Corte di Cassazione, sezioni unite penali, sentenza 4 gennaio 2018, n. 111. Per applicare le misure di prevenzione personale agli indiziati di appartenere all’associazione mafiosa è necessario accertate il requisito dell’attualità della pericolosità del proposto

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Con tale pronuncia si e’ imposta la considerazione della detenzione intercorsa medio tempore, come elemento di fatto di possibile modifica dello status quo ante, precisandosi che tale accadimento non puo’ essere considerato indifferente rispetto alle possibili modifiche delle scelte di fondo dell’interessato, proprio in ragione del principio rieducativo sotteso alla potesta’ statuale di applicazione ed esecuzione della pena, la cui esclusione minerebbe i connotati essenziali del patto sociale in argomento e la cui portata generale impone la considerazione di tale elemento di fatto anche nell’ipotesi di pericolosita’ derivante da elementi di appartenenza a strutture associative. La connessione con tale accadimento intermedio, nel corso dell’esecuzione della misura, ha quindi imposto una valutazione in concreto della persistenza della pericolosita’, anche nell’ipotesi di vincolo associativo accertato in precedenza.
8. In ordine al medesimo profilo dell’attualizzazione giova far riferimento anche alle pronunce di legittimita’ e della Corte costituzionale in tema di valutazione delle esigenze cautelari in ipotesi di gravi indizi di colpevolezza del reato di partecipazione associativa, atteso che i presupposti applicativi di tali provvedimenti condividono con le misure di prevenzione lo svolgimento di un’analisi di condotte pregresse ai fini della proiezione nel futuro della pericolosita’ e della previsione prognostica di stabilita’.
Per le misure cautelari tale esame assume evidentemente maggiore pregnanza, dovendo queste ultime legittimarsi con l’individuazione della gravita’ indiziaria connessa alla possibile attribuzione di fattispecie di reato, a fronte di un testo normativo che richiama una presunzione di pericolosita’ ove tali indizi si connettano al reato associativo (articolo 275 c.p.p., comma 3), presunzione, come si e’ gia’ sottolineato, invece non piu’ rinvenibile dall’attuale testo sulle misure di prevenzione.
Malgrado tali sostanziali differenze testuali, sia la giurisprudenza della Corte di legittimita’, che le varie pronunce della Corte costituzionale sollecitate sull’argomento del ricorso a presunzioni assolute in materia penale – tra le quali assume rilievo, pur nella autonomia dell’ambito di applicazione, Corte cost. n. 139 del 2010 in tema di presunzione di superamento di reddito minimo e conseguente preclusione del patrocinio a spese dello Stato in ipotesi di accuse in tema di partecipazione in associazione di stampo mafioso -, hanno espressamente delimitato tale presunzione ad una forma di valutazione precostituita, superabile da dimostrazione contraria, rigorosamente circoscritta alla ricorrenza di ipotesi che ontologicamente richiamino la stabilita’ del vincolo, e non siano suscettibili di sottoposizione a differente lettura.
In tale chiave ricostruttiva si pongono le pronunce della Corte costituzionale nn. 265 del 2010, 164 e 231 del 2011, ove espressamente si ribadisce nel concreto quanto gia’ chiarito in risalenti pronunce: le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza se sono arbitrarie o irrazionali e non rispondono a dati di esperienza generalizzati, quindi tutte le volte in cui sia agevole formulare ipotesi alternative a quelle generali su cui sono fondate.
Tale linea interpretativa ha introdotto, in maniera ancora piu’ stringente, la necessita’ di un’analisi riferita all’epoca di applicazione della misura, richiedendo che anche indicatori pregressi di pericolosita’ debbano essere attualizzati in forza delle condizioni accertate al momento applicativo, verifica che risulta logicamente essenziale, anche in ragione dell’immediata esecutivita’ delle misure. Sullo specifico tema, assume rilievo la pronuncia Corte cost. n. 48 del 2015, che ha espressamente censurato di irragionevolezza la presunzione di adeguatezza della misura piu’ gravosa, ove applicata in relazione al delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, malgrado la mancanza nel caso richiamato, di una connessione strutturale con il gruppo che consenta di presumere la stabilita’ del vincolo, concetto al quale solo puo’ essere ancorata, sul piano empirico-sociologico la presunzione di pericolosita’ ed adeguatezza della piu’ grave misura.
9. Se tale presupposto e’ stato ritenuto essenziale, a fronte di una espressa previsione normativa che impone la valutazione di gravita’ indiziaria inerente alla consumazione di un fatto reato, a piu’ forte ragione deve avvertirsi la necessita’ di spingersi a verificare l’attualita’ della pericolosita’ nell’ipotesi di applicazione di misura preventiva, posto che per essa si richiede quale presupposto applicativo, in luogo dell’esistenza di gravi indizi di consumazione del reato, l’accertamento di elementi sull’appartenenza alla compagine mafiosa, che costituiscono un minus rispetto a quanto legittima l’applicazione della misura cautelare, in quanto si attribuisce rilievo giuridico all’esistenza di un regime di vita non necessariamente connesso a fattispecie di reato attribuibili all’interessato, ma a fatti, anche privi di rilievo penale, che generino elementi indicativi di tale collegamento.

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