Articolo

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 settembre 2014, n. 20001. Nel comodato, pur in costanza di pattuizione di un termine negoziale finale, la morte del comodatario non estingue automaticamente il rapporto, ma l'estinzione ha luogo solo allorquando il comodante chieda agli eredi la restituzione della cosa

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 23 settembre 2014, n. 20001 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SEGRETO Antonio – Presidente Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere Dott. SESTINI Danilo – Consigliere Dott. RUBINO Lina – Consigliere Dott. D’AMICO...

Articolo

Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 9 settembre 2014, n. 4554. Non sono dovute le spese sostenute dalla parte in relazione ad adempimenti tipici della procedura esecutiva civile che non era necessario attivare rispetto al promuovimento del giudizio di ottemperanza necessario per ottenere in via amministrativa il pagamento di quanto spettante

Consiglio di Stato sezione IV sentenza 9 settembre 2014, n. 4554   REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE QUARTA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7709 del 2013, proposto da: Ga.Sc., rappresentata e difesa dall’avv. An.Gi., con domicilio eletto presso An.Gi....

Articolo

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 16 settembre 2014, n. 37862. In tema di reati edilizi, la modifica di destinazione d'uso è integrata anche dalla realizzazione di sole opere interne come nel caso di realizzazione di impianti tecnologici comportanti una modifica della destinazione d'uso

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 16 settembre 2014, n. 37862   REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente Dott. FRANCO Amedeo – Consigliere Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere Dott. RAMACCI Luca – Consigliere...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 2 ottobre 2014, n. 41038. La necessità di respingere una violenza o vincere una resistenza ovvero di impedire determinati delitti costituisce presupposto oggettivo per la legittimità dell'uso delle armi o di altri mezzi di coazione fisica. Tale requisito va inteso, anzi tutto, come applicazione del principio per cui l'uso delle armi o di altri mezzi di coazione deve costituire extrema ratio nella scelta dei metodi necessari per l’adempimento del dovere: diventa cioè legittimo solo ove non vi sia altro mezzo possibile”; tale requisito, inoltre, va interpretato “come espressione dell'esigenza di una gradualità nell'uso dei mezzi di coazione (tra più mezzi di coazione ugualmente efficaci, occorrerà scegliere allora quello meno lesivo). Ed è regola di condotta irrinunciabile quella di graduare l'uso dell'arma secondo le esigenze specifiche del caso e sempre in ambito di proporzione”, sicché “è sempre il criterio della proporzione che deve guidare il pubblico ufficiale al quale si chiede, senza che debba rinunziare all'adempimento del dovere di ufficio, di conseguire lo scopo con il minor sacrificio del contrapposto interesse. Principio quello di proporzione (inteso come espressione di un bilanciamento tra interessi contrapposti alla luce della situazione concreta) che, secondo la migliore interpretazione, costituisce un limite non espressamente nominato nell'art. 53, ma implicitamente deducibile dalla disposizione e, comunque, applicabile quale principio generale dell'ordinamento giuridico, valido anche nella disciplina delle cause di giustificazione

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza  2 ottobre 2014, n. 41038 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza deliberata il 22/05/2013, la Corte di appello di Palermo – in riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 29/11/2011, con la quale N.R. era stato dichiarato colpevole del reato di lesioni personali in danno di S.M....

Articolo

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 ottobre 2014, n. 20839. Il divieto del cosiddetto patto di quota lite tra l'avvocato ed il cliente, sancito dalla norma di cui all'art. 2233 cod. civ., trova il suo fondamento nell'esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l'interesse del cliente e la dignità e la moralità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia, comunque, ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione, giudiziale o stragiudiziale, richiestagli. Ne consegue che detto patto (legittimamente ravvisabile anche sotto forma di promessa unilaterale, costituendo questa una fattispecie negoziale ove l'astrazione della causa risulta limitata all'ambito processuale) va rinvenuto non soltanto nella ipotesi in cui il compenso del legale consista in parte dei beni o crediti litigiosi, secondo l'espressa previsione della norma (che costituisce, in relazione alla ratio della tutela, soltanto la tipizzazione dell'ipotesi di massimo coinvolgimento del legale e che, pertanto, non esaurisce il divieto), ma anche qualora tale compenso sia stato, comunque, convenzionalmente correlato al risultato pratico dell'attività svolta, realizzandosi, cosi, quella (non consentita) partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione. Ne consegue che la nullità di quel patto, sancita dall'art. 2233 terzo comma cod. civ., prescinde dalla circostanza del verificarsi di un indebito lucro per il professionista, e può essere fatta valere da ciascuno dei contraenti, senza che si richieda la deduzione e dimostrazione di uno specifico interesse a rimuoverne gli effetti

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 2 ottobre 2014, n. 20839 Svolgimento del processo In data 2 giugno 21994 la C.T.F. s.r.l. conferiva al Dott. R.C. incarico professionale per la “individuazione di soluzioni giuridiche e/o amministrative, che consentano alla società C.T.F. s.r.l., di godere del beneficio delle agevolazioni previste per le aziende industriali del...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 2 ottobre 2014, n. 20866. In tema di competenza territoriale nelle cause relative a diritti di obbligazione, la disciplina di cui all'art. 38 cod. proc. civ., come modificato dall'art. 4 della legge 26 novembre 1990, n. 353 – la quale, innovando il testo previgente, dispone che l'incompetenza per territorio fuori dei casi previsti nel precedente art. 28, venga eccepita "a pena di decadenza" nella comparsa di risposta e, confermando il precedente dettato normativo, impone di considerare l'eccezione come "non proposta se non contiene l’indicazione del giudice competente" – comporta che il convenuto sia tenuto ad eccepire l'incompetenza per territorio del giudice adito con riferimento a tutti i concorrenti criteri previsti dagli artt. 18, 19 e 20 cod. proc. civ., indicando specificamente in relazione ai criteri medesimi quale sia il giudice che ritiene competente, senza che, verificatasi la suddetta decadenza o risultata comunque inefficace l'eccezione, il giudice possa rilevare d'ufficio profili di incompetenza non proposti, restando la competenza del medesimo radicata in base al profilo non (o non efficacemente) contestato

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 2 ottobre 2014, n. 20866 Svolgimento del processo C.N. ha proposto regolamento di competenza avverso l’ordinanza in data 7 marzo 2013, con la quale il Tribunale di Bologna – accogliendo l’eccezione di incompetenza per territorio formulata dalla convenuta Z.D. – ha declinato la propria competenza in favore del...