CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  2 ottobre 2014, n. 41038

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza deliberata il 22/05/2013, la Corte di appello di Palermo – in riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 29/11/2011, con la quale N.R. era stato dichiarato colpevole del reato di lesioni personali in danno di S.M. , G.F. , V.C. , lesioni cagionate nel corso di un inseguimento di polizia esplodendo al loro indirizzo, con un fucile a pompa caricato a pallini antisommossa, con la circostanza aggravante di avere agito con abuso dei poteri e violazioni dei doveri inerenti alla funzione di maresciallo dei Carabinieri – ha assolto l’imputato, trattandosi di persona non punibile ai sensi dell’art. 53 cod. pen.. Rileva la Corte di merito che, libero dal servizio e in compagnia del carabiniere Lipari, l’imputato aveva notato un motociclo con tre individui in atteggiamento sospetto e privi del casco protettivo; intimato l’alt, i tre ragazzi si diedero a repentina fuga, sottraendosi a ogni controllo; l’imputato e il suo collega decisero di inseguire il motociclo, procedendo con i segnali acustici e luminosi di cui era fornita l’autovettura di servizio; il motociclo raggiungeva Via (…) creando una situazione di pericolo per gli automobilisti e i passanti, entrando quindi nel quartiere di Ballare; approfittando di un momento di quiete del traffico e della circolazione, N. estraeva un fucile – regolarmente detenuto per l’esercizio del tiro a volo – dalla cella di sicurezza, puntava verso l’alto ed esplodeva un colpo; a causa della velocità dell’auto e della pavimentazione irregolare, al momento dell’esplosione del colpo, la canna del fucile si voltò verso il basso, modificando l’originaria traiettoria del proiettile, che attingeva i tre individui. Secondo la Corte di appello di Palermo, la fuga dei tre individui ha posto in serio pericolo l’incolumità fisica dei passanti e degli automobilisti incrociati durante il percorso della fuga, sicché N. , legittimamente utilizzando l’arma a sua disposizione nell’auto di servizio – non essendo possibile il ricorso ad altro mezzo di pari efficacia ma meno rischioso – ha esploso un colpo verso l’alto con chiaro intento intimidatorio, sicché la condotta dell’imputato deve ritenersi scriminata a norma dell’art. 53 cod. pen..
2. Avverso l’indicata-sentenza della Corte di appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione, nell’interesse della parte civile V.C. , il difensore e procuratore speciale avv. Maurizio Di Marco, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen..
Il primo motivo denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 53 cod. pen., con riferimento alla ritenuta penale irrilevanza della detenzione dell’arma da parte dell’imputato, nelle circostanze di tempo e di luogo in cui era avvenuto il ferimento di V. . L’arma utilizzata non poteva essere trasportata fuori dalla provincia di Ragusa e detenuta in luoghi diversi da un armadio metallico, come risulta dalla denuncia allegata al ricorso. Inoltre, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità richiamato dalla sentenza impugnata si riferiva a una fuga posta in essere dopo un tentativo di speronamento dell’auto dei carabinieri, sicché l’uso delle armi è stato ritenuto legittimo per vincere un tentativo di violenza, ma in quel caso le armi erano legittimamente detenute dai carabinieri.
Il secondo motivo denuncia inosservanza dell’art. 53 cod. pen.. La scriminante non può essere applicata al caso di specie, non sussistendo i presupposti giuridici per la sua applicazione: per il riconoscimento della scriminante deve sussistere, in primo luogo, il presupposto oggettivo costituito dalla necessità di respingere una violenza, vincere una resistenza o impedire la commissione di determinati delitti e, comunque, sempre al fine di adempiere ad un dovere d’ufficio, sicché l’uso delle armi costituisce extrema ratio nelle scelte dei metodi necessari e disponibili, dovendo il pubblico ufficiale proporzionare il suo intervento in base al comportamento tenuto dalla controparte e agli interessi che si contrappongono nella situazione concreta e ponendosi un’esigenza di gradualità nella scelta dei mezzi da adottare per neutralizzare il pericolo tra i quali il pubblico ufficiale dovrà optare. Nel caso di specie, le parti civili erano responsabili di un illecito amministrativo sanzionato dall’art. 192, comma 1, c.d.s., atteso che i pubblici ufficiali erano in movimento e non avevano effettuato alcun posto di blocco; tale condotta non era diretta ad effettuare una violenza nei confronti dei pubblici ufficiali (quale sarebbe un tentativo di speronamento), né le parti civili stavano commettendo alcun reato. Nel caso di specie, l’uso dell’arma non in dotazione alla forza di polizia veniva effettuato per impedire una fuga che avrebbe potuto nuocere all’incolumità dei passanti che non erano presenti.
In subordine, il ricorrente chiede la rimessione del ricorso alle Sezioni unite per il contrasto ravvisabile nella giurisprudenza di legittimità in ordine ai presupposti di applicazione dell’art. 53 cod. pen..
3. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Palermo ha altresì proposto personalmente ricorso per cassazione la parte civile G.F. , denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp, att. cod. proc. pen. – inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 53 cod. pen.. La giurisprudenza di legittimità richiamata dalla sentenza impugnata non si attaglia al caso di specie, posto che nessun tentativo di speronamento dell’auto dei carabinieri era stato effettuato dalle vittime. L’arma con la quale l’imputato ha sparato non era regolarmente detenuta, ma poteva essere utilizzata solo a (…). La pavimentazione irregolare e il fatto che il colpo si sia diretto verso il basso non possono essere utilizzati come scusante, posto che qualsiasi operatore di polizia si rende conto dell’altissimo rischio in cui incorre sparando in un centro abitato con una pavimentazione come quella di (…). Manca la certezza che il colpo fosse il diretto alle gomme, mentre i ragazzi non stavano cercando di speronare l’auto dei carabinieri, ma solo di dileguarsi. Nel caso di specie, l’imputato non era costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’autorità, atteso che, per il secondo aspetto, è richiesto un comportamento attivo e tale non è la fuga. L’imputato poteva intervenire in altri modi, cercando di ostacolare con l’auto la fuga dei tre, ma certamente non utilizzando un fucile, neanche, come dice la sentenza impugnata, a scopo intimidatorio.
4. Con memoria del 28/05/2014, la difesa di N.R. ha chiesto che i ricorsi delle parti civili siano dichiarati inammissibili, in quanto manifestamente infondati, o comunque rigettati.

Considerato in diritto

1. Il ricorso proposto nell’interesse di V.C. è solo in parte fondato.
Il primo motivo è inammissibile, avendo esso attinenza ai reati di detenzione e porto illegali di arma, originariamente contestati, unitamente a quello di lesione, all’imputato, ma dai quali quest’ultimo era stato assolto già con la sentenza di primo grado; assoluzione non impugnata dal pubblico ministero, né dalla parte civile.
Il secondo motivo è, invece, fondato. Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, condiviso dal Collegio, “la necessità di respingere una violenza o vincere una resistenza ovvero di impedire determinati delitti costituisce presupposto oggettivo per la legittimità dell’uso delle armi o di altri mezzi di coazione fisica. Tale requisito va inteso, anzi tutto, come applicazione del principio per cui l’uso delle armi o di altri mezzi di coazione deve costituire extrema ratio nella scelta dei metodi necessari per l’adempimento del dovere: diventa cioè legittimo solo ove non vi sia altro mezzo possibile”; tale requisito, inoltre, va interpretato “come espressione dell’esigenza di una gradualità nell’uso dei mezzi di coazione (tra più mezzi di coazione ugualmente efficaci, occorrerà scegliere allora quello meno lesivo). Ed è regola di condotta irrinunciabile quella di graduare l’uso dell’arma secondo le esigenze specifiche del caso e sempre in ambito di proporzione”, sicché “è sempre il criterio della proporzione che deve guidare il pubblico ufficiale al quale si chiede, senza che debba rinunziare all’adempimento del dovere di ufficio, di conseguire lo scopo con il minor sacrificio del contrapposto interesse. Principio quello di proporzione (inteso come espressione di un bilanciamento tra interessi contrapposti alla luce della situazione concreta) che, secondo la migliore interpretazione, costituisce un limite non espressamente nominato nell’art. 53, ma implicitamente deducibile dalla disposizione e, comunque, applicabile quale principio generale dell’ordinamento giuridico, valido anche nella disciplina delle cause di giustificazione” (Sez. 4, n. 854 del 15/11/2007 – dep. 10/01/2008, Saliniti, Rv. 238335).
Limitandosi ad affermare, in termini del tutto apodittici, che non era possibile il ricorso ad altro mezzo di pari efficacia, ma meno rischioso, la sentenza impugnata non ha dato conto della sussistenza del requisito della proporzione, censura, quella proposta dal secondo motivo di ricorso, riferibile a un duplice profilo dei fatti in esame. Per un verso, infatti, la sentenza ha messo in evidenza la circostanza che l’uso del fucile a pompa è intervenuto in un “momento di quiete del traffico e della circolazione”, omettendo, tuttavia, di verificare la sussistenza del requisito della proporzionalità, nel senso indicato del “minor sacrificio del contrapposto interesse”, con specifico riguardo ad una situazione di quiete del traffico e della circolazione, ossia, di verificare se, in siffatta situazione e alla luce della condotta tenuta dalle persone offese, fossero praticabili altre modalità di intervento. Per altro verso, sotto un secondo profilo, conseguenziale rispetto al primo, la mancata, puntuale, verifica del fatto che la scelta di utilizzare il fucile rappresentasse, nel caso di specie, l’extrema ratio nella scelta dei metodi necessari, ha comportato l’applicazione della scriminante al reato – doloso – per il quale era intervenuta condanna in primo grado, laddove “soltanto se si perviene a ritenere legittimo l’uso delle armi e si riscontra il rispetto dell’essenziale prerequisito della proporzione, il rischio del verificarsi di un evento non voluto, più grave, rispetto a quello perseguito dall’agente, non può essere posto a carico del pubblico ufficiale” (Sez. 4, n. 854 del 15/11/2007 – dep. 10/01/2008, Saliniti, Rv. 238335).
Sussiste, dunque, il vizio denunciato, sicché la sentenza deve essere annullata agli effetti civili nel confronti del ricorrente V.C. , relativamente al reato di lesioni da questi subito, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, riservando al definitivo il regolamento delle spese.
2. Il ricorso proposto personalmente da G.F. è inammissibile. Esso risulta presentato personalmente dalla parte civile, con sottoscrizione autenticata dal direttore della casa circondariale, laddove, secondo l’Insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione sottoscritto personalmente dalla parte civile (Sez. 3, n. 34779 del 22/06/2011 – dep. 26/09/2011, T., Rv. 251246). Il ricorso proposto da G.F. , pertanto, deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento, della somma, che si stima equa, di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Annulla la sentenza Impugnata agli effetti civili. In accoglimento del ricorso proposto nell’Interesse di V.C. con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello. Dichiara inammissibile il ricorso di G.F. che condanna al pagamento delle spese del procedimento nonché ai versamento di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

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