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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 29 settembre 2014, n. 20484

Fatto e diritto

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 26 novembre 2013, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.: “Con atto di citazione ritualmente notificato F.M.F. , per il tramite della procuratrice speciale D.R.M.G. , assumeva che la propria sorella, Fa.Gi. , deceduta il (omissis) , con testamento olografo del 30 gennaio 1993 aveva disposto dei propri beni in favore di tali Fr.Si. (cui aveva lasciato in legato un negozio e del denaro) e C.G. (alla quale aveva lasciato la casa di abitazione). Ciò premesso l’attrice conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Savona il Fr. e la C. chiedendo l’accertamento della propria qualità di erede ex lege della de cuius, la declaratoria di nullità del suddetto testamento olografo in quanto non di mano di F.G. o, in via subordinata, l’annullamento del testamento stesso per essere la te-statrice, date le sue condizioni psicofisiche deteriorate negli ultimi anni, incapace di testare; conseguentemente chiedeva la condanna dei convenuti al rilascio dei beni lasciati da F.G. , oltre al risarcimento dei danni.
Si costituivano in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto delle domande attrici e, in via riconvenzionale, la condanna della controparte al risarcimento dei danni ex art. 96 cod. proc. civ..
Con sentenza del 22 giugno 2000, il Tribunale adito rigettava le domande attrici e la domanda riconvenzionale.
Proposto gravame nella suddetta qualità da parte della D.R. , cui resistevano il Fr. e la C. , la Corte di appello di Genova, con sentenza del 23 dicembre 2003, ha rigettato l’impugnazione.
D.R.M.G. , nella qualità di erede di F.M.F. nel frattempo deceduta, ha proposto un ricorso basato su due motivi, cui il Fr. e la C. hanno resistito con controricorso. La Corte di cassazione, con sentenza n. 1903/09 del 27 gennaio 2009, ha accolto il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, ha dichiarato assorbito il secondo, ha cassato la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinviato la causa, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Genova.
L’accoglimento della censura è cosi motivato nella sentenza rescindente di questa Corte: “La Corte territoriale, nel condividere il convincimento espresso dal giudice di primo grado, in ordine alla autografia del testamento olografo per cui è causa da parte di F.G. all’esito della c.t.u. espletata con riferimento anche a numerose scritture di comparazione, ha rigettato il motivo di appello formulato da F.M.F. circa la dedotta erroneità dell’esame della scheda testamentaria su una fotocopia invece che sull’originale, e in proposito ha affermato che tale censura riguardava “il metodo operativo e non la parte comparativa e valutativa della C.T.U., anche perché non spiega per quali motivi, in concreto, le correlazioni del c.t.u. non siano condivisibili”; si trattava, quindi, di una denuncia di irregolarità attinente allo svolgimento delle operazioni peritali da far valere in pendenza delle operazioni stesse oppure, in forma specifica, alla prima udienza dopo il deposito della c.t.u.; non essendo ciò avvenuto, la dedotta irregolarità doveva ritenersi sanata. In proposito si rileva che la censura sollevata dall’appellante come riportata dallo stesso giudice di appello non afferiva alla regolarità o meno dello svolgimento delle operazioni peritali, ma riguardava la contestata attendibilità delle conclusioni della c.t.u. in ordine alla ritenuta autografia della scheda testamentaria in oggetto a seguito del rilievo che l’esame grafologico era stato effettuato sulla copia fotostatica del documento invece che sull’originale. Il vizio denunciato riguardava quindi il fatto che erroneamente il giudice di primo grado aveva attribuito alla suddetta scrittura privata l’efficacia probatoria prevista dall’art. 2702 c.c., laddove la riconducibilità del contenuto e della sottoscrizione della scrittura privata stessa alla de cuius (cosi da determinare una presunzione legale superabile soltanto con l’esito favorevole della querela di falso) postulava che l’esame grafologico fosse eseguito sul documento in originale. Orbene le argomentazioni in proposito ribadite dalla ricorrente in questa sede sono fondate, posto che in effetti soltanto nel documento originale possono individuarsi quegli elementi la cui peculiarità o addirittura singolarità consente di risalire, con elevato grado di probabilità, al reale autore della sottoscrizione in relazione alla conosciuta specificità del profilo calligrafico, degli strumenti di scrittura abitualmente usati, delle stesse caratteristiche psico-fisiche del soggetto rappresentati dalla firma; non può invece che risultare inattendibile un esame grafico condotto su di una copia fotostatica, essendo questa inidonea a rendere percepibili segni grafici personalizzati ed oggettivi (vedi al riguardo in motivazione Cass. 18.2.2000 n. 1831).
È dunque evidente che l’errata qualificazione della effettiva natura del motivo di appello formulato da F.M.F. ha determinato una palese carenza della motivazione in proposito resa dalla sentenza impugnata, che invero non ha minimamente chiarito se l’esame grafologico eseguito dal C.T.U. si fosse svolto sull’originale o sulla copia fotostatica della menzionata scheda testamentaria, e che dunque non si è pronunciata, qualora ricorresse questa seconda ipotesi, sulla questione di diritto sopra esaminata. L’enunciata carenza motivazionale su di un punto decisivo della controversia comporta la necessità sotto tale aspetto di un suo nuovo esame in sede di giudizio di rinvio”.
Pronunciando in sede di rinvio, la Corte d’appello di Genova, con sentenza depositata il 12 dicembre 2012, ha respinto le domande proposte da D.R.M.G. quale erede di F.M.F. .
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello D.R.M.G. ha proposto ricorso, con atto notificato il 6 maggio 2013, sulla base di un motivo.
Gli intimati F.S. e C.G. hanno resistito con controricorso.
Con l’unico mezzo, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 132 e 156 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., lamentando che la sentenza impugnata sia basata su una motivazione apparente, poiché insufficiente e contraddittoria.
Il motivo appare infondato.
Non sussiste il lamentato vizio di nullità della sentenza, perché la Corte di Genova – compiendo la valutazione affidatale da questa Corte con la sentenza n. 1903/09 – ha ricostruito le operazioni eseguite dal c.t.u., riferendo che dalla relazione peritale emerge che il testamento di F.G. “è stato esaminato in originale, presso lo studio del notaio Rossi” e che lo stesso “appare integralmente redatto di pugno dalla testatrice; la grafia in esso contenuta è spontanea e non eterodiretta”. L’esame dell’originale – ha proseguito la sentenza impugnata – è avvenuto in più riprese presso lo studio notarile, avendo poi il nominato c.t.u. “ritenuto di proseguire la sua indagine sulla copia fotostatica tratta dal documento per ben precise e delimitate esigenze specifiche (per raffrontarlo, ad esempio, con le scritture di comparazione), o comunque al solo scopo di completare il fondamentale accertamento già condotto presso lo studio notarile dove l’olografo è conservato”. La Corte d’appello ha pertanto escluso la fondatezza della censura che l’esame grafologico sia stato compiuto non sull’originale ma su una fotocopia della contestata scheda testamentaria, e ciò sulla base di un prudente esame delle risultanze probatorie. Il resto è apprezzamento di fatto affidato, incensurabilmente, al giudice del merito.
Il ricorso può, pertanto, essere avviato alla camera di consiglio per esservi rigettato”.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici;
che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;
che le spese del giudizio di cassazioni, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;
che, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-guater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis dello stesso art. 13.

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