Corte di Cassazione
Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

ordinanza 18 maggio 2015, n. 10094

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f.

Dott. CICALA Mario – Presidente Sezione

Dott. RORDORF Renato – Presidente Sezione

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25676/2013 proposto da:

ASSOCIAZIONE DEMOCRAZIA E’ LIBERTA – LA MARGHERITA, in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’Avvocato (OMISSIS), per procura speciale del notaio Dott. (OMISSIS) di (OMISSIS), rep. 54783 del 24/03/2014, in atti;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE DEI CONTI PER IL LAZIO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DEI CONTI SEZIONI GIURISDIZIONALI CENTRALI;

– intimati –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n. 72975/2013 della CORTE DEI CONTI DEL LAZIO – SEZIONE GIURISDIZIONALE di ROMA;

Uditi gli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/05/15 dal Cons. Dott. ALBERTO GIUSTI;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carmelo SGROI, il quale ha chiesto che la Corte di cassazione dichiari l’inammissibilita’ del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione di cui in premessa, con le conseguenze di legge.

RITENUTO IN FATTO

1. – (OMISSIS), gia’ tesoriere del partito politico “Democrazia e’ Liberta’ – La Margherita”, e’ stato citato in giudizio nell’aprile 2013 dalla Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei conti per rispondere del danno erariale di euro 22.810.200, oltre acces-sori, in conseguenza della illecita gestione dei fondi accreditati dal Parlamento nel periodo 2007-2011 a favore del menzionato partito politico a titolo di contributo per le spese elettorali in base alla Legge 10 dicembre 1993, n. 515 (Disciplina delle campagne elettorali per l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica), e alla Legge 3 giugno 1999, n. 157 (Nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici), e successive modifiche.

L’azione di responsabilita’ amministrativa e’ stata promossa dal pubblico ministero contabile a seguito di accertamenti della Guardia di finanza, dai quali e’ emersa la distrazione di tali fondi per finalita’ personali (acquisto di immobili e operazioni di trasferimento dei fondi su conti ban-cari di societa’ estere riconducibili al (OMISSIS) o alla moglie dello stesso). Per le dette condotte, a carico del (OMISSIS) e’ in corso anche un processo penale.

2. – Nell’ambito del giudizio per danno erariale pendente dinanzi alla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti, la Procura regionale ha chiesto ed ottenuto il sequestro conservativo su una serie di beni nella disponibilita’ del (OMISSIS).

In vista dell’udienza di convalida del sequestro conservativo, il (OMISSIS) ha presentato istanza a norma dell’articolo 186 bis c.p.c., per il pagamento, a favore del pubblico erario, della somma, non contestata, di euro 16.555.776, precisando che la rimanente somma era stata gia’ versata a titolo di imposte e tasse da parte delle societa’ a lui riconducibili.

All’udienza del 6 giugno 2013, fissata per la discussione dell’istanza ex articolo 186 bis c.p.c., si e’ costituita in giudizio, in persona del liquidatore, l’associazione “Democrazia e’ Liberta’ – La Margherita” (d’ora in poi, anche La Margherita), con formale atto di intervento ad adiuvandum del procuratore regionale contabile.

In data 10 giugno 2013 l’intervenuta associazione ha depositato una memoria con la quale, formulando avviso contrario alla pronuncia della ordinanza ex articolo 186 bis c.p.c., ha dedotto in via preliminare.

Il difetto di giurisdizione del giudice contabile.

La Sezione giurisdizionale della Corte dei conti, con ordinanza in data 12 giugno 2013, ha accolto l’istanza di pagamento di somme non contestate, disponendo la condanna del (OMISSIS) al versamento dell’importo di euro 16.555.776 ed accessori, detraendo dalla cifra totale alcuni importi che il richiedente ha dedotto essere gia’ stati versati per imposte e tasse da societa’ a lui riconducibili.

3. – Nella pendenza del giudizio di responsabilita’ amministrativa, l’associazione “Democrazia e’ Liberta’ – La Margherita” in liquidazione, con atto notificato il 25 novembre 2013, ha promosso ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione per far dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario.

3.1. – Nel sostenere la giurisdizione del giudice ordinario e nel rivendicare a se’ la spettanza delle somme distratte dall’ex tesoriere, la ricorrente – premesse la natura di associazione di diritto privato del partito politico (“non… pubblica amministrazione, ne’ in senso formale ne’ in senso sostanziale”) e la qualita’ privata sia del suo patrimonio sia di chi assume cariche al suo interno – esclude che i comportamenti del (OMISSIS) abbiano riguardato finanziamenti statali sottoposti a un vincolo di destinazione ad un fine pubblico.

Ad avviso della ricorrente, il vincolo pubblico di destinazione non potrebbe essere ancorato al ruolo costituzionale dei partiti e cosi’ direttamente all’articolo 49 Cost., atteso che “l’articolo 49 Cost., e’ stato scritto proprio con l’intento di evitare che il partito potesse essere un organo o un ente pubblico”.

Non essendovi nessun finanziamento mirato ad un fine pubblico, nessun programma di interesse della P.A. da realizzare, nessun privato compartecipe dell’azione amministrativa, ad avviso della ricorrente farebbe difetto il contributo “di scopo” dell’erogazione in questione, e questo impedirebbe di configurare relativamente al partito politico – ancorche’ questo sia menzionato a livello costituzionale, nell’articolo 49, quale strumento associativo elettivo di determinazione della politica nazionale da parte dei cittadini – quel “rapporto di servizio” tra amministrazione e soggetto privato che, secondo l’indirizzo della giurisprudenza di legittimita’, fonda la giurisdizione della Corte dei conti in ragione della finalita’ vincolata dell’erogazione.

L’avallo a tale impostazione “privatistica” del finanziamento pubblico si trarrebbe anche dalla qualificazione che l’autorita’ giudiziaria penale ha dato della condotta del (OMISSIS), inquadrata nella fattispecie dell’appropriazione indebita di cui all’articolo 646 c.p..

4. – All’istanza per regolamento preventivo ha resistito, con controricorso, il (OMISSIS). Ad avviso del controricorrente, “la natura pubblica delle risorse erogate dallo Stato, la finalita’ in relazione alla quale, per ragioni di interesse pubblico o, quanto meno, generale, le erogazioni sono state effettuate, implicano che ci si muove nell’ambito della utilizzazione di fondi pubblici per finalita’ pubbliche, in ordine alla quale, nell’ipotesi in cui si contesti la legittimita’ della utilizzazione, ed il conseguente danno erariale, opera la giurisdizione contabile”.

5. – Il ricorso e’ stato avviato alla trattazione in adunanza camerale sulla base delle conclusioni scritte, ex articolo 380 ter c.p.c., del pubblico ministero, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilita’ dell’istanza di regolamento.

In prossimita’ della camera di consiglio la ricorrente associazione ha depositato una memoria illustrativa per replicare alle conclusioni scritte del pubblico ministero.

Emessa l’ordinanza interlocutoria 30 settembre 2014, n. 20572, il ricorso e’ stato discusso nella camera di consiglio del 12 maggio 2015.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il regolamento preventivo di giurisdizione viene in discussione senza che il giudizio a quo sia stato sospeso. Con ordinanza in data 28 novembre 2013, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, ha infatti dichiarato manifestamente inammissibile, ai sensi dell’articolo 367 c.p.c., l’istanza, ed ha disposto la prosecuzione del processo. Il processo di merito e’ proseguito in primo grado sino a giungere a conclusione con la sentenza n. 914 del 30 dicembre 2013, la quale ha affermato la giurisdizione del giudice contabile (in ragione della “natura pubblica delle somme erogate a titolo di rimborso delle spese elettorali dell’associazione politica Democrazia e’ Liberta’ – La Margherita” e delle “funzioni esercitate dal (OMISSIS) in qualita’ di tesoriere delle stessa associazione”) e ha condannato il (OMISSIS) al risarcimento del danno erariale a favore dello Stato – e per esso del Ministero dell’economia e delle finanze – nella misura di euro 22.810.200.

1.1. – Si tratta di stabilire se la, ormai intervenuta, sentenza di primo grado del giudice contabile (non ancora passata in giudicato, essendo pendente il giudizio di appello) rappresenti una ragione preclusiva della ammissibilita’ del ricorso per regolamento preventivo.

1.2. – E’ quanto sostiene, nelle sue conclusioni scritte, il pubblico ministero, il quale richiama l’ordinanza di queste Sezioni Unite 13 marzo 2009, n. 6057, che ha dichiarato, appunto, inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso per regolamento di giurisdizione in un caso nel quale, successivamente alla sua proposizione e nelle more del procedimento di cassazione, il giudice amministrativo aveva, nel relativo giudizio, pronunciato sentenza di primo grado.

1.3. – Il Collegio ritiene che l’intervenuta pronuncia di primo grado da parte della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei conti non renda inammissibile (ne’ improcedibile) il ricorso per regolamento, gia’ in precedenza proposto.

A partire dalla sentenza delle Sezioni Unite 17 dicembre 1999, n. 905, la giurisprudenza di questa Corte e’ orientata nel senso che nel nuovo quadro normativo risultante dalla riforma del 1990 al codice di procedura civile (nel quale la dichiarazione di sospensione ex articolo 367 c.p.c., e’ subordinata ad una valutazione del giudice a quo di non manifesta inammissibilita’ dell’istanza e di non manifesta infondatezza della contestazione della giurisdizione), la sentenza emessa dal giudice di merito nel giudizio proseguito dopo la proposizione del ricorso per regolamento di giurisdizione resta condizionata al riconoscimento della giurisdizione da parte della Corte di cassazione investita del regolamento, di talche’, ove la decisione delle Sezioni Unite sia di segno contrario a quello ritenuto o presupposto dal giudice di merito, la sentenza di quest’ultimo, sia sulla giurisdizione che sulle questioni logicamente successive, risultera’ priva di effetto, a nulla rilevando che tale sentenza non sia stata impugnata, atteso che imporre alla parte di impugnarla solo per conservare il diritto alla decisione sulla questione di giurisdizione significherebbe costruire la disciplina del regolamento su di un uso strumentale dell’impugnazione (cosi’ anche l’ordinanza 23 maggio 2005, n. 10703, l’ordinanza 1 marzo 2006, n. 4508, e l’ordinanza 13 maggio 2011, n. 10531).

Nel ribadire, da ultimo, tale orientamento, le Sezioni Unite, con l’ordinanza 16 maggio 2014, n. 10823, hanno altresi’ precisato che e’ bensi’ vero che vi sono state anche talune situazioni nelle quali il ricorso per regolamento di giurisdizione e’ stato invece dichiarato inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, proprio in quanto, nelle more, il giudice di merito aveva pronunciato sentenza di primo grado, ma che si e’ trattato di pronunce isolate, legate alla peculiarita’ delle relative fattispecie, nelle cui motivazioni non si rinvengono argomenti volti a confutare l’orientamento richiamato. Infatti, nel caso di cui alla citata ordinanza n. 6057 del 2009, la pronuncia della sentenza di primo grado era stata, in concreto, favorevole nel merito alla parte che aveva proposto l’istanza per regolamento preventivo, sicche’ si era rilevata la sua carenza di interesse ad agire. Parimenti, nell’ordinanza delle Sezioni Unite 26 aprile 2013, n. 10061 (che richiama l’ordinanza n. 6057 del 2009), la sopravvenuta carenza di interesse alla definizione della questione di giurisdizione sollevata con l’istanza di regolamento e’ stata fatta dipendere dal fatto che, con sentenza emessa in pari data, le stesse Sezioni Unite avevano rigettato il ricorso per motivi di giurisdizione avverso la sentenza d’appello, confermativa della pronuncia di primo grado emessa nel processo proseguito dopo la proposizione dell’istanza per regolamento preventivo.

1.4. – Va pertanto data continuita’ al principio secondo cui, proposto regolamento preventivo di giurisdizione, la sentenza emessa, nelle more, dal giudice di merito e’ condizionata alla conferma del potere giurisdi-zionale e, dunque, non preclude la decisione sul regolamento medesimo, essendo inidonea a far venir meno l’interesse del ricorrente a coltivare il regolamento.

2. – Va esaminata l’altra eccezione di inammissibilita’ sollevata dal pubblico ministero nelle conclusioni scritte.

Questa eccezione e’ legata alla modalita’ di proposizione del ricorso per regolamento preventivo, caratterizzata – si assume – da un “aggiramento surrettizio” del nesso di incidentalita’ e di concretezza che connota il giudizio per regolamento preventivo, per avere l’associazione La Margherita spiegato nel giudizio a quo un intervento ad adiuvandum del procuratore regionale della Corte dei conti per poi richiedere la declina-toria della giurisdizione della Corte dei conti assumendo la natura privatistica delle somme oggetto di contestazione e deducendo la non sussistenza del danno erariale.

La conclusione nel senso della inammissibilita’ e’ motivata dal pubblico ministero sul rilievo che l’associazione partitica, con l’eccepire la carenza di giurisdizione del giudice contabile e con il concludere per il venir meno dell’iniziativa risarcitoria del procuratore regionale, avrebbe finito con il far valere “un proprio autonomo interesse, quello della capienza patrimoniale dell’ex tesoriere in vista di una eventuale – altrove coltivabile – risarcibilita’ del danno, non piu’ a favore dell’erario ma (solo) a favore dell’associazione, di cui il sig. (OMISSIS) faceva parte”.

Vi sarebbe, ad avviso del pubblico ministero requirente, una contraddizione, irrisolta, tra l’asserita, iniziale, adesione all’iniziativa risarcitoria del pubblico ministero contabile (sia pure formalmente limitata al profilo del diniego di accoglimento dell’istanza di pagamento delle somme non contestate) e la posizione effettiva assunta dall’associazione nel prosieguo del processo, radicalmente negatoria della stessa possibilita’ di esperire l’azione di risarcimento del danno erariale. Si tratterebbe di un fatto che non riguarda esclusivamente la sfera, e l’ambito, del giudizio presupposto, ma che interessa anche la richiesta, da parte dell’associazione, del regolamento di giurisdizione, stante la necessaria “incidentalita’ del giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, che non e’ un giudizio astratto e che non consente la proposizione ad opera di chi non possa prima facie avere accesso al giudizio (principale) e non abbia pertanto una posizione in esso tutelabile ne’ possa svolgere, in quel giudizio, una propria posizione, pretensiva od oppositiva che sia”. Si sarebbe di fronte a un limite connaturato alla necessaria relazione del giudizio per regolamento con il processo di merito, atteso che il giudizio che si svolge dinanzi alle Sezioni Unite tende a stabilire il grado della tutela, il livello della posizione soggettiva azionata nel giudizio a quo, il giudice che deve conoscerne; laddove, se si ammettesse l’introduzione di una controversia meramente teorica, rivolta a prospettare la questione di giurisdizione senza il sostegno di una controversia sottostante, la questione di giurisdizione perderebbe i caratteri dell’incidentalita’ ed assumerebbe i contorni della lis ficta, e il giudizio a quo cesserebbe di rappresentare la radice e la ragion d’essere della questione di giurisdizione.

In sostanza e conclusivamente, secondo il rappresentante della Procura generale presso la Corte di cassazione, la natura incidentale del giudizio per regolamento preventivo di giurisdizione rispetto al processo di merito pendente in primo grado comporterebbe che non sarebbe legittimato ad attivarlo il terzo che soltanto fittiziamente sia intervenuto nel giudizio a quo di responsabilita’ amministrativa per danno erariale, e che, senza sostenere le ragioni di alcuna delle parti originarie e senza esercitarvi una propria domanda, sia stato mosso dal solo intento di giungere al giudizio delle Sezioni Unite per vedere esclusa, con la giurisdizione della Corte dei conti, l’iniziativa risarcitoria del pubblico ministero contabile, e salvaguardato cosi’ l’interesse alla possibilita’ pratica di attingere in altra sede giurisdizionale il patrimonio del convenuto in responsabilita’ amministrativa con l’esercizio, contro di lui, di un’azione restitutoria e risarcitoria, non piu’ a favore dell’erario, ma di esso terzo.

2.1. – Il Collegio ritiene che l’eccezione del pubblico ministero non possa essere accolta.

2.1.1. – Occorre, preliminarmente, muovere dalla descrizione dello svolgimento del processo dinanzi alla Corte dei conti.

Il disciolto partito La Margherita e’ intervenuto nel processo per responsabilita’ per danno erariale a carico di (OMISSIS) con atto di costituzione in data 5 maggio 2013, presentato direttamente all’udienza del 6 giugno 2013: nell’atto scritto di costituzione l’associazione ha dichiarato di avere “interesse” ad “intervenire nel processo in corso”; nel verbale d’udienza del 6 giugno 2013 il difensore dell’associazione ha precisato che l’intervento spiegato e’ “adesivo”: riservandosi “di produrre memorie in sede di udienza di merito fissata per il 28 novembre 2013”, l’avvocato de La Margherita ha aderito “all’ultima richiesta della procura di respingere l’istanza ex articolo 186 cod. proc. civ. della controparte, in quanto innanzitutto non e’ offerta la somma integralmente”.

Con ordinanza riservata n. 173 del 2013, deliberata nella camera di consiglio del 6 giugno 2013 e depositata il 12 giugno 2013, il Collegio della Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti, in accoglimento dell’istanza ex articolo 186 bis c.p.c., ha disposto il pagamento da parte del (OMISSIS) a favore del Ministero della somma di euro 16.555.776.

Nel frattempo, con memoria in data 10 giugno 2013 (depositata in segreteria il 12 giugno 2013), rubricata “memoria difensiva nel procedimento ex articolo 186 bis c.p.c.”, l’associazione, ritenendo di “dover meglio dedurre in merito al procedimento in corso”, ha chiesto, in via pregiudiziale, di “accertare e dichiarare il difetto di giurisdizione della Corte dei conti, attesa la natura privatistica delle somme oggetto di contestazione nel presente giudizio”. Tali somme – si legge nella memoria – “appartengono a un ente di diritto privato (associazione non riconosciuta) e non e’ prospettabile un danno alle pubbliche finanze. Invero, unico soggetto legittimato ad ottenere la restituzione delle somme sottratte e’ La Margherita, che con l’assemblea del 16 giugno 2012 ha posto in liquidazione l’associazione e, nominando un collegio di liquidatori, ha espressamente disposto che tutte le risorse residue nonche’ quelle rivenienti dal recupero del maltolto saranno donate allo Stato italiano. Da quanto esposto discende la carenza di giurisdizione della Corte dei conti…. La giurisdizione spetta unicamente al giudice ordinario non essendo configurabile alcun danno erariale”, tanto piu’ in considerazione della “assoluta impossibilita’ di separare, nell’ambito del recupero delle somme indebitamente sottratte dall’avv. (OMISSIS), il patrimonio proveniente dalle attribuzioni statali da quello proveniente da autofinanziamenti”.

La richiesta “in via pregiudiziale” di “accertare e dichiarare il difetto di giurisdizione della Corte dei conti” e’ stata ribadita dall’associazione intervenuta con la memoria del 7 novembre 2013, depositata l’8 novembre 2013 in relazione all’udienza del 28 novembre 2013 fissata per la discussione del merito della causa, memoria con la quale si e’ concluso anche, nel merito, per il rigetto delle “richieste formulate da parte attrice e convenuta” e per “l’immediata revoca” dell’ordinanza n. 173 del 2013 emessa ai sensi dell’articolo 186 bis c.p.c..

Depositata in data 27 novembre 2013, dopo la notifica alle altre parti, una copia del ricorso per cassazione proposto a norma dell’articolo 41 c.p.c., comma 1, presso la segreteria della Sezione giurisdizionale regionale, la Corte dei conti, con la citata ordinanza in data 28 novembre 2013, nel dichiarare manifestamente inammissibile, ai sensi dell’articolo 367 c.p.c., comma 1, il ricorso preventivo di giurisdizione, ha anche dichiarato inammissibile l’intervento volontario dell’associazione La Margherita, disponendone l’estromissione dal giudizio; e cio’ dopo avere rilevato che con le memorie depositate il 12 giugno 2013 e l’8 novembre 2013 l’associazione ha “modificato il proprio intervento ad adiuvandum” e che il contenuto e le conclusioni di queste memorie “si pongono in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte dei conti secondo il quale nel processo contabile l’intervento volontario e’ ammesso solo se adesivo, cioe’ ad adiuvandum delle ragioni giuridiche sulle quali si fonda la domanda di ristoro del danno erariale della procura regionale, mentre nella fattispecie la predetta associazione politica interveniente ha rivendicato una propria e autonoma pretesa creditoria nei confronti del… (OMISSIS), opponendosi a quella formulata dalla parte pubblica attrice e contestando in radice sia la titolarita’ del diritto al risarcimento del danno da parte dello Stato che la giurisdizione del giudice adito”.

La Margherita ha proposto appello sia avverso l’ordinanza di estromissione sia avverso la sentenza di primo grado.

2.1.2. – Tanto premesso in ordine alla scansione procedimentale del giudizio a quo, l’ammissibilita’ del regolamento preventivo discende dalle seguenti considerazioni.

L’associazione partitica La Margherita, al momento della proposizione del regolamento preventivo, era parte del giudizio contabile a quo, essendo formalmente intervenuta in quel giudizio. Non puo’ esservi dubbio, quindi, circa il possesso, in capo alla predetta associazione, della qualita’ richiesta, ai sensi dell’articolo 41 c.p.c., per poter prospettare a queste Sezioni Unite una questione di giurisdizione.

Il ricorso per regolamento preventivo, infatti, puo’ essere proposto da ciascuna parte, e quindi anche dall’interventore, pure adesivo dipendente (Sez. Un., 28 novembre 2005, n. 25047; Sez. Un., 22 agosto 2007, n. 17823). Da tempo la giurisprudenza ha chiarito (Sez. Un., 14 febbraio 1977, n. 664) che non giova opporre che colui che abbia spiegato intervento adesivo dipendente non puo’ proporre impugnazione in via autonoma, dato che il regolamento di giurisdizione non puo’ definirsi impugnazione in senso proprio.

Sull’ammissibilita’ del regolamento, d’altra parte, non incidono deduzioni circa la contestata validita’ dell’assunzione della qualita’ di parte del soggetto che tale mezzo ha proposto, in ragione della non configurabilita’, nel processo di responsabilita’, dell’intervento principale e dell’intervento adesivo autonomo o litisconsortile, in quanto ritenuti, dalla giurisprudenza contabile, incompatibili sia con il diritto sostanziale al risarcimento del danno erariale sia con la struttura del relativo processo. Occorre infatti qui ribadire la distinzione tra gli ambiti decisori del giudizio presupposto, nel quale sono trattabili le questioni sulla validita’ dell’intervento, e giudizio sulla giurisdizione, nel quale non sono consentite questioni non attinenti alla giurisdizione, ivi incluse quelle sulla legittimazione del terzo a partecipare al giudizio a quo, ovvero sulla ricorrenza dei presupposti e delle condizioni per un suo intervento (Sez. Un., 18 novembre 1989, n. 4946; Sez. Un., 21 ottobre 2005, n. 20340).

E’ bensi’ vero che, successivamente alla proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, la Sezione giurisdizione regionale della Corte dei conti ha dichiarato inammissibile l’intervento de La Margherita, disponendone l’estromissione dal giudizio. Ma la qualita’ di parte, al fine di statuire sull’ammissibilita’ del regolamento preventivo, va riscontrata con riguardo al tempo della proposizione della relativa istanza, senza che abbia rilievo preclusivo di detta ammissibilita’ la circostanza che, soltanto successivamente alla detta proposizione, sia intervenuta una pronuncia del giudice a quo che, nel processo non sospeso, abbia negato all’associazione partitica ricorrente per regolamento la qualita’ di parte di quel giudizio (con una statuizione ancora sub iudice, essendo stata proposta impugnazione al riguardo).

Deve pertanto escludersi che il regolamento preventivo di giurisdizione sia stato attivato dall’associazione La Margherita in modo surrettizia-mente mediato ma in realta’ diretto, senza il sostegno di un effettivo, al tempo della proposizione del ricorso, intervento nel giudizio a quo e quindi di una reale acquisizione di una posizione formale di parte.

Ne’ la proposizione del regolamento preventivo appare nella specie espressione di slealta’ processuale o di abuso del diritto di difesa. Infatti, l’intervento ad adiuvandum e’ stato dispiegato soltanto formalmente (ed esclusivamente in relazione al dissenso manifestato dal procuratore regionale sull’istanza del convenuto in responsabilita’ erariale di pagamento di somme non contestate, per non avere questi offerto l’integrale somma sottratta); in realta’ la linea difensiva seguita dall’associazione nel giudizio a quo, lungi dal mostrare uno strumentale cambiamento di fronte, e’ stata rivolta, a partire dalla memoria depositata il 12 giugno 2013, ad escludere la configurabilita’ di una responsabilita’ per danno erariale e l’esperibilita’ stessa dell’iniziativa risarcitoria del procuratore regionale della Corte dei conti (sul rilievo dell’asserita mancanza, con riferimento ai rimborsi statali per le spese elettorali, sia di un vincolo di destinazione, sia di un obbligo di rendicontazione analitica o di gestione separata rispetto ai proventi di natura privata), al fine, cosi’, di garantirsi, attraverso la salvaguardia della capienza patrimoniale dell’ex tesoriere, la pratica fruttuosita’ di un’azione civile restitutoria e risarcitoria intrapresa o da intraprendere dinanzi al giudice ordinario. Vi e’ pertanto coerenza tra le ragioni dell’intervento nel giudizio contabile, a tutela di una propria posizione soggettiva ritenuta pregiudicata dalla decisione del giudice contabile, e l’attivazione dello strumento volto a definire in via preliminare la questione di giurisdizione.

3. – Passando al fondo della istanza di regolamento, occorre muovere dal rilievo che nel nostro ordinamento il partito politico ha natura di associazione privata non riconosciuta come persona giuridica, regolata in via generale dalle norme del codice civile.

In questa direzione convergono le indicazioni che si traggono dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione e dalla dottrina.

La Corte costituzionale, infatti, considera i partiti politici “come organizzazioni proprie della societa’ civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche, e non come poteri dello Stato ai fini dell’articolo 134 Cost.”; conseguentemente, esclude che ai partiti politici possa riconoscersi “la natura di organi competenti a dichiarare definitivamente la volonta’ di un potere dello Stato per la delimitazione di una sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali” (ordinanza n. 79 del 2006; ordinanza n. 120 del 2009). In particolare, le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee – la presentazione di alternative elettorali e la selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche – “non consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralita’ di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell’ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello stesso articolo 49 Cost.” (ordinanza n. 79 del 2006, cit.).

Nella giurisprudenza di questa Corte, la sentenza della Sezione lavoro 7 gennaio 2003, n. 26, definisce il partito come “un’associazione non riconosciuta che svolge attivita’ politica senza fini di lucro”; la sentenza della Sezione seconda 23 agosto 2007, n. 17921, afferma che “in tema di associazioni non riconosciute, nel cui ambito vanno compresi anche i partiti politici, la legittimazione processuale spetta a chi e’ conferita la presidenza o la direzione, secondo gli accordi degli associati, come disposto dall’articolo 36 cod. civ.”; e la sentenza della Sezione lavoro 27 giugno 1998, n. 6393, riconduce il nucleo centrale della disciplina dei partiti ai principi valevoli per il diritto comune delle associazioni quando rileva che “la costituzione di un nuovo partito politico da parte di taluni membri dell’originaria formazione, nella permanenza di quest’ultima, non impedita da una eventuale nuova denominazione, si configura giuridicamente come esercizio del diritto di recesso da un’associazione non riconosciuta, che, non comportando per il recedente alcun diritto alla liquidazione di quota, rende del tutto estranei a tale vicenda profili successori fra la vecchia e la nuova associazione”.

A sostegno di questa impostazione, la dottrina argomenta come il modello pluralista accolto dalla Costituzione determina il venir meno di una netta distinzione tra il diritto comune delle associazioni e il trattamento giuridico delle associazioni politiche, distinzione invece presente nella disciplina del fenomeno associativo in epoca statutaria. Per la Costituzione – si sottolinea – il fenomeno dei partiti rappresenta un diritto di liberta’ dei cittadini, una specificazione della liberta’ di associazione, volendosi segnare una netta cesura rispetto al modello organico di partito-Stato che aveva contrassegnato l’esperienza fascista. L’articolo 49 Cost., nel riconoscere la natura associativa del partito e nell’individuare nei cittadini i titolari del diritto, attribuisce nel contempo ai partiti la funzione di concorrere alla “determinazione della politica nazionale”. Queste due prospettive – si afferma – sono strettamente legate: in tanto la determinazione della politica nazionale puo’ avvenire in quanto sia assicurato ad ogni cittadino il diritto di associarsi liberamente in partiti politici; correlativamente, il diritto dei cittadini di associarsi in partiti politici assume particolare significato e protezione costituzionale nella misura in cui la dimensione associativa, alla quale si ricollega la garanzia del pluralismo, risulti strumentale a dare rappresentanza a interessi politicamente organizzati con l’obiettivo di contribuire al funzionamento delle istituzioni democratiche.

3.1. – La natura di associazione di diritto privato del partito politico non e’ tuttavia elemento dirimente al fine di escludere la giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale a fronte dell’addebito mosso al tesoriere del partito di avere distratto a fini privatistici fondi erogati al partito stesso quali rimborsi delle spese elettorali.

I precedenti di queste Sezioni Unite (cfr. sentenza 25 gennaio 2013, n. 1774, sentenza 20 novembre 2013, n. 26034, sentenza 21 maggio 2014, n. 11229, e sentenza 31 ottobre 2014, n. 23257) hanno chiarito, in argomento, che, ai fini del riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti per responsabilita’ amministrativa, deve aversi riguardo, non alla qualita’ del soggetto che gestisce il denaro pubblico (che ben puo’ essere un soggetto di diritto privato, destinatario della contribuzione), bensi’ alla natura del danno ed alla portata degli scopi perseguiti con la contribuzione stessa. Ne consegue che qualora l’amministratore di un ente, anche avente natura privata, cui siano erogati contributi pubblici, per effetto di sue scelte omissive o commissive incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla pubblica amministrazione alla cui realizzazione e’ chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, in tal modo determinando uno sviamento dalle finalita’ perseguite, egli provoca un danno per l’ente pubblico, e di tal danno deve rispondere davanti al giudice contabile. La responsabilita’ contabile, infatti, si radica sul presupposto dell’esistenza di una relazione funzionale tra l’autore dell’illecito causativo di danno patrimoniale e l’ente pubblico che subisce il danno medesimo: e tale relazione e’ configurabile non solo in presenza di un rapporto organico (c.d. rapporto di impiego), ma anche quando sia ravvisabile comunque un rapporto di servizio in senso lato, in quanto il soggetto, pur se estraneo alla pubblica amministrazione, venga investito, anche di fatto, dello svolgimento, in modo continuativo, di una data attivita’ della pubblica amministrazione. Piu’ in particolare, qualora il soggetto giuridico fruitore dei fondi pubblici sia un ente privato, la responsabilita’ erariale attinge anche coloro che con detto ente abbiano intrattenuto un rapporto organico, ove dai comportamenti da loro tenuti sia derivata la distrazione dei fondi dal fine pubblico cui erano destinati, giacche’ il parametro di riferimento della responsabilita’ erariale (e, quindi, della giurisdizione contabile) e’ rappresentato dalla provenienza dal bilancio pubblico dei fondi erogati e dal dovere facente capo a tutti i soggetti che tali fondi amministrano di assicurarne l’utilizzo per i fini cui gli stessi sono destinati.

Sulla base di questo orientamento – che trova il suo fondamento normativo nel Regio Decreto 12 luglio 1934, n. 1214, articoli 13 e 52, (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti) e nell’articolo 1, comma 4, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) – la giurisdizione della Corte conti e’ stata riconosciuta:

– a fronte del mancato utilizzo per la finalita’ destinata, da parte dei rappresentati di una fondazione, dei contributi regionali concessi per la realizzazione di un museo multimediale (Sez. Un., 20 ottobre 2014, n. 22114);

– in caso di condotta fraudolenta (consistita nella emissione di fatture per operazioni inesistenti e nella utilizzazione di documentazione falsa) posta in essere dai rappresentati legali di una societa’ a responsabilita’ limitata allo scopo di indurre il Ministero competente ad erogare un contributo, poi illegittimamente conseguito, in base alla disciplina dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno (Decreto Legge 22 ottobre 1992, n. 415, convertito in Legge 19 dicembre 1992, n. 488) (Sez. Un., 13 febbraio 2014, n. 3310);

– in vicenda di malversazioni commesse dal direttore di una ONLUS, destinataria di contributi di scopo dal Ministero dell’interno, nella direzione e gestione di un centro di accoglienza per extra-comunitari e profughi (Sez. Un., 28 novembre 2013, n. 26581);

– nei confronti dell’amministratore di una societa’ cooperativa a responsabilita’ limitata alla quale era stato erogato, nell’ambito dei finanziamenti comunitari e nazionali, un contributo, poi non utilizzato a tal fine, per l’incremento della produzione ittica di allevamento (Sez. Un., 19 luglio 2013, n. 17660);

– in fattispecie nella quale il presidente di un consorzio rurale aveva distratto contributi pubblici che erano stati erogati per la realizzazione di opere di miglioramento nell’ambito di una comunita’ montana (Sez. Un., 25 marzo 2013, n. 7377);

– in fattispecie nella quale l’amministratore di una societa’ privata aveva ricevuto un contributo pubblico per la realizzazione di un impianto di maricoltura off-shore, ma aveva attuato solo parzialmente detta struttura, poi rinvenuta in abbandono sul fondale marino (Sez. Un., 25 gennaio 2013, n. 1774, cit.);

– in vicenda nella quale l’amministratore di una societa’ cooperativa destinataria di fondi pubblici si era dolosamente appropriato dei finanziamenti ricevuti (Sez. Un., 9 gennaio 2013, n. 295);

– a fronte della condotta distrattiva degli amministratori di una societa’ consortile per azioni che avevano distratto i contributi pubblici erogati per la copertura dei costi di allestimento di una manifestazione finalizzata alla promozione della candidatura della citta’ di Trieste quale sede per l’Expo 2007 (poi 2008) (Sez. Un., 9 maggio 2011, n. 10062);

– in fattispecie di omessa utilizzazione per la finalita’ programmata, da parte di amministratore di societa’, di fondi regionali destinati alla formazione professionale (Sez. Un., 23 settembre 2009, n. 20434).

3.2. – Poiche’, dunque, il baricentro per radicare la giurisdizione contabile si e’ spostato dalla qualita’ del soggetto alla natura del danno e degli scopi perseguiti, si tratta di stabilire se sia o meno configurabile un vincolo di destinazione sulle somme erogate al partito politico a titolo di rimborso elettorale tale da radicare la giurisdizione del giudice contabile a titolo di responsabilita’ amministrativa.

Considerato che le condotte cui si riferisce l’azione di responsabilita’ per danno erariale promossa dal procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei conti riguardano gli anni che vanno dal 2007 al 2011, tale indagine va compiuta con riguardo alla disciplina anteriore alle riforme introdotte dalla legge 6 luglio 2012, n. 96 (Norme in materia di riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e dei movimenti politici, nonche’ misure per garantire la trasparenza e i controlli dei rendiconti dei medesimi. Delega al Governo per l’adozione di un testo unico delle leggi concernenti il finanziamento dei partiti e dei movimenti politici e per l’armonizzazione del regime relativo alla detrazioni fiscali) – la quale, all’articolo 9, comma 29, ha previsto che “I rimborsi e i contributi di cui alla presente legge sono strettamente finalizzati all’attivita’ politica, elettorale e ordinaria, dei partiti e dei movimenti politici” -, e dal Decreto Legge 28 dicembre 2013, n. 149 (Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticita’ dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore), convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 febbraio 2014, n. 13.

Ad avviso del Collegio, al detto quesito deve darsi risposta negativa.

3.2.1. – La ratio della scelta legislativa di finanziare i partiti politici, attraverso misure che ne consentano l’azione e la presenza sulla scena sociale e politica, e’ da mettere in relazione al loro porsi come enti intermedi cui compete di riflettere, interpretare e plasmare la volonta’ politica dei cittadini, canalizzandola con metodo democratico nelle sedi delle istituzioni rappresentative, al loro ruolo di partecipi della costruzione dei principi di legittimazione dell’assetto costituzionale. In questo contesto, il sostegno pubblico diretto e’ stato visto dal legislatore ordinario come uno dei mezzi per favorire i partiti politici in quanto strumenti principali della partecipazione di tutti i cittadini al governo della comunita’, per rafforzare l’indispensabile pluralismo partitico, per assicurare che la naturale competizione politica possa essere regolata secondo principi e standard normativamente eguali e certi, dunque trasparenti e misurabili, ed ancora per garantire agli stessi partiti un grado minimo di indipendenza nei propri processi decisionali rispetto ai soggetti che hanno maggiori disponibilita’ finanziarie.

3.2.2. – Tutto questo appartiene alle ragioni che hanno indotto il legislatore ordinario a finanziare i partiti politici, al perche’ della scelta legislativa di alimentare, attraverso il sostegno pubblico, la meccanica della democrazia e le sue dinamiche di movimento.

Questa ragione giustificativa non si e’ pero’ tradotta – nella disciplina ratione temporis applicabile – nella previsione di un vincolo di destinazione pubblicistica sulle somme corrisposte ai partiti politici a titolo di rimborso delle spese elettorali, ne’, tanto meno, nella imposizione ai partiti di un programma di interesse della pubblica amministrazione da attuare con quelle risorse pubbliche.

3.3. – Mancando una espressa finalizzazione, in senso contrario alla configurabilita’ del perseguimento, attraverso quelle somme, di un fine pubblico specifico da imputare soggettivamente allo Stato apparato, valgono le seguenti considerazioni.

3.3.1. – Innanzitutto il finanziamento pubblico dei partiti – qualificato dalla Legge n. 157 del 1999 come “rimborso in relazione alle spese elettorali sostenute per le campagne per il rinnovo del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, del Parlamento Europeo e dei consigli regionali” – non e’ basato, ne’ proporzionato, ne’ finalizzato al mero “rimborso” delle spese elettorali, ed e’ piuttosto configurato come una forma di sostegno dell’attivita’ svolta dal partito “a valle” della competizione elettorale.

Il sistema ruota infatti attorno alla predisposizione di appositi fondi, la cui quantificazione avviene basandosi sulla somma risultante dalla moltiplicazione di un certo importo di base per il numero dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati. In questo contesto, manca il collegamento fra la spesa elettorale affrontata e il relativo rimborso, il quale e’ determinato sulla base dei voti conseguiti e non dei costi sostenuti; e la stessa entita’ dei rimborsi (l’importo di base di lire 4.000 e’ stato elevato a 5 euro ad opera della Legge 26 luglio 2002, n. 156, per poi venire ridotto dal Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, articolo 5, comma 4, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122, e dal Decreto Legge 6 luglio 2011, n. 98, articolo 6, commi 1 e 3, convertito, con modificazioni, dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111), ha finito per essere superiore alle spese elettorali effettivamente sostenute dai partiti.

La mancanza di un collegamento del contributo finanziario rispetto alle spese sostenute e’ resa ancor piu’ evidente dalle modalita’ di corresponsione del rimborso, ossia dal fatto che l’erogazione non ha luogo in unica soluzione, ma con cadenza annuale, e che, per effetto del Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 273, articolo 39 quaterdecies, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, si e’ stabilito che l’erogazione del rimborso e’ dovuta per tutti gli anni di legislatura, indipendentemente dalla durata effettiva della stessa (il che ha consentito di fatto ai partiti di percepire, in alcuni anni, con la fine anticipata della XV legislatura nel 2008, il doppio dei contributi, sia quelli relativi alle quote annuali della 15 legislatura prematuramente interrotta, sia quelli della 16 legislatura: l’obbligo di interrompere l’erogazione dei contributi in caso di scioglimento anticipato delle Camere e’ stato reintrodotto dal Decreto Legge n. 98 del 2011, articolo 6, comma 2).

L’inesistenza di una finalita’ pubblica specificamente impressa e’ comprovata dal fatto che il citato comma 2 dell’articolo 39 quaterdecies, ha anche previsto che le somme erogate ai partiti politici possano costituire oggetto di cartolarizzazione e siano comunque cedibili a terzi.

3.3.2. – Inoltre, le forme di controllo delle finanze partitiche sono meramente formali. Il controllo esercitato sui bilanci e’ di mera veridicita’ dei dati presentati e non di conformita’ a (non previsti) vincoli di destinazione, essendosi voluto impedire – come e’ stato sottolineato in dottrina – qualsiasi rischio di interferenza esterna sulle decisioni di spesa dei partiti, che costituiscono inevitabilmente il risvolto di discrezionali decisioni politiche.

Per quanto riguarda la fase elettorale, i partiti (e i movimenti politici) hanno infatti esclusivamente obblighi di rendicontazione. Ai sensi della Legge n. 515 del 1993, articolo 12, i rappresentanti di partiti, movimenti, liste e gruppi di candidati presenti nell’elezione per la Camera dei deputati o per il Senato della Repubblica “devono presentare ai Presidenti delle rispettive Camere, entro quarantacinque giorni dall’insediamento, per il successivo invio alla Corte dei conti, il consuntivo relativo alle spese per la campagna elettorale e alle relative fonti di finanziamento”; e la Corte dei conti “riferisce direttamente ai Presidenti delle Camere sui risultati del controllo eseguito”.

Nella fase non elettorale, sussiste poi una serie di obblighi di trasparenza di ordine generale, riferiti all’intero arco dell’anno e riguardanti il complesso delle attivita’ finanziariamente rilevanti dei soggetti politici destinatari del finanziamento pubblico qualificato come contributo alle spese elettorali. La Legge 2 gennaio 1997, n. 2, articolo 8, (Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici) prevede infatti un rendiconto annuale. Tale rendiconto, con i suoi allegati, viene trasmesso, entro il 31 luglio di ogni anno, al Presidente della Camera dei deputati, ed e’ pubblicato, a cura dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, in un supplemento speciale della Gazzetta Ufficiale. Inoltre, il Presidente della Camera dei deputati, d’intesa con il Presidente del Senato della Repubblica, comunica al Ministro del tesoro, sulla base del controllo di conformita’ alla legge compiuto da un collegio di revisori, l’avvenuto riscontro della regolarita’ della redazione del rendiconto, della relazione e della nota integrativa. La Legge n. 157 del 1999, articolo 1, a sua volta, prevede che in caso di inottemperanza agli obblighi di cui alla citata Legge n. 2 del 1997, articolo 8, o di irregolare redazione del rendiconto, il Presidente della Camera dei deputati e il Presidente del Senato della Repubblica, per i fondi di rispettiva competenza, sospendono l’erogazione del rimborso per le spese elettorali fino ad avvenuta regolarizzazione.

3.3.3. – D’altra parte, il patrimonio dei partiti non e’ composto unicamente dalle contribuzioni di provenienza statale, ma anche da quelle private provenienti dalle quote di tesseramento, dalle elargizioni e donazioni private e dalle altre attivita’ svolte dalle associazioni politiche: rispetto a tali somme non vi e’ una gestione separata, in quanto tutte le somme confluiscono nell’unico patrimonio (di natura privata) dei partiti, confondendosi con quelle percepite a titolo di rimborsi elettorali.

3.4. – Ne’ un vincolo di natura specifica sui fondi pubblici erogati in favore dei partiti politici, tale da determinare una relazione di servizio con la pubblica amministrazione, puo’ trarsi dalle funzioni attribuite ai partiti dalla disciplina costituzionale dettata nell’articolo 49 Cost..

Nel disegno costituzionale, infatti, i partiti politici sono organizzazioni espressione dello Stato comunita’, e il compito, ad essi affidato, di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, non li rende strumenti della pubblica amministrazione.

Inoltre, il finanziamento della politica che si svolge attraverso i partiti e’ oggetto di una ampia scelta discrezionale rimessa al Parlamento nazionale. La norma costituzionale e’ del tutto neutra rispetto all’introduzione del finanziamento pubblico: essa, se non vieta, tuttavia neppure rende necessario o costituzionalmente imposto un sostegno pubblico di natura economica per l’esistenza dei partiti e per lo svolgimento delle relative attivita’ (cfr. Corte cost. n. 16 del 1978, n. 30 del 1993 e n. 32 del 2000, in tema di ammissibilita’ delle richieste di referendum popolare per l’abrogazione del contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici e del rimborso delle spese per le consultazioni elettorali).

3.5. – Una finalizzazione di ordine generale per le somme elargite a titolo di rimborso delle spese elettorali non puo’ neppure ricavarsi dalla Legge n. 157 del 1999, articolo 3, il quale prevede che “Ogni partito o movimento politico destina una quota pari almeno al 5 per cento dei rimborsi ricevuti per ciascuno dei fondi di cui all’articolo 1, commi 1 e 5, ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica”, e impone l’introduzione di “una apposita voce all’interno del rendiconto di cui alla Legge 2 gennaio 1997, n. 2, articolo 8, al fine di dare espressamente conto dell’avvenuta destinazione delle quote dei rimborsi” a tali iniziative.

Questa disposizione, innanzitutto, imprime un vincolo di destinazione soltanto per una quota del finanziamento erogato.

Essa, inoltre, e’ ben lungi dall’instaurare, anche limitatamente a questa quota, un rapporto di servizio a carico del soggetto percettore, tale da renderlo esposto alla responsabilita’ amministrativa ove sia frustrato lo scopo perseguito dalla legge. Lo dimostra l’evoluzione normativa successiva, per effetto della quale la mancata destinazione di una quota pari almeno al 5 per cento dei rimborsi elettorali ricevuti ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica, comporta esclusivamente l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad un ventesimo dell’importo complessivamente attribuito al partito per l’anno in corso (cosi’ la Legge n. 96 del 2012, articolo 9, comma 13; il Decreto Legge n. 149 del 2013, articolo 9, comma 3, ha portato l’importo della sanzione ad un quinto delle somme spettanti al partito ai sensi del successivo articolo 12).

4. – Occorre inoltre considerare che ove – come si prospetta essere avvenuto nel caso da cui ha avuto origine la presente controversia – venga posta in essere, da parte dell’amministratore del partito, una condotta distrattiva ed appropriativa, per fini di arricchimento personale, di somme di denaro appartenenti al patrimonio dell’associazione partito politico, ed evidentemente comprensive di quelle erogate con atti formali dei Presidenti di Camera e Senato con scadenze prefissate a titolo di rimborso delle spese elettorali, il soggetto danneggiato e’ direttamente il partito politico, che non ha potuto utilizzare quelle somme, rientranti nel suo patrimonio, per lo svolgimento dell’attivita’ politica, elettorale e ordinaria.

La natura privatistica delle somme confluite nel patrimonio del partito ha costituito, del resto, il presupposto delle vicende penali che hanno interessato (OMISSIS), il quale e’ stato imputato, nel procedimento penale dinanzi al Tribunale di Roma, del reato di appropriazione indebita di cui all’articolo 646 c.p., per avere distratto per fini privati, nel periodo dal 2007 al 2011, disponendone mediante bonifici e assegni tratti sul conto corrente bancario intestato all’associazione ricorrente di cui aveva la diretta gestione in qualita’ di tesoriere, le somme accreditate dalle istituzioni parlamentari a titolo di rimborso per spese elettorali.

All’imputazione e’ seguita la condanna in primo grado. Il fatto che il titolo di reato per il quale il (OMISSIS) e’ stato indagato e processato sia il delitto di appropriazione indebita e non il reato di peculato ex articolo 314 c.p., o di malversazione a danno dello Stato ex articolo 316 bis c.p., conferma non solo la natura privatistica delle somme utilizzate a fini personali, ma anche che il soggetto danneggiato dal fatto illecito commesso dal tesoriere e’ il partito politico – che ha coltivato l’azione civile nel giudizio penale – e non l’erario.

Sotto questo profilo, manca un ulteriore presupposto per la configurabilita’ della responsabilita’ amministrativa (e, quindi, della giurisdizione contabile nella sua connotazione costituzionale di giurisdizione per materia a tutela dei conti pubblici): il suo essere finalizzata al corretto utilizzo delle risorse da parte degli agenti pubblici e al conseguente risarcimento del danno cagionato ad un soggetto pubblico.

5. – Con questa conclusione il Collegio non intende certo discostarsi dalla soluzione adottata da queste Sezioni Unite (con l’ordinanza 31 ottobre 2014, n. 23257, cui hanno fatto seguito le ordinanze 21 aprile 2015, n. 8077, 28 aprile 2015, n. 8570, e 29 aprile 2015, n. 8622) con riguardo alla gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali, la quale e’ stata ritenuta soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti, che puo’ quindi giudicare sulla responsabilita’ erariale del componente del gruppo autore di “spese di rappresentanza” prive di giustificativi.

A detta conclusione, infatti, la Corte e’ pervenuta, nella citata ordinanza n. 23257 del 2014, sulla base dei seguenti presupposti: (a) considerando che i gruppi consiliari hanno “natura pubblicistica” “in rapporto all’attivita’ che li attrae nell’orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea… regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare”; (b) sottolineando che i contributi pubblici sono erogati ai gruppi consiliari “con gli specifici vincoli ad essi impressi dalla legge”: vincoli “dettagliatamente predefiniti… con esplicito esclusivo asservimento a finalita’ istituzionali del consiglio regionale e non a quelle delle associazioni partitiche o, tanto meno, alle esigenze personali di ciascun componente”; (c) tenendo conto della qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell’articolo 357 c.p., comma 1, che la giurisprudenza penale della Corte attribuisce al presidente del gruppo partitico del consiglio regionale: questi infatti, nel suo ruolo, partecipa alle modalita’ progettuali ed attuative della funzione legislativa regionale, nonche’ alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo.

5.1. – Nessuno di questi tre presupposti e’ rinvenibile con riguardo alla gestione delle somme erogate ai partiti politici a titolo di rimborso delle spese elettorali: (a) i partiti politici sono organizzazioni proprie della societa’ civile, non sono pubblica amministrazione, ne’ sono soggetti attraverso i quali l’amministrazione persegue le proprie finalita’ istituzionali; (b) secondo la disciplina ratione temporis applicabile, non e’ configurabile un vincolo di destinazione sulle somme erogate a titolo di rimborso delle spese elettorali; (c) l’amministratore o il tesoriere del partito politico non e’ pubblico ufficiale agli effetti della legge penale.

5.2. – Cio’ non significa che l’ordinamento non conosca strumenti di tutela e di reazione in presenza di condotte, conclamate ed inequivoche e prive di qualsiasi giustificazione anche solo larvatamente politica o partitica, che si siano risolte, come si ipotizza che sia avvenuto nel caso che ha dato origine al presente ricorso, nella personale appropriazione di somme confluite nel patrimonio del partito a seguito del finanziamento pubblico.

La tutela della legalita’ e’ assicurata dall’esercizio dell’azione penale per le ipotesi di reato che risultino configurabili.

Il ripristino, poi, della consistenza patrimoniale del partito politico, compromessa dal fatto illecito posto in essere dall’amministratore infedele, e’ a sua volta ottenibile con l’azione di risarcimento dei danni promossa dinanzi al giudice ordinario dall’associazione politica danneggiata: azione che nella specie l’associazione La Margherita ha esercitato, dopo avere deliberato, per propria scelta, e pubblicamente dichiarato, con atti formali, che ogni somma e utilita’ ottenuta in restituzione dall’ex tesoriere sara’ spontaneamente versata nelle casse dello Stato e quindi, per questa via, restituita ai contribuenti.

5.2.1. – L’azione di responsabilita’ amministrativa promossa dal pubblico ministero svolge senza dubbio una funzione conformativa, concorrendo a segnare itinerari di orientamento per la corretta gestione amministrativa e finanziaria e a rappresentare un istituto di garanzia in favore della collettivita’ per cio’ che riguarda la finanza pubblica. Alla funzione risarcitoria di tale azione si unisce infatti quella sanzionatoria nei confronti di quanti – impiegati pubblici ma anche privati investiti di una relazione di servizio con la pubblica amministrazione – abbiano tenuto una condotta incurante delle leggi e del rispetto sostanziale dei principi di trasparenza, efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione.

Come ha affermato la Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 104 del 1989, e come queste Sezioni Unite hanno ribadito, da ultimo, con la sentenza 18 dicembre 2014, n. 26659, il pubblico ministero contabile, nella promozione dei giudizi per danno erariale, “agisce nell’esercizio di una funzione obiettiva e neutrale. Egli rappresenta l’interesse generale al corretto esercizio delle funzioni amministrative e contabili, e cioe’ un interesse direttamente riconducibile al rispetto dell’ordinamento giuridico nei suoi aspetti generali ed indifferenziati; non l’interesse particolare e concreto dello Stato in ciascuno dei settori in cui si articola o degli altri enti pubblici in relazione agli scopi specifici che ciascuno di essi persegue, siano pure essi convergenti con il primo. Egli vigila per l’osservanza delle leggi, per la tutela cioe’ dello Stato e per la repressione dei danni erariali conseguenti ad illeciti amministrativi”.

Ma l’ambito della responsabilita’ amministrativa rimesso alla giurisdizione della Corte dei conti – destinataria, in via esclusiva, di funzioni non attribuite ad alcun altro soggetto-organo (anche a motivo della sua configurazione, nel sistema, di organo specializzato nella materia della finanza pubblica) – non puo’ essere esteso fino al punto di comprendere gli illeciti commessi, da parte dell’amministratore del partito politico, nella gestione delle somme erogate dallo Stato a titolo di rimborso delle spese elettorali: e cio’ sia per l’impossibilita’ di configurare il promovimento, da parte del pubblico ministero contabile, della domanda di responsabilita’ amministrativa come un’attivita’ svolta in sostituzione processuale del partito politico danneggiato, sia perche’ un’azione di responsabilita’ svolta, come nella specie, a favore dell’erario finirebbe con il vanificare – con non indifferenti problemi di costituzionalita’, sotto il profilo dell’acceso dei singoli soggetti dell’ordinamento alla tutela giurisdizionale (articolo 24 Cost.) – la pratica fruttuosita’ della domanda risarcitola proposta dallo stesso partito politico danneggiato dinanzi al giudice ordinario, giudice naturale della tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi.

6. – Conclusivamente, deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti sull’azione di responsabilita’ per danno erariale promossa dal pubblico ministero contabile.

L’assoluta novita’ e la complessita’ della questione giustificano l’integrale compensazione tra le parti costituite delle spese del regolamento.

Non si deve provvedere sulle spese nei confronti del pubblico ministero contabile, considerata la natura di parte soltanto in senso formale del Procuratore Generale rappresentante il pubblico ministero presso la Corte dei conti.

P.Q.M.

La Corte dichiara il difetto di giurisdizione della Corte dei conti sull’azione di responsabilita’ per danno erariale promossa dal pubblico ministero contabile. Dichiara la compensazione tra le parti costituite delle spese del regolamento.

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