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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 maggio 2015, n. 10037. In tema di mobbing, la circostanza che la condotta provenga da altro dipendente in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro sul quale incombono gli obblighi di cui all’art. 2049 cod. civ. ove quest’ultimo nella specie un’amministrazione comunale sia rimasto colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 15 maggio 2015, n. 10037 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. STILE Paolo – Presidente Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere Dott. MANNA Antonio – Consigliere Dott. BERRINO Umberto...

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Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 28 maggio 2015, n. 22768. Risponde del reato di pornografia minorile chiunque utilizza un minore per la realizzazione di materiale pornografico, a nulla rilevando l’eventuale consenso prestato dalla persona minore d’età

Suprema Corte di Cassazione sezione IV sentenza 28 maggio 2015, n. 22768 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 5 novembre 2012 la Corte d’Appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza emessa in data 14 gennaio 2010 dal GUP presso il Tribunale di Cagliari, appellata dal PM e dagli imputati P.A. , S.G.B....

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 27 maggio 2015, n. 22152. Il reato di cui all’art. 660 cod. pen. consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone e richiede, sotto il profilo soggettivo, la volontà della condotta e la direzione della volontà verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 27 maggio 2015, n. 22152 Rilevato in fatto 1. Con sentenza emessa il 18/02/2014 il Tribunale di Milano, procedendo con rito abbreviato, condannava A.V. al pagamento di 300,00 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 660 cod. pen., così riqualificato il fatto originariamente contestato ai sensi...

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Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 28 maggio 2015, n. 22835. E’ necessario individuare la cosiddetta legge scientifica di copertura, onde ancorare l’accertamento dell’esistenza del rapporto di causalità a solide basi scientifiche piuttosto che al mero intuito del giudice ovvero a massime di esperienza non verificate; solamente nell’ipotesi in cui una legge scientifica idonea a spiegare l’origine del verificarsi di un evento non esista o non sia conosciuta, al giudice è consentito ricorrere a generalizzate regole di esperienza, che forniscono informazioni su ciò che normalmente accade secondo un diffuso consenso della cultura media e nel contesto spazio-temporale della decisione. Qualora il nesso di causalità sia stato accertato in relazione ad una legge scientifica, come nel caso concreto in cui l’insorgenza della dermatite è stata indicata come reazione allergica ad alcuni componenti della crema abbronzante fornita dall’estetista, subentra l’obbligo del giudice di accertare, altresì, la causalità della colpa. Si deve, infatti, rimarcare che la legge di copertura spiega il fenomeno causale ma può non essere di per sé idonea a fondare l’accertamento della causalità della colpa, che richiede una valutazione quasi esclusivamente normativa, consistente nell’accertamento della violazione della regola cautelare, della prevedibilità ed evitabilità dell’evento e della concretizzazione del rischio. In ogni caso, al fine di verificare l’incidenza causale di una determinata condotta rispetto all’evento, il giudice deve sviluppare un ragionamento esplicativo che si confronti adeguatamente con le particolarità del caso concreto, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto dall’ordinamento; tale procedimento logico presuppone che sia accertata la regola cautelare violata e che tale regola sia stata imposta al fine di evitare proprio l’evento in concreto verificatosi

Suprema Corte di Cassazione sezione IV sentenza 28 maggio 2015, n. 22835 Ritenuto in fatto 1. Il Giudice di Pace di Padova, con sentenza del 17/09/2014, ha dichiarato V.A. colpevole del reato di cui all’art.590 cod. pen., condannandola alla pena di Euro 400,00 di multa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. All’imputata era stato contestato...