Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 20 ottobre 2014, n. 22195

Fatto e diritto

Il relatore nominato per l’esame del ricorso ha depositato la relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. nella quale ha esposto le ragioni di manifesta infondatezza del ricorso; ricorso è stato fissato per l’esame in camera di consiglio e sono state effettuate le comunicazioni alle parti le quali hanno depositato memorie.
Nella relazione il relatore ha rilevato quanto segue.
“Osserva in fatto e in diritto.
1. Il Tribunale di Milano con ordinanza del 14/11/2011 rigettava l’istanza di devoluzione dell’eredità di V.R.C. a favore di T.H. (senior), quale coniuge della de cuius, disponendone la devoluzione allo Stato in assenza di successibili.
T.H. proponeva reclamo che era accolto con ordinanza 20/12/2012 della Corte di Appello di Milano.
La Corte di Appello riteneva sussistente il diritto del reclamante di prendere possesso dei beni ereditali in qualità di coniuge e, quindi, erede legittimo, sulla base dei seguenti motivi:
– la de cuius aveva nominato con testamento i propri figli eredi universali;
– i chiamati all’eredità erano decaduti dal diritto di accettare l’eredità essendo decorso il termine fissato dall’art. 481 c.c. per la dichiarazione di accettazione o rinuncia;
– divenuta inefficace la chiamata per testamento e in mancanza di disposizioni per la sostituzione e non avendo luogo la rappresentazione, si apriva la successione legittima ai sensi dell’art. 523 c.c. a favore del coniuge, erede legittimo; era irrilevante il mancato esercizio, da parte del successore legittimo, dell’azione di riduzione che sarebbe stata esperibile solo nel caso in cui avesse avuto luogo la successione testamentaria con lesione della quota di riserva.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia del Demanio ha proposto ricorso affidato a due motivi.
T.H.F. (junior) quale procuratore di T.H. ha resistito con controricorso.
L’eredità giacente di V.R.C. è rimasta intimata.
2. Con il primo motivo il ricorrente Ministero deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 457 – 536 e 565 c.c..
Il ricorrente sostiene:
– che il testatore aveva disposto con testamento della totalità del suo patrimonio e pertanto era esclusa la possibilità di una successione legittima, in quanto il concorso tra successione legittima e testamentaria è ammesso solo quando le disposizioni testamentarie riguardino una parte del patrimonio; il legittimario pretermesso può agire solo con l’azione di riduzione e diviene erede solo a seguito del suo favorevole espletamento;
– che T.H. non era erede in quanto la disposizione testamentaria lo aveva escluso e non poteva ritenersi chiamato all’eredità;
– che la delazione testamentaria a favore dei figli non era venuta meno per effetto della mancata comparizione dei chiamati essendo venuta meno solo la loro facoltà di accettare l’eredità, mentre il coniuge, sempre per effetto del testamento, è rimasto legittimario pretermesso, soggetto al regime previsto per i legittimari; la successione testamentaria è rimasta valida nella parte in cui esclude il marito dalla successione.
2.1 Il motivo è manifestamente infondato.
La perdita del diritto di accettare l’eredità ex art. 481 c.c. comporta anche la perdita della qualità di chiamato all’eredità e di conseguenza l’inefficacia della chiamata all’eredità per testamento con l’ulteriore conseguenza che non si verifica la coesistenza di una successione testamentaria e di una successione legittima, ma si apre esclusivamente la successione legittima e, in conseguenza dell’inefficacia della devoluzione testamentaria, l’eredità, ai sensi dell’art. 457 c.c. si devolve per legge; infatti nel nostro sistema, il fenomeno devolutivo dei beni e l’individuazione degli eredi e dei legatali possono trovare indistintamente fondamento sia nella legge che nella volontà del testatore; proprio il richiamato articolo stabilisce che occorre farsi luogo alla successione legittima, quando manca in tutto o in parte quella testamentaria; il concorso tra le due vocazioni è riconducibile ad un rapporto di reciproca integrazione; per tali ragioni è del tutto “fuori tema” il precedente (Cass. 10/5/2002 n. 6697) richiamato dal ricorrente, trattandosi di precedente nel quale si discuteva del diverso problema di una clausola testamentaria con la quale il testatore lasciava il rimanente di quanto posseduto agli aventi diritto ed era stata attribuita a questa disposizione la natura di delazione testamentaria.
L’esclusione dalla successione legittima avrebbe potuto sostenersi solo in presenza di una accertata volontà del testatore di escludere dalla successione il coniuge, ma non risulta che tale clausola sia contenuta nel testamento e non risulta che nelle fasi di merito sia stata discussa l’interpretazione delle disposizioni testamentarie sotto il profilo della volontà di escludere il coniuge dalla successione legittima per il caso in cui fosse divenuta inefficace quella testamentaria; né una volontà in tal senso comunque potrebbe desumersi dalla circostanza che la madre aveva lasciato tutto il patrimonio ai figli suoi e del marito.
3. Con il secondo motivo il ricorrente Ministero deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 457 – 536 e 565 c.c..
Il ricorrente sostiene:
– che siccome il coniuge non era chiamato all’eredità, in mancanza di altri successibili, l’eredità era devoluta allo Stato ex art. 586 c.c.;
– che dal testamento si doveva desumere l’evidente volontà di escludere il marito dalla successione;
– che il riconoscergli la qualità di erede avrebbe significato stravolgere la volontà del testatore;
– che il testamento non è divenuto inefficace nella parte in cui ha escluso dalla successione il coniuge che pertanto per acquisire la qualità di erede avrebbe dovuto esercitare l’azione di riduzione invece non esercitata.
3.1 Il motivo è inammissibile in quanto introduce il tema dell’interpretazione della volontà del testatore che non risulta introdotto nella causa di merito, confonde la preterizione con la diseredazione, invoca la diseredazione senza che risulti una clausola di diseredazione (il che esclude che siano qui coinvolti i temi della clausola di diseredazione affrontati recentemente da Cass. n. 8352/2012), né può affermarsi (come già riferito) che la volontà di escludere il marito dalla successione per il caso di mancata accettazione dell’eredità da parte dei figli, possa desumersi dal semplice fatto che i figli di entrambi siano stati nominati eredi universali.
4. In conclusione il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 380 bis e 375 c.p.c. per essere dichiarato manifestamente infondato”.
Il collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e la proposta del relatore; in particolare, le osservazioni critiche formulate dalla ricorrente Avvocatura Generale nella memoria non attingono le decisive ragioni di infondatezza del suo ricorso, già evidenziate nella relazione, ossia:
– che la perdita del diritto di accettare l’eredità ex art. 481 c.c. comporta anche la perdita della qualità di chiamato all’eredità e di conseguenza la totale inefficacia della chiamata all’eredità per testamento con l’ulteriore conseguenza che non si verifica la coesistenza di una successione testamentaria e di una successione legittima, l’erede legittimo non perde la qualità di erede e si apre esclusivamente la successione legittima;
– che il ricorso, nel volere interpretare la volontà del testatore, confonde la semplice preterizione (divenuta priva di effetto per l’inefficacia della chiamata per testamento) con la diseredazione e invoca la diseredazione senza che risulti una clausola di diseredazione, neppure ragionevolmente ipotizzabile perché la disposizione testamentaria era a favore dei figli avuti con il marito.
Occorre aggiungere che la pretesa erariale di contrastare la successione legittima confligge:
– con la stessa ratio dell’art. art. 586 c.c. che prevede la successione dello Stato e che va individuata nell’esigenza (che nella- fattispecie non sussiste) di supplire alla mancanza di ogni successibile e nello sfavore del legislatore verso una successione ereditaria, ma solo rispetto a soggetti non legati al de cuius da stretti rapporti di parentela (e non è questo il caso);
– con lo stesso art. 457 c.c. secondo il quale non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca in tutto o in parte quella testamentaria e, nella specie, la successione testamentaria manca per il venir meno della delazione testamentaria.
Ne discende il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.
La parte soccombente è esente dal contributo unificato e non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002.
Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del Ministero ricorrente.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.500,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali oneri di legge.
Non sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato.

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