Sentenza 143/2014 Giudizio Presidente SILVESTRI – Redattore FRIGO Udienza Pubblica del 08/04/2014 Decisione del 19/05/2014 Deposito del 28/05/2014 Pubblicazione in G. U. Norme impugnate: Art. 157, c. 6°, del codice penale. Massime: Atti decisi: ord. 143/2013 SENTENZA N. 143 ANNO 2014 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:...
Categoria: Sezioni Diritto
Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 20 maggio 2014, n. 2555. In materia di accesso ai documenti amministrativi, il diritto di difesa, per quanto privilegiato in ragione della previsione di cui all'art. 24, comma 7, L. n. 241 del 1990, va contemperato con la tutela di altri diritti tra cui quello alla riservatezza, anche dei lavoratori che hanno reso dichiarazioni in sede ispettiva. Ciò allo scopo di prevenire eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte delle società datrici di lavoro, ovvero di quelle obbligate in solido con le medesime, per preservare in tal modo l'interesse generale ad un compiuto controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro. In via generale, pertanto, deve ritenersi prevalente la tutela alla necessità di riservatezza delle suddette dichiarazioni contenenti dati sensibili la cui divulgazione potrebbe comportare azioni discriminatorie o indebite pressioni nei confronti dei lavoratori, i quali devono essere posti in grado di collaborare con le autorità amministrative e giudiziarie, nonché di presentare esposti e denunce senza temere possibili ritorsioni nell'ambiente di lavoro in cui vivono
Consiglio di Stato sezione VI sentenza 20 maggio 2014, n. 2555 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE SESTA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8877 del 2013, ex art. 116 del codice del processo amministrativo, proposto dal Ministero del lavoro e...
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22 maggio 2014, n. 2633. In tema di misure di salvaguardia, l'art. 12, c. 3 d.P.R. n. 380/2001 ha valenza mista: edilizia, da un lato, in quanto volta a incidere sui tempi dell'attività edificatoria; urbanistica, dall'altro, in quanto finalizzata alla salvaguardia, in definiti ambiti temporali, degli assetti urbanistici in itinere e, medio tempore, dell'ordinato assetto del territorio; ha inoltre carattere di principio, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e prevale sulle previgenti disposizioni legislative regionali, ove difformi. Proprio per in ragione di tale carattere di principio che essa riveste, la norma ricordata deve essere considerata parametro di interpretazione e applicazione della disciplina vigente in materia, anche se di fonte regionale
Consiglio di Stato sezione IV sentenza 22 maggio 2014, n. 2633 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE QUARTA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6895 del 2006, proposto da: Comune di Ravenna, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso...
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22 maggio 2014, n. 2649. Dal confronto tra l'art. 9, del d.P.R. n. 327/2001, recante "Vincoli derivanti da piani urbanistici" e l'art. 10, recante "Vincoli derivanti da atti diversi dai piani urbanistici generali", si evince come sia prevista una espressa norma di chiusura ("Salvo quanto previsto dal comma 5, nulla è innovato in ordine alla normativa statale o regionale sulla adozione e sulla approvazione degli strumenti urbanistici") solo all'interno del citato art. 9, riferendosi quindi esclusivamente ai vincoli derivanti da piani urbanistici generali. Non è pertanto condivisibile la ricostruzione che miri ad un'artificiosa scissione delle procedure di adozione dello strumento urbanistico a seconda che si verta nella fase principale o in quella di variante. A fronte della realizzazione di una singola opera pubblica, è pertanto corretta la procedura di variante semplificata allo strumento urbanistico, vertendosi in una fattispecie che, non incidendo sull'assetto generale del PRG, non andava sottoposto agli adempimenti procedimentali tipici del diverso livello generale
Consiglio di Stato sezione IV sentenza 22 maggio 2014, n. 2649 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE QUARTA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello n. 4445 del 2013, proposto da Ma. Ch., Gi. Ro., Ma. Ro.e Fi. Ro., rappresentate e difese dagli avv.ti...
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 27 maggio 2014, n. 21620. Dichiarata colpevole del delitto di evasione e condannata, con l'applicazione delle attenuanti generiche e della diminuzione di pena connessa al rito abbreviato per aver la stessa interessata, avvertito i Carabinieri della propria iniziativa, facendosi trovare nei pressi dell'abitazione coi bagagli approntati per l'ingresso nella casa circondariale. Accolto il ricorso in Cassazione
Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 27 maggio 2014, n. 21620 Ritenuto in fatto 1. È impugnata l’ordinanza del 13/11/2012 con la quale la Corte d’appello di Milano ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da M.C. avverso la sentenza in data 22/06/2012 del Tribunale di Monza. Con tale ultimo provvedimento, l’odierna ricorrente era stata dichiarata...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 26 maggio 2014, n. 21314. La configurabilità del delitto di sequestro di persona prescinde dalla durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato anche a un tempo breve. Ne discende che le argomentazioni sull'inidoneità dell'azione a determinare il fine della costrizione della libertà personale sono infondate, giacché, secondo quanto rappresentato nello stesso ricorso, il fatto che la vittima sia alfine riuscita a liberarsi non dimostra affatto, anche a tacer delle condizioni in cui la donna si trovava per effetto delle violenza sofferte in precedenza, che l'azione posta in essere dall'indagato fosse caratterizzata da un'originaria e assoluta inidoneità della stessa a rendere impossibile o estremamente difficile il risultato della privazione della libertà personale.
Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 26 maggio 2014, n. 21314 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 21/11/2013 il Tribunale di Reggio Calabria, decidendo sulla richiesta di riesame proposta nell’interesse di E.M., ha sostituito la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. A carico del M. il Tribunale ha...
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 maggio 2014, n. 11675. Nelle locazioni non abitative, in base all'art. 32 della legge n. 392 del 1978, così come novellato dall'art. 1, comma 9, sexies del d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito in legge 5 aprile 1985, n. 118, il locatore, solo in caso di conforme pattuizione con il conduttore e abilitato a (richiedere annualmente l'aggiornamento del canone per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta. Non risulta e non è stato neppure allegato che tale pattuizione fosse stata inserita nel contratto di locazione ad uso diverso concluso tra le parti. La richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore stesso può pretendere il canone aggiornato solo dal momento di tale richiesta, senza che sia configurabile un suo diritto ad ottenere il pagamento degli arretrati, e ciò sia in caso di locazione di immobili ad uso non abitativo, giusta disposto dell'art. 32 della legge cosiddetto sull'equo canone, sia in caso di locazioni ad uso abitativo, ex art. 24 stessa legge
Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 26 maggio 2014, n. 11675 Svolgimento del processo Tra P.M. , dante causa dei ricorrenti P.G. , P. , E. e R.E. e il Comune di Lecce esisteva un contratto di locazione relativo ad un edificio sito in (omissis) , adibito a plesso scolastico, contratto dichiarato risolto alla...
Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza del 21 maggio 2014, n. 11204. L'interesse che determina l'incapacità a testimoniare, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale, che comporta o una legittimazione principale a proporre l'azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri cointeressati. Tale interesse non si identifica con l'interesse di mero fatto, che un testimone può avere a che venga decisa in un certo modo la controversia in cui esso sia stato chiamato a deporre, pendente fra altre parti, ma identica a quella vertente tra lui ed un altro soggetto ed anche se quest'ultimo sia, a sua volta, parte del giudizio in cui la deposizione deve essere resa. Nè l'eventuale riunione delle cause connesse (per identità di questioni) può far insorgere l'incapacità delle rispettive parti a rendersi reciproca testimonianza, potendo tale situazione soltanto incidere sull'attendibilità delle relative deposizioni. E, comunque, la capacità a testimoniare (che, dunque, permane nonostante la disposta riunione, che lascia immutata l'autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni) differisce dalla valutazione sull'attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l'una, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., dipende, come detto, dalla presenza in un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità
Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro ordinanza del 21 maggio 2014, n. 11204 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE L Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CURZIO Pietro – Presidente – Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere – Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere – Dott. GARRI Fabrizia...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 19 maggio 2014, n. 20560. Con ordinanza il Gip disponeva la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di pubblico ufficio o servizio, per mesi due, nei confronti di un agente di polizia locale, in qualità di pubblico ufficiale nell'esercizio delle funzioni del reato di cui all'art. 478, commi 1 e 2, cod. pen. perché, supponendo l'esistenza dell'originale di verbali di accertamento del codice della strada indicati nel capo d'incolpazione, per complessivi 3.972 atti, in realtà mai redatti, simulavano il rilascio di copia legale conforme da notificare al trasgressore; in particolare, dopo avere omesso di redigere l'originale dei suddetti verbali di accertamento dell'infrazione stradale, provvedevano all'inserimento dei dati nel sistema "Servizio Concilia" in uso al Comando in tal modo emettendo false copie conformi relative ad atti pubblici inesistenti, che venivano successivamente stampati e notificati, per il tramite di una ditta, ai responsabili delle violazione del codice della strada; e del reato di cui agli artt. 640, commi 1 e 2, e 61 n. 9 cod. pen., perché con artifici e raggiri consistiti nel rilasciare copie conformi di verbali di accertamento inesistenti, nell'indicare, nelle suddette copie "autentiche" dei verbali, importi da versare ulteriori rispetto alla sanzione, a titolo di "spese di gestione" violando l'articolo 210, comma 4, del.lvo n. 285 del 1992, che prevede la possibilità di addebitare in capo al trasgressore unicamente le spese di notifica ed accertamento; infine nell'addebitare al responsabile, in violazione della delibera comunale n. 7 del 2011, in presenza di una prima notifica non andata a buon fine per cause non imputabili ai destinatari (errore targa, omessa verifica della residenza del trasgressore), il raddoppio, la triplicazione e quadruplicazione delle spese di notifica di gestione, queste ultime riferite in 88.699, consistiti nelle somme richieste al trasgressore in assenza di un valido titolo giustificativo. Pronunciando sull'appello proposto dall'indagato, il Tribunale, in funzione di giudice di appello de libertate, annullava l'impugnata ordinanza e, per effetto, revocava la misura interdittiva applicata alla stessa ricorrente, ritenendo insussistenti le fattispecie di reato oggetto d'incolpazione. Il tutto è stato confermato in Cassazione
Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 19 maggio 2014, n. 20560 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 19 settembre 2013 il Gip del Tribunale di Busto Arsizio disponeva la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di pubblico ufficio o servizio, per mesi due, nei confronti di R.L., agente di polizia locale del Comune di...
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 maggio 2014, n. 11657. La caduta di un bambino di tre anni e mezzo di età da uno scivolo in ora notturna è un evento certamente prevedibile ed evitabile con un grado normale di diligenza. Il fatto che ai piedi dello scivolo vi fosse una buca, un avvallamento che aumenta il rischio di cadute pericolose non fa che rendere ancora più prevedibile l'evento dannoso; sicché aumentano le probabilità che la cooperazione colposa del soggetto danneggiato – nel caso, degli adulti tenuti alla vigilanza sul bambino – possa avere un'efficacia causale del tutto assorbente ai sensi dell'art. 1227 del codice civile, assumendo la cosa il ruolo puro e semplice di occasione dell'evento
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE sezione III SENTENZA 26 maggio 2014, n. 11657 Ritenuto in fatto B.S. e M.M.M. , nella qualità di esercenti la potestà sul figlio minore B.G. , convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Palermo, Sezione distaccata di Carini, il Comune di Carini, affinché fosse condannato al risarcimento dei danni conseguenti ad...