Corte di Cassazione, sezioni unite penali, sentenza 4 gennaio 2018, n. 111. Per applicare le misure di prevenzione personale agli indiziati di appartenere all’associazione mafiosa è necessario accertate il requisito dell’attualità della pericolosità del proposto

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10. Come gia’ rilevato, il concetto di appartenenza, evocato dalla norma, e’ piu’ ampio di quello di partecipazione, con il conseguente rilievo attribuito in tema di misure di prevenzione a condotte che non integrano neppure in ipotesi di accusa la presenza del vincolo stabile tra il proposto e la compagine, ma rivelano una attivita’ di collaborazione, anche non continuativa.
La differente struttura risulta essenziale nel senso di impedire, anche sul piano logico ricostruttivo, la piena equiparazione tra situazioni radicalmente diverse.
Ne consegue che, nell’ipotesi in cui non siano apprezzati elementi indicativi di tale partecipazione, individuabile nella collaborazione strutturale con il gruppo illecito, nella consapevolezza della funzione del proprio apporto stabile e riconoscibile dai consociati, la collaborazione occasionalmente prestata, pur nel previo riconoscimento della funzione della stessa ai fini del raggiungimento degli scopi propri del gruppo, per la mancanza di stabilita’ connessa alla natura di tale cooperazione, non puo’ legittimare l’applicazione di presunzioni semplici, la cui valenza e’ radicata nelle caratteristiche del patto sociale, la cui ideale sottoscrizione, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, costituisce il substrato giustificativo (sul punto Corte cost., n. 231 del 2010) che l’apporto occasionale non possiede per definizione. In tal caso l’accertamento di attualita’ dovra’ logicamente essere ancorato a valutazioni specifiche sulla ripetitivita’ dell’apporto, sulla permanenza di determinate condizioni di vita ed interessi in comune.
11. A tali elementi concreti, desumibili dall’esame delle norme, devono aggiungersi considerazioni di ordine sistematico.
Si deve richiamare quanto in argomento gia’ sottolineato dalla Corte di legittimita’ (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605) ove si e’ chiarito che “Volendo cogliere (…) le piu’ significative linee di tendenza, puo’ dirsi che le misure di prevenzione personale, ab origine concepite quali misure intese a limitare la liberta’ di soggetti ritenuti pericolosi al fine di renderne piu’ agevole il controllo da parte delle autorita’ di pubblica sicurezza, sono state sottoposte ad un processo di costituzionalizzazione (…) interessando un bene di primaria valenza costituzionale come la liberta’ personale, presidiato dall’art.13 Cost.; e, quindi, ad un processo di “giurisdizionalizzazione”, allo scopo di assicurare, per quanto possibile – stante la peculiarita’ del procedimento di prevenzione rispetto a quello di cognizione – la tutela delle garanzie difensive, al fine del contemperamento, pur esso ineludibile, con i parametri convenzionali.
Tale progressiva equiparazione procedimentale intervenuta tra applicazione delle sanzioni penali e delle misure di prevenzione, in ragione del riconoscimento della natura afflittiva di queste ultime che, sia pure incidenti sulla liberta’ di circolazione, in luogo che sulla liberta’ personale – secondo quanto stabilito con riferimento a casi di modalita’ esecutive che, valutate nel concreto, non appaiano eccessivamente restrittive -, ha progressivamente avvicinato le tutele previste in fase di applicazione della misura di prevenzione all’applicazione di misure cautelari o di sanzioni penali. Cio’ e’ avvenuto riguardo alla previsione dell’udienza pubblica, ed alla necessita’ di una tipizzazione della previsione astratta per l’avvertita esigenza di connessione delle stesse al principio di legalita’ gia’ ampiamente riconosciuto in pronunce risalenti della Corte cost. (n. 177 del 1980), e tale sviluppo risulta antitetico rispetto al ricorso a presunzioni valutative non piu’ astrattamente legittimate dalla diversa previsione normativa.

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