Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

Sezioni Unite Civili

sentenza  7 settembre 2015, n. 17685

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato l’8-2-2006 G.R., in proprio e quale esercente la potestà sulle figlie minori G.A. e M., proponeva appello avverso la sentenza n. 513 del 2005 del Giudice del lavoro del Tribunale di Milano, chiedendo che, in riforma della stessa, fosse riconosciuta la natura di infortunio sul lavoro all’evento mortale occorso alla propria moglie A.O. , mentre percorreva a piedi la strada per raggiungere l’Istituto geriatrico presso il quale lavorava.

II detto giudice aveva ritenuto che l’infortunio era avvenuto in orario diverso da quello previsto per il turno e che, comunque, la causa violenta determinante l’infortunio era connessa ad un evento reato idoneo come tale, ad interrompere il nesso causale fra occasione di lavoro ed evento dannoso.

L’appellante sosteneva che sussisteva sia la causa violenta sia l’occasione di lavoro come previsto dal d.P.R. n. 1124/1965 e dall’art. 12 d.lgs. n. 38/2000 in quanto la lavoratrice percorreva il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro; che il caso non rientrava in nessuna delle esclusioni previste dalla disciplina; che non rilevava lo spostamento dell’orario di inizio lavoro, considerata la ratio della tutela ed essendo comunque il lavoratore tenuto a recuperare il ritardo.

L’INAIL si costituiva e resisteva all’appello rilevando che le modalità dell’evento escludevano ogni nesso con l’attività di lavoro, considerata la finalità della disciplina sull’infortunio in itinere, ora previsto dal d.lgs. 38/2000.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 14-11-2007, rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese.
Per la cassazione di tale sentenza il G. , in proprio e nella qualità, ha proposto ricorso con quattro motivi.

L’INAIL ha resistito con controricorso.

Il G. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Con ordinanza del 22-10/27-11-2014 la Sezione Lavoro ha rimesso la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, per il contrasto evidenziato e per la configurabilità di una questione di massima particolare importanza “attinente alla individuazione delle regole sulla indennizzabilità dell’infortunio e del rapporto anche in termini di nesso eziologico tra attività lavorativa ed infortunio subito”.

La causa è stata quindi assegnata a queste Sezioni Unite, dinanzi alle quali entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2 d.P.R. n. 1124/1965, il ricorrente sostiene che la impugnata sentenza si sarebbe basata su una valutazione e interpretazione della detta norma priva di ogni riferimento alla evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali e alla modifica del dato normativo da cui è desumibile la nozione di infortunio in itinere.

Ad avviso del ricorrente, dovrebbe evincersi dallo stesso dato letterale della norma citata, così come modificata dall’art. 12 d.lgs. n. 38/2000, che l’infortunio occorso durante il tragitto necessario per giungere sul luogo di lavoro (appunto l’infortunio in itinere), senza ulteriori specificazioni di sorta, deve ritenersi avvenuto in occasione di lavoro, con la conseguenza della sua indennizzabilità.

In altri termini, secondo il ricorrente, il collegamento con la prestazione di lavoro, nel caso dell’infortunio in itinere, sarebbe rappresentato esclusivamente dalla circostanza che l’infortunio si è verificato durante il tragitto casa-lavoro e nessun altro requisito o condizione sarebbe richiesto dalla norma ai fini di dar corso alla tutela assicurativa invocata, in quanto la ratio legis non consisterebbe nella tutela di un rischio specifico, bensì di tutti i rischi che possono verificarsi sul predetto tragitto.

Tale conclusione sarebbe avvalorata, secondo il ricorrente, dalla espressa previsione normativa degli infortuni in itinere esclusi dalla tutela assicurativa (quelli verificatisi in caso di interruzioni e/o deviazioni dal percorso dovute a scelta del lavoratore e indipendenti dal lavoro medesimo oltre che non necessitate, quelli direttamente cagionati dall’abuso di alcoolici o psicofarmaci e dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni, nonché quelli in cui siano coinvolti conducenti sprovvisti di abilitazione alla guida).

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la omessa o insufficiente motivazione da parte della Corte territoriale, in ordine ad un fatto controverso e decisivo ovvero la carenza nella ricostruzione ed esplicitazione dell’iter attraverso il quale il giudicante è pervenuto ad escludere la fattispecie in esame dalle ipotesi indennizzabili quali infortuni in itinere. Il ricorrente deduce inoltre che la Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato che la lavoratrice era stata aggredita dal proprio “convivente”, circostanza smentita dallo stato di famiglia prodotto, dal quale si evinceva che, all’epoca del decesso, la A. risultava convivente con il marito e le figlie.

Con il terzo motivo, il ricorrente, per il caso di decisione della causa nel merito, ribadisce che le prestazioni richieste per sé e per le figlie sono quelle di cui all’art. 85 d.P.R. n. 1124/1965, deducendo all’uopo il possesso dei relativi requisiti soggettivi.

Con il quarto motivo, in ordine al quantum delle indennità, il ricorrente fornisce alcune precisazioni in ordine alla retribuzione da prendere in considerazione ai fini del calcolo delle prestazioni richieste.

Osserva il Collegio che i primi due motivi (ammissibili ex art. 366 bis c.p.c. – che va applicatoratione temporis – in quanto corredati, rispettivamente, da un idoneo quesito di diritto e da un idoneo momento di sintesi – v. fra le altre, da un lato Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020 e Cass. 7-4-2009 n. 8463, e dall’altro Cass. S.U. 1-10-2007 n. 20603 e Cass. 30-12-2009 n. 27680) non meritano accoglimento e tanto basta per rigettare il ricorso, risultando peraltro assorbiti gli altri due motivi, chiaramente subordinati ad un eventuale accoglimento dell’impugnazione con decisione nel merito.

Invero il contrasto segnalato dalla ordinanza interlocutoria della Sezione Lavoro riguarda la interpretazione da attribuirsi alla norma di cui all’art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, con il “comma aggiunto” dall’art. 12 del d.lgs. n. 38 del 2000 (“L’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni…….. Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida”).

In particolare, con riguardo all’infortunio in itinere riconducibile al fatto doloso del terzo, la citata ordinanza interlocutoria ha evidenziato che una prima opzione interpretativa, fatta propria da Cass. 10-7-2012 n. 11545 e da Cass. 14-2-2008 n. 3776, tende ad estendere il concetto di infortunio assicurato affermando il principio secondo cui “in tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, pur nel regime precedente l’entrata in vigore del d.lgs. n. 38 del 2000, è indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore in itinere, ove sia derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili ed atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell’assicurato, atteso che il rischio inerente il percorso fatto dal lavoratore per recarsi al lavoro è protetto in quanto ricollegabile, pur in modo indiretto, allo svolgimento dell’attività lavorativa, con il solo limite del rischio elettivo” (nel medesimo solco cfr. fra le altre anche Cass. 27-2-2002 n. 2942, Cass. 13-12-2000 n. 15691).

L’opposto indirizzo (espresso da Cass. 11-6-2009 n. 13599, che richiama Cass. 23-2-1989 n. 1017, Cass. 19-1-1998 n. 447 e Cass. 29-10-1998 n. 10815) ritiene invece che non sia possibile ignorare il preciso elemento normativo dell’occasione di lavoro, sicché per la configurazione dell’infortunio indennizzabile è necessario che la causa violenta sia connessa all’attività lavorativa, nel senso che inerisca alla suddetta attività o che sia almeno occasionata dal suo esercizio. In particolare Cass. n. 13599/2009 cit. ha affermato che “in tema di indennizzabilità dell’infortunio in itinere, si sottrae a censure la decisione di merito che, a fronte dell’omicidio del lavoratore, ad opera di ignoti, nel tragitto percorso per recarsi al lavoro, ha ravvisato tra prestazione lavorativa ed evento una mera coincidenza cronologica e topografica, un indizio del nesso di occasionalità…. escludendo qualsiasi collegamento oggettivo tra evento, esecuzione del lavoro e itinerario seguito per raggiungere il luogo di lavoro a bordo della propria autovettura”.

L’ordinanza evidenzia, inoltre, che in tale secondo indirizzo si inseriscono anche quelle pronunce (da ultimo Cass. 17-6-2014 n. 13733) secondo le quali, in materia di infortunio sul lavoro, l’art. 12 del d.lgs. n. 38 del 2000, che ha espressamente ricompreso nell’assicurazione obbligatoria la fattispecie dell’infortunio in itinere, disciplinandolo nell’ambito della nozione di “occasione di lavoro” di cui all’art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, esprime criteri normativi (come quelli di “interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o comunque non necessitate”) che delimitano l’operatività della garanzia assicurativa, condizionando la indennizzabilità dell’infortunio alla sussistenza di un vincolo “obiettivamente ed intrinsecamente apprezzabile con la prestazione dell’attività lavorativa” e all’accertamento di “una relazione tra l’attività lavorativa ed il rischio al quale il lavoratore è esposto, indispensabile a concretizzare quel “rischio specifico improprio” o “generico aggravato” che rientra nella ratio dell’art. 2 del d.p.r. 1124 del 1965 citato.

Al di là di tali concetti più o meno ampi elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina, osserva il Collegio che la soluzione del contrasto non può che rinvenirsi nel presupposto richiesto della “occasione di lavoro”, che costituisce il criterio di collegamento con l’attività lavorativa che giustifica la tutela differenziata, costituzionalmente garantita, rispetto ad altri eventi dannosi, e che, in sostanza, pur evolutosi in senso estensivo, fino a ricomprendere nella tutela tutte le attività prodromiche e strumentali all’esecuzione della prestazione lavorativa (v. fra le altre Cass. 28-7-2004 n. 14287, Cass. 4-8-2005 n. 16417) e tutte le condizioni, comprese quelle ambientali e socio – economiche, in cui l’attività lavorativa si svolge e nelle quali è insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenga dall’apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore (col solo limite, in quest’ultimo caso, del c.d. rischio elettivo) (v. fra le altre Cass. 27-2-2002 n. 2942, Cass. 23-7-2012 n. 12779, Cass. 5-1-2015 n. 6), è rimasto pur sempre ancorato ad un rapporto, seppure mediato e indiretto, comunque non assolutamente marginale tra l’evento ed il lavoro (cfr. già C. Cost. 462/1989), in modo cioè che l’infortunio sia in qualche modo “occasionato” dal lavoro stesso.

D’altra parte, come è stato più volte affermato da questa Corte (v. fra le altre Cass. 6-7-2007 n. 15266, Cass. 17-6-2014), l’art. 12 del d.lgs. n. 38 del 2000 ha espressamente ricompreso nell’assicurazione obbligatoria la fattispecie dell’infortunio in itinere, già elaborata dalla giurisprudenza, inserendola nell’ambito della nozione di “occasione di lavoro” di cui all’art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, di guisa che è indubbio che il “comma aggiunto” non può che essere pur sempre letto nel quadro del sistema delineato dal citato art. 2, che al primo comma detta la norma fondamentale della materia, secondo la quale l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in “occasione di lavoro”.

In tale quadro, quindi, in primo luogo, come evidenziato da Cass. n. 13599/2009 cit., anche con riferimento all’infortunio in itinere, già anteriormente al d.lgs. n. 38/2000 non era “possibile ignorare il preciso elemento normativo dell’occasione di lavoro” (principio questo che “è valso ad escludere l’occasione di lavoro, in particolare, per gli omicidi in alcun modo connessi con il lavoro, sul rilievo che la “mera presenza” dell’infortunato sul posto di lavoro e la coincidenza temporale dell’infortunio con la prestazione lavorativa, costituiscono soltanto un “indizio” della sussistenza del rapporto “occasionale” e non 1^ prova di esso, posto che non può escludersi – specie quando trattasi di omicidio volontario – che l’evento dannoso sarebbe stato comunque consumato dall’aggressore, ricercando l’occasione propizia anche in tempo e luogo diversi da quelli della prestazione di lavoro Cass. 23 febbraio 1989, n. 1017, Cass. 19 gennaio 1998, n. 447, Cass. 29 ottobre 1998, n. 10815″).

Tale complesso di regole e principi, poi, come puntualmente ha chiarito la stessa sentenza n. 13599/2009, “non risulta in alcun modo derogato per effetto dell’introduzione dell’ipotesi legislativa dell’infortunio in itinere”. Il comma aggiunto dall’art. 12 del d.lgs. n. 38/2000 all’art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, “alle condizioni specificamente previste assimila gli spostamenti necessari per recarsi sul luogo di lavoro all’esecuzione della prestazione, ma chiaramente non incide sul requisito dell’occasione di lavoro, da riferire, in tal caso al nesso con la necessità degli spostamenti e dei percorsi”.

In particolare in questa prospettiva la detta sentenza ha collocato anche Cass. n. 3776/2008 cit., che ha ravvisato l’occasione di lavoro “nella rapina subita dal lavoratore in itinere e allo scopo di sottrargli il mezzo privato adoperato (motoveicolo), così individuando il collegamento con il lavoro nel possesso di un bene patrimoniale, quale strumento necessario attraverso il quale si realizzava l’iter protetto”.

La stessa sentenza n. 13599/2009 ha poi affermato che “del resto, più in generale, va considerato che l’itinerario seguito e i mezzi di locomozione adoperati presentano sempre un nesso di occasionalità necessaria con episodi delittuosi diretti a colpire vittime casuali”, mentre, invece, tale nesso legittimamente (e con accertamento di fatto congruamente motivato) era stato escluso dal giudice di merito in un caso di omicidio del lavoratore, ad opera di ignoti, nel tragitto percorso per recarsi al lavoro, caratterizzato soltanto da una mera coincidenza cronologica e topografica (costituente, appunto, un semplice indizio, e non una prova, del nesso di occasionalità, peraltro in quel caso anche smentito da altri indizi).

Orbene ritiene il Collegio di condividere tale secondo indirizzo in quanto basato su una corretta interpretazione logico-sistematica della norma in esame, laddove l’indirizzo opposto – oltremodo estensivo, inspiegabilmente, però, soltanto con riferimento all’infortunio in itinere – si fonda esclusivamente su una interpretazione del comma aggiunto meramente letterale e del rutto avulsa dal contesto e dalla norma fondamentale di cui al comma primo.

Peraltro, a ben vedere, Cass. n. 3776/2008 cit. in motivazione, sulla scia dei precedenti di questa Corte, aveva affermato che “il requisito dell’occasione di lavoro implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio ricollegabile allo svolgimento dell’attività lavorativa in modo diretto o indiretto, con il solo limite del rischio elettivo o della totale estraneità del rischio – che non si richiede essere tipico o normale – all’attività lavorativa” (“totale estraneità” che non si rinviene nella relativa massima e che, in effetti, è stata ignorata da Cass. n. 11545/2012 cit., che ha semplicemente richiamato la massima di Cass. n. 3776/2008, così ipotizzando soltanto il limite del “rischio elettivo”).

Per tali ragioni va riaffermato il principio secondo cui “la espressa introduzione dell’ipotesi legislativa dell’infortunio in itinere non ha derogato alla norma fondamentale che prevede la necessità non solo della “causa violenta” ma anche della “occasione di lavoro”, con la conseguenza che, in caso di fatto doloso del terzo, legittimamente va esclusa dalla tutela la fattispecie nella quale in sostanza venga a mancare la “occasione di lavoro” in quanto il collegamento tra l’evento e il “normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione e quello di lavoro” risulti assolutamente marginai basato esclusivamente su una mera coincidenza cronologica e topografi (come nel caso in cui il fatto criminoso sia riconducibile a rapporti personali tra l’aggressore e la vittima del tutto estranei all’attività lavorativa ed a situazioni di pericolo individuale, alle quali la sola vittima è, di fatto, esposta ovunque si rechi o si trovi, indipendentemente dal percorso seguito per recarsi al lavoro).

Orbene, nel caso in esame la Corte territoriale ha rilevato che “nella specie A.O. , nonostante si trovasse sul percorso casa-azienda in orario prossimo all’inizio del lavoro, ha subito un rischio che riguarda la sua vita personale, del tutto scollegato all’adempimento dell’obbligazione lavorativa o dal percorso per recarsi in azienda”, essendo stata “aggredita e accoltellata dal proprio convivente” (come da accertamenti dell’INAIL), evento questo che “ha spezzato ogni nesso” con la prestazione lavorativa.

Tale accertamento di fatto, congruamente motivato, risulta conforme all’indirizzo come sopra riaffermato e resiste ai primi due motivi di ricorso (con assorbimento degli altri due motivi).

Del resto il detto accertamento non è in alcun modo inficiato dalla circostanza che la Arnaldino all’epoca del decesso risultasse anagraficamente ancora nello stato di famiglia del coniuge, circostanza questa irrilevante ai fini della decisione (fondata, in sostanza, come sopra, sulla accertata mancanza della “occasione di lavoro”).

Il ricorso va pertanto respinto. Infine, in ragione dell’evidenziato contrasto giurisprudenziale, le spese vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

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