necessario per la sua perfezione il consenso dei creditori e dei legatari, a differenza della cessione dei beni ai creditori, che è considerata da legislatore (art.1977c.) un vero e proprio contratto[156];
  • recettizio, perché deve essere portato a conoscenza degli interessati mediante la forma di comunicazione prevista dall’art. 498 3 co;
  • che produce come suo effetto tipico, la sostituzione nella liquidazione concorsuale, di un curatore nominato dal giudice;
  • formale, poiché la dichiarazione deve essere fatta per atto pubblico o scrittura privata.

La capacità richiesta per la dichiarazione di rilascio è quella necessaria per compiere un atto di straordinaria amministrazione, in quanto di disposizione; pertanto, se l’erede è incapace, occorre l’intervento del legale rappresentante o rispettivamente l’assistenza del curatore con l’autorizzazione prescritta per gli atti di alienazione.

Il minore emancipato e l’inabilitato devono essere assistiti dal curatore debitamente autorizzato.

Nomina del curatore

art. 508 c.c. nomina del curatore

trascritta la dichiarazione di rilascio, il pretore del luogo dell’aperta successione, su istanza dell’erede o di uno dei creditori o legatari, o anche d’ufficio, nomina un curatore, perché provveda alla liquidazione secondo le norme degli artt. 498 e seguenti.

Il decreto di nomina del curatore è iscritto nel registro delle successioni (disp. di att. al c.c. 52, 53).

Le attività che residuano, pagate le spese della curatela e soddisfatti i creditori e i legatari collocati nello stato di graduazione, spettano all’erede, salva l’azione dei creditori e legatari, che non si sono presentati, nei limiti determinati dal terzo comma dell’art. 502.

 

 

6) QUESTIONI PROCESSUALI

 

Il chiamato all’eredità, che abbia accettato con beneficio d’inventario, assume la qualità di erede, e, pertanto, salva l’opponibilità del limite di responsabilità intra vires hereditatis, è legittimato passivamente alla domanda di adempimento proposta dal creditore del de cuius. Tale legittimazione non viene meno per il caso di successiva rinuncia all’eredità, tenuto conto che questa non è ammessa da parte di chi abbia già accettato, ancorché con l’indicato beneficio[157].

Secondo la prevalente giurisprudenza[158], l’eccezione di eredità beneficiata, in quanto idonea a introdurre nel giudizio di cognizione un fatto modificativo dell’obbligazione dell’erede, va fatta valere secondo il regime processuale delle eccezioni riservate alle parti.

Gli eredi devono provare di aver accettato con beneficio d’inventario nel procedimento di cognizione, mentre i creditori dell’eredità hanno l’onere di eccepirne l’eventuale decadenza.

In giurisprudenza è stato più volte sostenuto che l’eccezione relativa al beneficio d’inventario non può essere invocata in sede di esecuzione e nel giudizio di opposizione, né può essere fatta valere per la prima volta in sede di rinvio dalla Cassazione. La possibilità di avvalersi del beneficio d’inventario, se non eccepita nell’ambito del giudizio di cognizione,dunque, si consuma in quanto la sentenza copre il dedotto e il deducibile.

In dottrina sono state sollevate consistenti critiche alla esposta teoria: in particolare, è stato sostenuto che l’affermazione secondo cui l’erede beneficiato risponde dei debiti ereditari non semplicemente intra vires ma cum viribus hereditatis, ovvero solo con i beni del compendio ereditario, parrebbe spostare in sede esecutiva la fase entro cui è possibile sollevare la relativa eccezione.

In opposizione a un consistente orientamento giurisprudenziale, è stato affermato, in definitiva, che il limite derivante dall’accettazione beneficiata non incide “quantitavamente” sul debito del de cuius, ma sull’identità dei beni qualitativamente aggredibili, come è confermato dalle norme di cui agli artt. 495, 497, e 507 c.c..

Secondo parte della dottrina, dunque, il beneficium inventarii potrebbe essere fatto valere per la prima volta in sede esecutiva, fatta salva la facoltà dell’erede di introdurlo come thema decidendum nel giudizio di cognizione mediante domanda riconvenzionale. In tale ottica, il beneficio d’inventario non rappresenterebbe fatto impeditivo o modificativo: il beneficio involgerebbe, al contrario, l’accertamento della limitazione di responsabilità dell’erede. L’atto con cui vengono introdotti gli effetti del beneficio costituirebbe, in tale ottica, un atto in grado di determinare un ampliamento dell’oggetto del processo e degli effetti della decisione e del giudicato, ovvero «una domanda riconvenzionale con cui il convenuto sollecita una pronuncia in proprio favore, che dovrà valere per la fase satisfattiva del credito».

In tema, però le sezioni unite[159] hanno affermato che in tal senso l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario integra una eccezione in senso lato, in quanto il legislatore non ne ha espressamente escluso la rilevabilità d’ufficio e tale condizione non corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo, ma rileva quale fatto da solo sufficiente ad impedire la confusione del patrimonio dell’erede con quello del defunto. Ne consegue che, ove tale fatto sia già documentato in atti, il beneficio è liberamente invocabile dalla parte – anche in assenza di specifica allegazione e con forme diverse da quelle previste dall’art. 484 c.c. – pure nel giudizio d’appello ed è rilevabile d’ufficio dal giudice a favore degli altri chiamati all’eredità, senza che rilevi l’eventuale contumacia degli stessi, operando l’effetto espansivo previsto dall’art. 510 c.c. fino a quando essi non abbiano manifestato una accettazione pura e semplice ovvero siano decaduti dal beneficio, salva la facoltà di accettare avvalendosi espressamente del beneficio, ovvero di rinunciare all’eredità.

Mentre, come da ultimo arresto della Cassazione[160], il creditore che, agendo contro l’erede accettante con beneficio d’inventario, intenda farne valere la responsabilità ultra vires per il mancato compimento dell’inventario stesso nei termini previsti dagli articoli 485 e 487 c.c., non ha alcun onere di provare la dedotta omissione o ritardo, dovendo per converso, l’erede in accettazione beneficiata provare, in positivo, la circostanza de qua, rappresentando la tempestiva formazione dell’inventario un elemento costitutivo del relato beneficio.

Tale principio è confermato anche dalla giurisprudenza di merito[161] secondo la quale in tema di successioni mortis causa, la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione, mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio o ancora per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c.. Di talché, in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius, incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2697 c.c., l’onere di provare l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, la quale non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta, quindi, un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità.

Nella fattispecie, avente ad oggetto l’opposizione a decreto ingiuntivo, si è evidenziato come l’opposta, che aveva agito nei confronti degli opponenti in surroga/regresso quali eredi di un suo debitore, aveva provato unicamente la chiamata all’eredità mediante la produzione del certificato di famiglia del de cuius, da cui poteva evincersi che gli opponenti ne erano i legittimi eredi, ma non aveva provato anche la loro accettazione, né espressa né tacita. All’uopo, si è altresì sottolineato come l’accettazione dell’eredità da parte degli opponenti non potesse desumersi neppure implicitamente dall’opposizione a decreto ingiuntivo, dato che con tale atto gli opponenti avevano contestato, con varie argomentazioni, l’esistenza e la legittimità della pretesa creditoria dell’opposta, senza esercitare alcun diritto nascente dall’eredità, né avevano manifestato in alcun modo la volontà di accettare l’eredità. Conseguentemente, l’opposizione è stata accolta in assenza della prova della legittimazione degli ingiunti ed il decreto revocato.

 

7) BENEFICIO EX LEGE

 

Eredità devolute ad interdetti o minori

 

art. 471 c.c.   eredità devolute a minori o interdetti

non si possono accettare le eredità devolute ai minori e agli interdetti, se non col beneficio d’inventario, osservate le disposizioni degli artt. 321 e 374.

 

art. 320 3 co c.c.   rappresentanza e amministrazione:

I genitori non possono alienare, ipotecare o dare in pegno i beni pervenuti al figlio a qualsiasi titolo, anche a causa di morte, accettare o rinunziare ad eredità o legati, accettare donazioni, procedere allo scioglimento di comunioni, contrarre mutui o locazioni ultranovennali (1572) o compiere altri atti eccedenti la ordinaria amministrazione né promuovere, transigere o compromettere in arbitri giudizi relativi a tali atti, se non per necessità o utilità evidente del figlio dopo autorizzazione del giudice tutelare.

L’art. 471 c.c., disponendo che le eredità devolute ai minori e agli interdetti non si possono accettare se non con il beneficio di inventario, esclude che il rappresentante legale dell’incapace possa accettare l’eredità in modo diverso da quello prescritto dall’art. 484 c.c., che consiste in una dichiarazione espressa di volontà volta a fare acquistare all’incapace la qualità di erede con limitazione della responsabilità ai debiti e ai pesi intra vires hereditatis. Ne consegue che l’accettazione tacita, fatta con il compimento di uno degli atti previsti dall’art. 476 c.c. (nella specie, trattavasi di una divisione amichevole dei beni ereditari), non rientra nel potere del rappresentante legale e perciò non produce alcun effetto giuridico nei confronti dell’incapace, che resta nella posizione di chiamato all’eredità fino a quando egli stesso o il suo rappresentante eserciti il diritto di accettare o di rinunziare all’eredità entro il termine della prescrizione[162].

Inoltre, è stato anche specificato[163] che qualora il genitore esercente la potestà sul figlio minore chiamato all’eredità faccia l’accettazione prescritta dall’art. 471 c.c. da cui deriva l’acquisto da parte del minore della qualità di erede (artt. 470 e 459 c.c.), ma non compia l’inventario — necessario per poter usufruire della limitazione della responsabilità — e questo non sia redatto neppure dal minore entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, l’eredità resta acquisita da quest’ultimo, che però è considerato erede puro e semplice (art. 489 c.c.).

Ancora secondo ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 16 novembre 2018, n. 29665

Qualora il genitore esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore, chiamato all’eredità, faccia l’accettazione prescritta dall’articolo 471 del codice civile da cui deriva l’acquisto da parte del minore della qualità di erede, ma non compia l’inventario, necessario per poter usufruire della limitazione della responsabilità, e questo non sia redatto neppure dal minore entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, l’eredità resta acquisita da quest’ultimo, che però è considerato erede puro e semplice, mentre il mancato perfezionamento della procedura di accettazione beneficiata mantiene il minore nella qualità di chiamato, sicché una volta divenuto maggiorenne, potrà valutare se conservare o meno il beneficio ovvero rinunciare all’eredità.

In altri termini, secondo ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 5 giugno 2019, n. 15267.

L’art. 489 c.c. non attribuisce al minore, il cui legale rappresentante non abbia rinunciato all’eredità, il diritto di rinunciarvi al compimento della maggiore età, ma soltanto la facoltà di redigere l’inventario nel termine di un anno dal suo compimento così da garantire la sua responsabilità “intra vires hereditatis”. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza gravata che, a fronte dell’accettazione con beneficio d’inventario operata dal legale rappresentante del minore senza tuttavia aver provveduto all’inventario, ha ritenuto “tamquam non esset” la rinuncia all’eredità successivamente effettuata dall’erede divenuto maggiorenne).

Mentre, in tema di imposta di successione, per la sezione tributaria[164], il termine per la presentazione della dichiarazione di successione, nel caso in cui il chiamato all’eredità sia un minorenne, decorre – in base alla lettura coordinata dell’art. 31, comma 2, lett. d), del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (nel testo ratione temporis vigente) e degli artt. 484, 485 e 489 c.c. – dalla scadenza del termine ultimo per la redazione dell’inventario e, quindi, decorso un anno dal compimento della maggiore età, senza che abbia rilievo alcuno la circostanza che il minorenne, all’apertura della successione, si trovi o meno nel possesso dei beni ereditari.

Altro aspetto problematico attiene al caso in cui, intervenuta l’accettazione dell’eredità, o di quota di essa, si debba provvedere al compimento di atti di straordinaria amministrazione riguardanti i beni ricompresi nell’asse ereditario, da parte di un minore soggetto alla potestà dei genitori.

È in tale ipotesi che si pone l’esigenza di provvedere alla tutela sia dei creditori ereditari e dei legatari, cui provvede l’art. 747 c.p.c, che a quella dell’incapace, cui è indirizzato l’art. 320 c.c.

art. 747 c.p.c.      autorizzazione alla vendita dei beni ereditari

l’autorizzazione a vendere beni ereditari si chiede con ricorso diretto [per i mobili al pretore e per gli immobili] al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione.
Nel caso in cui i beni appartengano a incapaci deve essere sentito il giudice tutelare.

Il giudice provvede sul ricorso con decreto, contro il quale è ammesso reclamo a norma dell’articolo 739.

Se l’istanza di autorizzazione a vendere riguarda l’oggetto d’un legato di specie, il ricorso deve essere notificato al legatario.

 

Il sistema della legge proprio al fine di evitare decisioni eventualmente contrastanti su uno stesso affare – e cioè per la stessa ragione per cui si fa appello al principio dell’assorbimento – nell’art. 747 c.p.c., dispone che, quando i beni ereditari appartengono ad un incapace , deve essere sentito il giudice tutelare.

Non si tratta, quindi di assorbimento, ma di sostituzione di attività giurisdizionale dall’uno all’altro giudice.

Secondo il sistema, il parere del giudice tutelare non esaurisce affatto la tutela dell’interesse dell’incapace – oltre tutto perché è un parere e non un’autorizzazione – ma dovendosi, provvedere alla tutela anche d’interessi di soggetti diversi dall’incapace, alla competenza del giudice tutelare si sostituisce con pienezza di cognizione e di effetti la tutela del tribunale.

Non sono, quindi, possibili autorizzazioni parallele di giudici diversi.

L’autorizzazione non può non essere unica, ed il giudice, che non è quello delle tutele, non può essere che il tribunale.

Ma non per esclusione, bensì perché lo schema d’indagine predisposto dall’art. 747 c.p.c., comprensivo della valutazione di più interessi, e l’efficacia del provvedimento, eccezionalmente idoneo ad operare anche nei confronti di soggetti, quali creditori e legatari, che non partecipano al processo, si ritrovano solo nella citata disposizione.

In conseguenza della nuova formulazione dell’art. 320 c.c. la competenza del giudice tutelare è ancorata a 2 presupposti:

  • di carattere soggettivo

Che i genitori agiscano nella qualità di legali rappresentanti

  • di carattere oggettivo

Che il provvedimento richiesto riguardi un bene acquisito al patrimonio del figlio in modo definitivo per essere esaurito il procedimento relativo al beneficio d’inventario

In tal caso vi è la competenza del giudice tutelare, ex art. 320 c.c.,

  • prima con riguardo all’atto di accettazione con beneficio d’inventario dell’eredità cui il minore in potestate è chiamato,
  • poi con riguardo agli atti dispositivi del minore relativi ai singoli beni inclusi nell’asse, una volta che i medesimi, esaurito il procedimento relativo al beneficio d’inventario, non hanno più la qualità di beni ereditari.

Rimane correlativamente esclusa la competenza del giudice tutelare quando manchi l’uno o l’altro requisito; ed in tali casi, quando trattasi di beni ereditari, va applicato il solo art. 747 c.p.c.

Infatti per la S.C.[165] ai fini dell’individuazione del giudice competente ad autorizzare la vendita di beni del minore pervenutigli a titolo di successione mortis causa, occorre distinguere se sia o meno ancora attuale la condizione ereditaria dei beni stessi.

Nel primo caso, in cui si versa sino a quando non sia esaurita la procedura di accettazione con il beneficio d’inventario (obbligatoria per le eredità devolute ai minori), è competente il tribunale del luogo dell’aperta successione, ai sensi dell’art. 747 c.p.c., mentre nel secondo caso, è competente il giudice tutelare, ex art. 320, comma terzo, c.c.

Secondo altra sentenza[166] la competenza ad autorizzare la vendita di immobili ereditati dal minore soggetto alla potestà dei genitori appartiene al giudice tutelare del luogo di residenza del primo, a norma dell’art. 320, III comma, c.c., unicamente per quei beni che, provenendo da una successione ereditaria, si possono considerare acquisiti al suo patrimonio.

Ne consegue che, ai sensi del I comma dell’art. 747 c.p.c., la competenza spetta, sentito il giudice tutelare, al tribunale del luogo di apertura della successione, ove il procedimento dell’acquisto iure hereditario non si sia ancora esaurito per essere pendente la procedura di accettazione con beneficio di inventario, in quanto, in tale ipotesi, l’indagine del giudice non è circoscritta soltanto alla tutela del minore, ai sensi dell’art. 320 c.c., ma si estende a quella degli altri soggetti interessati alla liquidazione dell’eredità, così evitandosi una disparità di trattamento fra minori in potestate e minori sotto tutela, con riguardo alla diversa competenza a provvedere per i primi (giudice tutelare ai sensi dell’art. 320 c.c.) e i secondi (tribunale quale giudice delle successioni, in base all’art. 747 c.p.c.).

Da ciò nel caso in cui il minore si trova nella situazione di chiamato all’eredità nel possesso o non possessore dei beni ereditari (art. 460, 485 c.c.) i genitori, che lo sostituiscono nell’amministrazione dei beni che non sono ancora < pervenuti > al figlio stesso, propongono la istanza a norma del citato art. 747 c.p.c.

Se poi è nominato un curatore dell’eredità giacente, difettano entrambi i presupposti suindicati per l’applicazione dell’art. 320 c.c.

Il problema del coordinamento fra l’art. 320 e l’art. 747 c.p.c. si pone, quindi solo in casi assai limitati.

  • anzitutto nell’accettazione di eredità con il beneficio d’inventario. Questo è il caso tipico che richiama l’applicazione dell’art. 747 c.p.c.
  • altro caso è quello della istituzione dell’erede sotto condizione risolutiva del minore in potestate. L’eredità è accettata con il beneficio dell’inventario; i beni appartengono al minore in virtù dell’accettazione; l’istanza dei genitori della vendita è regolata interamente dall’art. 747 c.p.c.
  • esecutore testamentario di beni dei quali sia stato nominato erede un minore. Dovendosi anche in questo caso procedere all’accettazione dell’eredità con il beneficio d’inventario
  • la sostituzione fedecommissaria

Eredità devolute ai minori emancipati o inabilitati

art. 472 c.c.     eredità devolute a minori emancipati o a inabilitati

i minori emancipati e gli inabilitati non possono accettare l’eredità, se non col beneficio d’inventario, osservate le disposizioni dell’art. 394.

 

 

art. 394 c.c.  capacità dell’emancipato: l’emancipazione conferisce al minore la capacità di compiere gli atti che non eccedono l’ordinaria amministrazione (397, 2942).

Il minore emancipato può con l’assistenza del curatore riscuotere i capitali sotto la condizione di un idoneo impiego e può stare in giudizio sia come attore sia come convenuto

Per gli altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, oltre il consenso del curatore (395), è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare (att. 45-1) Per gli atti indicati nell’art. 375 l’autorizzazione, se curatore non è il genitore, deve essere data dal tribunale su parere del giudice tutelare.

Qualora nasca conflitto di interessi fra il minore e il curatore, è nominato un curatore speciale a norma dell’ult. comma dell’art. 320 (396; att. 45-1).

Eredità devolute a persone INCAPACI – disciplina generale

I termini stabiliti negli artt. 485 e 487 c.c per ottenere e mantenere il beneficio d’inventario sono prorogati, a favore degli incapaci, di 1 anno dalla cessazione della causa d’incapacità, ma non è esclusa in loro danno la perdita del diritto di accettare per il maturarsi della prescrizione ordinaria o per la mancata accettazione nel termine fissato dal giudice

489 c.c. incapaci

i minori, gli interdetti e gli inabilitati (c.c.414 e seg.) non s’intendono decaduti dal beneficio d’inventario (c.c.471, 472), se non al compimento di un anno dalla maggiore età o dal cessare dello stato d’interdizione o d’inabilitazione, qualora entro tale termine non si siano conformati alle norme della presente sezione.

 

Consegue la necessità di questo modo di accettazione e quindi la nullità di un’accettazione tacita o pura e semplice, la quale si deve considerare non idonea a produrre l’effetto che la legge normalmente ricollega all’accettazione dell’eredità, cioè non vale a fare acquistare al chiamato la qualità di erede.

La necessità dell’accettazione beneficiata per gli incapaci comporta, coerentemente, l’inammissibilità della decadenza dal beneficio d’inventario.

Per quanto riguarda la rinunzia

 

Effetti della mancata accettazione con il b.d’i. o della mancata redazione dell’inventario per gli incapaci:
A) il rappresentante legale dell’incapace non accetta l’eredità e si astiene dal compiere qualsiasi atto che importerebbe l’accettazione tacita; in tal caso l’incapace rimane nella posizione di chiamato all’eredità, con la facoltà di accettarla o rinunziarvi entro il termine di cui all’art. 489 c.c, purché nel frattempo non si sia avverata la prescrizione (10 anni) o non sia stata esercitata l’actio interrogatoria;
B) il rappresentante legale dell’incapace accetta l’eredità puramente e semplicemente o compie atti che importerebbero accettazione tacita dell’eredità – tale accettazione è inefficace e inopponibile all’erede fino alla scadenza dell’anno della cessazione della causa d’incapacità;
C) il rappresentante legale inizia, ma non completa, le formalità relative al b.d’i., perché compie solo l’una e non l’altra formalità all’uopo prescritte.

Inoltre,

  • se l’incapace è nel possesso di beni ereditari, ma il suo rappresentante non ha compiuto l’inventario nel termine di 3 mesi o in quello eventualmente prorogato dal giudice, il chiamato non è considerato erede puro e semplice, ma rimane nella posizione di chiamato all’eredità;
  • se l’incapace è nel possesso di beni ereditari e il suo rappresentante legale fa dichiarazione di accettazione dell’eredità con il beneficio d’inventario, ma non compie l’inventario nei termini suindicati, è considerato erede beneficiario e non decade dal beneficio se non dopo il decorso di un anno dalla cessazione dello stato d’incapacità;
  • se l’incapace non è nel possesso di beni ereditari ed il suo rappresentante legale fa dichiarazione di accettazione dell’eredità con il beneficio d’inventario, in tal caso l’incapace diviene erede beneficiario e conserva tale qualifica nonostante che il suo rappresentante non abbia compiuto l’inventario nel termine prescritto. L’incapace non incorre, quindi, nella decadenza dal beneficio, come il soggetto capace, che diviene erede puro e semplice, ma ha ancora 1 anno dalla cessazione della causa d’incapacità per fare l’inventario e decade dal beneficio se fa trascorrere inutilmente il detto termine;
  • se l’incapace non è nel possesso di beni ereditari ed il suo rappresentante legale procede all’inventario, ma non fa dichiarazione di accettazione dell’eredità con il beneficio d’inventario nei 40 giorni successivi al compimento dell’inventario, rimane nella posizione del chiamato ai sensi dell’art. 460 c.c., con gli altri effetti sopra ricordati, ed ha ancora 1 anno dalla cessazione della causa d’incapacità per deliberare se intende accettare o meno; decorso detto termine, egli perde la facoltà di accettare

Eredità devolute a persone giuridiche

art. 473 c.c.  eredità devolute a persone giuridiche

l’accettazione delle eredità devolute alle persone giuridiche o ad associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti non può farsi che col beneficio d’inventario.

Il presente articolo non si applica alle società[167].

 

Esse, è bene precisare, possono succedere solo per testamento.

 

A seguito della riforma del 2000 con la LEGGE 22 giugno 2000, n. 192[168] modifica dell’articolo 13 della legge 15 maggio 1997, n. 127, e dell’articolo 473 del codice civile, quest’ultima, già abrogativa della previsione dell’autorizzazione governativa prevista e disciplinata.

Riguardo alla mancata dichiarazione prevista dall’art. 487

  • un autorevole autore[169] ritiene applicabile anche alle persone giuridiche la norma contenuta nell’art. 487, che prevede la decadenza dal beneficio dell’inventario per non aver adempiuto alle formalità previste dalla legge.
  • Sembra preferibile l’opinione espressa dalla dottrina prevalente[170] e della giurisprudenza[171] secondo la quale le persone giuridiche non potrebbero mai divenire eredi puri e semplici.

Ne discende che in caso di mancata redazione dell’inventario nel termine, non potendo la persona giuridica divenire erede puro e semplice, sarà configurabile nei suoi confronti un’ipotesi d’incapacità a succedere, piuttosto che di decadenza dal beneficio.

Per quanto riguarda la decadenza dal beneficio d’inventario, si chiede se sia applicabile anche alle persone giuridiche l’art. 489 che prevede una deroga alla decadenza dal beneficio d’inventario.

Sembra preferibile l’opinione negativa, sostenuta da un’autorevole dottrina[172], secondo la quale anche le persone giuridiche possono decadere dal beneficio, qualora i loro rappresentanti non si uniformino alle disposizioni e agli oneri relativi al beneficio stesso, salva l’azione di risarcimento danni nei confronti del rappresentante responsabile.

La ragione di questa opinione è la seguente: mentre gli incapaci possono divenire (anzi i minori divengono) capaci, le persone giuridiche rimangono sempre tali e non avrebbe perciò senso prevedere per queste un termine entro cui adeguarsi alle regole stabilite.

 

NOTE

[1] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 8 gennaio 2013, n. 264, principio ripreso da altra pronuncia secondo la quale, appunto, il vigente ordinamento giuridico non prevede una distinta accettazione della eredità a secondo del titolo della delazione (testamentaria o legittima), ma un solo diritto di accettazione che ha per oggetto il diritto alla eredità e non il titolo della delazione ereditaria. Pertanto, l’accettazione della eredità da parte del chiamato ab intestato, avendo per oggetto il diritto alla eredità e non il titolo della delazione ereditaria, estende i suoi effetti anche alla delazione testamentaria eventualmente dovuta alla successiva scoperta di un testamento, in relazione alla quale non è conseguentemente configurabile una autonoma prescrizione del diritto di accettazione. Corte di Cassazione, sentenza 16-2-93, n. 1933

[2] Corte di Cassazione, sentenza 23-7-94, n. 6890

[3] Per una maggiore consultazione sull’usucapione abbreviata aprire il seguente link L’usucapione

[4] Corte di Cassazione, sentenza 28-11-58, n. 3811

[5] Corte di Cassazione, sentenza 6-12-84, n. 6412

[6] Cfr par.fo D) ACCETTAZIONE CON BENEFICIO D’INVENTARIO, punto 1) PRESUPPOSTI – PROCEDIMENTO – ATTIVITÀ, lettera E) Il termine, pag. 57

[7] Tribunale Ivrea, civile Sentenza 23 maggio 2014, n. 231. In tal senso anche Tribunale Perugia, Sezione L civile Sentenza 15 febbraio 2013, n. 88; l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo emesso nei confronti dell’opponente, in qualità di erede universale del de cuius, per il pagamento della somma lorda dovuta all’opposto a titolo di TFR e di spettanze retributive derivanti dal rapporto di lavoro subordinato da questi svolto alle dipendenze del defunto, merita accoglimento laddove l’opponente abbia formalizzato la rinuncia all’eredità, per effetto della quale non può essere chiamato a rispondere dei debiti del de cuius. Invero, ai sensi dell’art. 485 c.c., è previsto che il chiamato all’eredità, che a qualsiasi titolo sia nel possesso dei beni ereditari, entro tre mesi dall’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità, deve effettuare l’inventario, pena essere considerato erede puro e semplice. Tale fattispecie è comunemente nota in dottrina come accettazione legale e prevede che l’acquisto della qualità di erede consegue non ad una dichiarazione espressa o ad un comportamento concludente, bensì quale effetto di una presunzione assoluta collegata ad un possesso continuativo dei beni che, non essendo accompagnato dall’inventario a cautela dei terzi, fa assumere la qualità di erede puro e semplice. Nel caso di specie, essendo pacifico ed incontestata la rinuncia all’eredità, formalizzata dall’opponente con atto pubblico notarile, nel discende la revoca del titolo esecutivo opposto.

[8] art. 35   integrazione dei poteri del curatore

Le riduzioni di crediti, le transazioni, i compromessi, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, la cancellazione di ipoteche, la restituzione di pegni, lo svincolo delle cauzioni, l’accettazione di eredità e donazioni e gli atti di straordinaria amministrazione sono effettuate dal curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori.
Nel richiedere l’autorizzazione del comitato dei creditori, il curatore formula le proprie conclusioni anche sulla convenienza della proposta.
Se gli atti suddetti sono di valore superiore a cinquantamila euro e in ogni caso per le transazioni, il curatore ne informa previamente il giudice delegato, salvo che gli stessi siano già stati autorizzati dal medesimo ai sensi dell’articolo 104-ter comma ottavo.
Il limite di cui al secondo comma può essere adeguato con decreto del Ministro della giustizia.

[9] Cariota – Ferrara – Grosso – Burdese, Capozzi

[10] Bigliazzi – Geri – Cicu – Ferri – Grosso – Burdese

[11] Cicu – Santoro – Passerelli – Gazzoni

[12] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 21902 del 21-10-2011

[13] Corte di Cassazione, sentenza 26-6-87, n. 5633. La posizione del chiamato che accetta l’eredità si concreta in una situazione soggettiva avente carattere essenzialmente unitario ed inscindibile, non potendo l’accettazione essere operativa (o meno) se non nei confronti di tutti gli interessati. Ne consegue che, sollevata validamente l’eccezione di prescrizione della accettazione dell’eredità da parte di uno degli interessati, tale eccezione non può considerarsi operante solo riguardo a quest’ultimo ed inoperante riguardo ad altri interessati ancorché vi abbiano rinunciato, dovendo, invece, l’accettazione ritenersi tardiva nella sua totalità e quindi inidonea a fare acquistare al chiamato l’eredità, senza possibilità di ricorrere ad un criterio meramente quantitativo per affermarne nei confronti dei secondi la validità (parziale), neppure in applicazione analogica del principio stabilito dall’art. 1310, III comma, c.c., con riferimento alla rinuncia alla prescrizione fatta da uno dei debitori in solido, attesa la sostanziale differenza tra le due situazioni. (Nella specie, i giudici del merito avevano ritenuto che, in forza di un contratto di permuta intervenuto tra colui che aveva accettato tardivamente l’eredità e due dei soggetti interessati a farne valere l’intervenuta prescrizione, questi ultimi avessero tacitamente rinunciato alla prescrizione stessa, e che l’eccezione di prescrizione sollevata da altro interessato rimasto estraneo al contratto fosse operante solo a favore dello stesso e nei limiti dei suoi diritti. La S.C., enunciando il principio di cui in massima, ha annullato la decisione).

[14] Gangi

[15] Capozzi – Bianca – Grosso – Burdesse – Ferri

[16]Corte di Cassazione, sentenza 18-10-88, n. 5666. Il vigente ordinamento giuridico non contempla due distinti ed autonomi diritti di accettazione dell’eredità, derivanti l’uno dalla devoluzione testamentaria e l’altro da quella legittima, ciascuno soggetto ad un proprio termine di prescrizione, ma prevede (con riguardo al patrimonio relitto dal defunto, quale che ne sia il titolo della chiamata) un unico diritto d’accettazione, che, se non viene fatto valere, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal giorno dell’apertura della successione, e che se è, invece, esercitato, mediante l’accettazione dell’eredità devoluta per legge consente al chiamato ed ai terzi, nel caso di testamento successivamente scoperto, qualunque sia il tempo trascorso dalla apertura della successione, di chiederne l’esecuzione, sia nella ipotesi in cui il testamento sia più favorevole al chiamato (perché ad esempio gli attribuisce una quota maggiore rispetto a quella devoluta per legge ovvero beni ulteriori) sia nell’ipotesi opposta, nel qual caso però vige il principio secondo cui l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti nel testamento oltre il valore dell’eredità o con pregiudizio della porzione di legittima che gli è dovuta.

[17] Corte di Cassazione, sentenza 13 ottobre 2010, n. 21101, Corte di Cassazione, sentenza n. 6479/2002; Corte di Cassazione, sentenza n. 11634/1991; Corte di Cassazione, sentenza n. 1885/1988; Corte di Cassazione, sentenza 2489/1987; Corte di Cassazione, sentenza n. 4520/1984; Corte di Cassazione, sentenza n. 125/1983

[18] Corte di Cassazione, sentenza 14-7-72, n. 2408

[19] Corte di Cassazione, sentenza 20-3-76, n. 1021

[20] per una maggiore consultazione ed analisi sulla compravendita aprire il seguente link La compravendita

[21] La promessa di vendita di un appartamento compreso nell’eredità (Corte di Cassazione, sentenza 17 novembre 1999, n. 12753), per una maggiore consultazione ed analisi del preliminare aprire il seguente link Le trattative ed il contratto preliminare

[22] La formulazione di una proposta di contratto in ordine a beni ereditari (Corte di Cassazione, sentenza 11 ottobre 1977, n. 4327)

[23] Accettazione di una somma di pertinenza ereditaria, anche se di modesta entità, offertagli in considerazione della sua qualità (deve presumersi) di erede (Corte di Cassazione, sentenza 5 novembre 1999, n. 12327);

[24] La concessione di ipoteca su beni ereditari (Corte di Cassazione, sentenza 23 giugno 1958, n. 2226);

[25] Inoltre al riguardo Corte di Cassazione, sentenza 27 agosto 2012, n. 14666, secondo cui in tema di successioni per causa di morte, un pagamento transattivo del debito del de cuius ad opera del chiamato all’eredità, a differenza di un mero adempimento dallo stesso eseguito con denaro proprio, configura un’accettazione tacita dell’eredità, non potendosi transigere un debito ereditario se non da colui che agisce quale erede

[26] Per una maggiore consultazione sul contratto di mandato aprire il seguente link Il mandato

[27] Il conferimento, da parte del chiamato all’eredità, di un mandato a compiere tutti gli atti relativi all’amministrazione dei beni relitti. App. Cagliari 18 maggio 1962;

[28] L’esecuzione della voltura catastale dei beni immobili appartenenti al de cuius , trattandosi di atto rilevante non solo dal punto di vista tributario per il pagamento dell’imposta, ma anche dal punto di vista civile, per l’accertamento legale, e non semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi. Corte di Cassazione, sentenza 12 aprile 2002, n. 5226, in precedenza per altra sentenza Corte di Cassazione, sentenza 7-7-99, n. 7075, l’accettazione tacita di eredità, che si ha quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede, può essere desunta anche dal comportamento del chiamato, che abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o siano concludenti e significativi della volontà di accettare; pertanto l’accettazione tacita dell’eredità può essere desunta dal comportamento complessivo del chiamato all’eredità che ponga in essere non solo atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione di per sé sola inidonea a comprovare l’accettazione tacita, ma anche atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale che rileva non solo dal punto di vista tributario ma anche dal punto civile per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi.

[29] La riscossione dell’importo di un assegno rilasciato al de cuius in pagamento di un suo credito, non essendo la riscossione atto conservativo, bensì dispositivo, del patrimonio ereditario, Corte di Cassazione, sentenza 5 novembre 1999, n. 12327;

[30] In tema di successioni mortis causa, costituisce accettazione tacita dell’eredità l’istanza, avanzata dal chiamato, di voltura di una concessione edilizia già richiesta dal de cuius, trattandosi di iniziativa che, non rientrando nell’ambito degli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari, consentiti prima dell’accettazione dall’art. 460 c.c., travalica il semplice mantenimento dello stato di fatto esistente al momento dell’apertura della successione, e la cui proposizione dimostra, pertanto, l’avvenuta assunzione della qualità di erede. Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 263 del 8-1-2013

[31] Corte di Cassazione, sentenza 1-12-77, n. 5227

[32] L’esercizio dell’azione di riduzione da parte del legittimario (Cass. 12 ottobre 1955, n. 3051) – per una maggiore consultazione sull’azione di riduzione si consiglia di aprire il seguente link I legittimari; azione di riduzione e di restituzione

[33] Per una maggiore consultazione ed analisi dell’azione di petizione aprire il seguente link L’azione di petizione ereditaria

[34] per una maggiore consultazione sull’azione di simulazione si consiglia di aprire il seguente link La simulazione

[35] L’impugnazione del testamento da parte del chiamato, non potendo rientrare nei poteri conservativo-amministrativi del chiamato ex art. 460 c.c. (Corte di Cassazione, sentenza 26 giugno 1993, n. 7125); l’esercizio dell’azione di nullità delle disposizione testamentarie (Corte di Cassazione, sentenza 23 giugno 1958, n. 2226); Per una maggiore consultazione ed analisi delle azioni di impugnativa testamentaria aprire il seguente link L’invalidità del testamento

[36] La richiesta di divisione dei beni ereditari da parte del singolo chiamato, ove la stessa abbia i requisiti di vera e propria proposta negoziale, vale a dire un contenuto di per sé sufficiente a che l’accettazione della controparte determini il sorgere del vincolo contrattuale (Corte di Cassazione, sentenza 11 ottobre 1972, n. 4328);

[37] Per una maggiore consultazione ed analisi dell’azione di risoluzione aprire il seguente link La risoluzione

[38] Cassazione, Sezione terza civile, sentenza 5 luglio – 3 settembre 2007, n. 18534

[39] La denuncia di successione ed il pagamento della relativa imposta, con riferimento al valore del patrimonio relitto dichiarato nella predetta denuncia, non comportano accettazione tacita della eredità, trattandosi di adempimenti fiscali che, in quanto diretti ad evitare l’applicazione di sanzioni, hanno solo scopo conservativo e rientrano, quindi, tra gli atti che il chiamato a succedere può compiere in base ai poteri conferitigli dall’art. 460 c.c.; implicano, invece, accettazione tacita dell’eredità il ricorso alla commissione tributaria contro l’avviso di accertamento del maggior valore notificato dall’amministrazione finanziaria e la successiva stipulazione di un concordato per la definizione della controversia perché questi atti, indipendentemente dalla specifiche intenzioni del chiamato alla eredità, non sono meramente conservativi ma tendono alla definitiva soluzione della questione fiscale. Corte di Cassazione, sentenza 18-5-95, n. 5463

[40] Per una maggiore consultazione ed analisi dell’azione per il regolamento dei confini aprire il seguente link Le azioni a difesa della proprietà. Rivendicazione – negatoria – regolamento di confini – apposizione dei termini

[41] Corte di Cassazione, sentenza 12-11-98, n. 11408

[42] L’accettazione tacita di eredità può desumersi soltanto dall’esplicazione di un’attività personale del chiamato tale da integrare gli estremi dell’atto gestorio incompatibile con la volontà di rinunziare, e non altrimenti giustificabile se non in relazione alla qualità di erede, con la conseguenza che non possono essere ritenuti atti di accettazione tacita quelli di natura meramente conservativa che il chiamato può compiere anche prima dell’accettazione, ex art. 460 c.c. L’indagine relativa alla esistenza o meno di un comportamento qualificabile in termini di accettazione tacita, risolvendosi in un’accertamento di fatto, va condotta dal giudice di merito caso per caso (in considerazione delle peculiarità di ogni singola fattispecie, e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura e dell’importanza, oltreché della finalità, degli atti di gestione), e non è censurabile in sede di legittimità, purché la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o da errori di diritto. Corte di Cassazione, sentenza 17-11-99, n. 12753

[43] Come previsto da recente Cassazione, secondo la quale, appunto, non c’è accettazione tacita dell’eredità quando il chiamato all’eredità paga un debito dell’eredità senza aver prelevato denaro dall’asse ereditario. Per la consultazione della sentenza integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 gennaio 2014, n. 1634

[44] Non costituisce accettazione tacita dell’eredità la vendita di alcuni beni mobili del compendio ereditario effettuata dal chiamato per fare fronte ad una propria esposizione debitoria. Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4783 del 28-2-2007

[45] L’immissione nel possesso dei beni ereditari non comporta di per sé accettazione dell’eredità, atteso che l’art. 460 c.c. attribuisce al chiamato, in quanto tale, e pertanto anche anteriormente all’accettazione e addirittura senza bisogno della loro materiale apprensione, il potere di esercitare le azioni possessorie a tutela degli stessi beni. Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 3018 del 15-2-2005

[46] vedi Corte di Cassazione, sentenza 13 maggio 1999, n. 4756; la denuncia di successione ed il pagamento della relativa imposta non importano accettazione tacita dell’eredità, trattandosi di adempimenti di contenuto prevalentemente fiscale, diretti ad evitare l’applicazione di sanzioni, che di per sé non denotano in modo univoco la volontà di accettare l’eredità e rientrano tra gli atti di natura conservativa e di amministrazione temporanea che il chiamato a succedere può compiere in base ai poteri conferitigli dall’art. 460 c.c. Ciò, peraltro, non esclude che gli atti in questione costituiscano elementi indiziari, come tali liberamente valutabili ai fini indicati dal giudice del merito; Corte di Cassazione, sentenza 12-1-96, n. 178; l’accettazione tacita dell’eredità ai sensi dell’art. 476 c.c. non può desumersi dalla denunzia di successione e dal pagamento della relativa imposta trattandosi di adempimenti di contenuto prevalentemente fiscale, diretti ad evitare l’applicazione di sanzioni e caratterizzati da scopi conservativi, che di per sé non denotano in maniera univoca la volontà di accettare. Corte di Cassazione, sentenza 30 ottobre 1992, n. 11813,

[47] Azzariti – Ferri – Giannattasio

[48] Santoro – Passarelli

[49] Cicu – Cariota – Ferrara – Grosso – Burdesse – Capozzi

[50] Corte di Cassazione, sentenza 28 agosto 1986, n. 5275; Corte di Cassazione, sentenza 16 dicembre 1986, n. 7552.

[51] Corte di Cassazione, Sez. Un., sentenza 14-2-73

[52] Ferri

[53] Corte di Cassazione, sentenza 23-11-67, n. 2815

[54] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 20 ottobre 2014, n. 22195

[55] Corte di Cassazione, sentenza 25-6-85, n. 3828

[56] Vedi par.fo

[57] Gazzoni

[58] Per la consultazione della sentenza integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 14 ottobre 2014, n. 21687

[59] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 8 gennaio 2013, n. 264

[60] Corte di Cassazione, sentenza 25-1-1983 n. 697; Corte di Cassazione, sentenza 18-10-1988 n. 5666; Corte di Cassazione, sentenza 16-2-1993 n. 1933; Corte di Cassazione, sentenza 22-9-2000 n. 12575

[61] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 21 marzo 2011, n. 6397

[62] Ferri – Palazzo

[63] In tema di successioni legittime, qualora sussista una pluralità di designati a succedere in ordine successivo, si realizza una delazione simultanea a favore dei primi chiamati e dei chiamati ulteriori, con la conseguenza che questi ultimi, in pendenza del termine di accettazione dell’eredità per i primi chiamati, sono abilitati ad esercitare un’accettazione (espressa o tacita) valida, ma con efficacia subordinata al venir meno, per rinuncia o prescrizione eventi che configurano una condicio iuris del diritto dei primi chiamati. Corte di Cassazione, sentenza 16-8-93, n. 8737

[64] Gazzoni

[65] Barassi – Piras – Cariota Ferrara – Bianca – Coviello – Capozzi

[66] In tema di successioni per causa di morte, l’art. 480 c.c. pone un’eccezione alla regola che si desume dal combinato disposto dell’art. 2935 c.c., in relazione alla decorrenza della prescrizione, e dell’art. 523 c.c., circa l’ordine della devoluzione, nel senso che, sebbene per i chiamati ulteriori la delazione non sia coeva all’apertura della successione, ma si attui in linea eventuale e successiva solo se, ed in quanto, i primi chiamati non vogliano o non possano accettare l’eredità, la prescrizione decorre anche per i chiamati ulteriori sin dal momento dell’apertura della successione, salva l’ipotesi in cui vi sia stata accettazione da parte dei precedenti chiamati e il loro acquisto ereditario sia venuto meno. Tale eccezione trova spiegazione alla luce dell’art. 481 c.c., che attribuisce a chiunque vi abbia interesse, e dunque prioritariamente ai chiamati ulteriori, l’actio interrogatoria, mediante la quale è possibile chiedere al giudice di fissare un termine, necessariamente anteriore alla scadenza di quello di prescrizione, ex art. 480 c.c., entro cui il chiamato manifesti la propria intenzione di accettare l’eredità o di rinunciarvi. Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16426 del 27-9-2012

[67] Gazzoni

[68] Gazzoni

[69] Corte di Cassazione, sentenza 18-10-88, n. 5666

[70] Corte di Cassazione, sentenza 23-2-85, n. 1628

[71] Ferri – Prestipino

[72] Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 maggio 2014, n. 11638 cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 1048/95, in motivazione.

[73] Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 maggio 2014, n. 11638

[74] Corte di Cassazione, sentenza 12-6-2006 n. 13751; Corte di Cassazione, sentenza 24-8-1998 n. 8391

[75] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 ottobre 2014, n. 21227

[76] Corte di Cassazione, sentenza 3 1-3-2011 n. 7517

[77] Corte di Cassazione, sentenza 14-10-2011 n. 21287

[78] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 4 luglio 2014, n. 15295

[79] Corte di Cassazione, sentenza 30 aprile 2010, n. 10525; Corte di Cassazione, sentenza 6 maggio 2002, n. 6479, Corte di Cassazione, sentenza n. 2849/1992; Corte di Cassazione, sentenza n. 1885/1988; Corte di Cassazione, sentenza n. 2489/1987; Corte di Cassazione, sentenza n. 5105/1985. Inoltre, Corte di Cassazione, sentenza 7-1-83, n. 125, secondo la quale la delazione, che segue all’apertura della successione ereditaria, non è di per sé sufficiente a determinare l’acquisto della qualità di erede, occorrendo a tal fine che il chiamato proceda all’accettazione, o mediante una precisa dichiarazione di volontà od assunzione del titolo di erede in un atto pubblico o in una scrittura privata, ovvero mediante atti e comportamenti che presuppongano necessariamente la volontà di accettare. Pertanto, colui che deduca l’avvenuta acquisizione della qualità di erede da parte dell’avversario, come fatto posto a fondamento della domanda, è tenuto, ai sensi dell’art. 2697 c.c., a provare che vi sia stata l’accettazione dell’eredità, senza che siffatto onere comporti una prova impossibile in conseguenza della previsione, per detta accettazione, del termine di dieci anni e della forma espressa o tacita, in quanto l’art. 481 c.c. consente a chiunque vi abbia interesse di acquisire in qualsiasi momento la certezza circa l’accettazione o meno dell’eredità da parte del chiamato. Ancora secondo altra sentenza Corte di Cassazione, sentenza 30-7-84, n. 4520 – la semplice delazione, che segue all’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione mediante aditio, oppure per effetto di pro herede gestio, oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c. Pertanto, colui il quale deduce l’avvenuta accettazione della eredità come presupposto della domanda azionata, facendo valere un credito contro un chiamato all’eredità del debitore, quale erede ope legis ai sensi dell’art. 485 c.c., è onerato dalla prova del possesso dei beni di quell’eredità da parte del chiamato.

[80] Poichè nelle successioni mortis causa la delazione, che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sè sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, per la necessità anche di accettazione da parte del chiamato, chi agisce in giudizio nei confronti del preteso erede è onerato, in applicazione del principio generale posto dall’art. 2697 c.c., dell’onere di provarne l’assunzione della qualità, non desumibile dalla sola chiamata all’eredità, ma conseguendo alla sua accettazione espressa o tacita: sicchè la sua ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto convenuto in giudizio in detta qualità.

Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 13 giugno 2014, n. 13491

[81] Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 14 ottobre 2011, n. 21288

[82] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 25341 del 15-12-2010

[83] Coviello

[84] Vocino

[85] per tutti Vocino

[86] Moscarini – Grosso – Burdesse – Palazzo – Gazzoni – Capozzi

[87] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16739 del 9-8-2005, da ultimo Corte di Cassazione, Sezione TRI civile, sentenza 26 novembre 2014, n. 25116 Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 26 novembre 2014, n. 25116; l’articolo 484 c.c., nel prevedere che l’accettazione con beneficio d’inventario si fa con dichiarazione, preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario, delinea una fattispecie a formazione progressiva di cui sona elementi costitutivi entrambi gli adempimenti ivi previsti, cosicchè, se, da un lato, la dichiarazione di accettazione con beneficio d’inventario ha una propria immediata efficacia, determinando il definitivo acquisto della qualità di erede, da parte del chiamato, che subentra perciò in universum ius defuncti, compresi debiti del de cuius, d’altra canto essa non incide sulla limitazione della responsabilità intra vires che è condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell’inventario, in mancanza del quale l’accettante è considerato erede puro e semplice (articoli 485, 487 e 480 c.c.) non perchè abbia perduto ex post il beneficio ma per non averlo mai conseguito.

[88] Cicu – Ferri

[89] Grosso e Burdesse

[90] Natoli – Capozzi

[91] Corte di Cassazione, sentenza 29-5-78, n. 2689

[92] Il presente comma è stato aggiunto dall’art. 13 D.L. 22.12.2011, n. 212 così come modificato dall’allegato alla legge di conversione L. 17.02.2012, n. 10 con decorrenza dal 21.02.2012.

[93] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 18 luglio 2002, n. 10044

[94] Corte di Cassazione, Sezione TRI civile, sentenza 4 aprile 2012, n. 5407

[95] Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 26 novembre 2014, n. 25116; Corte di Cassazione, sentenza n. 922/2010 e Corte di Cassazione, sentenza 10446/2012.

[96] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24 luglio 2000, n. 9648

[97] Cfr par.fo B) ACQUISTO ED ACCETTAZIONE EX LEGE – ACCETTAZIONE SENZA DICHIARAZIONE, punto 2) MANCATA FORMAZIONE DELL’INVENTARIO, pag. 6

[98] Jannuzzi – Lorefice

[99] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 30 marzo 2012, n. 5152

[100] Corte di Cassazione, sentenza 14-10-70, n. 2014

[101] Tribunale Arezzo, civile, sentenza 12 giugno 2014, n. 579. A fronte del principio enunciato, si è accertato che il convenuto si trovava nel possesso dei beni ereditari al momento della chiamata all’eredità e, verificato che non risultava la redazione di alcun inventario da parte del convenuto stesso, si è dichiarata la qualità di erede in capo al convenuto in ordine ai beni di proprietà del di lui padre ed in suo possesso.

[102] La decadenza dal beneficio dell’inventario posta a carico del chiamato che sia nel possesso di beni ereditari dall’art. 485 c.c. non richiede il possesso dell’intera eredità, essendo sufficiente a tal fine il possesso anche di un solo bene ereditario con la consapevolezza della sua provenienza. Corte di Cassazione, sentenza 5-6-79, n. 3175

[103] La ricorrenza di un’accettazione presunta dell’eredità, secondo la previsione dell’art. 485 c.c., da parte del chiamato che si trovi a qualsiasi titolo nel possesso di beni ereditari, e non compia l’inventario o non emetta la dichiarazione di accettare o rinunciare nel termine all’uopo stabilito, va riscontrata anche nel caso di compossesso del patrimonio ereditario indiviso, pure se non esercitato materialmente su tutti i singoli beni che lo compongono (dovendosi ritenere che ciascun erede possegga anche in rappresentanza degli altri), e può essere evinta anche indirettamente dal comportamento e dalle ammissioni degli altri coeredi avente un interesse ad essa contrario. Corte di Cassazione, sentenza 4-5-83, n. 3043

[104] Per una maggiore consultazione sull’istituto del possesso aprire il seguente link Il possesso, l’usucapione e le azioni a tutela del possesso

[105] Tribunale Reggio Calabria, civile, sentenza 26 settembre 2003

[106] Il possesso dei beni ereditari previsto dall’art. 485 c.c.. per l’acquisto della qualità di erede puro e semplice nel caso di mancata redazione dell’inventario nei termini di legge non deve necessariamente manifestarsi in un’attività corrispondente allo esercizio della proprietà dei beni ereditari, ma si esaurisce in una mera relazione materiale tra i beni e il chiamato all’eredità, e cioè in una situazione di fatto che consenta l’esercizio di concreti poteri sui beni, sia pure per mezzo di terzi detentori, con la consapevolezza della loro appartenenza al compendio ereditario: ne consegue che la previsione legale si estende ad ogni specie di possesso, quale che ne sia il titolo giustificativo, e include anche la detenzione a titolo di custodia o di affidamento temporaneo. Corte di Cassazione, sentenza 25-7-80, n. 4835

[107] L’onere imposto dall’art. 485 c.c. al chiamato all’eredità che si trovi nel possesso di beni ereditari di fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia di essa condiziona non solo la facoltà del chiamato di accettare l’eredità con beneficio di inventario ex art. 484 dello stesso codice, ma anche quella di rinunciare all’eredità, ai sensi del successivo art. 519, in maniera efficace nei confronti dei creditori del de cuius, dovendo il chiamato, allo scadere del termine stabilito per l’inventario, essere considerato erede puro e semplice. Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 4845 del 29-3-2003

[108] Corte di Cassazione, sentenza 9-7-75, n. 2674

[109] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2721 del 8-2-2010

[110] Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 26 novembre 2014, n. 25116

[111] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 luglio 2012, n.13206, inoltre conformi Corte di Cassazione, sentenza 19 marzo 2007, n. 6488; Corte di Cassazione, sentenza 14 marzo 2003, n. 3791.

[112] Corte di Cassazione, sentenza 10-11-79, n. 5799

[113] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18534 del 3-9-2007

[114] Jannuzzi – Lorefice

[115] Corte di Cassazione, sentenza 28-3-81, n. 1787

[116] Corte di Cassazione, sentenza 23-2-85, n. 1628

[117] Jannuzzi – Lorefice

[118] Jannuzzi – Lorefice

[119] Corte di Cassazione, sentenza 27-11-75, n. 3969

[120] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 luglio 2012, n.13206

[121] Corte di Cassazione, sentenza 29 aprile 1993, n. 5067

[122] Corte di Cassazione, sentenza 10-7-73, n. 1990

[123] Cicu – Ferri

[124] Grosso – Burdesse

[125] Ai sensi dell’art. 490, n. 2, c.c., l’erede che abbia accettato l’eredità con beneficio d’inventario, non è tenuto al pagamento dei debiti ereditati oltre il valore dei beni a lui pervenuti, ma resta obbligato a corrispondere le spese conseguenti al suo comportamento litigioso, secondo il principio generale della soccombenza, e non inquadrabili, quindi, fra i debiti dell’eredità. Corte di Cassazione, sentenza 20-3-72, n. 852

[126] Una volta riconosciuta al successore universale nel processo (art. 110 c.p.c.) la qualità di erede accettante con il beneficio d’inventario (art. 484 c.c.), ciò comporta che per ogni debito di cui gli si può far carico come tale, e quindi per la condanna pecuniaria inflittagli come successore nel processo in cui era parte il de cuius, l’erede non è tenuto oltre il valore dei beni a lui pervenuti (art. 490, n. 2; 2740 c.c.). Tale limitazione intra vires afferisce così alla sorte capitale come agli interessi; e, per regola (come può desumersi dall’art. 94 c.p.c.), il beneficio si estende anche alle spese del giudizio. Corte di Cassazione, sentenza 11-8-77, n. 3713

[127] Corte di Cassazione, sentenza 10-7-73, n. 1990

[128] Corte di Cassazione, sentenza 18-5-93, n. 5641. Nella specie, la suprema corte ha confermato la decisione di merito che aveva riconosciuto l’interesse del coerede ad opporsi al decreto ingiuntivo emesso per il pagamento di un debito ereditario senza alcun riferimento né alle quote ereditarie, né alla qualità di erede beneficiario, sì da esporre i coeredi alla responsabilità solidale ultra vires per l’intero debito

[129] Corte di Cassazione, sentenza 27-11-99, n. 13291, inoltre, Corte di Cassazione, Sezione L civile, sentenza 21 febbraio 1984, n. 1251. Nel caso di comunione incidentale di azienda, ove il godimento di questa si realizzi mediante il diretto sfruttamento della medesima da parte di uno o più partecipanti alla comunione, è configurabile l’esercizio di un’impresa individuale o collettiva (nella forma della società regolare oppure della società irregolare o di fatto), non ostandovi l’art. 2248 c.c. (che assoggetta alle norme degli artt. 1100 e seguenti dello stesso codice la comunione costituita o mantenuta al solo scopo di godimento). Pertanto, nel caso in cui l’erede con beneficio d’inventario ed il coniuge usufruttuario ex lege (art.. 581, vecchio testo, c.c.) esercitino, congiuntamente ed in via di fatto, lo sfruttamento diretto dell’azienda già appartenuta al de cuius, è esclusa la configurabilità di una mera amministrazione di beni ereditari in regime di comunione incidentale di godimento e si è, invece, in presenza dell’esercizio di attività imprenditoriale da parte di una società di fatto, con l’ulteriore conseguenza che, in ordine alla responsabilità per i debiti contratti nell’esercizio di tale attività, restano prive di rilievo la qualità successoria delle persone anzidette e le correlative limitazioni di responsabilità.

[130] Per una maggiore consultazione sull’Azienda aprire il seguente link L’azienda

[131] Corte di Cassazione, sentenza 17-10-66, n. 2482.

[132] Corte di Cassazione, sentenza 12-4-65, n. 654

[133] Corte di Cassazione, sentenza 5-12-70, n. 2571. Nella specie, si trattava di iscrizione intervenuta nelle more tra l’apertura della successione e la dichiarazione di accettazione beneficiata

[134] Per una maggiore consultazione sul contratto di permuta aprire il seguente link Il contratto di permuta

[135] Per una maggiore consultazione sull’usufrutto aprire il seguente link L’usufrutto

[136] Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 14 marzo 2003, n. 3791

[137] Corte di Cassazione, sentenza 15-4-93, n. 4469

[138] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 23 luglio 2007, n. 16195

[139] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 23 maggio 1962, n. 1177, inoltre, Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 25 ottobre 2013, n. 24171 Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 25 ottobre 2013, n. 24171

[140] Corte di Cassazione, sentenza 15-10-68, n. 3294. In applicazione di tale principio la corte di cassazione ha cassato la sentenza del giudice di merito, il quale aveva riconosciuto al coniuge superstite legatario usufruttuario ex lege di una quota maggioritaria di godimento rispetto al bene ereditario oggetto di locazione, l’esercizio di una specie di ius prohibendi ex artt. 1105 e 1108 c.c. rispetto all’atto dispositivo compiuto dall’erede beneficiario mediante l’instaurazione dell’azione intesa a far cessare per morosità o per scadenza del termine convenzionale la locazione già stipulata dal de cuius

[141] Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 26 luglio 2012, n. 13206

[142] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 11 ottobre 1995, n. 10587. Nella specie, il curatore dell’eredità aveva chiesto che fosse dichiarata la nullità dell’atto di compravendita rogato dal notaio designato per il pubblico incanto, in esito a quest`ultimo e al fine di attuare il trasferimento dell’immobile, e il giudice di merito aveva ritenuto la nullità dell’atto, affermando che l’effetto traslativo avrebbe dovuto realizzarsi con il verbale di cui all’art. 191 disp. att. c.p.c. La S.C., confermato l’interesse del curatore a far valere il dedotto vizio formale, ha escluso la rilevanza del termine di cui all’art. 617 c.p.c. e ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata, enunciando, quando al merito della questione di nullità, i principi di cui a separata massima.

[143] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 28749 del 3-12-2008, inoltre, Corte di Cassazione, sentenza 6-11-91, n. 11848. In pendenza della procedura concorsuale di liquidazione dell’eredità beneficiata i creditori del de cuius possono proporre contro l’erede (sia in sede ordinaria che monitoria) azioni di condanna od anche di mero accertamento dell’esistenza ed entità del loro credito, ancorché abbiano presentato la dichiarazione di credito di cui all’art. 498 c.c., stante l’autonomia e quindi la possibilità di coesistenza dei due procedimenti, poiché detta procedura di liquidazione vieta soltanto l’inizio di procedure esecutive individuali e la distribuzione del ricavato delle procedure in corso. In tal caso la sentenza di condanna emessa nel giudizio ordinario nei confronti dell’erede beneficiato dell’autore di un atto illecito, può legittimamente comprendere nella liquidazione del danno gli interessi compensativi maturati anche successivamente alla pubblicazione nel foglio degli annunzi legali della provincia dell’invito ai creditori previsto dall’art. 498 c.c., data alla quale l’art. 506 c.c. arresta il decorso degli interessi dei crediti chirografari, trovando tale titolo soddisfazione sul residuo solo in caso di incapienza dei beni ereditari.

[144] Corte di Cassazione, sentenza 30-3-2001, n. 4704

[145] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 15583 del 10-12-2001. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto l’ammissibilità dell’appello proposto avverso provvedimento emesso ai sensi dell’art. 500 c.c., avendo rilevato che detto provvedimento aveva non solo la forma, ma anche la natura di sentenza

[146] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 13862 del 9-11-2001

[147] Corte di Cassazione, Sez. Un., sentenza 1521 del 26-1-2005

[148] Il presente periodo è stato soppresso dall’art. 115 D.Lgs 19.02.98 n. 51, in vigore dal 21.03.98 con effetto dal 02.06.99.

[149] Corte di Cassazione, sentenza V, sentenza 25670 del 24-10-2008

[150] Corte di Cassazione, sentenza 6-11-91, n. 1184

[151] De Simone

[152] Vocino

[153] Natoli

[154] Vocino

[155] per tutti Prestipino – Capozzi

[156] Per una maggiore consultazione del contratto di cessione dei beni ai creditori aprire il seguente link

La cessione dei beni ai creditori

[157] Corte di Cassazione, sentenza 9-7-80, n. 4373

[158] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 25 ottobre 2013, n. 24171

[159] Corte di Cassazione, Sezione U civile, ordinanza 7 maggio 2013, n. 10531

[160] Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 26 novembre 2014, n. 25116, in tal senso anche Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 15 luglio 2003, n. 11030, il creditore che, agendo contro l’erede accettante con beneficio d’inventario, intenda farne valere la responsabilità “ultra vires” per il mancato compimento dell’inventario stesso nei termini previsti dagli artt. 485 e 487 c.c., non ha alcun onere di provare la dedotta omissione o ritardo, dovendo per converso, l’erede in accettazione beneficiata provare, in positivo, la circostanza “de qua“, rappresentando la tempestiva formazione dell’inventario un elemento costitutivo del relativo beneficio.

[161] Tribunale Milano, Sezione 6 civile, sentenza 15 luglio 2014, n. 9359

[162] Corte di Cassazione, sentenza 27-2-95, n. 2276

[163] Corte di Cassazione, sentenza 23-8-99, n. 8832

[164] Corte di Cassazione, Sezione TRI civile, sentenza 4 marzo 2011, n. 5211. Inoltre Corte di Cassazione, Sezione TRI civile, sentenza 9 giugno 2010, n. 13856 in tema di imposta di successione, il termine per la presentazione della dichiarazione di successione, nel caso in cui il chiamato all’eredità accetti con beneficio di inventario, decorre – in mancanza di un’apposita disciplina e sulla base di un’interpretazione sistematica volta ad assicurare il coordinamento tra l’art. 31, comma 2, lett. d), del d.lgs. n. 346 del 1990 (nel testo ratione temporis vigente) e la disciplina civilistica (artt. 484 e ss. c.c.) – dalla scadenza del termine ultimo, comprensivo delle eventuali proroghe, per la redazione dell’inventario, in modo da consentire al chiamato di effettuare una precisa e non affrettata dichiarazione dei beni ereditari. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in un caso in cui gli eredi accettanti con beneficio di inventario avevano prima richiesto al tribunale la nomina di un notaio per la redazione dell’inventario e successivamente avevano ottenuto una proroga di tre mesi ex art. 485 c.c., aveva ritenuto che i termini per la denuncia di successione decorressero dal momento in cui era scaduta la proroga).

[165] Corte di Cassazione, sentenza 7-2-87, n. 1262

[166] Corte di Cassazione, Sezione II, ordinanza 27 luglio 2012, n. 13520. Giurisprudenza di merito, Tribunale Trani, Decreto 2 novembre 2009, n. 2096. In materia di alienazione di beni ereditari dei minori sotto potestà, è necessaria l’autorizzazione del tribunale delle successioni ex articolo 747 del codice di procedura civile fin quando i beni da alienare sono ereditari come lo sono quando ad esempio è ancora in corso la procedura di accettazione e liquidazione con il beneficio d’inventario; all’esito di tale fase, persa tale qualità ereditaria, i beni in questione possono essere alienati con la sola autorizzazione ex articolo 320 del c.c., ossia con l’autorizzazione del solo giudice tutelare. Allorché si tratti di beni mobili, è, tuttavia, sostanzialmente impossibile ritenere cessata la loro qualità ereditaria, e deve concludersi
conseguentemente per la necessità della procedura ex articolo 747 del c.p.c. non essendo ammissibile l’istanza ex articolo 320 del c.c.

[167] Il presente articolo è stato così sostituito dall’ art. 1 L. 22.06.2000 n. 192 (G.U. 12.7.2000, n. 161). Si riporta, di seguito, il testo precedente:

  1. Eredità devolute a perone giuridiche. L’accettazione delle eredità devolute alle persone giuridiche non può farsi che col beneficio d’inventario, osservate le disposizioni della legge circa l’autorizzazione governativa.

Questo articolo non si applica alle società .

[168] L’articolo 13 della legge 15 maggio 1997, n. 127, è sostituito dal seguente:

Art.   13   (Abrogazione   delle   disposizioni   che prevedono il riconoscimento o autorizzazioni per accettare lasciti e donazioni e per acquistare beni stabili). – 1. L’articolo 17 del codice civile ela legge 21 giugno 1896, n. 218, sono abrogati. Sono altresì abrogati   l’articolo 600, il quarto comma dell’articolo 782 e l’articolo 786 del codice civile, nonchè le altre disposizioni che prescrivono   autorizzazioni   per   l’acquisto di immobili o per accettazione di donazioni, eredità e legati da parte di persone giuridiche, ovvero il riconoscimento o autorizzazioni per l’acquisto di immobili o per accettazione di donazioni, eredità e legati da parte delle associazioni, fondazioni e di ogni altro ente non riconosciuto.

  1. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche alle acquisizioni deliberate o verificatesi in data anteriore a quella di entrata in vigore della presente legge”.
  2. L’articolo 473 del codice civile è sostituito dal seguente:

Art. 473 (Eredità devolute a persone giuridiche o ad associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti). – L’accettazione delle eredità devolute alle persone giuridiche o ad associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti non può farsi che col beneficio d’inventario.

Il presente articolo non si applica alle società.

[169] Cicu

[170] Grosso – Burdesse – Capozzi

[171] In tema di accettazione dell’eredità, poiché le persone giuridiche diverse dalle società non possono, ai sensi dell’art.473 c.c., accettare le eredità loro devolute se non con il beneficio d’inventario (e, per le eredità devolute prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 della legge 15 maggio 1997, n. 127, se non munendosi altresì dell’autorizzazione governativa di cui all’art.17 c.c.), qualora l’accettazione, nell’unica forma consentita dalla legge, sia divenuta inefficace (nella specie, per mancata redazione dell’inventario entro tre mesi dall’accettazione, in assenza di richiesta di proroga del termine), si deve ritenere che, non potendo trovare applicazione, per evidente incompatibilità, la diversa disposizione in forza della quale il chiamato è da considerare erede puro e semplice, va esclusa l’esistenza stessa dell’accettazione. Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19598 del 29-9-2004

[172] Ferri

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