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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 29 settembre 2015, n. 39357. La pena applicata su richiesta delle parti per i delitti previsti dall’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alle droghe c.d. leggere, con pronuncia divenuta irrevocabile prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 deve essere necessariamente rideterminata in sede di esecuzione, con la precisazione che la pena deve essere rideterminata attraverso la “rinegoziazione” dell’accordo tra le parti, ratificato dal giudice dell’esecuzione, che viene interessato attraverso l’incidente di esecuzione attivato dal condannato o dal pubblico ministero. È stato quindi accolto il principio per cui pena illegale non è solo quella superiore alla sanzione edittale massima reintrodotta per effetto della pronuncia di incostituzionalità, ma anche quella applicata in base alla sanzione prevista dalla norma incostituzionale. Principio applicabile anche in sede esecutiva, la valutazione discrezionale del giudice nella individuazione della pena in concreto da applicare non può prescindere dagli “indicatori astratti” (il minimo e il massimo edittale) che il legislatore gli ha fornito. È nell’ambito di quello spazio sanzionatorio che il giudicante deve compiere la sua valutazione. Con la conseguenza che se detto spazio muta (si restringe o si dilata), mutano inevitabilmente i parametri entro i quali la valutazione in concreto deve essere effettuata. Per altro, in terna di sostanze stupefacenti, tale spazio sanzionatorio, con il ripristino della distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”, conseguente alla sentenza del Giudice delle leggi rr. 32 del 2014, è stato sensibilmente ridisegnato, consentendo, di nuovo, il ricorso ad una forbice edittale (tanto per limitarsi alla sola pena detentiva) – da due a sei anni di reclusione – di gran lunga meno ampia (e meno severa) rispetto a quella posta a base delle statuizioni contestate, vale a dire da sei a venti anni di reclusione (tanto che, come si è anticipato, il massimo della prima corrisponde al minimo della seconda), così da comporre un quadro di riferimento non paragonabile a quello tenuto presente al momento delle pronunzie dei giudici del merito e da realizzare, pertanto; un sostanziale ridimensionamento dello stesso disvalore penale dei fatto

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 29 settembre 2015, n. 39357 Rilevato in fatto 1. Con ordinanza del 14 luglio 2014, ii Tribunale di Cagliari accoglieva parzialmente l’istanza di ridete rm inazione della pena formulata da G.Z. m relazione alle sentenze di applicazione della pena n. 26/2012 e n. 181/2013, emesse dal G U...

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Corte di Casaszione, sezione III, sentenza 29 settembre 2015, n. 19211. La mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 29 settembre 2015, n. 19211 Svolgimento del processo Con sentenza del 25/10/2011 la Corte d’Appello di Firenze, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla società Assicurazioni Generali s.p.a. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Livorno n. 416/2001, ha dichiarato la concorrente responsabilità del sig. P.R. (nella...

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Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 25 settembre 2015, n. 19115. Tutti coloro che esercitano l’attività di mediazione per conto di imprese organizzate, anche in forma societaria, devono essere iscritti nell’apposito ruolo professionale, a norma dell’art. 3, comma quinto, della legge 3 febbraio 1989, n. 39, mentre secondo l’art. 11 del relativo regolamento di attuazione, emanato con D.M. 21 dicembre 1990, n. 452, in caso di esercizio dell’attività di mediazione da parte di una società, i requisiti per l’iscrizione nel ruolo debbono essere posseduti dal legale rappresentante di essa ovvero da colui che da quest’ultima è preposto a tale ramo di attività. Ne consegue che per gli ausiliari della società di mediazione è prescritta riscrittone nel ruolo solo quando, per conto della società, risultino assegnati allo svolgimento di attività mediatitela in senso proprio, della quale compiono gli atti a rilevanza esterna, con efficacia nei confronti dei soggetti intermediati, ed impegnativi per l’ente da cui dipendono; essa non è invece richiesta per quei dipendenti della società che esplicano attività accessoria e strumentale a quella di vera e propria mediazione, in funzione di ausilio ai soggetti a ciò preposti. A nulla rileva, quand’anche fosse provata, la circostanza che l’attività di mediazione non si sia articolata con ulteriori contatti tra le parti. Per attività di mediazione non si intende infatti solo il materiale contatto tra il mediatore e l’acquirente, ma tutta la attività che precede e segue la visita dell’immobile (reperimento dell’altro cliente, nella specie il venditore, ricezione dell’incarico, assunzione di informazioni sul bene venduto, organizzazione della struttura di intermediazione etc.) e che, tramite il complesso di attività, pone fruttuosamente in contatto l’aspirante acquirente con il venditore

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 25 settembre 2015, n. 19115 Fatto e diritto Il tribunale di Ivrea con sentenza n. 368/2009, emessa in data 11.07.2009, condannava B.L. al pagamento di Euro 9.180,00 in favore della Società Pirelli RE franchising, a titolo di provvigione per la mediazione nella compravendita di un immobile. Il B....

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Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 28 settembre 2015, n. 19194. Ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, il giudice deve valutare le potenzialità reddituali di entrambe le parti e, pertanto, tenere conto degli oneri e delle ulteriori responsabilità dell’obbligato, in conseguenza della nascita di un figlio da una successiva unione

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 28 settembre 2015, n. 19194 Fatto e diritto Rilevato che in data 4 maggio 2015 è stata depositata relazione ex art. 380 bis c.p.c. che qui si riporta: Rilevato che: 1. L.C. ha proposto domanda di separazione con addebito a carico del marito A.F. che si è costituito...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 agosto 2015, n. 17020. Le clausole di polizza che delimitino il rischio assicurato, ove inserite in condizioni generali su modulo predisposto dall’assicuratore, sono soggette al criterio ermeneutico posto dall’art. 1370 cod. civ.; e pertanto, nel dubbio, devono essere intese in senso sfavorevole ali’assicuratore medesimo

Suprema Corte di Cassazione Sezione III Sentenza 20 agosto 2015, n. 17020 Svolgimento del giudizio Nel maggio 2005 l’avvocato V. V. conveniva in giudizio Assicurazioni Generali S.p.A., chiedendone la condanna al pagamento dell’ indennizzo dovutogli in forza di polizza assicurativa stipulata per suo conto nel 2001 dalla Cassa Nazionale Forense; ed avente ad oggetto le spese...

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 24 luglio 2015, n. 32666. In tema di accesso abusivo ad un sistema informatico.

Suprema Corte di Cassazione, Sezione V Sentenza 24 luglio 2015, n. 32666 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 7 aprile 2014 la Corte di Appello di Milano ha confermato la pronunzia di primo grado emessa dal Tribunale di Como, con la quale T.L. era stata condannata per il reato previsto dagli artt. 81, comma secondo,...