Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza 29 settembre 2014, n. 20448

Svolgimento del processo

1) V.G. con citazione del 1 dicembre 1999 ha agito nei confronti del proprio figlio C. e della di lui moglie Ve.Ma.Lu. per ottenere il rilascio dell’immobile concesso in comodato al figlio nel 1992, in occasione del matrimonio.
La sola Ve. ha resistito, opponendo che in sede di separazione coniugale il 23 dicembre 1999 ella, quale affidatala del figlio P., nato nel (…), aveva ottenuto l’assegnazione della casa familiare; che pertanto aveva titolo per il godimento dell’immobile.
La domanda è stata respinta dal tribunale di Nardo con sentenza 27 marzo 2003.
La Corte di appello di Bari con sentenza 20 novembre 2006 ha rigettato il gravame interposto dal V. .
Si è espressamente adeguata al precedente costituito da SU 13603/04 in tema di comodato di casa familiare, affermando la sussistenza nella specie dei presupposti fissati dalla giurisprudenza.
L’attore ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, notificato il 20 dicembre 2007 al difensore domiciliatario dell’appellata.
La intimata non ha svolto attività difensiva.
Con ordinanza n. 15113/13, la Terza Sezione, auspicando un ripensamento dell’orientamento giurisprudenziale affermatosi nel 2004, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, che ha assegnato la causa alle Sezioni Unite della Corte.

Motivi della decisione

 

2.1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.1809, 1810 cod. civ., 155 c.c. e vizi di motivazione.
In via principale invoca i principi desumibili da Cass. 3179/07 e afferma che il comodato di immobile destinato a casa familiare, ove pattuito senza determinazione di tempo, comporta l’obbligo del comodatario di restituire il bene non appena il comodante lo richieda.
Deduce che nel caso regolato dalle Sezioni Unite del 2004 era configurabile un vincolo di destinazione dell’immobile alle esigenze abitative familiari, insussistente nel caso di specie, in cui le parti hanno convenuto la concessione in godimento dell’alloggio “quale sistemazione temporanea provvisoria e precaria per i giovani coniugi”. A tal fine rileva che trattasi di una villetta sita in zona di villeggiatura; che la convenuta era già a quel tempo comproprietaria di una residenza estiva della propria famiglia di origine posta nel medesimo comune; che attualmente la propria figlia, coniugata con tre bambini, risiede in altro alloggio concesso al ricorrente dallo Iacp, ente che avrebbe richiesto a qual titolo sussista tale occupazione da parte di famiglia non assegnataria.
Lamenta che la Corte di appello non abbia valutato tali circostanze, pur rilevanti a suo avviso quale bisogno ex art. 1809 c.c., per ritenere sussistente un comodato precario. Con più “quesiti di diritto” formulati ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c, chiede alla Corte di stabilire che, in caso di comodato c.d. precario di abitazione destinata a casa familiare, il comodatario è tenuto al rilascio a semplice richiesta del comodante. In subordine, domanda alla Corte di Cassazione di ribadire che l’effettiva destinazione a casa familiare voluta dal comodante è desumibile solo da una specifica verifica in punto di fatto; che la verifica della comune intenzione delle parti sarebbe stata omessa; che nella specie il bene era stato concesso in godimento solo al fine di una temporanea sistemazione.
2.2) Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.1803, 1809, 1810 cod. civ. con riferimento agli artt. 147 e 155 c.c. e 42 Cost. e vizi di motivazione.
Parte ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia ravvisato un contratto con determinazione implicita del termine ex art. 1809 c.c., ancorando la scadenza al raggiungimento della indipendenza dei figli conviventi con l’assegnatario.
2.2.1) Sostiene che, tutt’al più, nel caso di specie la volontà delle parti era di condizionare la concessione in comodato al raggiungimento della condizione di autosufficienza economica dei coniugi, condizione ormai raggiunta dalla convenuta, o alla sopravvenuta necessità per il comodante di rientrare in possesso dell’immobile.
2.2.2) Far coincidere la scadenza del comodato con il raggiungimento della indipendenza dei figli del comodatario potrebbe comportare, secondo il ricorso, il rischio che la beneficiaria ostacoli le inclinazioni del figlio, per “conservare quanto è più possibile” la casa concessa in comodato.
2.2.3) Con altri tre quesiti mira a far accertare quanto dedotto nei due sottoparagrafi precedenti e a far dichiarare che il comodato con scadenza coincidente con il raggiungimento della indipendenza economica dei figli conviventi con l’assegnatario viola il precetto costituzionale di “tutela della proprietà privata”.
2.3) Il terzo motivo lamenta violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione alla ammissibilità – negata dalla Corte territoriale – della deduzione in appello di una situazione di bisogno di natura familiare, sopravvenuta dopo la introduzione della causa.
3) La Terza Sezione si fa interprete di alcune osservazioni e suggestioni critiche che in sede dottrinale sono state esposte all’indomani di Cass. SU 13603/04 e che contrastano i commenti favorevoli al provvedimento.
Auspica la rimeditazione dell’orientamento adottato dalle Sezioni Unite nel 2004 e pone una serie di quesiti che trascendono la soluzione della vicenda processuale e mirano a una “sistemazione” dell’istituto.
Alla sezione rimettente sembra opportuno che sia stabilito quando e come insorga il vincolo di destinazione a casa familiare; quale sia il momento di cessazione di esso; quale sia il regime di opponibilità e come sia connotata la posizione giuridica del coniuge e dei figli del comodatario iniziale.
3.1) In particolare l’ordinanza critica la sentenza 13603/04 per avere affermato che il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare “attribuisce un diritto personale di godimento, variamente segnato da tratti di atipicità”: tale affermazione sarebbe incongrua qualora riferita a una posizione giuridica di natura reale, preesistente in capo ad uno o a entrambi i coniugi.
Più pertinente è il rilievo secondo cui sarebbe stato stabilito che in caso di comodato pattuito a tempo indeterminato, il comodante sarebbe tenuto a consentire la continuazione del godimento fino al sopraggiungere di un bisogno ex art. 1809 c.c.. Ciò appare incongruo ai giudici rimettenti qualora il comodato sia stato pattuito in attesa di altra soluzione abitativa, eventualmente già in corso di predisposizione. E incertezze vengono palesate con riguardo al comodato precario concesso al figlio che, unendosi in matrimonio, destini successivamente l’alloggio a residenza della neo costituita famiglia.
3.2) Il cuore della critica risiede tuttavia nell’osservazione secondo la quale le Sezioni Unite del 2004 hanno determinato ciò che avevano detto di voler evitare, cioè una sostanziale espropriazione delle facoltà del comodante. Ciò deriverebbe dall’aver escluso la recedibilità ad nutum ex art. 1810 c.c., senza neppure distinguere a seconda che il proprietario sia genitore del beneficiario o un terzo estraneo.
A differenza del coniuge proprietario, tenuto a rispettare la solidarietà post coniugale in ragione della tutela costituzionale dell’istituto familiare, i terzi non dovrebbero essere costretti a subire una situazione “destinata a durare indefinitamente nel tempo”. Inoltre la soluzione prescelta giungerebbe a negare la configurabilità del precario di casa familiare, con l’effetto di “scoraggiare” il diffuso istituto del comodato quale soluzione ai problemi abitativi delle giovani coppie. E costituirebbe un modo per attribuire al coniuge assegnatario diritti poziori rispetto a quelli vantati dall’originario comodatario.
Viene quindi sollecitato un diverso contemperamento tra le contrapposte esigenze del concedente e del comodatario assegnatario della casa coniugale.
4) Nel precedente pronunciamento (Cass. civ., sez. un., 21-07-2004, n. 13603) è stato stabilito, come si legge nell’enunciazione finale del principio di diritto, che nell’ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, ma determina una concentrazione, nella persona dell’assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c..
A questo principio si è attenuta successivamente la giurisprudenza della Corte Suprema, la quale, muovendo dalle premesse fissate dalle Sezioni Unite, ha ribadito che la specificità della destinazione, impressa per effetto della concorde volontà delle parti, è incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorità e dall’incertezza, che caratterizzano il comodato cosiddetto precario, e che legittimano la cessazione “ad nutum” del rapporto su iniziativa del comodante, con la conseguenza che questi, in caso di godimento concesso a tempo indeterminato, è tenuto a consentirne la continuazione anche oltre l’eventuale crisi coniugale, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno (3072/06; 13260/06; 16559/08 in Riv. not, 2008; Cass. 19939/08, in Foro it., 2008, I, 3552; Cass. 18619/10 in Giur. it., 2011, 1279; Cass. 4917/11 in Riv. giur. Ed., 2011, I, 890; Cass. 13592/11 in Contratti, 2011, 1103; Cass. 16769/12; 14177/12; v. anche implicitamente Cass. 9253/05).
È stato altresì riaffermato che il vincolo di destinazione appare idoneo a conferire all’uso, cui la cosa deve essere destinata, il carattere di elemento idoneo ad individuare il termine implicito della durata del rapporto, rientrando tale ipotesi nella previsione dell’art. 1809, primo comma, cod. civ.. Se ne è tratta la conseguenza che, una volta cessata la convivenza ed in mancanza di un provvedimento giudiziale di assegnazione del bene, questo deve essere restituito al comodante, essendo venuto meno lo scopo cui il contratto era finalizzato (Cass. 2103/12).
4.1) In contrasto, a quanto sembra inconsapevole, con l’orientamento invalso dal 2004, si è posta una sola pronuncia recente, Cass. 15986/10, la quale, senza nulla aggiungere, si è esplicitamente rifatta a un precedente del 1997 per sancire la irrilevanza della destinazione a casa familiare di un immobile, con relativa configurabilità di un comodato precario, soggetto a recesso ad nutum.
Non è invece in contrasto con l’orientamento delle Sezioni Unite Cass. 3179/07, invocata da parte ricorrente, perché, pur prestandosi ad un’equivoca interpretazione a causa della sua stringata motivazione, ha in sostanza ribadito i principi esposti dalle Sezioni Unite.
Nel caso del 2007, relativo ad immobile concesso in comodato da un’azienda al suo amministratore unico, il giudice di merito aveva ravvisato la stipulazione di un comodato precario. Aveva pertanto ordinato al comodatario il rilascio, appena richiesto dal comodante, senza tener conto “delle regole sull’assegnazione della casa coniugale a coniuge affidatario di figli minori”.
La Corte di Cassazione, pur conscia che il ed precario non è in linea di principio compatibile con la destinazione a casa familiare, ha confermato questa decisione, che si differenzia dal caso regolato dalle Sezioni Unite, e da quello odierno, perché l’indagine di merito aveva configurato un contratto stipulato tra le parti come contratto di comodato immobiliare senza determinazione di durata ai sensi dell’art. 1810 c.c. e non come contratto soggetto alla disciplina dell’art. 1809 c.c..
Ed infatti la sentenza del 2007 ha fatto espresso riferimento a SU 13603/04 e ha ripetuto che il provvedimento di assegnazione di un immobile destinato a casa familiare non modifica né la natura né il titolo di godimento dell’immobile.
4.1.1) Perché l’assegnatario possa opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione della casa familiare, è necessario che tra le parti (cioè almeno con uno dei coniugi, salva la concentrazione del rapporto in capo all’assegnatario, ancorché diverso) sia stato in precedenza costituito un contratto di comodato che abbia contemplato la destinazione del bene quale casa familiare senza altri limiti o pattuizioni.
In relazione a questa destinazione, se non sia stata fissata espressamente una data di scadenza, il termine è desumibile dall’uso per il quale la cosa è stata consegnata e quindi dalla destinazione a casa familiare, applicandosi in questo caso le regole che disciplinano questo istituto.
5) Si giunge così al nucleo della questione posta, da dirimere confermando la soluzione adottata a suo tempo, con le precisazioni che seguiranno.
Un’esigenza di puntualizzazione si pone in relazione alla individuazione del regime contrattuale.
A questo proposito si impone un primo chiarimento.
Tralasciando opinioni minoritarie, si può dire che il codice civile disciplina due “forme” del comodato, quello propriamente detto, regolato dagli artt. 1803 e 1809 e il c.d. precario, al quale si riferisce l’art. 1810 c.c., sotto la rubrica “comodato senza determinazione di durata”.
È solo nel caso di cui all’art. 1810 c.c., connotato dalla mancata pattuizione di un termine e dalla impossibilità di desumerlo dall’uso cui doveva essere destinata la cosa, che è consentito di richiedere ad nutum il rilascio al comodatario.
L’art. 1809 c.c. concerne invece il comodato sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale.
Esso è caratterizzato dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione immediata solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno (art. 1809 c. 2 c.c.).
È a questo tipo contrattuale che va ricondotto il comodato di immobile che sia stato pattuito per la destinazione di esso a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario, da intendersi in tal caso “anche nelle sue potenzialità di espansione”.
Trattasi infatti di contratto sorto per un uso determinato e dunque, come è stato osservato, per un tempo determinabile per relationem, che può essere cioè individuato in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente prevista, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale.
È grazie a questo inquadramento che risulta senza difficoltà applicabile il disposto dell’art. 1809 comma secondo, norma che riequilibra la posizione del comodante ed esclude distorsioni della disciplina negoziale.
5.1) Si può osservare che nella sentenza 13603/04, l’ipotesi di comodato di casa familiare è stata inquadrata nello “schema del comodato a termine indeterminato”.
Questa definizione non riconduce però il rapporto negoziale qui descritto al contratto senza determinazione di durata, cioè al precario cui all’art. 1810 c.c., avendo essa
riguardo alla configurazione di un termine non roefissato, ma desumibile dall’uso convenuto; ipotesi ben distinta da quella in cui le parti abbiano stabilito un termine finale di godimento del bene, come può accadere sia quando venga fissata una data di scadenza, sia, si deve ora aggiungere esemplificativamente, qualora il comodante abbia ceduto l’alloggio ad un comodatario (p. es. un figlio) stabilendo che possa abitarvi fino al matrimonio di altro figlio/a, o fino alla conclusione dei lavori di costruzione e restauro di casa di proprietà, o fino all’acquisto di un immobile analogo.
In ogni caso, si disse, in cui il contratto prevede espressamente ed univocamente un termine finale, si configura senz’altro un contratto a tempo determinato.
5.1.1) È stata la dottrina, proprio in relazione al comodato di immobile ad uso abitativo, ad avvertire l’opportunità di descrivere un comodato “a tempo indeterminato”, ma lo ha subito riconosciuto concettualmente come diverso dal comodato senza determinazione di durata.
Sebbene inizialmente sia stato proposto di desumere la disciplina applicabile da quella di cui all’art. 1810 c.c., l’evolversi degli studi ha fatto maggiormente riflettere sul “comodato di lunga durata”, caratterizzato da una scadenza non predeterminata e non di rado volta a superare la stessa vita del comodante, con il sopravvenire per via ereditaria del diritto di proprietà in capo al titolare del diritto di godimento attribuito gratuitamente al congiunto.
A questo comodato, chiaramente connesso con le finalità solidaristiche che sono state tratteggiate dall’intervento del 2004 delle Sezioni Unite, mal si attaglia la natura instabile della situazione negoziale di cui all’art. 1810 c.c..
Ed è invece implicita nella previsione di destinazione dell’immobile ad abitazione familiare la determinazione della durata della concessione, che va rapportata a tale uso, come colto da Cass. 2627/06, postasi lucidamente nella sequela di Cass. 13603/04.
Dunque l’espressione contenuta nella sentenza del 2004, nata dall’obbiettiva difficoltà di descrivere un comodato a durata indefinita e comunque non determinata con scadenza fissa, ancorché determinabile per relationem, va intesa nel senso di ricondurre la fattispecie al contratto in cui il termine risulta dall’uso cui la cosa è stata destinata.
Restano così non accoglibili i suggerimenti dottrinali, pur indiscutibilmente utili alla riflessione, volti a mitigare con l’utilizzo dell’art. 1183 c.c. comma secondo la eventuale applicabilità al comodato di lunga durata della disciplina del precario.
Sono per opposto verso non condivisibili quelle voci che auspicano una ancora maggiore tutela dei soggetti deboli, attraverso la configurazione di un contratto atipico di scopo che imponga al comodante di rispettare la destinazione a casa familiare indipendentemente dalle circostanze sopravvenute.
6) L’inquadramento qui precisato offre il destro per ribadire che le preoccupazioni dell’ordinanza di rimessione possono essere superate con una attenta lettura e una prudente applicazione della sentenza del 2004.
Quest’ultima, prevenendo le obiezioni, ha esplicitato che non intendeva affermare che, ogniqualvolta un immobile venga concesso in comodato con destinazione abitativa, si debba immancabilmente riconoscergli durata pari alle esigenze della famiglia del comodatario, ancorché disgregata.
Ha infatti in primo luogo (si veda pag. 11) invitato i giudici di merito a valutare la sussistenza della pattuizione di un termine finale di godimento del bene, che potrebbe emergere dalle motivazioni espresse nel momento in cui è stato concesso il bene e che impedirebbe di protrarre oltre l’occupazione.
In secondo luogo ha precisato che la concessione per destinazione a casa familiare implica una scrupolosa verifica della intenzione delle parti, che tenga conto delle loro condizioni personali e sociali, della natura dei loro rapporti, degli interessi perseguiti.
Ciò significa che il comodatario, o il coniuge separato con cui sia convivente la prole minorenne o non autosufficiente, che opponga alla richiesta di rilascio la esistenza di un comodato di casa familiare con scadenza non prefissata, ha l’onere di provare, anche mediante le inferenze probatorie desumibili da ogni utile fatto secondario allegato e dimostrato, che tale era la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento.
La prova potrebbe risultare più difficile qualora la concessione sia avvenuta in favore di comodatario non coniugato né prossimo alle nozze, dovendosi in tal caso dimostrare che dopo l’insorgere della nuova situazione familiare il comodato sia stato confermato e mantenuto per soddisfare gli accresciuti bisogni connessi all’uso familiare e non solo personale.
Trattasi sempre di un mero problema di prova, risolvibile grazie al prudente apprezzamento del giudice di merito in relazione agli elementi (epoca dell’insorgenza della nuova situazione, comportamenti e dichiarazioni delle parti, rapporti intrattenuti, tempo trascorso etc.) che sono sottoponili al suo giudizio.
Spetta invece a chi invoca la cessazione del comodato per il raggiungimento del termine prefissato, dimostrare il relativo presupposto.
6.1) Se così è, risulta vano prospettare l’iniquità di uno sviluppo contrattuale che è stato voluto dalle parti. Né si potrà dire, come sembra sotteso anche nel ricorso e nella memoria conclusiva, che il comodante intende sempre che la concessione in comodato è precaria e soggetta a risoluzione ad nutum.
Si è visto prima che un comodato immobiliare precario o a termine più breve può, in relazione ai rapporti tra le parti e alle finalità (rapporti di lavoro, solidarietà emergenziale) essere configurabile.
Non di questo si discute qui, ma della ipotesi in cui il comodante concede al figlio, o a persona che egli intende beneficiare, un’abitazione da destinare a casa familiare, senza porre in alcun modo limiti temporali.
Ed in questi casi, al di là delle nozioni giuridiche possedute dal comodante, di cui tuttavia vanno indagate le intenzioni obbietti va mente risultanti, rilevano la innegabile stabilità della destinazione abitativa, la finalità solidaristica che fa venire in risalto i bisogni della prole del comodatario, in definitiva la stessa causa del negozio, che è quella di attribuire il godimento di un bene, cioè di realizzare l’interesse del comodatario.
6.1.1) È stato scritto che questo interesse permea e orienta il rapporto contrattuale di comodato. Questa affermazione si concretizza nell’assecondare la attuazione dell’iniziale programma negoziale e non nell’interpretare l’istituto al fine di facilitare reazioni ritorsive alle vicende esistenziali del beneficiario.
È comprensibile che la novità recata dalla parziale dissoluzione del nucleo familiare (che nella sua composizione residua continua ad occupare l’abitazione familiare, mantenendone la destinazione) porti ad interrogarsi sulla ragionevolezza del permanere della destinazione, nonostante l’intendimento sopravvenuto di ritrattare la concessione.
La risposta, per tutte le ragioni manifestate qui e da SU 13603/04, non può che essere nel segno di rispettare il potere di disposizione del bene, quale esercitato al sorgere del contratto.
Se il contratto ancorava la durata del comodato alla famiglia del comodatario, corrisponde a diritto che esso perduri fino al venir meno delle esigenze della famiglia.
È negli articoli 337 bis e segg. del codice civile (dopo la modifica di cui D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154; già art. 155 e segg. c.c.) e nella giurisprudenza di legittimità che trova attuazione il disposto normativo circa la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari legittimanti l’assegnazione della casa familiare e quindi il perdurare della fattispecie contrattualmente disegnata.
È appena il caso di rilevare che la questione relativa ai limiti di opponibilità del comodato al terzo acquirente, sulla quale l’ordinanza di rimessione sollecita un intervento delle Sezioni Unite, è del tutto estranea al tema del decidere (cfr sub 3.1. primo capoverso).
6.1.2) Giova a questo punto precisare che proprio la giurisprudenza conduce ad escludere, al contrario di quanto ventilato in ricorso, che trovino immeritata tutela di comportamenti ostruzionistici dei beneficiari dell’alloggio, finalizzati a protrarre indebitamente il godimento della casa familiare.
Proprio recentissimamente la Prima Sezione della Corte ha avuto modo di riepilogare efficacemente(Cass. 18076/14) i principi che si sono andati affermando circa i limiti dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne.
Questi, è stato osservato, in forza dei doveri di autoresponsabilità che su di lui incombono, non può pretendere la protrazione dell’obbligo oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché “l’obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione”.
6.2) Su altro versante la soluzione prescelta da Cass. 13603/04 è da confermare, richiamando all’attenzione la portata della facoltà di recedere ex art. 1809 capoverso c.c., forse sin qui non ben compresa.
Si è detto che l’opportunità di cui al 1809 c.c. è stata evocata dalle Sezioni Unite per conseguire un compromesso tra opposte tesi, ma non è così.
Si tratta invece di piana applicazione del tipo contrattuale al quale è stato ricondotto il comodato di casa familiare, riconosciuto estraneo al “precario” ex art. 1810 e invece disciplinato dall’art. 1809 cod. civ..
Questa disposizione rivela che il comodato a tempo determinato, soprattutto se con le connotazioni della lunga durata di cui ci si è occupati supra, nasce nella convinzione della piena stabilità del rapporto, anche tenendo conto della possibilità di risolverlo motivatamente in caso di bisogno.
Questa eventualità è una componente intrinseca del tipo contrattuale e costituisce insieme espressione di un potere e di un limite del comodante, da questi accettato nel momento in cui concede il bene per un uso potenzialmente di lunghissima durata e di fondamentale importanza per il beneficiario.
Con l’implicazione che il comodante, contrariamente a quanto ipotizzato da una risalente dottrina, ritiene di poter rispettare il contratto per tutto il tempo di durata prevedibile.
A fronte di questa scelta, che fa ritenere che il comodante non prevedesse di volere o dovere alienare il bene, non può trovare tutela la sua intenzione, verosimilmente ritorsiva, di rimuovere l’occupante rimastone beneficiario.
Trova invece tutela il sopravvenire di un urgente e impreveduto bisogno.
La giurisprudenza, significativamente, non ha dovuto occuparsi spesso di questa disposizione.
Si conviene generalmente tuttavia, in dottrina e nei precedenti noti (Cass. 1132/87; 2502/63), che la portata di questo bisogno non deve essere grave, dovendo essere solo imprevisto, quindi sopravvenuto rispetto al momento della stipula, e urgente.
L’urgenza è qui da intendersi come imminenza, restando quindi esclusa la rilevanza di un bisogno non attuale, non concreto, ma soltanto astrattamente ipotizzabile.
Ovviamente il bisogno deve essere serio, non voluttuario, né capriccioso o artificiosamente indotto.
Pertanto non solo la necessità di uso diretto, ma anche il sopravvenire imprevisto del deterioramento della condizione economica, che obbiettivamente giustifichi la restituzione del bene anche ai fini della vendita o di una redditizia locazione del bene immobile, consente di porre fine al comodato anche se la destinazione sia quella di casa familiare.
È da notare soltanto che, essendo in gioco valori della persona, ed in particolare le esigenze di tutela della prole, questa destinazione, con più intensità di ogni altra, giustifica massima attenzione in quel controllo di proporzionalità e adeguatezza, sempre dovuto in materia contrattuale, che il giudice deve compiere quando valuta il bisogno fatto valere con la domanda di restituzione e lo compara al contrapposto interesse del comodatario.
7) Alla luce dei principi che sono stati qui puntualizzati il ricorso non merita accoglimento.
I quesiti e te censure motivazionali esposti con il primo motivo sono infatti resistiti dal coerente e logico accertamento reso dalla Corte di appello.
Essa ha ravvisato la concessione del godimento del bene “nella specifica prospettiva della sua utilizzazione quale casa familiare”. Ha congruamente giustificato questa ricostruzione sulla base della stessa prospettazione contenuta in citazione, che ha riconnesso la concessione in comodato al matrimonio del figlio e dunque alle esigenze del nucleo familiare in formazione.
Le deduzioni contrapposte in ricorso per tratteggiare una concessione temporanea e provvisoria sono rimaste mere contrapposizioni di una diversa lettura della vicenda negoziale, non essendo state indicate in ricorso risultanze trascurate o malvalutate dai giudici di merito che giustifichino la censura.
È anzi da notare che in sentenza risulta la lunga durata del comodato già al momento della crisi coniugale, manifestatasi con ricorso per separazione del 1999, sette anni dopo la celebrazione del matrimonio (ottobre 1992).
7.1) Altrettanto deve dirsi con riguardo al secondo profilo del secondo motivo di ricorso (sesto quesito) che postula, senza offrire elementi decisivi idonei a ribaltare la decisione di appello, che la scadenza del comodato di casa familiare sia stata fissata dalle parti al raggiungimento della indipendenza ed autonomia dei comodatari.
7.2) Le argomentazioni esposte nella parte generale della motivazione valgono a smentire il secondo motivo nella parte in cui deduce che costituirebbe una espropriazione delle facoltà del proprietario far coincidere la fine del comodato di casa familiare con il termine implicito costituito dal raggiungimento dell’indipendenza economica dei figli del comodatario separato e con lui conviventi.
E sono state già smentite anche le censure portate alla tesi sancita dalle Sezioni Unite prefigurando che possano essere per tal via favoriti comportamenti ostruzionistici, volti a impedire che il figlio della coppia si renda autonomo e autosufficiente.
7.3) Quanto al terzo motivo, appare ineccepibile la decisione della Corte di appello, che ha dichiarato inammissibile la domanda nuova formulata “con le memorie depositate in sede di giudizio di appello”.
Alla richiesta di rilascio del bene in relazione alla cessazione del comodato, è stata infatti sostituita tardivamente la pretesa di rilascio ex art. 1809 comma secondo c.c., che si fonda su presupposti di fatto e di diritto completamente diversi.
8) Il ricorso è rigettato.
Non v’è luogo per pronunciare sulle spese, atteso che l’intimata occupante l’immobile, unica oppostasi alla domanda, non ha svolto in questa sede attività difensiva.

 

P.Q.M.

 
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.

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