Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

ordinanza 25 febbraio 2016, n. 3734

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Primo Presidente

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Avvocato (OMISSIS) del Foro di Milano, rappresentata e difesa, per procura in calce al ricorso, dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata, in (OMISSIS) presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MILANO, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,e nei confronti del Procuratore della Repubblica di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

Avverso la decisione n.135/2015, emessa dal Consiglio Nazionale Forense, in data 21 maggio 2015 e depositata in segreteria il 23 luglio 2015;

Udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio del 17 novembre 2015, dal Consigliere Dott. DI BLASI Antonino;

nessuna delle parti e’ presente;

Viste le conclusioni scritte del P.M., che ha chiesto il rigetto della domanda di sospensione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 06.10.2008 i signori (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’ (OMISSIS), esponevano che l’avvocato (OMISSIS) ed il Dott. (OMISSIS), in relazione alle prestazioni professionali rese in riferimento ad un sinistro stradale, nel corso del quale era deceduto un loro congiunto, avevano chiesto ed ottenuto il relativo pagamento, sia dai clienti sia pure, direttamente, dalla Compagnia di assicurazioni. L’adito Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano, sentiti i predetti professionisti, con delibera dell’01 luglio 2010, disponeva l’archiviazione della pratica nei confronti del dr. (OMISSIS) e l’apertura di procedimento disciplinare nei confronti dell’Avvocato (OMISSIS), per essere, quest’ultimo, venuto meno ai doveri di correttezza, lealta’, probita’ e decoro per: “1) avere richiesto ed incassato dai propri assistiti sig.ri (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS), l’importo di euro 25.000,00 a seguito dell’attivita’ dalla stessa prestata in loro favore per la definizione del sinistro relativo al decesso di (OMISSIS), sottacendo agli stessi di avere incassato, per il medesimo titolo, dall’ (OMISSIS) – (OMISSIS), l’importo di euro 2 6.928,00;

2) non avere emesso fattura per l’importo di euro 25.000,00, percepito dai propri clienti a seguito dell’attivita’ legale prestata per la definizione del sinistro relativo al decesso di (OMISSIS)”. All’esito della svolta attivita’ istruttoria, il Consiglio dell’Ordine di Milano, affermava la responsabilita’ disciplinare dell’incolpata, comminando alla stessa la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per mesi otto. L’Avvocato (OMISSIS) impugnava il citato provvedimento, innanzi al Consiglio Nazionale Forense, riproponendo ed ulteriormente illustrando le argomentazioni difensive gia’ prospettate nel procedimento davanti al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano.

Con la decisione in epigrafe indicata ed in questa sede impugnata, il Consiglio Nazionale Forense, ha rigettato il ricorso, confermando la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per mesi otto, cosi’ come irrogata dal Consiglio dell’Ordine di Milano.

L’Avvocato (OMISSIS) ha, quindi, proposto ricorso per cassazione, che ha affidato a piu’ mezzi, con l’ultimo dei quali ha formulato domanda di sospensione della decisione del C.N.F., nella parte in cui inibisce l’esercizio della professione per mesi otto, avuto riguardo al grave pregiudizio connesso alla relativa applicazione.

L’intimato Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano, non ha svolto difese in questa sede.

Il Procuratore Generale, con atto 28.10.2015, ha chiesto che la Corte, in camera di consiglio, rigetti la domanda di sospensione dell’impugnata sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ritiene che la domanda di sospensione vada respinta, per plurimi profili di inammissibilita’. Un primo profilo di inammissibilita’ deriva dal condiviso principio, cui questo Collegio, intende dare continuita’, secondo cui “In tema di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza d’appello resa dai giudici speciali, impugnata con ricorso alle sezioni Unite della Corte di Cassazione, deve ritenersi applicabile, salvo che sia diversamente disposto da specifiche disposizioni, la disciplina di cui all’articolo 373 codice procedura civile, poiche’ nulla prevede al riguardo l’articolo 111 Cost., sul ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, con la conseguenza che e’ inammissibile un’istanza “cautelare” contenuta nel ricorso per cassazione” – Cass. SS.UU. (N n.4112/2007).

Risulta, altresi’, preclusa l’ammissibilita’ della domanda di sospensione, avuto riguardo alla genericita’ della doglianza della ricorrente, che non indica i concreti elementi, alla cui stregua dall’esecuzione della sentenza, dovrebbe “derivare grave ed irreparabile danno”.

La ricorrente, infatti, si limita a prospettare, gli effetti pregiudizievoli connessi alla sospensione dell’esercizio professionale, ma cio’ fa con riferimenti generici, senza indicare concreti elementi-giustificativi.

Rileva, peraltro, la Corte che il ricorso, cosi’ come correttamente evidenziato dal P.M. nelle conclusioni scritte del 28.10.2015 e come agevole desumere dal relativo tenore, prospetta mezzi che censurano la sentenza, esclusivamente, sotto il profilo motivazionale e, quindi, da ritenersi inammissibile.

Da tanto deriva che eventuali lacune, ove pure fossero state indicate puntualmente ed idoneamente formulate e valorizzate nell’ottica della relativa decisiva rilevanza, comunque, dovrebbero essere esaminate, tenendo conto del consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, secondo cui “In tema di ricorso per cassazione avverso le decisioni emanate dal Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare, l’inosservanza dell’obbligo di motivazione su questioni di fatto integra una violazione di legge, denunciabile con ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, solo ove essa si traduca in una motivazione completamente assente o puramente apparente, vale a dire non ricostruibile logicamente ovvero priva di riferibilita’ ai fatti di causa (Cass. SS.UD. n.23240/2005, n. 5072/2003).

Non ricorrendo, nel caso, tali presupposti, per essere la decisione impugnata supportata da motivazione che esplicita il percorso logico-formale seguito per giungere all’adottata decisione, i motivi del ricorso appaiono inidonei a dare ingresso all’impugnazione, precludendo, pure, l’esame della domanda di sospensione di che trattasi che, invece, proprio quella presuppone.

Peraltro, sotto altro profilo, risultano inammissibili i vari motivi di ricorso e, quindi, la connessa domanda oggetto di esame in questa sede, in base al nuovo testo dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 5, applicabile alle sentenze depositate dopo l’11 settembre 2012, e del principio, alla relativa stregua affermato da questa Corte (Cass. SS.UU. n.ri 8053, 8054, 8925 e 8926 del 2014).

Il tenore delle censure rende palese che i mezzi fanno riferimento al testo dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 5, nella versione introdotta dalla Legge n. 69 del 2009, quindi, anteriore alla riforma di cui al Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla Legge 7 agosto 2012, n. 134.

Norma, quella richiamata, non applicabile al caso, trattandosi di sentenza depositata il 23 luglio 2015, quindi dopo l’entrata in vigore della precitate Legge n. 134 del 2012, la quale, ha introdotto una disciplina piu’ stringente, che ha limitato la possibilita’ della denuncia dei vizi di motivazione che consentono l’intervento della Corte di Cassazione solo nel caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il cambiamento operato dalla novella e’ netto, dal momento che dal previgente testo dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 5, viene eliminato non solo il riferimento alla “insufficienza” ed alla “contraddittorieta’ “, ma addirittura la stessa parola “motivazione”.

Puo’ quindi affermarsi che la nuova e vigente previsione dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 5, legittima solo la censura per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, non essendo piu’ consentita la formulazione di censure per il vizio di “insufficiente”o “contraddittorieta’”della motivazione.

Ne’ a diverso opinamento puo’ pervenirsi nella considerazione che la censura per “omessa, insufficiente o contraddittorieta’ della motivazione”, potrebbe trovare ingresso, dando prevalenza all’aspetto sostanziale piu’ che a quello letterale e formale del mezzo e quindi prescindendo dalla inidoneita’ della formulazione, ostandovi l’evidente prospettiva della novella, introdotta dal Legislatore al fine di ridurre l’area del sindacato di legittimita’ sui “fatti”, escludendo in radice la deducibilita’ di vizi della logica argomentazione (illogicita’ o contraddittorieta’), che non si traducano nella totale incomprensibilita’ dell’argomentare.

In buona sostanza, cio’ che rileva, in base alla nuova previsione, e’ solo l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, cioe’ la pretermissione di quei dati materiali, acquisiti e dibattuti nel processo, aventi portata idonea a determinare direttamente un diverso esito del giudizio. La formulazione dei motivi in esame, quale desumibile dal relativo tenore, non sembra, quindi, ossequiosa della nuova previsione processuale e del principio affermato dalle precitate sentenze di questa Corte, non offrendo concreti elementi, idonei a giustificare l’adozione della richiesta decisione.

Sotto altro aspetto, osserva la Corte, che le doglianze, difficilmente, sfuggirebbero alla declaratoria di inammissibilita’, avuto riguardo all’orientamento giurisprudenziale, che questa Corte ha contribuito a formare, con specifico riguardo ai procedimenti disciplinari a carico di avvocati, secondo cui l’apprezzamento in fatto del Consiglio Nazionale Forense circa la idoneita’ di un determinato comportamento posto in essere da un avvocato a ledere il decoro e la dignita” professionale della categoria – valori tutelati dal R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 38, – ha carattere di esclusivita’, con la conseguenza della relativa incensurabilita’ in sede di legittimita’ ove sorretto da motivazione sufficiente (Cass. SS.UU. n. 6213/2005, n. 27689/2005).

Conclusivamente, puo’ ritenersi, che, nel caso, tutti i motivi del ricorso non offrono elementi idonei per far ritenere sussistenti i prescritti presupposti, per l’accoglimento della domanda di sospensione degli effetti della sentenza in epigrafe indicata.

Nulla va disposto per le spese del giudizio, in assenza dei relativi presupposti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile la domanda di sospensione della esecutivita’ del provvedimento impugnato. Trattandosi di pronuncia che non definisce il giudizio, non trova applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma l6 quater, come modificato dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, commi 17 e 18.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *