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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 9 luglio 2015, n. 14311. La giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una disposizione ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali, di limitato contenuto, delineante un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 9 luglio 2015, n. 14311 Svolgimento del processo 1. Con sentenza depositata in data 22/7/2011 la Corte d’appello di Venezia ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Venezia che aveva rigettato la domanda proposta da M.Z., avente ad oggetto ad ottenere la declaratoria dell’illegittimità (con le consequenziali...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 7 luglio 2015, n. 14033. In tema di conversione dei contratti di lavoro subordinato, la Legge n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, si applica anche ai processi in corso, compresi i giudizi di legittimita’, sempre che sul relativo capo di decisione non si sia gia’ formato il giudicato

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 7 luglio 2015, n. 14033 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. STILE Paolo – Presidente Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere Dott. BERRINO Umberto – Consigliere Dott. LORITO Matilde – Consigliere Dott. GHINOY Paola...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 giugno 2015, n. 13339. La disposizione dell’art. 1808 c.c. esclude il diritto del comodatario al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa (primo comma), prevedendo un’unica eccezione per le spese straordinarie occorse per la conservazione della cosa, sempreché le stesse siano state necessarie ed urgenti (secondo comma). A fronte del chiaro tenore della norma, risulta implicitamente – ma chiaramente – esclusa la possibilità che possa spettare un qualche rimborso (neppure nella forma dell’indennità o dell’indennizzo) per esborsi che, ancorché abbiano determinato un miglioramento, non siano risultati necessari per far fronte ad improcrastinabili esigenze di conservazione della cosa. Il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante. Ne consegue che, se un genitore concede un immobile in comodato per l’abitazione della costituenda famiglia, egli non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie né urgenti, sostenute da uno dei coniugi comodatari durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell’abitazione coniugale. Il comodatario che, avendo sostenuto delle spese ordinarie, si sia vista rigettata l’azione di rimborso avanzata ai sensi dell’art. 1808 cod. civ., non può esperire quella di illecito arricchimento, atteso che il requisito di sussidiarietà evocato dall’art. 2041 cod. civ. non consente che la relativa azione possa essere utilizzata in alternativa subordinata a quella contrattuale per eluderne gli esiti sfavorevoli, ove quest’ultima, sebbene astrattamente configurabile, non consenta in concreto il recupero dell’utilità trasferita all’altra parte

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 30 giugno 2015, n. 13339 Svolgimento del processo M.T. agì nei confronti di B.A. per sentirlo condannare al pagamento di un’indennità ex art. 1592 c.c. – o, in subordine, di un indennizzo ex art. 2041 c.c. – per le migliorie apportate ad un immobile che il B. aveva...

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Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 6 luglio 2015, n. 13861. La disposizione del Decreto Legge n. 67 del 1997, articolo 18, convertito in Legge n. 135 del 1997 (per il quale “le spese legali relative a giudizi per responsabilita’ civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali… sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato”, sempreche’ tali giudizi si siano “conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la responsabilita’” dei dipendenti medesimi) e’ considerata espressione della regola civilistica generale di cui all’articolo 1720 c.c., comma 2, in tema di rapporti fra mandante e mandatario, secondo la quale il mandatario ha diritto ad esigere dal mandante il risarcimento dei danni subiti a causa dell’incarico, che declina e traduce, a sua volta, il principio generale dell’ordinamento di divieto di locupletatio cum aliena iactura

Suprema Corte di Cassazione sezioni unite sentenza 6 luglio 2015, n. 13861 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SANTACROCE Giorgio – Primo Presidente f.f. Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente Sezione Dott. RORDORF Renato – Presidente Sezione Dott. DI AMATO Sergio...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 31 luglio 2015, n. 16213. Il carattere distintivo tra il contratto autonomo di garanzia e la fideiussione

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 31 luglio 2015, n. 16213 Svolgimento del processo 1. — La Banca Mediterranea S.p.a., in qualità di avente causa della Banca Popolare Cooperativa di Pescopagano, convenne in giudizio il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato. proponendo opposizione avverso il decreto emesso il 26 settembre 1998, con cui il...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 7 luglio 2015, n. 14072. In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, hanno diritto all’indennizzo tutte le parti coinvolte nel procedimento giurisdizionale, ivi compresa la parte rimasta contumace, nei cui confronti – non assumendo rilievo né l’esito della causa, né le ragioni della scelta di non costituirsi – la decisione è comunque destinata ad esplicare i suoi effetti e a cagionare, nel caso di ritardo eccessivo nella definizione del giudizio, un disagio psicologico, fermo restando che la contumacia costituisce comportamento idoneo ad influire – implicando od escludendo specifiche attività processuali – sui tempi del procedimento e, pertanto, è valutabile agli effetti dell’art. 2, secondo comma, della legge 24 marzo 2001, n. 89. Enunciato con riferimento ad un giudizio presupposto civile, detto principio deve ritenersi senz’altro estensibile anche alla materia penale, nella quale non meno evidente è che la contumacia non esprime di per sé sola né insensibilità al disagio derivante dalla pendenza processuale, né disinteresse al relativo esito. Ed anzi, proprio nell’ambito del processo penale la contumacia ben può essere dettata da una precisa (e legittima) scelta difensiva, che come non aggrava così neppure esclude il normale patema d’animo per l’attesa della decisione. In altri termini, nel procedimento penale l’imputato – sia che scelga di difendersi sia che opti per la contumacia – è comunque soggetto alla potestà punitiva dello Stato e tale condizione è da ritenere di per sé fonte di patema d’animo

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 7 luglio 2015, n. 14072  Svolgimento del processo Con decreto del 20.3.2013 la Corte d’appello di Roma ha accolto la domanda proposta da Leonard M.W., intesa ad ottenere l’equa riparazione del danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole di un giudizio penale nel quale egli era rimasto...

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Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 5 agosto 2015, n. 16501. In pendenza della procedura di emersione dei lavoratori stranieri irregolari manca temporaneamente all’autorità amministrativa il potere di adottare il decreto di espulsione

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 5 agosto 2015, n. 16501 Premesso Che nella relazione depositata ai sensi dell’ars. 380 bis c.p.c. si legge quanto segue: «1. – II sig. S.H., cittadino del Bangladesh, impugnò dinanzi al Giudice di pace di Roma il decreto di espulsione emesso a suo carico dal Prefetto della stessa...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 5 agosto 2015, n. 16486. In tema di installazione di ascensore in condominio e quindi di parti comuni negli edifici, la solidarietà costituisce principio generale di applicazione erga omnes e ad hoc: così, è consentita l’installazione di un ascensore, in quanto diretto ad eliminare le barriere architettoniche, mediante delibera assunta con maggioranza speciale in deroga a quella qualificata codicistica

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 5 agosto 2015, n. 16486 Svolgimento del processo S.G. , quale esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore, S.E. , nonché P.G. , rispettivamente usufruttuario e proprietario di unità immobiliari ricomprese nel condominio sito in (omissis) , proponevano impugnazione innanzi al tribunale di Chiavari avverso la delibera assunta...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 agosto 2015, n. 16367. L’estensione della proprietà condominiale ad edifici separati ed autonomi rispetto all’edificio in cui ha sede il Condominio può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del Condominio medesimo. Con ciò si vuol dire che in tanto può ritenersi che del Condominio faccia parte anche il manufatto da esso separato e distinto, in quanto vi sia un titolo di proprietà che qualifichi espressamente tale bene come appartenente ad altro Condominio. La relazione tra l’uno e l’altro va pertanto cercata e dimostrata nel titolo di proprietà, vale a dire negli atti in cui, attraverso la vendita dei singoli appartamenti, il Condominio medesimo risulta costituito. Nella specie, la presunzione di proprietà condominiale del lastrico solare di copertura avrebbe potuto essere vinta solo con la dimostrazione di un titolo di acquisto originario successivo alla venuta ad esistenza del lastrico medesimo ovvero di un titolo proveniente da colui che aveva costituito il Condominio resistente, contenente la prima alienazione di una porzione di esso a soggetti diversi dai proprietari delle singole unità immobiliari o, infine, proveniente in epoca successiva da tutti i condomini

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 4 agosto 2015, n. 16367 Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 5 febbraio 1998 il Condominio di via F.T. n. 96 – Roma evocava, dinanzi al Tribunale di Roma, M.F. (condomina di via T. n. 102) per sentire accertare l’indebita annessione alla proprietà esclusiva della...