Cassazione 6Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 30 giugno 2015, n. 13339

Svolgimento del processo

M.T. agì nei confronti di B.A. per sentirlo condannare al pagamento di un’indennità ex art. 1592 c.c. – o, in subordine, di un indennizzo ex art. 2041 c.c. – per le migliorie apportate ad un immobile che il B. aveva concesso in comodato alla propria figlia e al ricorrente con essa convivente e da cui il M. si era allontanato dopo poco più di un anno, a seguito dell’interruzione della convivenza.
Il Tribunale di Vigevano rigettò la domanda, con sentenza sottoposta a gravame e riformata dalla Corte di Appello di Milano, che ha accolto la domanda subordinata proposta ex art. 2041 c.c. e ha liquidato al M. un indennizzo di 5.000,00 Euro.
Ricorre per cassazione il B. , affidandosi a tre motivi illustrati da memoria; resiste il M. a mezzo di controricorso.

Motivi della decisione

1. Dopo aver rilevato che le spese sostenute dal M. non risultavano indispensabili per la fruizione dell’immobile, ma costituivano “migliorie utili al miglior godimento dello stesso da parte dei conviventi”, la Corte di Appello ha escluso la possibilità di applicare per analogia le norme sulla locazione (risultando pertanto superflua ogni indagine sull’avvenuto consenso agli interventi) e ha osservato che “la materia delle migliorie, indubitabilmente diversa da quella delle spese di ordinaria e straordinaria manutenzione,… non è regolamentata dalle norme sul comodato”, cosicché “si versa… nel caso di specie in una materia per la quale non è data azione specifica e per la quale può dunque farsi ricorso a quella sussidiaria di cui all’art. 2041”; ha inoltre ritenuto che le migliorie avessero trovato “motivo e fondamento in una prospettiva di matrimonio o quanto meno di duratura convivenza con la figlia” del comodante e ne ha tratto la conclusione che, “venuta meno in breve tempo la condizione dell’utilità comune, a causa della rottura della relazione sentimentale” e dell’allontanamento del M. , era venuta meno anche “la causa dell’elargizione economica e quindi dell’impoverimento del M. , nei limiti dell’effettivo arricchimento del B. “.
2. Col primo motivo (“violazione e falsa applicazione degli artt. 1808 c.c., 2041 c.c. e 2042 c.c.”), il ricorrente si duole che, “anziché respingere le pretese indennitarie avanzate dal comodatario, prendendo atto che l’art. 1808 c.c. esclude la possibilità, per quest’ultimo, di chiedere un indennizzo per eventuali migliorie”, la Corte abbia ritenuto che difettava un’azione specifica volta a far valere la pretesa e che risultava pertanto possibile il ricorso alla tutela sussidiaria di cui all’art. 2041 c.c.:
ribadisce che, con la sola eccezione delle spese straordinarie, necessarie ed urgenti per la conservazione della cosa, il comodatario non ha diritto a ripetere le spese sostenute (quand’anche abbiano comportato un miglioramento).
3. Il secondo motivo deduce “difetto insanabile di motivazione della sentenza” con riferimento all'”omesso esame di un fatto decisivo”, individuato nella circostanza che il M. non aveva dato prova dell’avvenuta restituzione del bene al comodante anche da parte dell’altra comodataria: da ciò il ricorrente fa discendere l’improponibilità di pretese relative a miglioramenti che “ben potrebbero non più esservi nel momento in cui il bene venisse restituito all’avente diritto”.
4. Il terzo motivo prospetta “violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., nonché dell’art. 112 C.P.C.” e censura la sentenza per avere ritenuto di poter liquidare equitativamente l’indennizzo benché non fosse stata formulata una specifica domanda in tal senso e benché il M. non avesse fornito elementi idonei a valutare il preteso aumento di valore acquisito dall’immobile a seguito degli asseriti miglioramenti.
5. Il primo motivo è fondato.
La disposizione dell’art. 1808 c.c. esclude il diritto del comodatario al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa (primo comma), prevedendo un’unica eccezione per le spese straordinarie occorse per la conservazione della cosa, sempreché le stesse siano state necessarie ed urgenti (secondo comma).
A fronte del chiaro tenore della norma, risulta implicitamente – ma chiaramente – esclusa la possibilità che possa spettare un qualche rimborso (neppure nella forma dell’indennità o dell’indennizzo) per esborsi che, ancorché abbiano determinato un miglioramento, non siano risultati necessari per far fronte ad improcrastinabili esigenze di conservazione della cosa.
In tal senso si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte, allorché ha affermato che “il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante. Ne consegue che, se un genitore concede un immobile in comodato per l’abitazione della costituenda famiglia, egli non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie né urgenti, sostenute da uno dei coniugi comodatari durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell’abitazione coniugale” (Cass. n. 1216/2012; cfr. anche Cass. n. 15543/2002).
La medesima giurisprudenza ha, peraltro, precisato che “il comodatario che, avendo sostenuto delle spese ordinarie, si sia vista rigettata l’azione di rimborso avanzata ai sensi dell’art. 1808 cod. civ., non può esperire quella di illecito arricchimento, atteso che il requisito di sussidiarietà evocato dall’art. 2041 cod. civ. non consente che la relativa azione possa essere utilizzata in alternativa subordinata a quella contrattuale per eluderne gli esiti sfavorevoli, ove quest’ultima, sebbene astrattamente configurabile, non consenta in concreto il recupero dell’utilità trasferita all’altra parte” (ancora Cass. n. 1216/2012); erra – dunque – la Corte di merito quando fa discendere dalla mancanza di specifiche previsioni in tema di miglioramenti apportati dal comodatario la possibilità di agire in via sussidiaria, con l’azione di arricchimento senza causa.
6. L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento dei restanti due e la cassazione della sentenza; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con integrale rigetto della domanda del M. .
7. L’esito opposto dei due giudizi di merito giustifica la compensazione delle relative spese di lite; quanto al presente giudizio, invece, le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo, dichiarando assorbiti gli altri, cassa la sentenza e, decidendo nel merito, rigetta la domanda del M. ; compensate le spese dei gradi di merito, condanna il medesimo M. a rifondere al ricorrente le spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge.

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